Massima n. 288389
Decisione CAF: Comunicato Ufficiale 48/C Riunione dell’11 aprile 2006 n. 5,6 – www.figc.it Decisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Professionisti Serie C – Com. Uff. n. 264/C del 17.3.2006 Impugnazione - istanza: Appello del calciatore C.A. avverso la sanzione della squalifica inflittagli fino a tutto il 17.1.2007 a seguito di deferimento Procura Antidoping C.O.N.I. per violazione del Regolamento Antidoping. Appello della Procura Antidoping avverso l’incongruità della sanzione inflitta al calciatore C.A. a seguito di proprio deferimento Massima: L’accadimento occasionale e non finalizzato all’alterazione delle prestazioni agonistiche, avvenuto peraltro in un contesto psicologico-familiare particolarmente difficile, vista la recente separazione dalla moglie; mancanza di precedenti specifici; atteggiamento collaborativi, sono elementi valutabili ai fini dell’irrogazione della sanzione per fatti di doping, senza poter comunque prescindere dalla sanzione minima irrogabile, appunto la squalifica per un anno, in caso di colpa sussistente ma “non significativa”, ai sensi dell’art. 19.5.2 del vigente Regolamento antidoping. Il caso di specie: Il calciatore ha ammesso di aver assunto la sostanza vietata in occasione di una festa tenutasi in un locale il giovedì antecedente al controllo che gli era stata offerta con una sigaretta artigianale, che aveva accettato di fumare e che solo dopo essersi sentito poco bene aveva compreso che nella sigaretta era contenuta della cocaina. L’atleta ha affermato, inoltre, di non aver mai assunto sostanze stupefacenti e che l’accaduto era connesso ad un momento familiare molto difficile. Massima: In materia di doping la sanzione edittale può essere ridotta, “non in misura inferiore alla metà del periodo minimo di squalifica teoricamente applicabile” (quando questa è a vita il periodo ridotto non può essere inferiore a otto anni), in caso di assenza di colpa o negligenza “significativa” (art. 19.5.2), con onere probatorio sempre a carico dell’atleta e con l’avvertenza che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo per conseguire la riduzione della sanzione deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo, nonché in caso di collaborazione fattiva dell’atleta stesso per la scoperta e/o l’accertamento di violazioni del Regolamento da parte del personale di supporto dell’atleta e di altri (art. 19.5.3). Ciò posto, alla stregua della rigorosa, e connotata da tassatività, disciplina soprariportata, l’Organo giudicante, nel caso di specie (prima violazione per incontestato riscontro dei metaboliti della cocaina nel campione biologico dell’incolpato), ove non ritenga di applicare la sanzione minima edittale, può solo ridurre ad un anno la sospensione dall’attività ove ricorrano le circostanze previste e sopra menzionate, od altrimenti è chiamato ad escludere del tutto l’applicazione di sanzioni in caso di totale assenza di colpa. Anche gli oneri probatori gravanti sull’atleta sono ben delineati. Decisione C.A.F.: Comunicato Ufficiale n. 42/C - Riunione del 20 marzo 2006 n.3 - www.figc.it Decisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Professionisti Serie C – Com. Uff. n. 218/C del 15.2.2006 - www.figc.it Impugnazione - istanza: Appello del sig. F.S. avverso la sanzione della squalifica inflitta per anni due, fino al 17.12.2007, seguito deferimento Procura Antidoping CONI per violazione art.1, Regolamento Antidoping. Massima: Non si intravede alcun motivo fondato e giuridicamente rilevante, e non da ultimo alcun obiettivo ostacolo di tipo normativo, perché anche in una simile fattispecie (come del resto anche nel caso dell’art. 19.6.2) non si possa applicare, esistendone i presupposti, la previsione generale di attenuante di cui all’art. 19.5.2, rilevante in casi di assenza di colpa o negligenza significativa. Non a caso quest’ultima fattispecie, come efficacemente rilevato dalla difesa dell’appellante, prevede che sia riducibile anche la squalifica a vita (fino ad un minimo comunque di otto anni), sanzione che trova applicazione solo in caso di reiterata violazione, ed in particolare seconda violazione per le sostanze vietate o metodi proibiti e terza violazione per le sostanze specifiche. Ciò detto, anche nel caso di specie, sono evidenti, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, gli elementi che depongono nel senso della sussistenza di una colpa o negligenza non significativa. Basti pensare al grave e comprensibile stato di prostrazione del calciatore dovuto a serio e documentato problema cardiaco della figlioletta (al riguardo del tutto ultronee e inconferenti risultano le considerazioni formulate dalla Commissione Disciplinare la quale, al di fuori delle proprie competenze, ha ritenuto di poter scendere nel merito affermando un presunto quadro non grave ed allarmante dello stato patologico della medesima). A questo vanno aggiunti il comportamento del calciatore, il suo atteggiamento pienamente collaborativo e la sua disponibilità a riscattarsi definitivamente (anche in maniera pubblica e nell’interesse della collettività), nonché, non da ultimo, l’evidente dissociazione del fatto, pur meritevole di forte biasimo, con l’evento sportivo. (Il caso di specie: il calciatore aveva avuto notizia di una seria condizione patologica della figlioletta, che l’aveva calato in uno stato di forte prostrazione, cosicché era caduto nell’errore, di fumare in compagnia alcuni tiri di “spinello”). Decisione C.A.F.: Comunicato Ufficiale n. 9/C Riunione del 29 settembre 2005 n. 11 - www.figc.it Decisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Professionisti Serie C – Com. Uff. n. 18/C del 31.8.2005 Impugnazione - istanza: Appello della Procura Antidoping C.O.N.I avverso l’incongruità delle sanzioni inflitte rispettivamente: al dott. W.U. dell’inibizione fino al 26.8.2006, della squalifica al calciatore N.S. fino al 26.10.2005 ed avverso il proscioglimento dei calciatori S.S. e M.R.S. a seguito di proprio deferimento. Massima: La normativa di settore individua chiaramente come fattispecie di illecito (violazione antidoping) la mera “presenza” nell’organismo del tesserato di sostanze proibite o dei suoi metaboliti o marker (si veda l’art. 1.2 del Regolamento antidoping approvato con C.U. n. 149/A del 20 dicembre 2004, in vigore dal 1° gennaio 2005 e applicabile alla fattispecie). La prova liberatoria, in grado di escludere ogni addebito e responsabilità, non può che essere quella di avere assunto la sostanza dopante (o equiparata) in maniera del tutto involontaria o senza conoscere (con totale assenza di colpa) che la sostanza stessa era vietata. Nel caso che ci occupa, invece, gli atleti - secondo l’assunto difensivo di controparte – sarebbero stati indotti in errore dallo stesso medico della società, che li ha assicurati non tanto sul fatto che la sostanza assunta non fosse vietata, ma in ordine al fatto che l’assunzione sarebbe stata senza conseguenze. Ma l’art. 1.2.1 del Regolamento non lascia, in effetti, adito a dubbi: ogni atleta deve assicurarsi “personalmente” di non assumere una sostanza vietata. Ne consegue che l’assicurazione fornita da una terza persona, finanche il medico sociale, non può costituire una totale esimente, e questo ancor più quando l’assicurazione riguarda gli effetti e non la natura della sostanza. A questo punto il regime sanzionatorio speciale non lascia molti spazi ad interventi di carattere discrezionale. E’ infatti notorio, al riguardo, che il nuovo impianto regolamentare in vigore a partire dal 1° gennaio 2005 (analogamente a quello già vigente per il 2004) non lascia più quei margini di apprezzamento discrezionale precedentemente previsti in capo alla Commissione giudicante, ed in particolare non consente più di esercitare il potere atipico modificativo (in senso riduttivo) della sanzione di cui all’art. 13, comma 1, lett. b), punto III) del Regolamento antidoping vigente fino al 31 dicembre 2003. Sulla base del regime applicabile alla fattispecie de qua, si è invece specificato, all’articolo 19.5 (non modificato dalla delibera di cui al C.U. n. 187/A del 15 marzo 2005), che l’annullamento o la riduzione della squalifica possono intervenire, infatti, solo per “circostanze realmente eccezionali” ed esclusivamente nei termini di seguito indicati dalle norme e per la sola irrogazione delle sanzioni (non al fine, dunque, di accertare se vi è stata o meno una violazione del Regolamento). Si ha, così, che la sanzione della squalifica non debba applicarsi in caso di “nessuna colpa e negligenza” (art. 19.5.1), ovvero quando l’atleta dimostri che la violazione è avvenuta del tutto senza sua colpa o negligenza, con l’avvertenza però che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo, per conseguire l’annullamento della sanzione, deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo. La sanzione edittale può, invece, essere ridotta, ma in ogni caso “non in misura inferiore alla metà del periodo minimo di squalifica teoricamente applicabile” (quando questa è a vita il periodo ridotto non può essere inferiore a otto anni), in caso di assenza di colpa o di negligenza “significativa” (art. 19.5.2), con onere probatorio sempre a carico dell’atleta ed anche qui con l’avvertenza che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo per conseguire la riduzione della sanzione deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo, nonché in caso di collaborazione fattiva dell’atleta stesso per la scoperta e/o l’accertamento di violazioni del Regolamento da parte del personale di supporto dell’atleta e di altri (art. 19.5.3). Ciò posto, alla stregua della più rigorosa, e connotata da tassatività, disciplina soprariportata, l’Organo giudicante, nel caso di specie (prima violazione per incontestato riscontro di diuretico nel campione biologico degli incolpati), ove non ritenga di applicare la sanzione minima edittale di due anni, può solo ridurre ad un anno la sospensione dall’attività ove ricorrano le circostanze previste e sopra menzionate, od altrimenti è chiamato ad escludere del tutto l’applicazione di sanzioni in caso di totale assenza di colpa. Decisione G.U.I. DOPING – C.O.N.I.: Decisione n. 5/05 del 28 giugno 2005 – www.coni.it Decisione impugnata: Delibera dalla C.A.F. (F.I.G.C.) pubblicata sul C.U. 51/C del 20 giugno 2005 - www.figc.it Impugnazione – istanza: M.M.. Massima: Il G.U.I. ha già avuto modo di precisare (vedi sentenza n. 4/05, Pagliucoli) che, nell’attuale sistema normativo, derivante direttamente dal Codice Mondiale Antidoping WADA, la correttezza del comportamento processuale dell’atleta, il suo pentimento, l’occasionalità del fatto, la disponibilità ad un fattivo reinserimento sociale non hanno – al di là dell’istituto della collaborazione sulla quale ci si soffermerà tra breve - alcuna diretta influenza né ai fini della determinazione della pena (indicata dall’art. 19.2 per la prima violazione in due anni, senza previsione di un minimo o di un massimo edittali), né ai fini del riconoscimento della riduzione di pena di cui all’art. 19.5.2 del Regolamento o di altra attenuante (sull’esempio di quelle cosiddette generiche previste dall’ordinamento penale). Unicamente al fatto e alle sue modalità attengono le riduzioni di pena stabilite dall’art. 19.5.2 come risulta dal chiaro riferimento al termine “violazione”. Di conseguenza, le circostanze favorevoli indicate dalla difesa potranno rilevare a favore dell’atleta soltanto qualora consentano al Giudice di ricostruire quali siano state le modalità di assunzione della sostanza e l’atteggiamento psicologico del soggetto al momento del fatto e così di escludere la presenza della colpa significativa (come effettuato nel presente caso dalla Commissione Disciplinare di primo grado) o di qualunque rimprovero a titolo di colpa o negligenza (ipotesi di cui all’art. 19.5.1.). Il fatto, dunque, che l’assunzione non fosse finalizzata al miglioramento della prestazione sportiva è poi irrilevante ai fini della sussistenza della violazione regolamentare. Sia perché, come già osservato, il regolamento considera la violazione in materia di doping come un illecito sportivo di pericolo presunto e stabilisce una presunzione di responsabilità dell’atleta legata esclusivamente al canone obiettivo dell’accertata positività (vedi artt. 1.2.1 e 19.5). Altrimenti, ogni volta, dovrebbe accertarsi non solo l’intento dell’atleta di migliorare la propria prestazione ma addirittura che la stessa sostanza abbia poi prodotto tale risultato. La violazione antidoping, a differenza di quella penale introdotta in materia con l’art. 9 comma 1 e 2 della legge 376/00, si fonda, soprattutto, su una lesione dei principi della lealtà, correttezza e probità sportiva correlati alla necessità di intendere il perfezionamento atletico come connesso al miglioramento fisico e morale. L’atleta viola tali principi mediante la mera assunzione di sostanze che, sulla base della miglior scienza ed esperienza, sono ritenute in grado di alterare le condizioni psico-fisiche dell’organismo dell’atleta e di incidere sulla correttezza della prestazione agonistica. Decisione C.A.F.: Comunicato Ufficiale 51/C Riunione del 20 Giugno 2005 n. 5 – www.figc.it Decisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Professionisti Serie C - Com. Uff. n. 365/C del 18.5.2005 Impugnazione - istanza:Appello calciatore M.M. avverso la sanzione della squalifica per anni 1 a seguito del deferimento della Procura Antidoping del C.O.N.I., per violazione del Regolamento Antidoping Massima: Il nuovo impianto regolamentare in vigore dal 1° gennaio 2005 (analogamente a quello vigente per tutto il 2004) non lascia più quei margini di apprezzamento discrezionale precedentemente previsti in capo alla Commissione giudicante, ed in particolare non consente più di esercitare il potere atipico modificativo (in senso riduttivo) della sanzione di cui all’art. 13, comma 1, lett. b), punto III) del Regolamento antidoping vigente fino al 31 dicembre 2003 (applicato, ad esempio, nei casi “K.” e “B.”, invocati dall’appellante). Sulla base del regime applicabile alla fattispecie de qua (ed applicato a partire dal “caso Bachini”), si è invece specificato, all’articolo 19.5, che l’annullamento o la riduzione della squalifica possono intervenire, infatti, solo per “circostanze realmente eccezionali” ed esclusivamente nei termini di seguito indicati dalle norme e per la sola irrogazione delle sanzioni (non al fine, dunque, di accertare se vi è stata o meno una violazione del Regolamento). Si ha, così, che la sanzione della squalifica non debba applicarsi in caso di “nessuna colpa e negligenza” (art. 19.5.1), ovvero quando l’atleta dimostri che la violazione è avvenuta del tutto senza sua colpa o negligenza, con l’avvertenza però che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo, per conseguire l’annullamento della sanzione, deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo. La sanzione edittale può, invece, essere ridotta, ma in ogni caso “non in misura inferiore alla metà del periodo minimo di squalifica teoricamente applicabile” (quando questa è a vita il periodo ridotto non può essere inferiore a otto anni), in caso di assenza di colpa o negligenza “significativa” (art. 19.5.2), con onere probatorio sempre a carico dell’atleta ed anche qui con l’avvertenza che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo per conseguire la riduzione della sanzione deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo, nonché in caso di collaborazione fattiva dell’atleta stesso per la scoperta e/o l’accertamento di violazioni del Regolamento da parte del personale di supporto dell’atleta e di altri (art. 19.5.3). Ciò posto, alla stregua della più rigorosa, e connotata da tassatività, disciplina sopra riportata, l’Organo giudicante, nel caso di specie (prima violazione per incontestato riscontro dei metaboliti della cocaina nel campione biologico dell’incolpato), ove non ritenga di applicare la sanzione minima edittale, può solo ridurre ad un anno la sospensione dall’attività ove ricorrano le circostanze previste e sopra menzionate, od altrimenti è chiamato ad escludere del tutto l’applicazione di sanzioni in caso di totale assenza di colpa. Decisione C.A.F.: Comunicato Ufficiale 42/C Riunione del 9 Maggio 2005 n. 11,12 – www.figc.it Decisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Professionisti Serie C - Com. Uff. n. 323/C del 20.4.2005 Impugnazione - istanza:Appelli calciatore R.F. e Procura Antidoping del C.O.N.I. avverso la sanzione della squalifica fino a tutto il 31.12.2005 a seguito di deferimento dell’ufficio di Procura Antidoping del C.O.N.I. per violazione degli artt. 1 e 39 C.G.S., nonché del vigente Regolamento Antidoping Massima: Il nuovo impianto regolamentare in vigore a partire dal 1° gennaio 2004 (analogamente a quello vigente per il 2005) non lascia più quei margini di apprezzamento discrezionale precedentemente previsti in capo alla Corte giudicante, ed in particolare non consente più di esercitare il potere atipico modificativo (in senso riduttivo) della sanzione di cui all’art. 13, comma 1, lett. b), punto III) del Regolamento antidoping vigente fino al 31 dicembre 2003 (applicato, ad esempio, nei casi “K.” e “B.”, invocati dalla difesa dell’appellante). Sulla base del regime applicabile alla fattispecie de qua (ed applicato a partire dal “caso Bachini”), si è invece specificato, all’articolo 19.5, che l’annullamento o la riduzione della squalifica possono intervenire, infatti, solo per “circostanze realmente eccezionali” ed esclusivamente nei termini di seguito indicati dalle norme e per la sola irrogazione delle sanzioni (non al fine, dunque, di accertare se vi è stata o meno una violazione del Regolamento). Si ha, così, che la sanzione della squalifica non debba applicarsi in caso di “nessuna colpa e negligenza” (art. 19.5.1), ovvero quando l’atleta dimostri che la violazione è avvenuta del tutto senza sua colpa o negligenza, con l’avvertenza però che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo, per conseguire l’annullamento della sanzione, deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo. La sanzione edittale può, invece, essere ridotta, ma in ogni caso “non in misura inferiore alla metà del periodo minimo di squalifica teoricamente applicabile” (quando questa è a vita il periodo ridotto non può essere inferiore a otto anni), in caso di assenza di colpa o di negligenza “significativa” (art. 19.5.2), con onere probatorio sempre a carico dell’atleta ed anche qui con l’avvertenza che in caso di presenza di una sostanza vietata o dei relativi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta, l’atleta medesimo per conseguire la riduzione della sanzione deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata sia penetrata nel suo organismo, nonché in caso di collaborazione fattiva dell’atleta stesso per la scoperta e/o l’accertamento di violazioni del Regolamento da parte del personale di supporto dell’atleta e di altri (art. 19.5.3). Ciò posto, alla stregua della più rigorosa, e connotata da tassatività, disciplina soprariportata, l’Organo giudicante, nel caso di specie (prima violazione per incontestato riscontro dei metaboliti della cocaina nel campione biologico dell’incolpato), ove non ritenga di applicare la sanzione minima edittale di due anni, può solo ridurre ad un anno la sospensione dall’attività ove ricorrano le circostanze previste e sopra menzionate, od altrimenti è chiamato ad escludere del tutto l’applicazione di sanzioni in caso di totale assenza di colpa.