CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE TERZA CIVILE, Sentenza del 23/04/2020 n. 8101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Presidente: DE STEFANO

Relatore: ROSSETTI MARCO

– OMISSIS - 

SENTENZA

sul ricorso (…) proposto da:

(...) , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell'avvocato ACHILLE BUONAFEDE, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUIGI ALBISINNI;

- ricorrente -

contro

(...) SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei Commissari Straordinari, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIANA 54, presso lo studio dell'avvocato MASSIMO CONFORTINI, che la rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 3675/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 15/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per l'accoglimento;

udito l'Avvocato ACHILLE BUONAFEDE;

udito l'Avvocato ZACCHEO MASSIMO per delega;

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2005 la società (...) in amministrazione straordinaria s.p.a. (d'ora innanzi, "la (...)") convenne dinanzi al Tribunale di Roma (...), esponendo che:

- ) la (...) era una società del c.d. "Gruppo (...)"; tale gruppo faceva capo alla società di diritto olandese (...) N.V. (ovvero (...), "società anonima"), la quale deteneva il 98,3% del capitale sociale di altre società, tra cui la società (...) s.p.a. e (...) s.p.a.; quest'ultima, a sua volta, controllava direttamente ed indirettamente la nota società calcistica "S.S. (...) s.p.a.";

- ) amministratore delegato della (...)a e presidente della S.S. (...) era la medesima persona, (...); -) nel 2000 la (...)a impartì alla (...) l'ordine di versare a (...) la somma di 600.000.000 di lire, che venne eseguito; - ) tale somma "era esattamente corrispondente" all'importo che la S.S.

(...) aveva concordato col convenuto, e con tutti gli altri calciatori della squadra calcistica "(...)", a titolo di "premio scudetto", per avere la suddetta compagine vinto il campionato di calcio di serie "A" della stagione calcistica 1999-2000; - ) la (...)a, "al preciso scopo di mascherare tali pagamenti indebiti", simulò l'esistenza d'un contratto di finanziamento tra la società S.S. (...) s.p.a. da un lato, ed i propri atleti dall'altro; e tale operazione fu inscenata al fine di "provvedere, con l'impiego di risorse finanziarie di (...) s.p.a. al pagamento dei cc.dd. premi scudetto dovuti da S.S. (...) (...) ai propri calciatori"; - ) nondimeno, non avendo la società (...) obbligo alcuno nei confronti del convenuto, il pagamento effettuato in favore di questi doveva ritenersi sine causa.

Concluse pertanto la società attrice chiedendo la condanna del convenuto alla restituzione dell'importo suddetto.

2. (...)si costituì, eccependo:

-) che la somma ricevuta dalla (...) era a lui effettivamente dovuta a titolo di premio per la vittoria del campionato di calcio dell'anno 1999-2000; - ) che, di conseguenza, quella somma costituiva una retribuzione, ed in quanto tale non era ripetibile; - ) che la società (...) aveva effettuato il pagamento "nell'ambito di disposizioni rientranti nella sfera della direzione unitaria del gruppo di società", che ricomprendeva tanto la società (...) , quanto la società (...)

, quanto, infine, la società (...)a; - ) che a lui, in quanto terzo di buona fede, era inopponibile qualsivoglia simulazione intercorsa tra le suddette società nel quadro dei rapporti di gruppo; - ) che in ogni caso il pagamento eseguito dalla (...) costituiva, alternativamente, o un adempimento dell'obbligo del terzo, ai sensi dell'articolo 1180 c.c., oppure esecuzione d'una delegatio solvendi, e di conseguenza tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, non se ne poteva domandare la restituzione.

3. Nel corso del giudizio di primo grado la società attrice, con la seconda memoria di cui all'articolo 184 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis), intese replicare alle difese del convenuto deducendo che l'accordo fra la società (...)  e i suoi calciatori, avente ad oggetto il pagamento del cosiddetto "premio-scudetto", era stato consensualmente risolto tra le parti, e che anche sotto questo profilo, pertanto, il pagamento effettuato dalla (...) al convenuto doveva ritenersi sine causa.

4. Con sentenza 12 dicembre 2007 n. 24334 il Tribunale di Roma rigettò la domanda.

Ritenne il tribunale che (...), versando a (...) l'importo a questi dovuto dalla società sportiva (...) , adempì l'obbligo di quest'ultima di pagare il "premio-scudetto".

Era, di conseguenza, irrilevante stabilire se (...) avesse compiuto tale pagamento per incarico di (...)a oppure no, giacché non vi era prova che il suddetto pagamento avvenne in adempimento di un obbligo.

Di conseguenza esso doveva ritenersi spontaneo, e quindi non ripetibile.

5. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.

Con sentenza 15 giugno 2015 n. 3675 la Corte d'appello di Roma accolse il gravame, e condannò (...) alla restituzione in favore di (...) S.p.A., della somma di euro 309.874,13, oltre interessi dal 25 gennaio 2005.

Ritenne la Corte d'appello che:

- ) il pagamento da (...) a (...) era avvenuto per adempiere a una disposizione in tal senso impartita a (...) dalla società (...)S.p.A.; - ) tra la (...)a e (...) da un lato, così come tra quest'ultimo e la (...) dall'altro, non esisteva alcun vincolo contrattuale o rapporto giuridico;

- ) l'adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., per essere efficace, deve essere spontaneo; - ) (...) non pagò il calciatore spontaneamente, ma in adempimento del mandato conferitole da (...)a; - ) ergo, il pagamento di (...)non poteva qualificarsi adempimento del terzo ex art. 1180 c.c..

Escluso che (...) avesse pagato il debito altrui, la Corte d'appelloha concluso che tra solvens ((...)) ed accipiens ((...)) non sussistesse alcuna causa giustificativa del pagamento, perché: - (...)era creditore della S.S. (...), ma non della (...); - nessun contratto o altro obbligo esisteva tra la (...)a e Simone Inzaghi.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Simone Inzaghi, con ricorso fondato su un solo complesso motivo, articolato in più censure.

Ha resistito con controricorso la (...) in amministrazione straordinaria.

La causa, già fissata per l'udienza del 24 gennaio 2018, all'esito di questa con ordinanza 9.4.2018 n. 8662 venne rinviata a nuovo ruolo, al fine di consentire la trattazione unitaria degli altri ricorsi pendenti dinanzi questa Corte tra la (...) ed altri calciatori della S.S. (...), aventi ad oggetto fattispecie identiche.

Sia prima dell'udienza del 24 gennaio 2018, sia prima dell'udienza del 7 novembre 2019, le parti hanno depositato memoria; le due memorie depositate da ciascuna delle parti hanno contenuto in larghissima parte coincidente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 1180, 1414, 1415, 1416, 1417, 2727, 2729, 2730, 2697, 2033 c.c.; 112, 113 e 116 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo modificato dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).

Al di là di tali riferimenti normativi, non del tutto pertinenti, l'illustrazione del motivo espone varie censure così riassumibili -) la Corte d'appello ha accolto la domanda attorea sul presupposto che la (...) non avesse adempiuto alcuna pregressa obbligazione, allorché versò la somma di 600 milioni di lire nelle mani di Simone Inzaghi, affermando che la società pagante non adempì né un debito proprio, perché essa non era debitrice di Simone Inzaghi; né adempì un debito altrui, perché l'adempimento dell'obbligo altrui presuppone la spontaneità del pagamento, mentre nel caso di specie il pagamento compiuto da (...) non era avvenuto spontaneamente, ma per ordine della società (...)a; -) tale valutazione fu erronea, perché era stata la stessa attrice a dichiarare che invece una obbligazione di cui (...) era creditore esisteva, ed aveva ad oggetto il pagamento, da parte della società sportiva

(...) , del premio-scudetto; - ) aveva comunque errato la Corte d'appello nel ritenere che (...) non avesse adempiuto spontaneamente; - ) aveva errato la Corte d'appello nel non attribuire il corretto significato agli accordi simulati posti in essere tra la società sportiva (...) , la (...)a e la (...), tutti finalizzati a "mascherare" l'avvenuto pagamento del premio-scudetto; - ) aveva errato la Corte d'appello nel ritenere opponibili tali accordi simulati al terzo in buona fede, ovvero l'odierno ricorrente; -) aveva errato la Corte d'appello nel trascurare di considerare che (...) , Società Sportiva (...) e società (...)a s.p.a. erano compagini sociali appartenenti al medesimo gruppo finanziario; che l'importo versato da (...) era esattamente corrispondente al premio scudetto dovuto all'odierno ricorrente; che tutte e tre le suddette società avevano per presidente o per componente del consiglio d'amministrazione la medesima persona, Sergio Cragnotti; che tutte le suddette circostanze dovevano indurre la Corte d'appello a ricavare, per presunzione ex articolo 2727 c.c., la prova del fatto che (...), versando la suddetta somma, aveva inteso adempiere l'obbligo del terzo, nel quadro di un accordo infragruppo.

1.2. La (...) ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, per varie ragioni:

- ) sia per difetto di autosufficienza, sul presupposto che il ricorso si limita a riprodurre le censure svolte in appello; - ) sia perché non sarebbe consentito prospettare contemporaneamente, con riferimento alla medesima decisione, sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame d'un fatto decisivo; - ) sia perché, sotto le vesti del vizio di violazione di legge, il ricorrente prospetta in realtà una censura che investe la ricostruzione dei fatti; - ) sia perché il fatto storico che il ricorrente essere stato trascurato (la sussistenza di un debito verso di lui da parte della S.S. (...)) è stato in realtà esaminato dalla Corte d'appello.

1.3. Le suddette eccezioni sono infondate.

Quanto alla prima, la società controricorrente è nel vero quando rileva la struttura "ridondante" e "defatigante" del ricorso. Ma una tecnica scrittoria imperfetta od inadeguata non basta, da sola, a rendere inammissibile un ricorso per cassazione. Questo esito estremo può proclamarsi solo dinanzi ad un ricorso il quale o non rispetti i requisiti c.d. di "contenuto-forma" imposti dalla legge (esposizione dei fatti, esposizione dei motivi, indicazione dei documenti su cui si fonda), oppure quando la sintassi del ricorso sia inestricabilmente contraddittoria od insanabilmente circonvoluta.

L'ambiguità o la ridondanza del ricorso non ne comportano invece l'inammissibilità, tutte le volte che esse possano essere agevolmente superate dal giudicante facendo ricorso ad una interpretazione complessiva dell'atto. Ciò in ossequio al principio, di derivazione sovranazionale, secondo cui nell'interpretazione non solo delle norme processuali, ma anche degli atti processuali, il giudice nazionale ha il dovere di preferire le interpretazioni tali da consentire una pronuncia sul merito, piuttosto che quelle tali da imporre una pronuncia di inammissibilità (Corte EDU 7.6.2012, Centro Europa 7 s.r.l e Di Stefano c. Italia, in causa n. 38433/09, § 140; Corte EDU 17.5.2016, Karàcsony ed al. c. Ungheria, in cause nn. 42641/13 e 44357/13; e soprattutto Corte EDU, sez. I, 15.9.2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07, §§ 42-44, e Corte EDU, sez. I, 24.4.2008, Kemp c. Lussemburgo, in causa n. 17140/05).

1.4. Anche la seconda eccezione di inammissibilità è infondata.

Non è, infatti, la contemporanea prospettazione del vizio di violazione di legge e di quello di omesso esame d'un fatto decisivo che rende inammissibile un ricorso per cassazione, ma solo la inconciliabilità di tali censure, come avverrebbe, ad esempio, ove il ricorrente deducesse contemporaneamente sia che l'esistenza d'un certo fatto è stata erroneamente escluda dal giudice, sia che al fatto non avvenuto si sarebbe dovuta applicare una certa norma.

Non è questo il nostro caso, dal momento che il ricorrente ha prospettato il vizio di omesso esame d'un fatto decisivo (l'esistenza d'Aebito della S.S. (...) nei suoi confronti) quale fondamento della collegata censura di violazione di legge.

1.5. La terza e la quarta delle censure di inammissibilità sopra elencate restano superate od assorbite da quanto si dirà circa la fondatezza del ricorso.

1.6. La società controricorrente ha poi eccepito l'improcedibilità del ricorso, sostenendo che l'onere di indicazione ed allegazione dei documenti e degli atti su cui il ricorso si fonda, imposto dagli artt. 366, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., non può essere assolto - come invece ha fatto il ricorrente - semplicemente depositando i fascicoli di parte prodotti nelle fasi di merito.

L'eccezione è infondata, giacché il suddetto onere - come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte - è complessivamente soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali anche solo mediante la produzione del fascicolo nel quale gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di esso (Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317 - 01): e, nel caso di specie, il contenuto degli atti processuali indispensabile per la comprensione delle censure risulta evincibile, sia pure con qualche speciale attenzione, dal coacervo delle difese del ricorrente.

1.7. Sempre in via preliminare, va rilevata l'infondatezza o l'inammissibilità delle deduzioni svolte dal ricorrente in ambedue le memorie depositate ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Ivi il ricorrente ha invocato sia "l'efficacia riflessa" del giudicato formatosi tra la società (...) ed altri due calciatori della S.S. (...), all'esito di controversie aventi ad oggetti fattispecie concrete identiche a quella oggetto del presente giudizio; sia la "inequivocabile conferma" dei fatti posti a fondamento delle proprie difese (ed in particolare, che il pagamento da parte della (...) venne architettato al fine di mascherare l'effettivo pagamento del premio scudetto) scaturente dalla "condanna intervenuta in sede penale nei confronti di (...)".

1.8. Per quanto attiene la invocazione degli effetti del "giudicato riflesso" (che è ammissibile, perché il preteso giudicato si è formato dopo la proposizione del ricorso per cassazione), non è chiaro se il ricorrente, con tale allegazione, abbia inteso invocare:

(a) la possibilità che l'accertamento di fatto contenuto nella sentenza pronunciata inter alios possa essere utilizzato in questo giudizio, ai fini della ricostruzione dei fatti;

(b) la possibilità che la sentenza pronunciata inter alios produca effetti giuridici nei suoi confronti.

E tuttavia, nel primo caso, la "efficacia riflessa del giudicato" invocata dal ricorrente riguarderebbe l'accertamento dei fatti, e non può essere prospettata in questa sede.

Nel secondo caso, la deduzione sarebbe infondata, in quanto nella giurisprudenza di questa Corte, affinché una sentenza passata in giudicato possa produrre effetti riflessi, si richiedono tre requisiti:

(a) che i terzi non siano titolari di un diritto autonomo (Cass. 2515/63; 2112/71; 444/74; 6178/81; 970/86; 7375/86), per tale dovendosi intendere o il diritto scaturente da un diverso rapporto giuridico (Cass. 3928/68; 5320/03); oppure un diritto "la cui fattispecie costitutiva non risulti composta anche dalla esistenza (o inesistenza) del rapporto dedotto nel primo giudizio" (Cass. 16969/02);

(b) che i terzi non ne possano risentire un "pregiudizio giuridico" (1895/65; 2112/71; 11213/07);

(c) che l'efficacia riflessa investa solo l'affermazione di una "situazione giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento".

In virtù di questi princìpi si è ammessa, in particolare e con particolare frequenza, l'efficacia "riflessa":

-) della sentenza che dichiara il fallimento, erga omnes;

- ) della sentenza che accerta la proprietà, rispetto al terzo detentore;

- ) della sentenza che accerta l'invalidità del lavoratore, rispetto all'ente previdenzia le;

- ) della sentenza che accerta la comproprietà in capo al venditore che ha venduto l'intero, rispetto alla lite tra acquirente e comproprietari;

- ) della sentenza che accerta la falsità d'un atto;

- ) della sentenza che accerta il fatto indicativo della capacità contributiva.

E' evidente come nessuna di queste ipotesi, e nessuno dei tre requisiti più sopra indicati, ricorra nel caso di specie.

Il ricorrente, infatti, invoca l'efficacia di un giudicato pronunciato tra altre parti, avente ad oggetto un diritto di obbligazione e non un diritto reale, e soprattutto rispetto al quale il proprio diritto non è incompatibile. E' infatti astrattamente concepibile che una holding si risolva a pagare alcuni soltanto dei debitori della propria controllata, ed altri no.

1.9. Per quanto attiene, infine, "l'accertamento dei fatti" contenuto nella sentenza penale di condanna dell'amministratore della (...), la deduzione è inammissibile per la sua genericità: il ricorrente, infatti, non indica né se la sentenza penale di cui si discorre sia passata in giudicato; né se sia stata pronunciata all'esito del dibattimento; né se intenda invocare gli effetti di cui all'art. 654 c.p.p.; né se si sia costituito parte civile in quel giudizio.

Resta, di conseguenza, impregiudicata - siccome non utilmente deducibile in questa sede, ma proponibile in sede di rinvio - ogni questione relativa all'efficacia nel presente giudizio degli accertamenti in punto di fatto eventualmente compiuti nel procedimento penale a carico del legale rappresentante di almeno due delle società coinvolte nei fatti presupposti

dalla presente controversia. E' noto infatti che nel giudizio di rinvio possono essere sollevate questioni collegate a fatti sopravvenuti non utilmente deducibili nelle fasi pregresse (per tutte Cass. 29/08/2011, n. 17690, ovvero Cass. 20/03/2003, n. 4070) e non potendosi una sentenza penale definitiva sopravvenuta nel corso del giudizio di legittimità addurre dalle parti nemmeno ai sensi dell'art. 372 c.p.c. (Cass. S.U. 02/02/2017, n. 2735, ovvero Cass. 19/11/2010, n. 23483).

2. Può ora passarsi all'esame del merito del ricorso, il quale è fondato nella parte in cui sostiene che la Corte d'appello, accogliendo la domanda attorea, abbia violato l'art. 1180 c.c..

2.1. La Corte d'appello di Roma era infatti chiamata a giudicare una domanda di ripetizione di indebito oggettivo.

In punto di fatto, la Corte d'appello ha accertato, e comunque non era controverso tra le parti, che:

a) la società (...)a avesse impartito alla (...) l'ordine di pagare a (...) "per proprio ordine e conto"una somma di denaro (così la sentenza impugnata, p. 3, secondo capoverso, in fine);

b) era stata la stessa società attrice ad allegare che tale somma corrispondesse esattamente all'importo "concordato quale premio scudetto" tra (...) e la S.S. (...) ;

c) la società (...) abbia adempiuto il mandato impartitole.

Dinanzi a questa lineare situazione di fatto, prospettata dalla stessa parte attrice, la Corte d'appello ha così ragionato:

- ) la (...) ha effettuato il pagamento di cui si discute per ordine di (...)a, e dunque non spontaneamente;

- ) l'art. 1180 c.c. attribuisce efficacia solutoria all'adempimento del terzo solo quando tale adempimento sia spontaneo;

- ) ergo, il pagamento effettuato dalla (...) non ebbe effetto solutorio, e non sussistendo alcun vincolo obbligatorio tra solvens ((...)

) ed accipiens (Simone Inzaghi), esso doveva ritenersi sine causa.

2.2. Questa valutazione costituisce una falsa applicazione degli artt. 1180 e 2033 c.c..

L'adempimento dell'obbligo del terzo, così come di qualsiasi altra obbligazione fungibile, può avvenire sia personalmente, sia per il t amite di un terzo, che può assumere la veste di un mero rappresentante (art. 1387 c.c.) o di un mandatario (art. 1703 c.c.).

Dunque per mezzo di un mandatario o rappresentante è possibile adempiere sia l'obbligazione propria, sia l'obbligazione altrui.

Nel caso di specie, la Corte d'appello ha accertato in fatto (e la statuizione non è stata impugnata da alcuno) che (...) versò la somma di 600 milioni di lire a (...) "su ordine e per conto" della società (...)a, e dunque su mandato, nell'interesse ed in rappresentanza di quest'ultima. (...) ha dunque effettuato il pagamento nella veste di mandataria e per conto altrui, non nomine proprio e per proprio conto.

Da questo accertamento in fatto discendono due conseguenze.

La prima è che il pagamento effettuato da (...) a (...) non fu affatto sine causa, perché la causa di esso era da individuare nel mandato conferito dalla (...)a alla (...). A tal riguardo

questa corte ha infatti già stabilito che "il mandatario che esegua un pagamento ad un terzo per conto del mandante non è assimilabile al terzo che adempie peri! debitore ai sensi dell'art. 1180 cod. civ."(Sez. 3, Sentenza n. 9472 del 19/05/2004, Rv. 572948 - 01).

La seconda è che erroneamente la Corte d'appello ha negato l'applicabilità al caso di specie dell'art. 1180 c.c., affermando che il pagamento eseguito da (...) "non fu spontaneo": la spontaneità, ai fini dell'applicazione dell'art. 1180 c.c., andava infatti accertata rispetto al mandante ((...)a), non certo rispetto al mandatario ((...)); e comunque, sinanche nell'ipotesi in cui il pagamento di (...)a non fosse stato spontaneo, legittimato a domandarne la restituzione sarebbe stato il mandante in nome e per conto del quale fu effettuato, e non il mandatario che lo eseguì. Il mandatario che esegua un pagamento alla persona indicatagli dal mandante, ma in tesi non dovuto, potrebbe infatti essere legittimato a proporre l'azione di indebito soltanto in nome e per conto del mandante: ma nel presente giudizio la (...) non ha mai prospettato che la (...)a abbia eseguito un pagamento non dovuto, né dichiarato di proporre la domanda di restituzione in nome o per conto di quella.

2.3. La sentenza impugnata va dunque cassata in applicazione dei seguenti princìpi di diritto:

"(a) legittimato a domandare la restituzione di un pagamento che si assume indebito, effettuato per il tramite di un mandatario alla persona e per l'importo indicati dal mandante, è quest'ultimo e non il mandatario, a meno che il mandato non abbia attribuito al mandatario anche la suddetta facoltà, e sempre che, in quest'ultimo caso, la domanda giudiziale di restituzione sia formulata dal mandatario spendendo tale sua qualità";

(b) l'adempimento del debito altrui ex art. 1180 c. c. può avvenire sia direttamente, sia per il tramite d'un mandatario. In tale ultima ipotesi, la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 1180 c. c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferimento alla persona del mandante, non a quella del mandatario'.

3. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

Per questi motivi

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 7 novembre 2019.

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