T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 10308/2016

Pubblicato il 14/10/2016

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Filippo De Jorio, Jean Paul De Jorio, Giuseppe Balsamo, con domicilio eletto presso Filippo De Jorio in Roma, piazza del Fante, 10;

contro

CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Pisanelli, 2;

Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli, con domicilio eletto presso Luigi Medugno in Roma, via Panama 58;

nei confronti di

Associazione Italiana Arbitri;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 5.1559 della Federazione Italiana Giuoco Calcio del 18.7.2012, recante rigetto della richiesta di reintegro nei ruoli arbitrali di serie A e B con le conseguenze previste dall'art. 3, comma 57 della l. n. 350 del 2003;

e per il conseguente risarcimento danni (art. 119 c.p.a.).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano e della Federazione Italiana Giuoco Calcio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 luglio 2016 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe OMISSIS ha impugnato il provvedimento del 18.7.2012 con il quale la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha respinto la sua richiesta di reintegro nei ruoli arbitrali di serie A e B, con le conseguenze previste dall'art. 3, comma 57 della l. n. 350 del 2003.

Il ricorrente, Assistente Arbitro di Serie A e B (cd. guardalinee), dal giugno 2001, ed Assistente Arbitrale internazionale dal gennaio 2006, ha esposto di essere stato destinatario in data 19 aprile 2007 di un provvedimento di sospensione cautelare dell'Associazione Italiana Arbitri, che gli aveva inibito lo svolgimento di qualsiasi attività associativa e tecnica; il provvedimento si fondava sul suo coinvolgimento quale indagato nella inchiesta c.d. "Calciopoli", nell’ambito della quale gli erano stati contestati i reati di cui all'art. 416 c.p. (associazione a delinquere) e all’art. 1 commi 1 e 3 della L. n. 401/1989 (frode in competizione sportiva).

Al termine del periodo di sospensione il ricorrente non era stato reintegrato nei ruoli arbitrali nonostante le varie istanze presentate nel corso del tempo.

Con la sentenza n. 14692/2011, passata in giudicato, il Tribunale di Napoli ha assolto l'istante dall'accusa di associazione a delinquere "per non aver commesso il fatto", e dall'accusa di frode sportiva "perché il fatto non sussiste"; in considerazione di ciò il ricorrente ha proposto ricorso per revocazione della sentenza del giudice sportivo che gli aveva comminato la squalifica, ricorso che la Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C. ha dichiarato inammissibile.

Il ricorrente ha quindi inviato, in data 9 maggio 2012, istanza di reintegro nei ruoli arbitrali di Serie A e B, ma l’istanza è stata respinta con il provvedimento del 18 luglio 2012 qui impugnato della Federazione Italiana Giuoco Calcio, sul presupposto secondo cui "... la squalifica a suo tempo inflitta all'interessato dagli organi di giustizia endoassociativa è stata confermata dal Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport...la sanzione de qua ha, pertanto assunto carattere di definitività in ambito sportivo, restando intangibile anche dopo la pubblicazione della sentenza emessa dal Tribunale Penale di Napoli (che si è, peraltro, pronunciata soltanto sugli aspetti di rilevanza penale della vicenda, senza toccare ovviamente quelli di natura disciplinare)... ...L'istanza in argomento non può trovare quindi ingresso, a ciò opponendosi — in aggiunta alle ragioni ostative sopra evidenziate — anche la palese inapplicabilità alla fattispecie delle norme invocate a sostegno della diffida, non essendo sicuramente riconducibile alla nozione di pubblico impiego il rapporto intercorrente tra l'AIA ed i suoi associati".

A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:

1. Violazione dell'art. 3 comma 57 della L. 24/12/2003 n. 350 ed eccesso di potere, in quanto secondo la norma citata il pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento ha il diritto di ottenere il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita;

2. Violazione del combinato disposto dell'art. 1 della L. n. 97/2001 che ha novellato l'art. 653 c.p.p. e dell'art. 4 comma II ed eccesso di potere, non avendo l’Amministrazione tenuto conto del fatto che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso.

In tal modo erano stati violati il principio di legalità, il principio di imparzialità, il principio di buona amministrazione o buon andamento, il principio di ragionevolezza, il principio di proporzionalità, e il diritto di difesa enunciato dall'art. 24 della Costituzione.

Allo stesso modo erano stati pregiudicati i diritti tutelati dagli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione, a seguito della ingiustificata e reiterata sospensione dal servizio e della estromissione dai ranghi arbitrali professionistici.

4. Violazione dell'art. 3 della L. 241/1990 per difetto di motivazione ed eccesso di potere, in quanto il diniego oggetto di gravame non evidenziava le ragioni fattuali e giuridiche ostative all'accoglimento dell'istanza.

Al riguardo il ricorrente ha evidenziato, con riferimento alla ritenuta inapplicabilità alla fattispecie del disposto dell'art. 3 comma 57 della L. 350/2003, che la FIGC è un'articolazione del CONI, che, a sua volta, è un ente di diritto pubblico, posto sotto la vigilanza ed il controllo del Ministero per i beni e le attività culturali ex art. 1 del D. Lgs 23/7/1999 n. 242; infatti le Federazioni sportive partecipano alla funzione pubblica del Comitato olimpico nazionale e costituiscono sua integrazione strutturale in un settore della vita nazionale, quello sportivo, connotato dall'interesse superiore e preminente della promozione e dello sviluppo socio-morale della popolazione.

Si sono costituiti il CONI e la FIGC eccependo il difetto assoluto di giurisdizione sulla controversia, la violazione del vincolo della pregiudiziale sportiva e chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso.

Con ordinanza del 10 ottobre 2012 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare, rilevando che, essendo stata disposta l’espulsione del ricorrente dai ruoli arbitrali per ragioni di “avvicendamento tecnico”, in relazione all’azione di annullamento proposta sussisteva il difetto assoluto di giurisdizione, secondo quanto stabilito dal d.l. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla l. 17 ottobre 2003 n. 280, che ha sottratto al controllo giurisdizionale degli atti a contenuto tecnico sportivo, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo, mentre l’esame della domanda risarcitoria andava rinviato alla fase di merito.

A seguito della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, n. 993 del 16 ottobre 2012, che ha assolto l’OMISSIS da ogni addebito mossogli in relazione ai danni all’immagine che con il suo comportamento avrebbe provocato alla Federazione Italiana Giuoco Calcio, il ricorrente ha riproposto l’istanza cautelare, deducendo che tale pronuncia aveva affermato la natura pubblica della F.I.G.C. e che, quindi, doveva ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia.

Con ordinanza del 26 febbraio 2014 la Sezione ha nuovamente respinto l’istanza cautelare riproposta dal ricorrente, rilevando che tale sentenza non comportava il superamento della motivazione posta alla base della precedente ordinanza, fondata non sulla natura privatistica della F.I.G.C. ma sul carattere prettamente tecnico delle questioni poste a base dell’impugnato provvedimento n. 5.1559 del 18 luglio 2012 della Federazione, che esauriva i propri effetti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

Alla pubblica udienza del 18 luglio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Preliminarmente deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), non essendo a questi imputabile alcuno degli atti impugnati.

Deve poi essere esaminata la questione della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia.

Il provvedimento in questa sede impugnato ha respinto l’istanza di reintegro proposta dall’OMISSIS, sulla base di plurimi motivi:

la squalifica a suo tempo inflitta all’interessato dagli organi di giustizia endoassociativa è stata confermata dal TNAS con lodo del 16 aprile 2009, e non ha formato oggetto di ulteriori impugnazioni;

il provvedimento di avvicendamento tecnico adottato dal Comitato Nazionale dell’A.I.A. in data 4 luglio 2008 è rimasto inoppugnato;

le norme invocate a sostegno della diffida sono inapplicabili alla fattispecie, non essendo riconducibile alla nozione di pubblico impiego il rapporto intercorrente tra l’A.I.A. e i suoi associati.

Come già rilevato in fase cautelare alla base del diniego vi è, quindi, il provvedimento di avvicendamento tecnico emesso dall’Associazione Arbitri fin dal 2008 e mai impugnato dall’interessato.

Tale circostanza è sufficiente a far ritenere insussistente la giurisdizione del giudice statale sulla presente controversia.

Il d.l. n. 220/2003, conv. in l. n. 280/2003, stabilisce, all’art. 1, che i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo" (art. 1, primo comma).

Il successivo art. 2, in applicazione di tale principio, riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.

L’art. 3, infine, occupandosi specificamente della giurisdizione prevede che, “esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.

Come è stato chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49, gli articoli riportati prevedono tre forme di tutela: una limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario; una relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all'art. 2, non apprestata da organi dello Stato ma da organismi interni all'ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste, secondo uno schema proprio della cosiddetta "giustizia associativa"; una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) - demandati al giudice ordinario -, per altro verso non rientra tra le materie che, ai sensi dell'art. 2, d.l. n. 220 del 2003, sono riservate all'esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva.

Da tale ripartizione si evince che la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre quella statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi (Cons. St., sez. VI, 9 luglio 2004 n. 5025).

Come già chiarito dalla giurisprudenza in materia, in tale sistema i provvedimenti che riguardano l’inserimento nel ruolo degli arbitri, in dipendenza di un giudizio tecnico e senza perdita dello status di tesserato, rientrano nelle questioni interne alla giustizia sportiva, soggette agli strumenti di tutela propri del relativo ordinamento (T.A.R. Lazio, sez. III quater, sent. n. 8607/2014; Cons. St., sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2333; Tar Lazio, sez. III ter, 5 novembre 2007, n. 10911).

Ciò in quanto tali provvedimenti sono basati su un giudizio relativo alle qualità tecniche, privo di rilevanza esterna all’ordinamento sportivo, non avendo alcun riflesso, né diretto né indiretto, nell’ordinamento statale il giudizio di scarsa capacità tecnica reso nei confronti dell’arbitro.

La determinazione impugnata, inoltre, non incide neanche sullo status di tesserato, permanendo in capo al ricorrente il rapporto associativo con la FIGC.

Per completezza deve poi rilevarsi che il ricorso sarebbe in ogni caso anche improcedibile, non avendo il ricorrente rispettato il vincolo della pregiudiziale sportiva, che avrebbe richiesto il previo esperimento di tutti i rimedi offerti dall’ordinamento sportivo dinanzi ai propri organi di giustizia sportiva, salvo poi eventualmente adire questo giudice (Cons. St., sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3002; Tar Lazio, sez III ter, n 11125/2013; Tar Lazio, sez. III quater, 21 giugno 2013, n. 6258; id., sez. III ter, 25 maggio 2010, n. 13266; 31 maggio 2005, n. 4284 e 15 giugno 2006, n. 4604).

Il ricorrente non ha, infatti, impugnato innanzi agli organi di giustizia sportiva né il provvedimento gravato in questa sede, né precedente delibera dell’A.I.A. di dismissione per normale avvicendamento tecnico del 4.7.2008.

Sempre per completezza deve anche evidenziarsi che, come già rilevato dalla Sezione nell’ordinanza cautelare, il rapporto che lega l’arbitro alla Federazione non è qualificabile, in alcun modo, come rapporto di lavoro, difettandone i requisiti essenziali, in termini di continuatività, subordinazione e prevalenza dell’attività svolta, ed essendo l’arbitro remunerato con un compenso qualificato in termini di mera indennità.

Va quindi esaminata la domanda risarcitoria, in relazione alla quale è preliminare l’esame della questione di giurisdizione.

Sul punto occorre richiamare quanto statuito nella citata sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2011 con riferimento alla seconda categoria di controversie, interna all'ordinamento sportivo.

La giustizia sportiva costituisce infatti l’unico strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive e tecniche, ovvero delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, rilevanti nel caso di specie.

Secondo la Corte non può, “in questi casi, in cui, per la tutela della situazione di cui si lamenta la violazione, è escluso un intervento della giurisdizione statale, invocarsi la violazione dell'art. 24 Cost., dato che è proprio la situazione che si pretende lesa che non assume la consistenza del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo”.

La sentenza ha citato, in proposito, due precedenti arresti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la prima antecedente alla legge in esame (sentenza n. 4399 del 1989) e la seconda successiva alla sua entrata in vigore (sentenza n. 5775 del 2004); in quest'ultima, in particolare, si è affermato che tali questioni «non hanno rilevanza nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base alle regole promananti dall'associazionismo sportivo sono collocate in un'area di non rilevanza per l'ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l'ordinamento statuale di tali norme e della loro violazione conduce all'assenza della tutela giurisdizionale statale».

In linea con tali interpretazione deve quindi concludersi che anche la domanda risarcitoria, ove collegata alla violazione delle regole tecniche, esula dalla giurisdizione amministrativa in quanto afferente la lesione di posizioni soggettive non qualificabili come diritto soggettivo o interesse legittimo.

In ogni caso, poi, secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza in materia, anche per le controversie risarcitorie opera il c.d. vincolo della giustizia sportiva, con la conseguenza che le stesse possono essere instaurate solo una volta "esauriti i gradi della giustizia sportiva", così come prevede l'art. 3 (Consiglio di Stato, sent. n. 3002/2013).

Anche sotto tale aspetto, quindi, il mancato previo esperimento dei diversi rimedi approntati dalla giustizia sportiva non consentirebbe di esaminare la domanda risarcitoria.

Peraltro, la circostanza assume anche in rilievo sostanziale ai fini dell’applicazione dell'art. 30, comma 3, c.p.a., secondo cui "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti"; la norma, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell'art. 1227, secondo comma, c.c., afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza.

L'omessa impugnazione, nelle sedi competenti secondo l’ordinamento sportivo, degli atti qui gravati precluderebbe quindi comunque l’affermazione della risarcibilità dei lamentati danni, che sarebbero stati presumibilmente evitati, secondo un giudizio causale ipotetico, in caso di rituale e tempestiva utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, sia nella parte impugnatoria che in quella risarcitoria, per difetto assoluto di giurisdizione.

La peculiarità della questione controversa giustifica comunque la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione;

compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Rita Tricarico, Consigliere

Francesca Petrucciani, Primo Referendario, Estensore

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