T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 13999/ 2020
Pubblicato il 28/12/2020
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Stenio Salzano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Castrense, 8;
contro
- FIPM - Federazione Italiana Pentathlon Moderno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Clarizia, Ferruccio M. Sbarbaro, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Eleonora Duse 37;
- CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Pierluigi Matera, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
per l'annullamento
- della decisione n. 30/2016 con cui il Collegio di Garanzia del CONI ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente avverso la decisione n. 1/2016 della Corte d'Appello Federale della FIPM con cui era stata disposta la sua radiazione dalla Federazione,
e per la condanna al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano e della FIPM - Federazione Italiana Pentathlon Moderno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2020 il Cons. Daniele Dongiovanni e trattenuta la causa in decisione, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame, l’istante ha impugnato, per l’annullamento e per la condanna al risarcimento dei danni, la decisione n. 30 del 1° agosto 2016 con cui il Collegio di garanzia del CONI ha rigettato il ricorso dallo stesso presentato avverso la decisione n. 2 del 20 maggio 2016 della Corte di appello federale che aveva disposto la sua radiazione dalla FIPM (Federazione italiana Pentathlon moderno), con ciò confermando la decisione assunta in primo grado dal Tribunale Federale in data 28 luglio 2015.
Al riguardo, il ricorrente ha ricostruito le tappe della vicenda svoltasi dinanzi agli organi di giustizia sportiva e, in particolare:
- in data 29 aprile 2014 (recte: 2015), l’istante (all’epoca, Presidente della FIPM) è stato deferito dinanzi al Tribunale Federale della FIPM per violazione degli artt. 5 e 6 del regolamento di giustizia sportiva (in estrema sintesi, l’istante era accusato di aver creato un sistema di affiliazioni di associazioni sportive non operative, al fine di ottenere vantaggi con riferimento all’esercizio del diritto di voto in sede assembleare da parte dei rappresentanti di tali associazioni);
- all’udienza del 28 luglio 2015 (alle ore 17.30), il Tribunale Federale della FIPM, dopo aver ascoltato i testi Cesari e Passiatore, concedeva alle parti termine fino alle ore 8.30 del giorno successivo (29 luglio 2015), per l’invio di “difese scritte”;
- lo stesso Tribunale Federale della FIPM, tuttavia, alle ore 23.30 del 28 luglio 2015, pubblicava, sul sito della Federazione, il dispositivo della decisione con cui applicava al ricorrente la sanzione della radiazione;
- la Corte Federale di Appello, in data 15 dicembre 2015, adita su reclamo del ricorrente, a sua volta, dichiarava per la parte di interesse estinto il giudizio disciplinare di primo grado, ai sensi dell’art. 60, commi 1 e 4, del regolamento di giustizia FIPM, in ragione dell’avvenuta sottoscrizione anticipata del dispositivo da parte del Tribunale federale (28 luglio 2015, ore 23,30), rispetto al termine concesso per la produzione di note difensive (29 luglio 2015, ore 8.30);
- in data 22 marzo 2016, il Collegio di garanzia del CONI, su reclamo della Procura Federale della FIPM, rimetteva il giudizio alla Corte Federale di appello, al fine di valutare “le conseguenze processuali dell’accertata violazione, nel giudizio di primo grado, del diritto di difesa, anche ai fini di una possibile rinnovazione del giudizio davanti al Tribunale Federale…”;
- il successivo 20 maggio 2016, la Corte Federale di appello confermava le statuizioni contenute nella prima decisione del Tribunale Federale della FIPM del 28 luglio 2015 con cui era stata irrogata all’interessato la sanzione della radiazione dalla Federazione;
- infine, il Collegio di garanzia del CONI, con dispositivo pronunciato il 27 luglio 2016 e motivazioni pubblicate il successivo 1° agosto 2016, ha rigettato il reclamo del ricorrente, confermando la decisione assunta dalla Corte federale di appello in data 20 maggio 2016.
Avverso tale ultima decisione del Collegio di Garanzia del CONI, l’istante ha proposto i seguenti motivi:
1) violazione ed errata applicazione del principio del contraddittorio in relazione agli artt. 24 e 111 della Cost. nonché all’art. 38 del codice di giustizia sportiva del CONI e dell’art. 60 del Regolamento di giustizia della FIPM, all’epoca vigente; errore nei presupposti, travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta.
Il Tribunale Federale della FIPM ha adottato la decisione del 28 luglio 2015 prima che fosse scaduto il termine concesso dallo stesso organismo alle parti, per l’invio di note difensive.
Ciò ha provocato una lesione del principio del contraddittorio che avrebbe dovuto portare ad una dichiarazione di estinzione dell’intero giudizio, ciò in quanto si sarebbe dovuto concludere dopo il deposito delle memorie ovvero una volta spirato il termine perentorio di 90 giorni dall’atto di deferimento, come previsto dall’art. 38 del codice di giustizia CONI e dall’art. 60 del regolamento di giustizia della FIPM.
Altresì, non condivisibile è la decisione del Collegio di garanzia che non ha ritenuto che l’affermazione del Presidente della Corte federale di appello di rinvio, secondo cui i giudici hanno “la sentenza nel cassetto”, violasse il principio di terzietà del giudice: ciò perché, nell’occasione, il ricorrente non aveva presentato istanza di ricusazione.
Al riguardo, è sufficiente osservare che una tale istanza avrebbe potuto essere proposta solo prima dell’inizio della trattazione della causa, termine che però era già spirato.
Il Collegio di garanzia ha fatto, poi, errata applicazione dell’art. 392 c.p.c., nel rilevare che il ricorrente non avrebbe eccepito, davanti al giudice del rinvio, la nullità del decreto presidenziale che disponeva d’ufficio la riattivazione del giudizio dinanzi alla stessa Corte federale di appello.
Ed invero, il ricorrente, a seguito della rimessione con rinvio disposto dal Collegio di garanzia del CONI, non aveva alcun interesse a riassumere il giudizio entro tre mesi dalla pronuncia, avendo invece interesse alla declaratoria di estinzione del giudizio.
Peraltro, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., l’eccezione di nullità sconta il limite soggettivo dell’interesse di colui che deve sollevarla, requisito che, nel caso di specie, non sussisteva in capo al ricorrente; peraltro, trattandosi di nullità riguardante il corretto funzionamento del processo, essa avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal Collegio di Garanzia del CONI.
In ogni caso, il Collegio di garanzia del CONI non ha fatto corretta applicazione degli artt. 24 e 111 della Cost., nella misura in cui ha giustificato un comportamento processuale che non ha garantito il rispetto del contraddittorio procedimentale;
2) violazione dell’art. 2043 c.c. e conseguente richiesta di risarcimento dei danni.
L’ingiusta condanna subita dal ricorrente, anche in ragione della eco ricevuta sugli organi di stampa, ha causato danni alla sua reputazione nell’ambito della comunità locale, che si stimano in euro 50.000,00, oppure nella misura equa determinata ai sensi dell’art. 1226 c.c..
Nell’occasione, il ricorrente ha poi chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa relativa ai rapporti tra l’ordinamento statale e quello sportivo (decreto legge n. 220 del 2003, convertito in legge n. 280 del 2003) nella parte in cui limita la tutela alla sola azione risarcitoria.
Si sono costituiti in giudizio la FIPM ed il CONI, eccependo dapprima la tardività del ricorso in quanto proposto oltre i termini decadenziali decorrenti dalla pubblicazione del dispositivo in data 27 luglio 2016, nonché il difetto di giurisdizione sulla richiesta caducatoria; nel merito, hanno chiesto, comunque, il rigetto del ricorso perché infondato nel merito, anche con riferimento alla richiesta risarcitoria, per carenza dei presupposti oggettivi e soggettivi. Il CONI ha anche eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, trattandosi di un provvedimento sanzionatorio adottato dalla FIPM.
Con ordinanza n. 12045/2018, il giudizio è stato sospeso, essendo pendente dinanzi alla Corte Costituzionale questione di costituzionalità analoga a quella proposta in questa sede dal ricorrente, poi dichiarata infondata con sentenza n. 160/2019.
La causa è stata quindi fissata per la definizione del merito e, in prossimità della trattazione, le parti, con memorie anche di replica, hanno insistito per l’accoglimento delle rispettive conclusioni; da ultimo, il ricorrente ha eccepito la tardività del deposito delle memorie da parte di FIPM e CONI i quali, a loro volta, hanno invocato l’applicazione dei termini dimidiati previsti dall’art. 119, comma 1, lett. g), del CPA.
Infine, con note di udienza depositate ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il ricorrente ha ulteriormente insistito nelle proprie conclusioni.
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2020, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Va, anzitutto, respinta l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dal CONI e dalla FIPM.
Ed invero, in disparte la questione della decorrenza del termine di proposizione dell’impugnativa - se essa vada cioè riferita al dispositivo della decisione del Collegio di garanzia del CONI ovvero alle motivazioni della stessa - nel caso di specie va osservato che, anche a voler ritenere valida la prima opzione (dies a quo decorrente dalla conoscenza del dispositivo), le controparti non hanno dato la prova del giorno in cui il ricorrente sarebbe venuto a conoscenza del contenuto della decisione assunta dal Collegio di Garanzia.
Ora, sebbene risulti che il dispositivo sia stato emesso dal Collegio di garanzia del CONI in data 26 luglio 2016 e depositato il giorno successivo (27 luglio 2016), lo stesso provvedimento dispone, tra l’altro, la comunicazione della decisione alle parti anche con il mezzo della posta elettronica.
Al riguardo, posto che non risulta alcuna previsione nei regolamenti di giustizia sportiva che attribuisca una presunzione di conoscenza al solo deposito del dispositivo, va rilevato che nessuna prova di una tale comunicazione è stata data dalle controparti, su cui incombeva il relativo onere; del resto, il ricorso è stato proposto in data 28 ottobre 2016, il che significa che, laddove la comunicazione sia stata adempiuta in data 29 luglio 2016 (due giorni dopo il deposito del dispositivo), l’impugnativa risulterebbe proposta tempestivamente.
Di certo, il gravame risulterebbe tempestivo laddove il dies a quo decorresse dal momento della conoscenza delle motivazioni che, nel caso di specie, sono state depositate in data 1° agosto 2016.
Ora, anche in ragione delle oscillazioni ancora esistenti sull’individuazione della data dalla quale far decorrere i termini per la proposizione del ricorso avverso gli atti degli organi di giustizia sportiva (se dalla conoscenza del dispositivo o delle motivazioni), sarebbe comunque invocabile, anche in un caso come quello di specie e per ragioni di effettività della tutela (art. 1 del codice del processo amministrativo - CPA), l’istituto dell’errore scusabile di cui all’art. 37 CPA.
2. Inammissibile, poi, va dichiarata la domanda di annullamento della decisione n. 30/2016 del Collegio di Garanzia del CONI, come peraltro eccepito dalle controparti.
È noto come, anche di recente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 160/2019, confermando il proprio precedente orientamento contenuto nella pronuncia n. 49/2011, abbia sancito la compatibilità costituzionale dell’art. 2 del decreto legge n. 220 del 2003, convertito in legge n. 280 del 2003, che riserva, in particolare, all'ordinamento sportivo “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, laddove sia comunque possibile, come riconosciuto dal diritto vivente (in particolare, Cons. Stato, sez. VI, n. 5782/2008), agire nei confronti di tali atti lesivi attraverso lo strumento del risarcimento dei danni.
Ed invero, con la sentenza n. 49 del 2011 (confermata, come detto, dalla predetta decisione n. 160/2019), la Corte Costituzionale ha adottato una pronuncia adeguatrice che individua nell’interpretazione offerta dal diritto vivente la “chiave di lettura” della normativa di che trattasi, idonea a fugare il dubbio che essa precluda ogni forma di protezione giurisdizionale, così rendendola compatibile con i principi dettati dagli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione.
In base a tale ricostruzione, il giudice amministrativo può comunque conoscere delle questioni disciplinari che riguardano diritti soggettivi o interessi legittimi, poiché l’esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude il giudizio di annullamento, non intacca tuttavia la facoltà di chi ritenga di essere stato leso nelle sue posizioni soggettive, ivi comprese quelle di interesse legittimo, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno; a tali fini, non opera infatti la riserva a favore della giustizia sportiva, davanti alla quale del resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere.
Dalla legittimità della previsione sopra richiamata (art. 2 del decreto legge n. 220 del 2003, convertito in legge n. 280 del 2003), per come interpretata dalla Corte Costituzionale, deriva quindi l’inammissibilità della domanda caducatoria, pure proposta dal ricorrente con l’impugnativa in esame.
3. Da rigettare è, poi, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del CONI.
È sufficiente, al riguardo, richiamare la giurisprudenza condivisa dalla Sezione secondo cui, nei casi come quello di specie, la legittimazione processuale va riconosciuta in capo al CONI (Cons. Stato, sez. V, n. 7165/2018).
Ed invero, posto che le decisioni adottate da parte del Collegio di garanzia dello sport, quale organo appartenente al CONI, incidono sull’oggetto della controversia, potendo esso modificare – in funzione nomofilattica – i provvedimenti sanzionatori adottati da parte delle singole Federazioni sportive, ai sensi dell’art. 12-bis, comma 3, dello Statuto, sono proprio dette decisioni a dover essere contestate avanti al giudice amministrativo, con conseguente legittimazione passiva del CONI (cfr, anche, Cons. Stato, sez. V, n. 5046/2018).
4. Va, infine, respinta l’eccezione di tardività sollevata dal ricorrente con riferimento al termine di deposito delle memorie, prodotte in giudizio in data 13 novembre 2020 dalla difesa del CONI e della FIPM.
È davvero sufficiente rammentare che, nel caso di specie, operano i termini dimidiati previsti dall’art. 119, comma 2, del CPA, trattandosi di materia (provvedimenti del CONI e delle Federazioni sportive) assoggettata al rito abbreviato previsto dalla norma da ultimo citata (vgs art. 119, comma 1, lett. g), del CPA).
Il deposito delle memorie è, quindi, assoggettato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, e 119, comma 2, del CPA, al termine dimidiato di 15 gg. liberi dall’udienza, dal che deriva che la data del 13 novembre 2020 (data in cui sono state depositate in giudizio le memorie delle controparti) è rispettosa della previsione normativa.
4. Esaurita l’analisi delle eccezioni preliminari, può ora passarsi all’esame della domanda risarcitoria proposta dal ricorrente.
4.1 Come noto, ai fini dell’individuazione dei presupposti per il riconoscimento del danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, è necessario che sussistano tre elementi ovvero il danno ingiusto (elemento oggettivo), il (doppio) nesso di causalità e, infine, la colpa dell’amministrazione (elemento soggettivo).
Per giurisprudenza costante, il risarcimento del danno imputato alla Pubblica amministrazione, invero, non può mai essere conseguenza automatica dell’annullamento (anche se dichiarato in via incidentale) di un atto amministrativo, ma necessita dell’ulteriore positiva verifica circa la ricorrenza dei vari presupposti richiesti dalla legge.
Più in particolare, per “danno ingiusto” risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., si intende non qualsiasi perdita economica ma solo la perdita ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue, quindi, la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. “spettanza del bene della vita” ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico (Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3392).
Altresì, deve sussistere il doppio rapporto di causalità tra il provvedimento lesivo ed il danno evento e tra quest’ultimo ed il danno conseguenza, in base ai principi della causalità giuridica (Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4195).
Infine, con riferimento all’elemento soggettivo (ovvero la colpevole condotta antigiuridica della stessa amministrazione), affinché sussista il requisito della colpa è necessario verificare se l’emanazione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano avvenuti in violazione delle regole della imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi (TAR Puglia, sez. staccata di Lecce, sez. II, 10 agosto 2017, n. 1404); al riguardo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, mentre resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali, di incertezza del quadro normativo di riferimento o di particolare complessità della situazione di fatto, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento (TAR Basilicata, 19 giugno 2017, n. 451; TAR Napoli, sez. V, 16 gennaio 2017, n. 387; Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1347; Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4195).
4.2 Ciò premesso, con riferimento alla verifica circa la sussistenza di un danno ingiusto e del nesso causale, il ricorrente lamenta i seguenti profili di illegittimità della decisione assunta dagli organi di giustizia sportiva:
- la prima (più rilevante) riguarda il fatto che il Tribunale Federale della FIPM ha adottato la decisione del 28 luglio 2015 (ore 23.30) prima che fosse scaduto il termine concesso dallo stesso organismo alle parti, per l’invio di “difese scritte” (fissato per le ore 8.30 del giorno dopo, 29 luglio 2015);
- la seconda ha ad oggetto la violazione del principio di terzietà del giudice in ragione della (asserita) affermazione, da parte del Presidente della Corte federale di appello di rinvio, secondo cui i giudici avrebbero avuto “la sentenza nel cassetto”;
- la terza riguarda la prospettata errata applicazione, da parte del Collegio di Garanzia del CONI, dell’art. 392 c.p.c., nella misura in cui è stato ritenuto che il ricorrente avrebbe omesso di eccepire, davanti al giudice del rinvio, la nullità del decreto presidenziale che disponeva d’ufficio la riattivazione del giudizio dinanzi alla stessa Corte federale di appello.
4.3 Con riferimento al primo profilo, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, vi sia stata una violazione del principio del contraddittorio da parte degli organi di giustizia sportiva.
Sul punto, il Collegio ha svolto un’attenta analisi del contenuto delle (cinque) pronunce emesse, nel caso in esame, dai vari organi di giustizia sportiva e, in particolare, di quelle adottate dalla Corte Federale di appello il 20 maggio 2016 e dal Collegio di Garanzia del CONI il 26 luglio 2016 (le cui motivazioni, come detto, sono state depositate in data 1° agosto 2016).
In quelle due ultime pronunce, gli organi di giustizia sportiva hanno richiamato plurime sentenze della Corte di Cassazione (per tutte, Cass. Civ., SS.UU., n. 3758/2009, Cass. Civ., Sez. III, n. 7086/2015 e n. 4020/2006) secondo cui la violazione del principio del contraddittorio determina nullità della sentenza solo laddove “la irrituale conduzione del processo abbia prodotto in concreto una violazione del diritto di difesa” implicante la prova – a carico della parte che lamenti la lesione – del pregiudizio patito, con specificazione delle “difese che non ha potuto esporre a causa della condotta del giudice, e che poi gli sono state precluse” in sede di impugnazione.
Il Collegio, pur condividendo l’indirizzo giurisprudenziale seguito dagli organi di giustizia sportiva (e apprezzando, anche, il fatto di aver ammesso che si tratta comunque di un orientamento “preferibile, ancorchè non pacifico”), ritiene tuttavia che, nel caso di specie, non sia stata fatta corretta applicazione di tale approccio ermeneutico.
Risulta, invero, dal verbale di udienza del 28 luglio 2015 dinanzi al Tribunale federale della FIPM che, dopo l’escussione di due testimoni, l’Ufficio della Procura veniva ammesso al deposito di una corposa memoria di conclusioni di circa 40 pagine (circostanza, questa, non smentita dalle controparti) e che, una volta conclusa la discussione, a tutte le parti veniva concesso termine fino alle ore 8.30 del 29 luglio 2015 “per l’invio di difese scritte”.
Ora, analizzando il contenuto delle sette (7) pagine di “difese scritte” inviate dal ricorrente entro il suddetto termine (ore 8,15 del 29 luglio), non corrisponde al vero che la difesa dell’istante si sia limitata a invocare la sola estinzione del giudizio per violazione del termine di 90 gg. dal deferimento, bensì risulta che abbia svolto compiute difese eccependo, da un lato (oltre all’estinzione del giudizio), anche l’incompetenza del Tribunale federale e, dall’altro, controdeducendo nel merito sulle risultanze del “processo” e sul contenuto delle memorie della Procura Federale depositate all’udienza del 28 luglio 2015.
Ora, ai fini della valutazione della violazione del principio del contraddittorio, non è necessario indagare sulla efficacia in concreto delle memorie depositate dal ricorrente in quanto ciò che conta rilevare è che la difesa dell’istante controdeduce proprio in ordine al contenuto delle memorie della Procura Federale, dando una propria prospettazione delle varie risultanze emerse nel corso dell’istruttoria svolta dinanzi al Tribunale Federale.
Nel caso di specie, deve quindi ritenersi violato il c.d. principio della “parità delle armi”, laddove si consideri che il Tribunale Federale della FIPM, mentre, da un lato, ha ammesso la Procura Federale a depositare in udienza una corposa memoria, peraltro in violazione del regolamento di giustizia sportiva (cfr art. 51) che prevede un termine di tre giorni prima dell’udienza per il deposito delle memorie e documenti, dall’altro, pur concedendo un termine per l’invio delle difese scritte, ha emesso il dispositivo della decisione prima che tale termine fosse spirato, senza quindi poter conoscere e, di conseguenza, valutare il contenuto delle memorie depositate dal ricorrente.
Ciò costituisce una violazione del principio del contraddittorio che, invero, avrebbe dovuto comportare, in ossequio ai principi ai quali si ispira lo stesso regolamento di giustizia sportiva della FIPM, la retrocessione del giudizio al grado in cui tale violazione si è consumata.
Si tratta, invero, di una violazione del contraddittorio che assume, ad avviso del Collegio, i connotati della gravità, che non può essere superata dal fatto, come pure affermato nelle decisioni che si sono succedute nella vicenda in esame, che comunque i fatti sono stati oggetto di valutazione nel corso di diversi gradi di giudizio in quanto, sebbene il principio del doppio grado di giurisdizione non sia codificato a livello costituzionale e viga altresì il principio dell’effetto devolutivo dei mezzi di impugnazione, nel caso di specie, una violazione procedimentale di tale entità poteva essere rimediata solo con la rimessione della causa al Tribunale federale di primo grado, mutuando principi desumibili, in particolare, dall’art. 105 del CPA, con riferimento alla lesione del diritto di difesa (vgs, Cons. Stato, Ad. Plen., 28 settembre 2018, n.15 nella parte in cui, richiamando anche Cons. Stato, sez. VI, n. 841/2014, non esclude che rientri tra le ipotesi di rimessione al giudice di primo grado l’omesso esame di un atto di parte per lesione del diritto di difesa, laddove, nel caso di specie, l’ipotesi è anche più grave, trattandosi della concessione di un tempo per l’invio di difese scritte non rispettato dallo stesso organo giudicante, dopo aver consentito ad una parte - ossia alla Procura Federale FIPM - di depositare una corposa memoria, in deroga ai termini regolamentari).
Pur tuttavia, va però precisato che, anche a fronte di una tale violazione, non può essere invocata, come vorrebbe il ricorrente, l’estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 60 del predetto regolamento di giustizia sportiva della FIPM, posto che non può essere obliterato il fatto (obiettivo e incontroverso) che, seppure in violazione dei termini a difesa concessi dall’organo giudicante, il dispositivo è stato comunque emesso il 28 luglio 2015, ovvero entro il termine di 90 gg. dal deferimento, nel rispetto cioè dalla norma regolamentare pure invocata dall’istante.
La questione si sposta, quindi, sul profilo della mancata rimessione del procedimento dinanzi all’organo di giustizia sportiva di primo grado per la riedizione del giudizio, ai sensi dell’art. 60, comma 3, del regolamento di giustizia sportiva della FIPM. Pertanto, ai fini della valutazione della sussistenza del c.d. “danno ingiusto” e del nesso causale ai fini risarcitori, si dovrà procedere a verificare in concreto il “rapporto sottostante” ovvero la c.d. “spettanza del bene della vita” che, nel caso di specie, coincide con la verifica circa la responsabilità o meno del ricorrente rispetto alle incolpazioni contenute nell’atto di deferimento della Procura Federale (con le connesse conseguenze in ordine alla legittimità della decisione di irrogare la sanzione).
4.4 Ciò detto, e prima di passare alla verifica in concreto della responsabilità del ricorrente, va precisato che non sono, invece, condivisibili gli ulteriori due profili formali prospettati dal medesimo, riguardanti:
a) la violazione del principio di terzietà da parte del Presidente della Corte federale di appello di rinvio, per aver asseritamente affermato che i giudici avrebbero avuto “la sentenza nel cassetto”;
b) l’errata applicazione, da parte del Collegio di Garanzia del CONI, dell’art. 392 c.p.c., per avere il ricorrente omesso di eccepire, davanti al giudice del rinvio, la nullità del decreto presidenziale che disponeva d’ufficio la riattivazione del giudizio dinanzi alla stessa Corte federale di appello.
Su entrambi i profili, risultano invece condivisibili le considerazioni svolte dal Collegio di Garanzia del CONI in quanto:
a) con riferimento al primo, è sufficiente osservare che si tratta di una affermazione che risulta solo riferita ma non anche provata nella sua materialità;
b) per quanto riguarda il secondo aspetto, non risulta che l’eccezione di nullità del decreto presidenziale, che disponeva d’ufficio la riattivazione del giudizio dinanzi alla stessa Corte federale di appello, sia stata sollevata nel rispetto di quanto previsto dall’art. 157 c.p.c.,, con conseguente rinuncia tacita a tale vizio, come previsto dal terzo comma della norma da ultimo citata; a tale ultimo riguardo, non risulta invero condivisibile quanto prospettato dal ricorrente in ordine alla carenza di interesse (che non lo avrebbe legittimato a proporre l’eccezione) in quanto era comunque onere dell’istante costituirsi in quel giudizio, seppure nei limiti del suo interesse ad eccepire il predetto profilo di nullità e senza accettare il contraddittorio sul resto.
4.5 Ciò posto, passando all’accertamento del profilo dell’ingiustizia del danno e del nesso causale, va quindi verificato in concreto se il ricorrente, sulle base delle risultanze emerse nel corso del procedimento dinanzi agli organi di giustizia sportiva e degli elementi portati all’esame del Collegio con il ricorso in esame, debba essere riconosciuto o meno responsabile degli illeciti imputati dalla Procura Federale: in estrema sintesi, l’istante era accusato di aver creato, in violazione degli artt. 5 e 6 del regolamento di giustizia sportiva della FIPM, un sistema di affiliazioni di associazioni sportive non operative, al fine di ottenere vantaggi con riferimento all’esercizio del diritto di voto in sede assembleare da parte dei rappresentanti di tali associazioni, dallo stesso designati.
Al riguardo, ritiene il Collegio che, alla luce di quanto comunque emerso in sede di giustizia sportiva, non risulta affatto smentito che il ricorrente abbia realizzato un sistema basato sulla creazione e sulla gestione di associazioni sportive affiliate alla FIPM e utilizzate in sede assembleare, in occasione delle elezioni federali, o comunque per influenzare le decisioni assunte in ambito federale.
È risultato, invero, sulle base di una serie di testimonianze dal contenuto univoco nonché da registrazioni audio acquisite nel corso del giudizio, che il ricorrente, insieme ad altra collaboratrice, oltre a costituire una serie di associazioni sportive dilettantistiche non operative, attribuiva le relative cariche sociali a soggetti (ad esempio, istruttori di nuoto del centro sportivo di Montelibretti) senza, peraltro, che questi fossero consapevoli della stessa operatività di tali associazioni sportive; in più occasioni, è emerso anche che tali soggetti venivano convinti ad assumere tali cariche sociali sul presupposto che esse avessero natura onoraria e non avrebbero comportato obblighi di alcun tipo.
Né, al riguardo, vale a sminuire tali risultanze il fatto che si sarebbe trattato di un sistema che ha coinvolto solo un numero limitato di associazioni sportive (5 su 120) in quanto l’illecito non è affatto smentito nella sua materialità e gravità, integrando così la fattispecie prevista dall’art. 6 del regolamento di giustizia sportiva della FIPM nella parte in cui prevede che “costituisce illecito sportivo qualunque azione od omissione diretta, in modo inequivocabile, ad …..assicurare a se o ad altri un vantaggio ingiusto di qualsiasi natura”; del resto, la presenza in un organo collegale di soggetti che non avrebbero dovuto essere ammessi costituisce comunque un’alterazione delle dinamiche connesse all’assunzione in quell’ambito delle relative decisioni, anche per il solo fatto di partecipare alla discussione e a prescindere dalla circostanza che gli stessi possano o meno avere inciso sull’esito della votazione finale, invocando la c.d. “prova di resistenza”.
4.6 Ciò detto, nessun danno “ingiusto” né alcun nesso causale tra il provvedimento ed il danno lamentato dal ricorrente può dirsi realizzato nel caso di specie, con ciò rendendo superflua ogni indagine circa la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo agli organi della giustizia sportiva.
5. Pertanto, in conclusione, il ricorso va dichiarato, in parte, inammissibile e, per il resto, respinto per infondatezza della domanda risarcitoria.
6. Le spese del giudizio vanno, tuttavia, compensate tra le parti, in ragione della complessità e della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:
- dichiara inammissibile la domanda caducatoria;
- respinge la richiesta risarcitoria;
- compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente, gli altri soggetti e i luoghi indicati in motivazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2020, tenutasi mediante collegamento simultaneo da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, con l'intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore
Raffaello Scarpato, Referendario