T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 4981/ 2011

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale (…), proposto dal sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Saverio Marini, Gian Michele Gentile, Chiara Petrillo, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Michele Gentile in Roma, via G.G. Belli, 27;

contro

la Federazione Italiana Giuoco Calcio - F.I.G.C., in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli presso il cui studio in Roma, via Panama n. 58, è elettivamente domiciliata,

il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I., in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Angeletti presso il cui studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli n. 2, è elettivamente domiciliato,

per l'annullamento

della decisione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I. resa in data 5/26 marzo 2012 n. 4/12, con la quale è stato in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso che aveva proposto il 23 febbraio 2012 avverso il provvedimento F.I.G.C. del 13 febbraio 2012 n. 1373.1/ADS/Segr, con il quale gli è stata comunicata la sospensione automatica, in via cautelare, dalla carica di Consigliere Federale e di componente del Comitato di Presidenza della F.I.G.C., in applicazione dell’art. 11 del nuovo Codice di comportamento sportivo del C.O.N.I., nonché per la condanna della F.I.G.C. al risarcimento del danno subito per effetto della sospensione cautelare, da quantificare in € 250.000,00.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Federazione Italiana Gioco Calcio - Figc e di Coni - Comitato Olimpico Nazionale Italiano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2012 il cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 4 maggio 2012 e depositato il successivo 16 maggio il sig. OMISSIS ha impugnato la decisione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I. resa in data 5/26 marzo 2012 n. 4/12, con la quale è stato in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso che egli aveva proposto il 23 febbraio 2012 avverso il provvedimento F.I.G.C. del 13 febbraio 2012 n. 1373.1/ADS/Segr, che gli comunicava la vsospensione automatica, in via cautelare, dalla carica di Consigliere Federale e di componente del Comitato di Presidenza della F.I.G.C., in applicazione dell’art. 11 del nuovo Codice di comportamento sportivo del C.O.N.I.. Il ricorrente ha altresì chiesto la condanna della F.I.G.C. al risarcimento del danno subito per effetto della sospensione cautelare, da quantificare in € 250.000,00.

2. Avverso l’impugnata nota della F.I.G.C. deduce vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto diversi profili.

3. Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Gioco Calcio - F.I.G.C., che ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso e, in via gradata, la sua infondatezza nel merito.

4. Si è costituito in giudizio il Comitato Olimpico Nazionale – C.O.N.I., che ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso e, in via gradata, la sua infondatezza nel merito.

5. Alla camera di consiglio del 30 maggio 2012 il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell’atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa.

DIRITTO

1. Deve preliminarmente accertarsi la natura giuridica della misura (“sospensione in via cautelare dalle cariche di consigliere federale della F.I.G.C. e di componente del Comitato di Presidenza della stessa Federazione”), inflitta al sig. OMISSIS con nota del 13 febbraio 2012 e ai sensi dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, e cioè se cautelare o sanzionatoria.

Ed infatti tale accertamento assume un peso rilevante non solo per la definizione del merito della causa (ad es. del motivo con il quale si deduce la violazione del principio del ne bis in idem) e/o della domanda risarcitoria, ma ancora prima per la verifica della giurisdizione del giudice adito. E’ noto, infatti, che l’art. 2, d.l. 19 agosto 2002, n. 220, convertito con l. 17 ottobre 2003, n. 280 - nella lettura che di esso ha dato la Corte costituzionale (11 febbraio 2011, n. 49) e che è stata subito recepita e fatta propria dal giudice amministrativo di appello (Cons.St., sez. VI, 24 gennaio 2012, n. 302 e 14 novembre 2011, n. 6010) - prevede tre forme di tutela: una prima, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), che è demandata alla cognizione del giudice ordinario; una seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2, d.l. 19 agosto 2003, n. 220 e non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all’ordinamento sportivo in cui le norme in questione hanno trovato collocazione secondo uno schema proprio della c.d. “giustizia associativa”; una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) – demandati al giudice ordinario – per altro verso non rientra tra le materie che, ai sensi dell’art. 2, d.l. n. 220 del 2003, sono riservate all’esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva.

La stessa Corte costituzionale - nel dichiarare non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b) e, in parte qua, comma 2, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, nella parte in cui riserva al giudice sportivo la decisione di controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo - ha osservato che la mancata praticabilità della tutela impugnatoria innanzi a quest’ultimo non toglie che le situazioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo siano adeguatamente tutelabili innanzi a lui mediante l’azione risarcitoria. Il giudice delle leggi ha interpretato l’art. 1, d.l. n. 220 del 2003 in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che - laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale - la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, deve essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non sussistendo alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale alcuna pretesa risarcitoria può essere fatta valere.

La misura inflitta al sig. OMISSIS con la nota del 13 febbraio 2012 ha natura dichiaratamente cautelare atteso che l’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, modificato nella riunione del 2 febbraio 2012 e comunicato con C.U. 114/A del 13 febbraio 2012, afferma espressamente che la sospensione dalla carica negli organismi centrali del C.O.N.I. o presso organismi delle Federazioni sportive, degli Enti di promozione sportiva o delle Associazioni benemerite ha il fine precipuo di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli stessi organi. La sospensione, da disporre nei confronti di coloro che sono stati destinatari di sentenza di condanna anche non definitiva, per i delitti di cui all’allegato A dello stesso Codice o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale, dura, infatti, sino a quando la vicenda penale non è stata definitivamente accertata con sentenza assolutoria o non è comunque conclusa o sino alla scadenza o alla revoca delle misure di prevenzione o di sicurezza personale. E’ quindi indubbio il carattere cautelare della misura introdotta dal cit. art. 11.

Tale conclusione consente di escludere che la controversia sia riservata al giudice sportivo ai sensi della lett. b del comma 1 dell’art. 2, d.l. n. 220 del 2003, che fa riferimento ai “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”. Aggiungasi che trattandosi di norma eccezionale, derogatoria del principio per cui si può sempre chiedere la tutela della propria posizione giuridica soggettiva ritenuta lesa ad un giudice dello Stato, la disposizione in questione non può essere estesa in via analogica sino a ricompOMISSIS re casi non espressamente previsti, sebbene indubbiamente legati all’ipotesi dalla stessa contemplati da un certo nesso di affinità seppure non di stretta conseguenzialità, atteso che ai sensi dell’art. 11 del nuovo Codice di comportamento sportivo la sospensione cautelare dalla carica discende direttamente dall’aver subito una condanna penale per uno dei reati previsti dall’allegato A, ancorché non passata in giudicato, e non una sanzione disciplinare, che potrebbe non essere ancora intervenuta.

Il Collegio esclude altresì che la controversia in esame possa rientrare in quelle che la lett. a del comma 1 dell’art. 2, d.l. n. 220 del 2003 riserva al giudice sportivo (“l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive”), atteso che la sospensione dalla carica sottende una motivazione di carattere etico giacché, come si è detto, mira dichiaratamente a tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive nazionali (art. 11 del nuovo Codice di comportamento sportivo), ma non è strumentalmente connessa a garantire tecnicamente lo svolgimento delle competizioni sportive.

La controversia in esame rientra pertanto nella giurisdizione del giudice amministrativo (come affermato, con ordinanza del 7 aprile 2012, anche dal Tribunale civile di Roma dinanzi al quale il sig. OMISSIS aveva proposto ricorso), conclusione, quest’ultima, alla quale non si sarebbe potuti pervenire se la misura comminata non avesse avuto natura e finalità cautelare.

2. Tutto ciò chiarito in via preliminare, si può passare all’esame dell’azione di annullamento proposta dal sig. OMISSIS avverso la decisione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I. resa in data 5/26 marzo 2012 n. 4/12, che ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso la nota della F.I.G.C. del 13 febbraio 2012 n. 1373.1/ADS/Segr, con la quale gli era stata comunicata la sospensione automatica, in via cautelare, dalla carica di Consigliere Federale e di componente del Comitato di Presidenza della F.I.G.C., in applicazione dell’art. 11 del nuovo Codice di comportamento sportivo del C.O.N.I..

L’infondatezza del ricorso consente al Collegio di prescindere dall’esame delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti.

3. L’inammissibilità del ricorso è stata dichiarata dall’Alta Corte sotto il duplice profilo della mancata espressa impugnazione dell’art. 11 del nuovo Codice di Comportamento Sportivo del C.O.N.I. e per mancata evocazione in giudizio di quest’ultimo.

Tale pronuncia, censurata dal sig. OMISSIS dinanzi a questo Collegio, appare corretta quanto meno relativamente alla mancata notifica del gravame sportivo al C.O.N.I., al quale va ricondotta la norma impugnata. Il nuovo Codice è stato infatti approvato dal Consiglio Nazionale del C.O.N.I., con la conseguenza che la partecipazione al giudizio del Comitato Olimpico Nazionale era imprescindibile.

Né è condivisibile l’assunto di parte ricorrente (primo motivo) secondo cui l’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I. è organo amministrativo di quest’ultimo, con la conseguenza che non sarebbe necessario evocare in giudizio il C.O.N.I. ove la decisione della giustizia sportiva sia assunta dall’Alta Corte, non essendo ipotizzabile, in questo caso, che il C.O.N.I. possa essere parte in causa. E’ infatti del tutto errato il presupposto da cui muove tale assunto, e cioè che l’Alta Corte di Giustizia sia organo del C.O.N.I.. Ed invero, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva quest’ultima, pur essendo istituita presso il C.O.N.I. ai sensi degli artt. 12 e 12 bis dello Statuto del C.O.N.I., è espressione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, riconosciuta e favorita dal d.l. 19 agosto 2003, n. 220 e dall’art. 1, comma 14, d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15, ed esercita le proprie funzioni in piena autonomia e indipendenza. Del resto, se la notifica del ricorso al soggetto che ha adottato l’atto impugnato ha lo scopo di metterlo in condizione di difendere il proprio operato dinanzi al giudice, affermare che la presenza del C.O.N.I. nel giudizio dinanzi all’Alta Corte era inutile sottintende l’assunto – assolutamente non assecondabile – che sarebbe stata quest’ultima, quale ”organo amministrativo” del C.O.N.I., a dover difendere il provvedimento. Se così fosse l’organo giudicante mancherebbe della “piena autonomia e indipendenza”, che sono invece i suoi tratti distintivi (come peraltro di ogni organo giudicante) ai sensi degli artt. 1, comma 1, del Codice dell’Alta Corte e 12, comma 1, dello Statuto del C.O.N.I..

L’inammissibilità, sotto questo profilo, del ricorso, nella parte volta a censurare l’art. 11 del nuovo Codice di comportamento sportivo, OMISSIS  irrilevante, per il suo carattere assorbente, la verifica se dal ricorso proposto dinanzi all’organo di giustizia sportiva fosse evincibile che lo stesso era rivolto anche avverso il citato art. 11 e se ciò fosse sufficiente a far ritenere la norma formalmente censurata o era invece necessaria la sua espressa indicazione nell’epigrafe, come assume il giudice sportivo.

In applicazione del principio della pregiudiziale sportiva la declaratoria di inammissibilità del ricorso dinanzi all’Alta Corte, nella parte rivolta avverso l’artt. 11 del nuovo Codice, preclude a questo Collegio l’esame degli analoghi motivi proposti in sede giurisdizionale. Questo giudice, infatti, dovrebbe pronunciare nel merito senza che ciò sia stato reso possibile, prima, al giudice sportivo.

4. L’Alta Corte ha invece ritenuto ammissibile il ricorso “nella parte in cui, invece, il novellato Codice è assunto quale parametro”.

In mancanza di un ricorso incidentale proposto dalla F.I.G.C. il Collegio non può porsi d’ufficio la questione relativa all’effettiva ricaduta che la declaratoria di inammissibilità ha sull’impugnazione della nota della F.I.G.C. del 13 febbraio 2012 n. 1373.1/ADS/Segr e cioè se, essendo la norma del Codice l’unico presupposto dell’impugnata nota della Federazione, l’inammissibilità si sarebbe dovuta estendere a gran parte del gravame, attesa l’impossibilità di sindacare l’art. 11, fatta salva la dedotta illegittima applicazione della norma sopravvenuta ad un fatto alla stessa anteriore (e, dunque, la violazione del principio di irretroattività di cui all’art. 11 delle Preleggi), nonché l’omesso previo adattamento della disciplina federale alle novità introdotte nel Codice di comportamento.

Il Collegio deve dunque passare al vaglio di tutti i motivi di ricorso che erano stati proposti dinanzi all’Alta Corte e da questa esaminati.

L’Alta Corte ha ritenuto che: a) è legittima la sospensione cautelare dalle cariche conseguente alla condanna penale, anche non definitiva, per reati di particolare gravità espressamente indicati nell’allegato A al Codice di comportamento sportivo; b) la sospensione non può ritenersi illegittima per la mancata fissazione di un termine finale, fermo restando che la F.I.G.C. potrà valutare l’opportunità di introdurlo; c) non è violato il principio del ne bis in idem perché una cosa è la sanzione disciplinare già inflitta al sig. OMISSIS e tutt’altra cosa è la misura cautelare disposta nelle more della conclusione del procedimento penale; d) il nuovo Codice di comportamento non ha portata retroattiva e ciò in quanto “esso non ha riqualificato il comportamento tenuto dall’odierno ricorrente, ma ha assunto la sua condanna (ancorché non definitiva) in sede penale come un mero fatto, nella sua pura oggettività, ricollegando a tale fatto conseguenze nuove, certo, ma pur sempre rivolte al presente e al futuro, non al passato”; e) non era necessario far precedere la nota impugnata da un atto federale di recepimento della novella, che integrasse le ipotesi espressamente previste di decadenza degli organi, atteso che le disposizioni del Codice di comportamento vincolano non solo gli associati ma le stesse Federazioni.

Il sig. OMISSIS censura tutte le affermazioni dell’Alta Corte.

5. Con la prima censura, dedotta con il secondo motivo, afferma che la decisione dell’Alta Corte è errata in primo luogo nella parte in cui ha giudicato legittima, stante le ragioni alla stessa sottese, la sospensione cautelare dalle cariche disposta a seguito di condanna in sede penale. Afferma il ricorrente che le cariche hanno durata limitata, con la conseguenza che la sospensione finirebbe per precludere definitivamente l’esercizio del mandato conferito all’eletto. Avendo dunque la sospensione effetti analoghi alla decadenza, come quest’ultima dovrebbe essere comminata solo dopo la sentenza definitiva.

La censura è priva di pregio. E’ proprio il carattere cautelare della sospensione dalla carica che giustifica il fatto che la stessa venga disposta allorché il giudizio penale non si sia ancora concluso con sentenza definitiva. Ed invero, allorché il soggetto sia condannato con sentenza passata in giudicato saranno possibili altre misure, anche di carattere definitivo e afflittivo. La sospensione cautelare, invece, è adottata in considerazione del pregiudizio che il permanere nella carica del soggetto sottoposto a procedimento penale può arrecare al mondo sportivo. Dunque, sino a quando la giustizia penale non avrà fatto piena luce sull’effettivo coinvolgimento dell’accusato nei fatti contestatigli, è opportuno un allontanamento dello stesso dai vertici del C.O.N.I., delle Federazioni, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione. Proprio la necessità che decisioni importanti nella vita associativa sportiva non siano assunte da persone sulle quali pende più di un dubbio di non rispecchiata moralità (essendo comunque già intervenuta una sentenza penale di condanna) OMISSIS  ininfluente che la durata dell’incarico elettivo possa naturalmente cessare prima che si concluda il periodo di sospensione atteso che, in sede di comparazione di interessi, prevale quello dell’intera società sportiva, i cui organi devono essere di indiscussa onorabilità, sull’interesse del singolo.

6. Con la seconda censura, anch’essa dedotta con il secondo motivo, il ricorrente afferma che in ogni caso è illegittima una sospensione senza che sia predeterminato un termine finale certo.

Anche questa censura non è suscettibile di positiva valutazione.

L’art. 11 del Codice di Comportamento prevede un termine finale della sospensione, che coincide con il definitivo accertamento della vicenda o con la scadenza o la revoca delle misure di prevenzione o di sicurezza personale. La questione sottoposta al Collegio è dunque accertare se l’apposizione di un termine, incerto solo nella data (non essendo dato sapere, al momento della sospensione, quando l’iter penale si concluderà definitivamente), può ritenersi legittima. Il Collegio ritiene di dover dare risposta affermativa. In primo luogo occorre evidenziare che nelle ipotesi in cui ad una misura cautelare è apposto un termine certo nel quantum (ad es. la sospensione obbligatoria del pubblico dipendente per procedimento penale) tale termine ha una durata relativamente lunga (5 anni ex art. 9, comma 2, l. 7 febbraio 1990, n. 19), dovendo rispondere alla primaria esigenza di tenere lontano dalla carica o dall’impiego il soggetto accusato di aver commesso fatti penalmente ed eticamente rilevanti. Un termine di lunga durata è peraltro difficilmente conciliabile con le cariche elettive degli organi federali, quale è quella che rivestiva il sig. OMISSIS, che hanno una durata relativamente breve (nella specie, quattro anni). In ogni caso, l’ordinamento conosce ipotesi di sospensione cautelare senza termine finale certo quale, ad es., quella facoltativa del pubblico dipendente (art. 92, t.u. 3 gennaio 1957 n. 3), che è comminata in considerazione dell'incidenza che i fatti addebitati sono suscettibili di provocare in termini di turbamento dell'ordinato svolgersi del servizio e della prestazione richiesta al dipendente nell'ambito del rapporto di servizio, nonché al nocumento al prestigio che la stessa Amministrazione ha il preciso dovere di salvaguardare, anche temporaneamente. La disciplina dettata dal Legislatore nel settore del pubblico impiego ha superato il vaglio del giudice delle leggi (24 ottobre 1995, n. 447), con argomentazioni che è utile richiamare perché ben supportano anche la legittimità della disposizione contenuta nell’art. 11 del Codice di comportamento. E’ stato chiarito che nel doveroso bilanciamento (sentenza n. 374 del 1995) tra gli opposti interessi - nella specie: quello del dipendente di ripOMISSIS re il servizio (che riflette la tutela del diritto al lavoro garantito dall'art. 35 Cost.) e quello dell'amministrazione (il cui buon andamento ha rilievo anch'esso costituzionale ex art. 97 Cost.) di escludere temporaneamente dal servizio il dipendente sul quale faccia ombra il solo fatto dell'imputazione per un grave reato suscettibile di essere valutato sotto il profilo disciplinare - il legislatore non irragionevolmente ha fissato un termine massimo quinquennale, scaduto il quale il dato formale dell'imputazione penale cessa di avere l’idoneità a legittimare il perdurare della sospensione cautelare, ferma restando la potestà dell’amministrazione di tutelare diversamente l'interesse ad un corretto svolgimento della funzione pubblica. Scaduta la sospensione cautelare obbligatoria l’Amministrazione può infatti - perdurando, nonostante il non breve lasso di tempo trascorso, l'esigenza cautelare di non riammettere in servizio il dipendente in ragione della particolare gravità e dell'irrimediabile pregiudizio che all'attività dell'ente pubblico, datore di lavoro, deriverebbe dalla (seppur condizionata) riattivazione del rapporto di impiego - sospendere facoltativamente il dipendente ove sussistano "gravi motivi" che, ancorché non sia esaurito il procedimento penale, giustifichino la perdurante (ma non ancora definitiva) estromissione del dipendente dal posto di lavoro, motivi che però non possono consistere più nel mero dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e debbono) riguardare la commissione dell'addebito disciplinare.

Nel caso in esame (dovendo la verifica della legittimità dell’art. 11 essere limitata da questo Collegio all’applicazione che di essa ne è stata fatta nei confronti del ricorrente) i capi di imputazione penali (frode in competizioni sportive), che hanno portato alla condanna del sig. OMISSIS ancorché con sentenza non definitiva, sono stati già valutati come disciplinarmente rilevanti e sono stati oggetto di provvedimento sanzionatorio che, a seguito dell’esperimento di tutti i rimedi di giustizia sportiva, è ormai divenuto definitivo.

Ad ulteriore supporto della legittimità della previsione contestata può richiamarsi un’altra pronuncia del giudice delle leggi (24 ottobre 2008, n. 352), che ha giudicato favorevolmente la previsione della sospensione obbligatoria dalle cariche elettive, disposta dall’art. 15, comma 4 bis, l. 19 marzo 1990, n. 55, sul rilievo che il bilanciamento dei valori coinvolti effettuato dal legislatore “non si appalesa irragionevole, essendo esso fondato essenzialmente sul sospetto di inquinamento o, quanto meno, di perdita dell'immagine degli apparati pubblici che può derivare dalla permanenza in carica del consigliere eletto che abbia riportato una condanna, anche se non definitiva, per i delitti indicati e sulla constatazione del venir meno di un requisito soggettivo essenziale per la permanenza dell'eletto nell'organo elettivo” (v. anche Corte cost. 15 febbraio 2002, n. 25 e 24 giugno 1993, n. 288).

Infine, ritiene il Collegio che non può essere trascurato un elemento di notevole rilievo quale è l’autonomia di cui gode l’ordinamento sportivo, che può imporsi regole rigide per garantire quei valori di lealtà, onorabilità e correttezza che non possono non presiedere tale società e che, essendo stati troppo spesso violati, richiedono e giustificano interventi di eccezionale rigore.

7. Con il terzo motivo di ricorso il sig. OMISSIS contesta l’affermazione dell’Alta Corte secondo la quale, nel caso in esame, alla novella introdotta nell’art. 11 del Codice di comportamento non sarebbe stato affatto attribuito effetto retroattivo, atteso che il provvedimento impugnato si è limitato a pOMISSIS re atto di uno status esistente al momento dell’entrata in vigore del Codice.

In punto di fatto occorre rilevare che: a) il sig. OMISSIS è stato condannato con sentenza del Tribunale di Napoli, IX sez. penale, dell’8 novembre 2011 alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione per il reato di frode sportiva commesso nel febbraio 2005, in occasione delle partite di campionato di Serie A Chievo – Lazio e Lazio – OMISSIS ; b) per tali fatti il ricorrente ha subito, il 26 luglio 2006, il provvedimento disciplinare della sanzione dell’inibizione dalla carica per la durata di anni 2 e mesi 6, oltre alla pena pecuniaria di € 30.000,00, inibizione poi ridotta a mesi 4 dalla Camera di conciliazione ed arbitrato del C.O.N.I. in data 5/9 dicembre 2006; c) la sospensione automatica dalle cariche è stata introdotta con l’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, nel testo modificato nella riunione del 2 febbraio 2012 e comunicato con C.U. 114/A del 13 febbraio 2012; d) il provvedimento della F.I.G.C., che comunicava al ricorrente, la sua sospensione in applicazione dell’art. 11 del Codice è del 13 febbraio 2012.

In punto di diritto, e considerate le date dei diversi avvenimenti, la retroattività della disposizione contestata deve essere esclusa atteso che il sig. OMISSIS è stato sospeso a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella (13 febbraio 2012) in considerazione del suo status di soggetto condannato (dall’8 novembre 2011) per reati contemplati nell’allegato A dello stesso Codice. Di retroattività si sarebbe potuto parlare nel caso in cui la sospensione fosse stata fatta decorrere dall’8 novembre 2011, data della pubblicazione della sentenza della IX Sezione penale del Tribunale di Napoli.

Aggiungasi, ed il rilievo è assorbente di ogni altra considerazione, che un problema di retroattività potrebbe al più porsi con riferimento ad un provvedimento di carattere sanzionatorio, ma non certo ad un atto, quale è quello oggetto di impugnazione, di natura cautelare la cui ratio è preservare l’ordinamento sportivo dal nocumento che potrebbe recare la presenza di soggetti, con poteri decisionali importanti, in relazione ai quali sussiste un dubbio (giustificato anche da una già intervenuta pronuncia di condanna penale, ancorché non definitiva) di discutibile moralità e onorabilità.

8. Privo di pregio è il quarto motivo di ricorso, atteso che, come correttamente affermato dall’Alta Corte di Giustizia, le disposizioni introdotte dall’art. 11 non avevano bisogno di essere recepite dalla F.I.G.C. con conseguente modifica del proprio Statuto. Ai sensi dell’art. 16, comma 4, dello Statuto della F.I.G.C. “i soggetti dell’ordinamento della F.I.G.C. sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del C.O.N.I.”. Le disposizioni dettate dal Codice di comportamento sono dunque di immediata portata precettiva e vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento federale e, prima tra tutti, la stessa Federazione. Aggiungasi che il recepimento richiesto dal ricorrente si sarebbe in ogni caso tradotto in una mera formalità atteso che la Federazione non avrebbe potuto esimersi dal riprodurre nel proprio Statuto le nuove disposizioni deontologiche dettate dal C.O.N.I. a tutela della moralità nel mondo sportivo.

9. Infine, non è suscettibile di positiva valutazione l’ultimo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione del principio del ne bis in idem che, riferito alla fattispecie in esame, si sostanzia nell’escludere che per lo stesso fatto siano comminate due sanzioni. E’ però sufficiente ricordare quanto già argomentato in ordine alla natura cautelare e non sanzionatoria della misura inflitta al ricorrente con la nota impugnata. Dunque il sig. OMISSIS, come si è già detto, è stato sanzionato solo una volta, il 26 luglio 2006, con l’inibizione dalla carica per la durata di anni 2 e mesi 6, oltre alla pena pecuniaria di € 30.000,00, inibizione poi ridotta a mesi 4 dalla Camera di conciliazione ed arbitrato del C.O.N.I. in data 5/9 dicembre 2006.

10. L’infondatezza dei motivi rivolti avverso l’impugnata decisione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I. resa in data 5/26 marzo 2012 n. 4/12 porta alla reiezione anche della richiesta di condanna della F.I.G.C. al risarcimento dei danni che il sig. OMISSIS assume di aver subito per effetto della sospensione cautelare e che ha quantificato in € 250.000,00.

Il ricorso deve dunque essere respinto ma le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensate, in considerazione della novità delle questioni sottoposte al Collegio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Italo Riggio, Presidente

Maria Luisa De Leoni, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/06/2012

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