TRIBUNALE DI BRESCIA – SEZIONE LAVORO – SENTENZA N. 236/2018 PUBBL. IL 25/06/2018
TRIBUNALE DI BRESCIA - SEZIONE LAVORO
Il Tribunale di Brescia ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa n. (...)R.G. promossa
Da:
(...) con l’avv. IZZI GIOVANNI, l’avv. CARTAINO SILVIA e l’avv. PERRON CABUS ANDREA;
RICORRENTE
contro:
(...) S.P.A. con l’avv. GHIRARDI CARLO ANTONIO
CONVENUTO
Ragioni di fatto e di diritto
- Con ricorso depositato il 14 luglio 2016, (...) deduceva: a) che il 12 luglio 2012 aveva stipulato un contratto di prestazione sportiva con il (...) s.p.a. con decorrenza dall’1 luglio 2012 al 30 giugno 2015; b) che il 18 luglio 2014 si era sottoposto a visita medica, all’esito della quale gli era stato rilasciato il certificato di idoneità all’attività sportiva valido 12 mesi; c) che sin dall’inizio della stagione 2014/2015 e fino alla scadenza del contratto era stato escluso dalla rosa della prima squadra, dal ritiro precampionato e dagli allenamenti della prima squadra; d) che fin dal settembre 2014 aveva più volte segnalato allo staff medico ed al fisioterapista di avere alcuni dolori all’anca che gli impedivano di allenarsi regolarmente; e) che, ciononostante, non gli era stato fornito alcun tipo di assistenza medica, né era stato sottoposto a visita medica o ad esami specialistici; f) che, a causa dell’aggravamento delle sue condizioni, dovuto all’inerzia della società, aveva dovuto rifiutare le offerte di lavoro pervenutegli da altre società sportive professionistiche; g) che, autonomamente, si era sottoposto, il 23 settembre 2014, ad una risonanza magnetica del bacino, il 4 dicembre 2014, ad una risonanza magnetica dell’anca sinistra e del rachide lombo-sacrale, il 20 febbraio 2015, ad un’ecografia all’anca sinistra e, il 12 marzo 2015, ad una radiografia al bacino e agli arti inferiori; h) che aveva comunicato l’esito di tali esami, che confermavano la gravità delle sue condizioni, allo staff medico del (...), al fisioterapista ed al preparatore atletico e, ciononostante, la società non gli aveva fornito alcuna tutela sanitaria; i) che nell’aprile 2015 gli era stato diagnosticato il distacco del cercine, causato dal conflitto tra la testa del femore e l’acetabolo e i dott. (...) e (...), specialisti in ortopedia e traumatologia, avevano ritenuto necessario sottoporlo ad un intervento chirurgico, in assenza del quale sarebbe andato incontro ad artrosi precoce certa; l) che aveva quindi deciso di sottoporsi ad intervento chirurgico, come comunicato alla società il 7 maggio 2015; m) che la società, dopo averlo sottoposto alla prima e unica visita medica dopo quella di settembre 2014, gli aveva consigliato di non sottoporsi all’intervento chirurgico in quanto non risolutivo e perché non vi era ancora certezza della diagnosi; n) che, poiché ben tre specialisti gli avevano invece consigliato l’intervento, il 18 maggio 2015 si era sottoposto ad intervento di artroscopia all’anca sinistra, nel corso del quale erano stati eseguiti un rim- trimming acetabolare, l’asportazione della cartilagine fibrillante e dell’os acetabuli, la reinserzione del labbro con due ancore e l’osteoplastica del collo femorale, con un costo complessivo di euro 12.566,00; o) che, se la società si fosse attivata in tempo, l’intervento chirurgico non sarebbe stato necessario e/o sarebbe stato effettuato all’inizio della stagione 2014, sicchè si sarebbe ristabilito entro il termine della
medesima; p) che, dopo 4 mesi di riabilitazione, l’anca sinistra aveva ripreso la sua funzionalità, a conferma della necessità dell’intervento; q) che successivamente, mentre effettuava sessioni di corsa leggera, aveva avvertito dei dolori all’anca destra, a fronte dei quali si era sottoposto ad accertamenti che avevano evidenziato un conflitto femoro-acetabolare dell’anca destra; r) che nel dicembre 2015 si era sottoposto ad una seconda operazione, questa volta all’anca destra, che presentava la medesima sintomatologia dell’anca sinistra, sostenendo spese per euro 12.566,00;
s) che l’intervento aveva avuto esito positivo e la riabilitazione era ancora in corso; t) che, se la società fosse intervenuta tempestivamente, non si sarebbe verificata la lesione del cercine delle anche, con conseguente recupero entro il termine della stagione 2014/2015; u) che la società aveva violato l’art. 7 dell’Accordo Collettivo (secondo il quale “in ogni caso il calciatore ha diritto a partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra … ” e la società è tenuta a fornire al tesserato “un ambiente consono alla sua dignità professionale”), l’art. 9 del medesimo accordo e l’art. 7 della legge n. 91/1981 (“l’attività sportiva professionistica” deve essere svolta “sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle federazioni sportive nazioni” le quali a loro volta obbligano le società ad istituire “una scheda sanitaria per ciascuno sportivo professionista, il cui aggiornamento deve avvenire con periodicità semestrale”), nonché il D.M. 15 marzo 1995 e l’art. 44 delle Norme Organizzative Interne della Figc, oltre agli artt. 1228, 2049 e 2087 c.c.; v) che la società non aveva neppure rimborsato le spese sostenute per gli interventi chirurgici, così violando l’art. 14 dell’Accordo Collettivo, secondo il quale “le spese di assistenza sanitaria e farmaceutica, degli eventuali interventi chirurgici e quelle di degenza in istituti ospedalieri o in case di cura sono a carico della società per quanto non sia coperto dalle prestazioni del servizio sanitario nazionale.”; z) che, posta l’esclusione dalla prima rosa, la società era obbligata, ai sensi dell’art. 12 co. 2 dell’Accordo Collettivo, a corrispondergli un risarcimento del danno nella misura non inferiore al 20% della parte fissa della retribuzione annua lorda, oltre al risarcimento del danno da perdita di chance, da lesione dell’immagine professionale, biologico e morale; aa) che la società era anche obbligata a risarcire tutti i danni derivanti dall’omessa tutela sanitaria, e cioè le spese sostenute per gli interventi
chirurgici, il danno da perdita di chance, il danno biologico ed il danno morale. Il ricorrente chiedeva, quindi: a) di accertare la responsabilità del (...) per violazione dell’obbligo previsto dall’art. 7 dell’Accordo Collettivo AIC/Lega Serie B e condannare la società al pagamento di euro 106.500,00 a titolo di danno per perdita di chance e di euro 75.000,00 a titolo di danno non patrimoniale; b) di accertare la responsabilità del (...) per la violazione degli obblighi di tutela sanitaria previsti dagli artt. 9, 14 e 15 dell’Accordo Collettivo, agli artt. 43 e 44 NOIF, all’art. 7 della legge 91/1981, agli artt. 1, 6 e 7 del D.M. 15 marzo 1995 ed all’art. 2087 c.c. e condannare la società al pagamento di euro 319.500,00 a titolo di danno per perdita di chance, di euro 25.132,00 per il mancato rimborso delle spese sostenute per gli interventi chirurgici e di euro 75.000,00 a titolo di danno non patrimoniale.
- Si costituiva (...) s.p.a., eccependo in via preliminare la improponibilità e/o improcedibilità delle domande, contenendo il contratto inter partes specifica clausola contrattuale secondo la quale ogni questione risultava devoluta in arbitrato. La società eccepiva anche l’improponibilità e/o inammissibilità delle domande connesse all’esclusione dalla prima squadra, non avendo il ricorrente mai diffidato per iscritto la società, come richiesto dall’art. 12 co. 2 dell’Accordo Collettivo, così prestando acquiescenza al fatto, nonché la nullità della domanda relativa all’omessa tutela sanitaria – per mancata indicazione della patologia lamentata, delle cause di aggravamento della stessa, della necessità, o meno, dell’intervento fin dal mese di luglio 2014 e del nesso di causa tra la condotta della società e la causazione della malattia - e la sua inammissibilità, avendo il ricorrente in contratto rinunciato ad ogni azione risarcitoria per infortuni. Nel merito, la società chiedeva il rigetto del ricorso, deducendo: a) che il ricorrente, il quale si era sempre allenato con la prima squadra, oppure ed in ogni caso negli stessi giorni ed orari ed utilizzando il medesimo spogliatoio, aveva all’epoca Egli stesso ammesso di non essere “pronto fisicamente”; b) che nei mesi di dicembre 2014 e gennaio 2015, il ricorrente aveva di sua iniziativa rifiutato le proposte contrattuali dell’AS Pro Piacenza 1919 e della ND Nova Gorica; c) che a far tempo dal mese di dicembre 2014 il ricorrente aveva chiesto ed ottenuto di praticare l’attività sportiva e curare la sua condizione fisico/atletica presso la AS Pro Piacenza 1919; d) che il ricorrente non aveva dimostrato né il danno da perdita di chance, né il nesso di causa con la condotta della società; e) che il ricorrente il 3 luglio 2016 aveva partecipato a torneo calcistico disputatosi in Bagnolo Mella, la partecipazione al quale postulava l’esibizione di certificato medico di idoneità, ed aveva in ogni caso trovato collocazione presso il FC Forlì nel dicembre 2016; f) che gli esami strumentali eseguiti il 23 settembre e il 4 dicembre 2014 non avevano in alcun modo evidenziato la sussistenza delle problematiche lamentate in ricorso; g) che solo il 7 maggio 2015 il ricorrente aveva lamentato la patologia oggetto di giudizio; h) che, dopo la comunicazione del 7 maggio, la società lo aveva sottoposto a visite mediche e si era opposta all’intervento chirurgico in quanto non necessario; i) che l’intervento ben avrebbe potuto essere eseguito in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale; l) che il dott. Avanzi nel mese di aprile 2015 non aveva riscontrato le problematiche all’anca destra del ricorrente che avevano indotto alla effettuazione del secondo intervento del 9 dicembre 2015, eseguito successivamente alla scadenza del contratto e senza preventiva comunicazione; m) che la bilateralità della patologia induceva a ricondurla ad un problema congenito; n) che, in ogni caso, fino al 30 giugno 2015 il ricorrente non aveva patito alcun pregiudizio patrimoniale, avendo percepito l’intera retribuzione contrattualmente prevista; o) che l’insorgenza successiva della problematica all’anca destra escludeva che, quand’anche l’intervento all’anca sinistra fosse stato eseguito prima, il ricorrente potesse risultare ristabilito entro il termine della stagione 2014/2015 ed idoneo allo svolgimento dell’attività nella stagione successiva.
3. Il ricorso è infondato e va rigettato.
3.1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di improponibilità del ricorso sollevata da parte convenuta, in forza della clausola compromissoria contenuta nel contratto sottoscritto dalle parti.
Ed infatti, è vero che la compromissione in arbitri delle controversie relative al rapporto contrattuale tra società sportive e calciatori è prevista dagli accordi collettivi di settore, con conseguente applicabilità dell’art. 806 co. 2 c.p.c., a norma del quale “le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”. Tuttavia, l’art. 5 della legge n. 533 del 1973 precisa che “nelle controversie riguardanti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. l’arbitrato irrituale è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi. In questo ultimo caso, ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria.” Di conseguenza, va condiviso il consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo il quale nelle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. l’arbitrato, anche se previsto dagli Accordi Collettivi, costituisce strumento alternativo, e non esclusivo, per la risoluzione delle controversie di lavoro e non può determinare una rinuncia assoluta alla giurisdizione; ne' rileva in contrario il fatto che tale facoltatività non sia prevista, atteso che, avuto riguardo al precetto di cui all'art. 24 della Costituzione, alla normativa sul processo del lavoro e all'art. 6 della Convenzione 4 novembre 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955 n. 848), essa deve intendersi automaticamente inserita nelle clausole compromissorie relative alle controversie di lavoro1.
Ne segue che, depositando il ricorso avanti a questo Tribunale, il ricorrente ha esercitato una sua facoltà che non può ritenersi esclusa dalla clausola compromissoria contenuta nel contratto di prestazione sportiva.
3.2. Venendo al merito, vanno rigettate tutte le domande fondate dal ricorrente sulla sua esclusione dagli allenamenti con la prima squadra.
L’art. 7 dell’Accordo Collettivo tra FIGC, LNPB, AIC ex art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91 e successive modificazioni, invocato dal ricorrente sul punto, prevede che “La Società fornisce al calciatore attrezzature idonee alla preparazione e mette a sua disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale. In ogni caso il calciatore ha diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra, salvo il disposto di cui infra sub art. 11.”
In merito, va però richiamato anche l’art. 12 del medesimo Accordo collettivo, a norma del quale “Nell’ipotesi di violazione della previsione di cui sub 7.1., il calciatore può diffidare per iscritto la Società, invitandola ad adempiere. Qualora la Società non adempia spontaneamente entro il termine perentorio di giorni 3 (tre) dalla ricezione della diffida, il calciatore può adire il CA per ottenere a sua scelta la reintegrazione ovvero la risoluzione del Contratto. In entrambi i casi il calciatore ha altresì diritto al risarcimento del danno in misura non inferiore al 20% (ventipercento) della parte fissa della retribuzione annua lorda.”
Ciò posto, nel caso di specie, anche volendo in ipotesi ammettere che il ricorrente sia stato davvero escluso dagli allenamenti con la prima squadra (circostanza comunque contestata dalla società), deve prendersi atto di come Egli non abbia in alcun modo allegato di avere chiesto alla società l’adempimento di tale obbligo, né per iscritto, né oralmente.
Così stando le cose, si ritiene che il ricorrente abbia prestato sostanziale acquiescenza alla situazione (sempre ipotizzandola come effettivamente sussistente) e, del resto, conferma di un tale atteggiamento si rinviene nel documento n. 7 prodotto dalla stesso ricorrente, da cui si evince la sua ammissione di non avere chiesto di essere reintegrato perché non “pronto fisicamente” (cfr. doc. 7, articolo del Giornale di Brescia del 4 gennaio 2015, nel quale si riportano le seguenti dichiarazioni del calciatore “io e (...), al rientro dai prestiti, ci siamo trovati da subito in disparte e ci hanno comunicato che non saremmo partiti in ritiro con la squadra. Dopo una quindicina di giorni, (...) ha chiesto e ottenuto di essere reintegrato. Perché io non l’ho fatto? per correttezza. Soffrivo di pubalgia e sapevo di non poter essere a disposizione dell’allenatore perché non pronto fisicamente. Una condizione che mi sto ancora trascinando con qualche problemino di riflesso all’anca”). Di tale situazione, pertanto, in quanto implicitamente accettata, il ricorrente non è ammesso a dolersi come se gli fosse stata unilateralmente imposta dalla società, e ciò peraltro a più di un anno dal termine della stagione calcistica 2014-2015.
Sotto altro profilo, si rileva in ogni caso che i danni lamentati dal ricorrente avrebbero potuto essere dal medesimo evitati semplicemente intimando alla società l’adempimento dell’obbligazione di cui all’art. 7 già citato, con conseguente applicabilità dell’art. 1227 c.c., a norma del quale “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.”
Infine, anche non volendo condividere le considerazioni che precedono, si ritiene che vada escluso il nesso di causa tra l’ipotetico inadempimento della società ed i danni lamenti dal ricorrente. Ed infatti, quanto al danno da perdita di chance, risulta da quanto dedotto e prodotto dallo stesso ricorrente che egli ha volontariamente deciso di rifiutare le proposte pervenutegli da altre squadre e che, pertanto, nuove chance lavorative non gli sono venute a mancare a causa dell’asserita esclusione dagli allentamenti della prima squadra (cfr. punto 16 del ricorso e doc. 8 ricorrente, articolo tratto dal sito www. (...).it, nel quale si legge: “(...) ha detto no all’ipotesi di un’avventura in Romania.”). Quanto al danno alla salute, si rileva che secondo lo stesso ricorrente, i suoi problemi alle anche sarebbero stati determinati proprio dal “sovraccarico” dovuto alla pratica agonistica, sicchè il suo coinvolgimento in allenamenti più blandi rispetto a quelli sostenuti dalla prima squadra (come da lui stesso descritti) non può certo avere aggravato le sue condizioni fisiche, ma semmai ridotto il rischio di incorrere od aggravare la malattia lamentata. Venendo, poi, al danno all’immagine professionale, risulta evidente dagli articoli di stampa prodotti dal ricorrente come fosse chiaro che l’esclusione dalla prima squadra trovasse giustificazione nelle non ottimali condizioni fisiche del calciatore, che egli stesso aveva volontariamente reso pubbliche come da doc. 7 allegato al ricorso.
3.3. Procedendo oltre nell’analisi delle domande proposte dal ricorrente, vanno rigettate anche quelle fondate sulla violazione da parte della società degli obblighi di tutela sanitaria previsti dagli artt. 14 dell’Accordo Collettivo, dagli artt. 43 e 44 NOIF, dall’art. 7 della legge 91/1981, dagli artt. 1, 6 e 7 del D.M. 15 marzo 1995 e all’art. 2087 c.c..
3.3.1. Preliminarmente, va sul punto rigettata l’eccezione di inammissibilità della domanda sollevata dalla convenuta, per avere il ricorrente in contratto rinunciato ad ogni azione risarcitoria per infortuni. Ed infatti, la patologia lamentata dal ricorrente non è qualificabile come infortunio, non risultando alcun evento traumatico che possa averla cagionata, ma appare semmai riconducibile al concetto di malattia.
3.3.2. Nel merito, si ritiene in primo luogo che la società non sia venuta meno agli obblighi sulla medesima incombenti in tema di tutela sanitaria.
A tale proposito, appare opportuno riportare le disposizioni di settore invocate dal ricorrente.
L’articolo 14 dell’Accordo Collettivo dispone: “In caso di malattia ovvero di infortunio per il periodo di inabilità (fatte salve le previsioni di cui infra sub 15 e sottoparagrafi) spetta al calciatore la retribuzione stabilita dal Contratto fino alla scadenza dello stesso, mentre la Società beneficerà delle eventuali indennità assicurative pattuite a proprio favore. Le spese di assistenza sanitaria e farmaceutica, degli eventuali interventi chirurgici e quelle di degenza in Istituti ospedalieri o in Case di cura sono a carico della Società per quanto non sia coperto dalle prestazioni del servizio sanitario nazionale. Nell’ipotesi che il calciatore non intenda usufruire dell’assistenza sanitaria proposta dalla Società, dovrà darne motivata comunicazione scritta a quest’ultima, specificando i professionisti e le strutture sanitarie di idonea qualificazione ai quali intende ricorrere. La Società sarà tenuta a concorrere alle spese relative all’assistenza sanitaria scelta, ivi compresi interventi chirurgici, medicinali, degenza in istituti ospedalieri o Case di cura, e riabilitazione sostenute dal calciatore, in misura non superiore al costo normalmente necessario per assicurare al calciatore medesimo un’assistenza specialistica o di idonea qualificazione. Il calciatore, in tale ipotesi, è tenuto a fornire alla Società piena informazione sui trattamenti anche medicinali
ricevuti, trasmettendo a tal fine ogni relativa documentazione medico‐sanitaria.”
L’art. 43 delle Norme Organizzative Interne della FIGC dispone: “Salvo quanto previsto da disposizioni di legge, i tesserati di ogni Società sono tenuti a sottoporsi a visita medica al fine dell'accertamento dell'idoneità all'attività sportiva. (…) Gli accertamenti avvengono in occasione del primo tesseramento a favore della società, prima dell'inizio dell'attività, e vanno ripetuti alla scadenza del certificato. (…) Le Società sono responsabili dell'utilizzo del calciatore dal momento della dichiarazione di inidoneità, nonché dell'utilizzo di calciatori privi di valida certificazione di idoneità all'attività sportiva.”
L’art. 44 delle NOIF prevede: “… In particolare, il medico sociale responsabile sanitario provvede a sottoporre i medesimi professionisti agli accertamenti clinico- diagnostici previsti dalla scheda sanitaria di cui al successivo comma 4), con periodicità almeno semestrale, nonché in ogni altro momento si verifichi un rilevante mutamento delle condizioni di salute del professionista. (…) Le società sono tenute a concorrere alle spese sostenute dai tesserati che non intendano usufruire dell'assistenza sanitaria dalle stesse proposta, ivi comprese quelle relative agli interventi chirurgici ed alla degenza presso presidi ospedalieri o case di cura, in misura congrua in relazione al costo normalmente necessario a garantire una assistenza specialistica qualificata.”
L’art. 7 della legge 91/1981 dispone: “L'attività sportiva professionistica è svolta sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle federazioni sportive nazionali ed approvate, con decreto Ministeriale della sanità sentito il Consiglio sanitario nazionale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le norme di cui al precedente comma devono prevedere, tra l'altro, l'istituzione di una scheda sanitaria per ciascuno sportivo professionista, il cui aggiornamento deve avvenire con periodicità almeno semestrale.”
Il D.M. 15 marzo 1995 dispone che il medico sociale è tenuto alla effettuazione periodica dei controlli ed accertamenti clinici previsti e ad ogni altro ulteriore accertamento che egli ritenga opportuno, oltre che alla verifica costanza dello stato di salute dell’atleta e dell’esistenza di eventuali controindicazioni anche temporanee alla pratica dell’attività professionale.
Così riportate le norme di settore richiamate dal ricorrente, si ritiene, come già anticipato, che la società convenuta non sia incorsa in alcuna violazione delle stesse.
In particolare, con riferimento alla valutazione almeno semestrale delle condizioni del calciatore, è pacifico che il ricorrente sia stato visitato dal medico della società il 18 luglio 2014 e gli sia stato rilasciato il certificato di idoneità all’attività sportiva della durata di 12 mesi. Inoltre, deve considerarsi altrettanto pacifico (in quanto dedotto dalla convenuta nella memoria difensiva e non specificamente contestato dal ricorrente) che a far tempo dal mese di dicembre 2014 il ricorrente aveva chiesto ed ottenuto di praticare l’attività sportiva e curare la sua condizione fisico/atletica presso la AS (...). Ed ancora, non risulta che il ricorrente abbia in alcun modo interessato la società delle sue condizioni fisiche prima del maggio 2015, non risultando alcuna comunicazione scritta sul punto ed essendo i relativi capitoli di prova orale formulati in ricorso inammissibili per la loro genericità, non contenendo essi specifici riferimenti spazio-temporali (cap. 12: “nel corso della stagione sportiva 2014/2015 (e sin dal settembre 2014), il ricorrente più volte segnalava allo staff medico della società ed al fisioterapista (sig. (...)) di avere alcuni dolori all’anca che gli impedivano di allenarsi regolarmente” e cap. 20: “i risultati dei predetti esami venivano dunque comunicati allo staff medico del (...) (ed in particolare al dott. (...) ed al dott. (...)), al fisioterapista della società (dott. (...)) ed al preparatore atletico sig. (...).”). Infine, è pacifico che dopo la missiva del 7 maggio 2015 la società si sia subito attivata, sottoponendo a visita medica il ricorrente.
Venendo, poi, al rimborso delle spese sostenute dal ricorrente per gli interventi chirurgici ai quali si è sottoposto nel corso del 2015, si osserva quanto segue. In relazione al primo intervento, nulla è dovuto dalla società, trattandosi di prestazione erogabile dal Servizio Sanitario Nazionale, come dedotto dalla convenuta nella memoria difensiva e non specificamente contestato dal ricorrente. Ed infatti, l’art. 14 dell’Accordo Collettivo dispone che “Le spese di assistenza sanitaria e farmaceutica, degli eventuali interventi chirurgici e quelle di degenza in Istituti ospedalieri o in Case di cura sono a carico della Società per quanto non sia coperto dalle prestazioni del servizio sanitario nazionale.” Quanto al secondo intervento, è pacifico non solo che lo stesso è stato eseguito quando il contratto tra le parti non era più in essere, ma anche che la patologia stessa che l’ha determinato è stata scoperta dopo la cessazione del rapporto contrattuale tra le parti. Ne segue che, anche in questo caso, nessun rimborso appare dovuto dal (...), riguardando tutte le norme richiamate dal ricorrente gli obblighi posti a carico delle società sportive nei confronti dei calciatori loro tesserati.
In ogni caso, non appare ravvisabile alcun nesso di causa tra la condotta tenuta dalla società ed i danni lamentati dal ricorrente. Ciò in quanto Egli stesso riconosce nell’atto introduttivo del giudizio di essersi periodicamente sottoposto a controlli medici e ad esami specialistici (il 23.9.2014, il 4.12.2014, il 20.2.2015, il 12.3.2015), i quali avrebbero certamente evidenziato la necessità di un qualche intervento, se effettivamente sussistente prima della diagnosi di distacco del cercine intervenuta nell’aprile 2015. Inoltre, si deve considerare che, neppure in occasione delle numerose visite cui il ricorrente si è sottoposto nei mesi di aprile e maggio 2015 e degli accertamenti che sicuramente hanno preceduto il primo intervento chirurgico, era emersa l’esistenza della medesima patologia a carico dell’anca destra, poi diagnosticata solo alla fine del 2015. Ne segue che, anche ove la società avesse disposto visite mediche più frequenti, il ricorrente non sarebbe comunque tornato in forma prima di quanto in concreto avvenuto, poichè, da una parte, lo stretto controllo medico cui lo stesso si è sottoposto è garanzia del fatto che sono stati comunque posti tempestivamente in essere tutti gli interventi del caso e, dall’altra parte, la patologia all’anca destra avrebbe comunque portato ad un secondo intervento chirurgico non prima del dicembre 2015, con i conseguenti tempi per la necessaria riabilitazione.
In definitiva, anche la seconda domanda formulata dal ricorrente e relativa al risarcimento dei danni in ipotesi conseguiti all’omessa tutela sanitaria da parte della società è infondata e va rigettata.
- Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dell’attività svolta.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, istanza ed eccezione rigettata e disattesa,
- rigetta il ricorso;
- condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla convenuta, liquidate in euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza. Brescia, 9 marzo 2018.
Il giudice Laura Corazza
1 Cfr. Cass., Sez. L, sent. n. 11751 dell’1 agosto 2003; Cass., Sez. Lav., sent. n. 19182 del 2013; Cass., Sez. U, sent. n. 16044 del 14 novembre 2002; Cass., Sez. Lav., sent. n. 4014 del 20 aprile 1998; Cass., Sez. Lav., sent. n. 4219 del 13 aprile 1995; Cass., Sez. Lav., sent. n. 1937 del 27
gennaio 2011.