CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5020/2018 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5020/2018
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale (…), proposto da Federazione Italiana Giuoco Calcio - Figc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Panama, 58;
contro
OMISSIS , rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Scaparone, Jacopo Gendre e Davide Gatti, con domicilio eletto presso lo studio Luca Di Raimondo in Roma, via della Consulta, 50;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 09144/2017, resa tra le parti, concernente richiesta di condanna della Figc al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in ragione dell’illegittima irrogazione di sanzione disciplinare della squalifica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Fontana Alberto Maria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Letizia Mazzarelli, Luigi Medugno e Davide Gatti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Risulta dagli atti che il sig. OMISSIS, all’epoca dei fatti calciatore professionista, con il ruolo di portiere, nella squadra del OMISSIS Calcio, veniva deferito dalla Procura federale, in data 8 maggio 2012, per l’asserita violazione dell’art. 7, commi 1, 2, 3, 5 e 6, del Codice di giustizia sportiva, in relazione all’incontro di Coppa Italia OMISSIS -OMISSIS tenutosi il 30 novembre 2010.
La vicenda si collocava in un più ampio contesto di indagini sportive che avevano visto coinvolti, nel biennio 2011-2013, vari tesserati per episodi di illecito sportivo collegati all’effettuazione di scommesse sui risultati di gara, alla luce di indagini penali attivate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cremona.
Le indagini compiute portavano all’accertamento dell’esistenza di un’articolata organizzazione internazionale (soprannominata clan degli zingari), operante in concorso con molti calciatori disposti ad assecondarne le finalità criminali.
L’attività investigativa della Procura della Repubblica di Cremona si era giovata, in ordine alla vicenda per cui è causa, del sostegno collaborativo del calciatore OMISSIS, il quale, nel corso di un interrogatorio reso in data 27 dicembre 2011 dinanzi al Pubblico ministero, riferiva di avere appreso che il collega Fontana era stato direttamente coinvolto nella combine del predetto incontro di Coppa Italia OMISSIS -OMISSIS .
All’esito del procedimento disciplinare di prime cure, l’incolpato veniva ritenuto responsabile dell’addebito ascrittogli e sanzionato dalla Commissione disciplinare nazionale con la squalifica per anni 3 e mesi 6 (vedasi C.U. n. 101/CDN del 18 giugno 2012).
Tale sanzione veniva confermata dalle Sezioni unite della Corte di giustizia federale, adita dall’interessato, con decisione pubblicata sul C.U. n. 002/CGF del 6 luglio 2012.
A questo punto Fontana si rivolgeva al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (Tnas, all’epoca organo di ultima istanza del sistema giustiziale sportivo), il quale – con lodo del 19 dicembre 2012 – accoglieva il gravame, disponendo l’annullamento della sanzione.
Nelle more del giudizio arbitrale – e precisamente il 19 luglio 2012 – veniva sottoscritta tra il OMISSIS ed il OMISSIS Calcio un accordo di risoluzione consensuale del contratto allora in essere tra il giocatore e la società, che sarebbe naturalmente venuto a scadenza il 30 giugno 2015.
L’atto di risoluzione contrattuale rinviava alle scritture private sottoscritte tra le parti in data 12 luglio 2012.
Successivamente alla pubblicazione del lodo a lui favorevole, il OMISSIS proponeva ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, al fine di ottenere dalla Figc il risarcimento per equivalente monetario dei danni ingiustamente patiti in conseguenza della descritta vicenda, sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello non patrimoniale.
Sottolineava, in particolare, il comportamento colposo a suo dire tenuto dalla Federazione, così come desumibile dalla motivazione del lodo Tnas, secondo cui la sanzione sarebbe stata inflitta in assenza di obiettive prove a carico del calciatore.
Costituitasi in giudizio, la Figc negava gli addebiti, chiedendo la reiezione del gravame.
Con sentenza 1° agosto 2017, n. 9144, il Tribunale amministrativo del Lazio accoglieva parzialmente il ricorso, condannando la Fgci al risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perdita degli emolumenti conseguente all’anticipata risoluzione del contratto che legava il calciatore alla squadra del OMISSIS Calcio, nonché del danno non patrimoniale conseguente al discredito derivatogli dall’irrogazione della sanzione nell’ambiente calcistico e nei rapporti sociali, avendo cancellato la sua immagine di “calciatore pulito” e di “persona pulita”.
Avverso tale decisione interponeva appello la Fgci, articolato nei seguenti motivi di doglianza:
1) Error in iudicando per errata valutazione, ai fini dell’accertamento dell’illecito civile, delle implicazioni derivanti dagli esiti del percorso giustiziale sportivo complessivamente considerato.
2) Error in iudicando quanto alla individuazione degli elementi integrativi della responsabilità azionata.
3) Error in iudicando sulla identificazione del nesso di causalità.
4) Error in iudicando quanto alla applicazione dell’art. 1227 c.c.
5) Error in iudicando sui criteri di quantificazione del danno.
Costituitosi in giudizio, il sig. OMISSIS eccepiva l’infondatezza del gravame, chiedendone la reiezione; proponeva inoltre appello incidentale avverso i capi della sentenza di primo grado nei quali erano state negate alcune voci di danno da lui richieste con l’introduttivo ricorso.
Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le proprie tesi difensive ed all’udienza del 14 giugno 2018, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente al dettagliato esame dei singoli motivi di appello principale ed incidentale, è opportuno richiamare – per ragioni di sistematicità e chiarezza – le direttrici lungo le quali si svolge il sindacato del giudice amministrativo in materia di risarcimento danni (per equivalente monetario) conseguenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive poi rivelatesi illegittime, come già delineate nel precedente della Sezione n. 3065 del 22 giugno 2017, dal quale non vi sono evidenti ragione per discostarsi, nel caso di specie.
La materia è disciplinata in via generale dal decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280. L’art. 1 (Principi generali), comma 1, afferma: «La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale».
Il successivo comma 2 precisa: «I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo».
Per quanto riguarda l’ambito statuale – dal carattere residuale nel sistema complessivo della giustizia di interesse sportivo – di competenza del giudice amministrativo, l’art. 3 (Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria) dispone: «Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91».
A tale norma fa da pendant l’articolo 133, comma 1, lett. z), Cod. proc. amm. che a sua volta prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti».
Infine, a definire l’ambito esclusivo del giudice sportivo, l’art. 2 d.-l. n. 220 del 2003 riserva «… all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:
a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;
b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive; […]
2. Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo. […]».
I principi generali così espressi recepiscono alcuni criteri individuati, nel tempo, da giurisprudenza e dottrina in tema di rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statuale.
In particolare, l’art. 1 d.-l. n. 220 del 2003 definisce l’ambito di autonomia del primo: ma, essendo comunque quello sportivo un ordinamento infra-statuale, la norma comporta che le sue peculiarità non possono sacrificare le posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale, perché inviolabili o comunque meritevoli di tutela rafforzata in quanto non disponibili.
Si fonda così la clausola residuale di salvaguardia in favore della giurisdizione esclusiva amministrativa, cui compete, se del caso ed entro determinati limiti, il sindacato sull’operato – che è di rilievo pubblicistico – della giustizia sportiva.
Circa gli ambiti e le forme di tutela accordabili dal giudice amministrativo nel suo giudizio di giurisdizione esclusiva, va rilevato come gli competa – a tenore degli artt. 1, 2 e 3 d.-l. n. 220 del 2003 – quanto non è riservato all’autonomia dell’ordinamento sportivo, perché sono coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico generale. Ma, in concreto, può esserne investito – a tenore dell’art. 3 – solo una volta «esauriti i gradi della giustizia sportiva» (Cons. Stato, VI, 14 novembre 2011, n. 6010).
Per Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, è sì infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), e 2, d.-l. n. 220 del 2003 nella parte in cui riserva al giudice sportivo la competenza definitiva sulle controversie riguardanti sanzioni disciplinari non tecniche inflitte ai suoi soggetti, sottraendole al giudice amministrativo, anche se i loro effetti superano l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti ed interessi legittimi, in riferimento agli art. 24, 103 e 113 Cost.. Nondimeno, tali norme vanno interpretate nel senso che se l’atto delle federazioni sportive o del CONI ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, la domanda intesa non alla caducazione dell'atto, ma al conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva: non opera alcuna riserva a favore della giustizia sportiva innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. Sicché il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l'esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari — che è a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno.
In particolare, per la Corte «[…] qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto «diritto vivente» del giudice che, secondo la suddetta legge, ha la giurisdizione esclusiva in materia, è riconosciuta la tutela risarcitoria”.Questa “È sicuramente una forma di tutela, per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione esclusiva), ma non può certo affermarsi che la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall’art. 24 Cost. Nell’ambito di quella forma di tutela che può essere definita come residuale viene, quindi, individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia, una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.”
Conformemente si è orientata la giurisprudenza amministrativa, fermo che anche per tali controversie risarcitorie opera la “pregiudiziale sportiva”: perciò possono essere avviate solo dopo «esauriti i gradi della giustizia sportiva», come prevede l’art. 3 (Cons. Stato, VI, Cons. Stato, VI, 24 gennaio 2012, n. 302; 24 settembre 2012, n. 5065; 27 novembre 2012, n. 5998; 31 maggio 2013, n. 3002, che richiama Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782; Cons. Stato, VI, 20 giugno 2013, n. 3368).
In questo schema, ciò che qui rileva è che, anche se la tutela finisce per essere solo per equivalente monetario, il rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa resta riconducibile a un modello progressivo a giurisdizione condizionata, dove coesistono successivi livelli giustiziali, susseguentisi in ragione di oggetto e natura, più o meno specialistica, delle competenze dell’organo giudicante.
Come è in genere per siffatti sistemi di tutela, la razionalità dell’assetto in progressione comporta che le successive domande di tutela, che hanno per presupposto l’espletamento delle prime, siano informate al principio di sussidiarietà e di economia dei mezzi e siano tra loro coerenti per oggetto, in primis dal punto di vista funzionale: vale a dire per fondamenti della causa petendi. La ragione del domandare giustizia, cioè la prospettazione della lesione di cui si chiede la riparazione o il ristoro, non può che avere la medesima latitudine: pur se, in rapporto al tipo di giudicante e ai suoi poteri, può mutare il formale petitum, cioè la “modalità di tutela giurisdizionale”. Non si può chiedere al livello successivo giustizia per una causa e per un bene della vita diversi da quelli invocati al livello necessariamente presupposto.
Il sistema delle norme sulla giurisdizione dell’art. 3 d.-l. n. 220 del 2003, che prevede la c.d. “pregiudiziale sportiva”, cioè che si può adire il giudice statale solo dopo «esauriti i gradi della giustizia sportiva» (i c.d. rimedi interni), sarebbe privo di coerenza e di dubbia costituzionalità se vi fosse una preclusione di legge ad adire immediatamente il giudice dello Stato per ragioni nuove o diverse da quelle sollevabili nell’obbligatoria sede pregiudiziale.
Si deve a questo punto ricordare che il sistema del diritto sportivo – cui è correlata la funzione giustiziale – è coerente con le premesse e i caratteri impressi allo sport dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sin dalla sua fondazione (come detto l’art. 1 d.-l. n. 203 del 2003 evidenzia che l'ordinamento sportivo nazionale è «articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale»): l’art. 1, comma 2, dello Statuto del CONI, ente pubblico esponenziale dell’ordinamento sportivo, definisce l’istituto come «autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive, intese come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell'individuo e parte integrante dell'educazione e della cultura nazionale».
E’ dunque il supporto dell’attività sportiva, sia individuale che collettiva o nazionale, e non altro, l’obiettivo ultimo dell’ordinamento sportivo, dei suoi assetti organizzativi e delle diverse forme di tutela che vi afferiscono. Ne esulano i rapporti individuali con terzi non intrinseci alle «attività sportive», in primis di carattere economico, che sull’attività sportiva possano, più o meno occasionalmente, venire per motivo contrattuale a innestarsi.
In coerenza con detto art. 1, comma 2, dello Statuto del CONI, è basilare la considerazione che l’ordinamento sportivo – con gli inerenti pubblici approntamenti e investimenti per strutture e per servizi - dagli albori ha i fondamentali nello sport inteso come attività di ricreazione umana (desport, diporto), quand’anche agonistica o praticata in veste professionale; vale a dire di cura del benessere fisico in termini di salute, di formazione della personalità, di educazione alla cooperazione e alla sana e leale competizione: elementi tutti che ineriscono alla dignità della persona umana (e che dunque oggi rilevano ai sensi dell’art. 2 Cost.) e che originano dalla contrapposizione alla tradizionale fatica lavorativa e alla commercializzazione dello sforzo fisico individuale e che proprio per questo sono elevati a oggetto di pubblica cura e intervento. E se la realtà delle cose impone di considerare una «dimensione economica dello sport», questa va comunque conciliata «con la sua inalienabile dimensione popolare, sociale, educativa e culturale» (cfr. art. 2, comma 5, del medesimo Statuto). Si iscrive in quest’ultimo àmbito il c.d. professionismo sportivo, dove l’atleta riceve un compenso in ragione dell’attività agonistica praticata; ne esula l’attività sportiva dilettantistica e in essa il fenomeno del c.d. professionismo di fatto: il quale non spiega dunque effetti riguardo alle federazioni sportive.
Dette caratteristiche generali si riflettono sul perimetro della tutela risarcitoria, che rileva solo come tutela dell’eventuale lesione interna ad un ordinario e corretto sviluppo della “attività sportiva”.
Diversamente, arrivando a voler includere nell’oggetto di questa tutela per equivalente monetario voci per loro natura diverse da quelle proprie di quell’àmbito ed estranee alle dette finalità eminentemente pubblicistiche dell’ordinamento sportivo, si finirebbe per contraddire il rammentato vincolo di strumentalità funzionale che è proprio della giurisdizione condizionata nonché quello di stretta proporzionalità degli strumenti integrati di tutela. E si finirebbe per trasformare l’espressione dello sport in un’ordinaria fenomenologia individuale di mercato dove il sostegno pubblico perderebbe ragione o diverrebbe locupletativo.
Si esulerebbe dalle ragioni di una particolare tutela giurisdizionale pubblica che ha per base espressa quelle dell’organizzazione pubblicistica dell’attività sportiva e la garanzia del suo legittimo funzionamento: il che è quanto giustifica la condizionata giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. z) Cod. proc. amm., che concerne atti – come quelli attorno a cui qui si verte – originati nell’esercizio di attività a valenza pubblicistica. Perciò la particolare giustizia statuale approntata dalla legge corrisponde all’oggetto sostanziale della “giustizia sportiva”: diversamente, non ci sarebbero ragioni per differenziarla da quella, di diritto comune, inerente un qualsivoglia fenomeno lucrativo privato, basato sull’utilizzo di risorse anche materiali private.
Alla luce delle osservazioni che precedono devono quindi valutarsi le doglianze di parte sottoposte all’esame del Collegio.
Con il primo motivo di appello, la Fgic eccepisce che l’inflizione di una sanzione disciplinare, costituendo misura afflittiva passibile di annullamento in seno all’ordinamento da cui promana (ossia attraverso l’esperimento dei rimedi impugnatori all’uopo previsti dall’ordinamento sportivo), può dare luogo ad un illecito civile – suscettibile di tutela giurisdizionale ex art. 2043 Cod. civ. – solamente allorché il sistema dei ricorsi “interni”, complessivamente considerato, si sia dimostrato incapace di assicurare all’interessato una tutela ripristinatoria piena.
Nel caso di specie ciò sarebbe avvenuto per effetto del lodo Tnas (il quale pure avrebbe potuto disporre la sospensione cautelare della squalifica, se solo tale istanza fosse stata coltivata dal ricorrente), che in effetti ha infine annullato la misura sanzionatoria, per insufficienza di prove a carico dell’incolpato: per l’effetto – conclude l’appellante – “la restitutio in integrum della posizione giuridica dell’interessato si è realizzata, con pienezza di risultati, nell’ambito ed in forza dei mezzi di tutela apprestati dall’ordinamento sportivo, volontariamente accettati, nella loro configurazione sistemica, da tesserati ed affiliati in virtù dei vincoli derivanti dall’adesione ai legami associativi”.
Il motivo non è fondato. Invero, lo “scrutinio di merito ancorato ad una visione unitaria dell’architettura complessiva del sistema giustiziale da cui promanano i verdetti disciplinari” ipotizzato dalla Figc, ossia una fattispecie a formazione progressiva il cui “punto di approdo” sarebbe dato dalla decisione di ultima istanza, è evidentemente frutto di una scorretta sovrapposizione tra la responsabilità delle singole Federazioni sportive che di volta in volta vengano ad irrogare sanzioni disciplinari ai propri tesserati e l’eventuale responsabilità del Coni (qui correttamente non dedotta dall’allora ricorrente), in ragione dei provvedimenti conclusivamente adottati dal giudice sportivo (nel caso in esame, il Tnas), nella sua qualità di organo (non della singola Federazione, bensì) del Comitato olimpico nazionale.
Gli organi della giustizia sportiva, infatti, ancorché non svolgenti funzioni giurisdizionali ma, al più, amministrative, devono per statuto porsi in posizione di terzietà ed indipendenza rispetto alle parti della vertenza (ossia gli atleti da una parte e le Federazioni affiliate al Coni dall’altra), il che impedisce di confondere il procedimento amministrativo volto all’adozione della sanzione disciplinare (che inizia con il deferimento dell’atleta da parte della Procura federale e si conclude con l’irrogazione o meno di una misura sanzionatoria) con quello, giustiziale, che prende il via con l’impugnazione di quest’ultima avanti al giudice sportivo e si conclude con la decisione di ultima istanza.
Si tratta cioè di due procedimenti distinti per genesi e per ratio, non di momenti diversi di un’unica fattispecie a formazione progressiva.
In pratica, proprio il fatto che il Tnas abbia disposto l’annullamento della sanzione disciplinare inflitta dalla Figc dimostra l’illegittimità di tale provvedimento e, dunque, il primo presupposto di ordine logico per un’eventuale responsabilità da fatto illecito. Invero, va ricordato che la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'amministrazione – indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso – spettando in tal caso a quest’ultima l’onere di provare l'insussistenza dell’elemento soggettivo di cui trattasi.
Con il secondo motivo di appello la sentenza impugnata viene invece censurata per aver ritenuto sussistenti i presupposti, oggettivi e soggettivi, della responsabilità da fatto illecito in capo alla Federazione: muovendo dalla considerazione che i procedimenti sanzionatori sono governati da una disciplina intesa a garantirne la celerità e la speditezza, attesa la necessità di una rapida definizione dei contenziosi, e che, in ragione di ciò, gli stessi non conoscono il principio di tipicità delle prove, per cui il convincimento dei competenti organi federali ben potrebbe fondarsi anche solo su elementi di riscontro dotati di mera valenza indiziaria, ben potevano questi ultimi attribuire, in buona fede, valore di credibilità alle dichiarazioni (auto ed etero-accusatorie) di un terzo calciatore, rese nel corso di due interrogatori resi dinanzi al G.I.P. ed al P.M. del Tribunale di Cremona e formalmente consacrate in altrettanti verbali, trasmessi alla Procura federale ai sensi della legge n. 401 del 1989.
Per contro, la decisione del Tnas di “demolire” la credibilità di tali dichiarazioni costituirebbe semplicemente frutto di un libero convincimento, “esattamente speculare a quello maturato dai giudici endoassociativi, essendo basato su di una presunzione di credibilità originata da una divergente sensibilità percettiva della statura morale del dichiarante”. Per l’effetto non sarebbe di per sé rivelatrice del fatto che gli organi di giustizia federale abbiano agito contra ius, ossia in violazione di obblighi normativamente sanciti ovvero in difetto della dovuta diligenza.
Ancora, le circostanze di cui sopra e l’obiettiva opinabilità degli specifici riscontri istruttori porterebbero comunque ad escludere il necessario requisito della colpa, essendo perlomeno idonei a fondare la scusabilità del fatto.
Il motivo, ancorché suggestivo, non è fondato.
Invero, prima ancora di porsi il problema della maggiore o minor opinabilità del contenuto delle risultanze istruttorie utilizzate dagli organi della Federazione per fondare addebito e sanzione, occorre innanzitutto chiedersi in cosa queste consistessero.
Risulta dagli atti che si trattava di dichiarazioni rese da un indagato all’autorità giudiziaria in sede di indagini preliminari, riguardanti (oltre a sé medesimo) anche terze persone.
Anche a prescindere dal fatto che l’indagato, in quanto tale, non è tenuto a dichiarare il vero, è dato di comune esperienza che una semplice dichiarazione, neppure circostanziata, non può valere come prova del fatto narrato, essendo necessari ulteriori riscontri, perlomeno (nel giudizio sportivo, non certo in quello penale) di carattere presuntivo.
Nel caso di specie, sembra essere proprio questo il punto fondante la responsabilità della Figc (per negligenza o imperizia e, prima ancora, per violazione della prassi valutativa degli elementi di prova): la presenza di un’unica dichiarazione, del tutto generica, nella quale veniva fatto anche il nome del Ferrara quale partecipante alla combine, senza però associarvi un qualsiasi elemento circostanziato, per quanto minimo, di contestualizzazione (quale ad esempio – come evidenzia il lodo Tnas – “il luogo e la data (almeno indicativa) della spartizione della cifra globale offerta da Gegic; gli altri partecipanti all’incontro spartitorio; la quantità di denaro concretamente percepita dal OMISSIS; le modalità tecnico sportive di alterazione dolosa del risultato; la fonte della conoscenza dell’incontro tra Gegic ed il calciatore Ventola”, etc.).
Detta dichiarazione, inoltre, oltreché non circostanziata era pure priva di qualsiasi riscontro esterno (sempre il lodo Tnas fa l’esempio dell’esistenza di versamenti anomali su conti correnti o depositi bancari, colloqui telefonici tra Ventola e gli altri giocatori, apparecchi cellulari registranti chiamate da o verso soggetti coinvolti, acquisti di beni di lusso ed altro).
In estrema sintesi, per quanto atipici e presuntivi possano essere gli elementi fondanti il convincimento degli organi federali chiamati a governare il procedimento disciplinare, appare radicato nella coscienza comune e nel buon senso, prima ancora che in regole positivizzate di diritto, che tali elementi debbano essere più di uno, perlomeno laddove si sia in presenza di mere dichiarazioni unilaterali di un soggetto terzo (rispetto all’incolpato), a maggior ragione ove relative a fatti di tale gravità quali quelli denunciati.
Sul punto, del tutto condivisibile è la confutazione fattuale operata alle pagg. 19 ss. della sentenza appellata, cui per brevità si rinvia.
Per contro, l’essersi gli organi federali limitati a considerare a priori fondata una singola dichiarazione accusatoria solo perché resa (da un presunto corresponsabile) all’autorità giudiziaria in sede di indagini e da questa (doverosamente) verbalizzata, sia pure in assenza di elementi obiettivi di riscontro, integra gli estremi della colpa in capo all’amministrazione, essendosi proceduto in contrasto a basilari e comuni regole di prudenza, diligenza e perizia, ancorché non formalizzate in un testo normativo.
Con il terzo motivo di appello (numerato 4, per refuso), la Figc impugna la decisione di prime cure nella parte in cui ha ritenuto sussistente il nesso eziologico tra condotta ed evento; in particolare, il prefigurato collegamento tra la sanzione disciplinare annullata dal Tnas e la cessazione dell’attività agonistica del calciatore troverebbe una cesura nel fatto che il OMISSIS Calcio ed il giocatore in realtà avevano risolto consensualmente il contratto di prestazione sportiva, mentre era ancora in corso il procedimento disciplinare.
In effetti, sin dal 12 luglio 2012 (il giorno seguente all’instaurazione del giudizio arbitrale) veniva sottoscritto un accordo tra il OMISSIS ed il OMISSIS Calcio in forza del quale il calciatore veniva escluso dagli allenamenti e rinunciava agli emolumenti a lui spettanti a far data dal 6 luglio 2012 (ossia dalla pubblicazione del C.U. n. 2/CGF); entrambe le parti a loro volta rinunciavano ad esperire le rispettive azioni (risoluzione del contratto, riduzione degli emolumenti, risarcimento del danno, reintegrazione) previste dall’Accordo collettivo di categoria vigente all’epoca dei fatti.
Appena sette giorni dopo (il 19 luglio), con ulteriore accordo, le stesse parti si accordavano quindi per “addivenire alla risoluzione del contratto di lavoro sportivo […] in essere”, con effetti decorrenti “dalla data di deposito del dispositivo inerente il lodo emesso dal TNAS nel procedimento OMISSIS /FIGC instaurato su istanza del calciatore depositata in data 11 luglio 2012”, espressamente specificando che l’eventuale successivo annullamento della sanzione ad opera del Tnas – come poi in effetti avvenuto – non avrebbe in alcun modo potuto interferire con l’autonoma decisione di risolvere il rapporto di lavoro.
Le parti pattuivano anche una buonuscita in favore del OMISSIS – a titolo di incentivo all’esodo – di euro 195.000,00 netti, anche qui indipendentemente dall’esito del giudizio appena instaurato dinanzi al collegio arbitrale del Coni ed a prescindere dalla sanzione irrogata al OMISSIS.
Il motivo è in parte fondato, nei termini che di seguito si precisano.
La tesi difensiva di parte appellata, fatta propria dal giudice di prime cure, è che la risoluzione anticipata del contratto fosse di fatto una scelta obbligata per il OMISSIS, a fronte della possibilità per il OMISSIS Calcio di liberarsi senza oneri del vincolo contrattuale (avvalendosi del rimedio riconosciutole dall’art. 11 del contratto collettivo di categoria) e dell’alea connotata ad un’eventuale successiva azione risarcitoria e di reintegrazione. Non si sarebbe dunque trattato di un libero accordo tra le parti ma – almeno dal punto di vista del calciatore – di una scelta di fatto obbligata per contenere i danni.
Sul punto, la sentenza impugnata così motiva: “È un dato risultante per tabulas che la squalifica abbia determinato la risoluzione del rapporto contrattuale in corso tra il OMISSIS Calcio e l’odierno ricorrente, avente quale scadenza naturale il 30.6.2015. La risoluzione del rapporto contrattuale è datata 19.7.2012, ma con decorrenza dalla data di deposito del dispositivo del lodo emesso dal Tribunale nazionale di Arbitrato per lo Sport nel procedimento azionato dal Sig. OMISSIS con istanza depositata l’11.7.2012.
Essa fa riferimento a due scritture private sottoscritte tra le parti in data 12.7.2012.
Nella scrittura privata datata 12.7.2012 depositata in giudizio dal ricorrente si legge, al punto 9), che il comportamento allo stesso ascritto integra il presupposto che “legittima la Società titolare del rapporto di lavoro a disporre in via provvisoria il provvedimento disciplinare dell’esclusione del calciatore dalla preparazione e dagli allenamenti con la prima squadra nonché ad adire contestualmente il Collegio arbitrale presso la LNP B affinché tale provvedimento venga ratificato e disposto in via definitiva per l’intera durata del periodo di squalifica ed al fine di ottenere la risoluzione del contratto in essere ovvero, in via subordinata, la riduzione della retribuzione”. Al successivo punto 10), la Società ha dichiarato di voler “esercitare le facoltà di cui al punto 9 che precede”, facendo poi presente, al punto 11, di aver “formalmente contestato gli addebiti risultanti a carico del calciatore dai provvedimenti” della Commissione Disciplinare Nazionale e della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C., mentre il Sig. OMISSIS ha dichiarato “la propria innocenza rispetto alle violazioni ascritte”, comunicando di non voler ammettere la propria colpevolezza, seppure riconoscendo la sussistenza del presupposto che legittimerebbe la Società ad irrogare la sanzione dell’esclusione dalla preparazione e dagli allenamenti della Prima Squadra nonché ad adire contestualmente il Collegio Arbitrale per ottenere la risoluzione del contratto.
L’atto di risoluzione contrattuale richiama ulteriore scrittura privata sempre del 12.7.2012, nella quale le parti avrebbero manifestato l’intenzione di addivenire a risoluzione del contratto di lavoro.
Nonostante il carattere bilaterale dell’atto che pone fine al rapporto contrattuale, è evidente che esso risulta motivato e giustificato unicamente con riguardo alla sanzione disciplinare de qua, senza la quale avrebbe continuato ad essere valido ed efficace. In altre parole, anche se formalmente il Sig. OMISSIS ha dichiarato il proprio consenso alla risoluzione contrattuale, in realtà ha dovuto subire il venir meno del rapporto in essere con il OMISSIS Calcio per l’unica ragione rappresentata dalla squalifica come calciatore.
È quindi evidente il nesso causale che lega lo scioglimento del vincolo contrattuale al comportamento colpevole degli organi federali, costituito dall’inflizione e conferma in secondo grado della sanzione disciplinare in parola”.
Ritiene il Collegio che, se pure il primo giudice ha correttamente messo in evidenza il nesso causale intercorrente tra la squalifica subita dal OMISSIS ed il venir meno del rapporto contrattuale con la squadra di appartenenza, purtuttavia non ha considerato l’incidenza di un ulteriore fattore che – sia pure non idoneo, da sé solo, ad interrompere il predetto nesso causale, ovvero ad integrare una causa da sola idonea a giustificare la risoluzione del rapporto – è verosimile abbia avuto comunque un ruolo determinante nello spingere le parti ad accordarsi per il contemperamento di interessi di cui trattasi.
Tale elemento, se pure non appare in grado, come già detto, di interrompere il nesso causale accertato in sentenza, pur tuttavia – in quanto concausa rilevante – comporta delle conseguenze in relazione al quantum della liquidazione del danno.
Si tratta, in particolare, della circostanza che l’atleta era ormai prossimo al compimento dei quaranta anni di età, laddove la soglia dei 35-40 anni è, statisticamente, la massima ipotizzabile per la conclusione dell’attività agonistica di un calciatore, in ragione del forte logorio fisico che la stessa comporta. Non a caso, del resto, successivamente all’annullamento della sanzione da parte del Tnas, il Ferrara ha comunque posto fine alla propria attività di calciatore, intraprendendo quella di procuratore sportivo.
Nonostante la circostanza fosse stata a suo tempo evidenziata dalla Figc (pag. 15 della memoria difensiva a data 29 maggio 2017), la sentenza appellata non ne fa menzione, neppure per respingerla. Per contro, non può dirsi palesemente infondato quanto dedotto dell’appellante, per cui l’accordo risolutivo rispondeva anche all’esigenza di annullare il rischio che la possibile successiva assoluzione del calciatore potesse costringere, da una parte, la società ad adempiere un contratto divenuto troppo oneroso a cagione della ormai ridotta utilizzazione dell’atleta alla soglia dei 40 anni e, dall’altra, consentire a quest’ultimo di vedersi riconosciuto un cospicuo incentivo all’esodo e la concorrente possibilità – come in effetti avvenuto – di rivalersi nei confronti della Federazione.
Ciò trova ulteriore conforto alla luce del regolamento di interessi (provvisorio) di cui alla precedente scrittura (tra le parti) del 12 luglio 2012, la quale – nel caso in cui il Tnas avesse concesso la sospensiva inizialmente richiesta – da un lato avrebbe continuato a precludere al calciatore la possibilità di essere riammesso in squadra (vi era infatti espressa rinuncia dell’interessato in tal senso), ma non avrebbe per contro ulteriormente esonerato la squadra dall’obbligo di riprendere a corrispondergli gli emolumenti, la cui erogazione era stata solo sospesa.
Vi era dunque un ulteriore, pressante interesse delle parti ad addivenire ad una definitiva chiusura del rapporto prima della definizione della vicenda sanzionatoria da parte del Tnas.
Con il quarto motivo di appello viene dedotta la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti di applicabilità dell’art. 1227 Cod. civ., in quanto il comportamento tenuto dal Ferrara avrebbe concorso alla causazione del danno da questi lamentato, perlomeno quello di carattere patrimoniale.
L’aver concordato in separata sede (e nei termini di cui si è detto) la risoluzione anticipata del contratto in essere con il OMISSIS Calcio, avrebbe infatti automaticamente reso irrilevanti gli esiti del giudizio arbitrale, quanto alla possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro, tanto più avendo rinunciato in limine all’invocata misura cautelare da parte del Tnas.
Il motivo non appare fondato, anche per quanto riguarda la rinunzia alla tutela cautelare.
Come già detto, non è revocabile in dubbio che la vicenda disciplinare addebitabile alla Figc abbia avuto un ruolo determinante nella decisione delle parti di giungere ad una risoluzione anticipata del rapporto, scelta de facto in larga parte subita dal Ferrara ed alla quale può essere attribuita, quanto ai concreti risultati perseguiti, una finalità transattiva.
Invero, a fronte di una pesante squalifica, originata sì da un’incolpazione per nulla pacifica quanto ad elementi di riscontro, ma relativa pur sempre ad un giocatore comunque ormai prossimo al fine carriera, entrambe le parti avevano evidenti e contrapposti interessi a definire consensualmente la vertenza, in quanto sicuramente la soluzione “giudiziale” sarebbe stata estremamente pesante per una di loro: sia per il OMISSIS Calcio, tenuto in caso di annullamento a conservare un giocatore ormai attinto, agli occhi dei tifosi e degli sponsor, dalla macchia del cd. calcio scommesse; dall’altra il Ferrara, che in caso di reiezione del ricorso ad opera del Tnas (dopo due gradi di giudizio a lui sfavorevoli) avrebbe rischiato seriamente di perdere tutto, senza che la società di appartenenza fosse tenuta a corrispondergli alcunché.
L’alea che giustificava il ricorso al componimento privato degli interessi era data dall’incertezza della res iudicanda, ancor più innanzi ad organi giudicanti non professionisti.
Non può quindi imputarsi al Ferrara un concorso di colpa nella causazione del danno per aver fatto ricorso ad un accordo stragiudiziale, dal momento che presumibilmente quest’ultimo rappresentava – nel caso concreto ed in base alle conoscenze delle parti in quel momento – l’unica reale possibilità di “salvare il salvabile”, atteso che nessuna delle parti in causa avrebbe obiettivamente potuto predire l’esito del giudizio arbitrale.
Neppure la scelta di rinunciare all’istanza cautelare appare, alla luce di tali premesse, idonea ad integrare i presupposti dell’art. 1227 Cod. civ.: in effetti, se la sua proposizione ben può aver rappresentato uno sprone nei confronti del OMISSIS Calcio per giungere ad un accordo (come sembrerebbe ipotizzare l’appellante), la sua utilità in tal senso sarebbe venuta meno una volta raggiunto tale obiettivo, laddove la scelta di insistere nella relativa istanza avrebbe potuto a tal punto sortire anche effetti disastrosi, nel caso in cui la sospensione avesse dovuto essere alla fine negata.
Con il quinto motivo di appello vengono invece censurati i criteri di quantificazione del danno adoperati dal giudice di prime cure, computando – quanto al danno patrimoniale – i compensi dovuti all’interessato sino alla scadenza naturale del contratto, comprensivi degli emolumenti spettanti dal 5 luglio 2012 al 30 giugno 2015. Il tutto previa detrazione della somma in concreto corrisposta al giocatore, a titolo di incentivo all’esodo, di 195.000,00 euro, sottraendo altresì una quota percentuale dei compensi percepiti dal OMISSIS in ragione dell’attività di agente di calciatori intrapresa dall’interessato dopo la risoluzione consensuale del contratto di prestazione sportiva con il OMISSIS .
Il primo giudice ha infatti ritenuto che i proventi derivanti da “questa nuova e diversa attività lavorativa” (per gli anni di residua durata del precedente rapporto con il OMISSIS Calcio) non varrebbero “a cancellare il danno determinato dalla risoluzione contrattuale, pur avendo influenza sulla entità del danno risarcibile”.
Ad avviso dell’appellante, non sarebbe corretto l’automatico riconoscimento in favore del calciatore degli importi previsti dal contratto di lavoro sino alla sua naturale scadenza, essendo venuta meno la fonte negoziale di tali debenze a seguito della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
In merito poi al danno non patrimoniale, non vi sarebbe prova in atti del fatto che l’attenzione dedicata dagli organi di informazione alla vicenda si sia concentrata sui suoi aspetti disciplinari e non, piuttosto, sul clamore suscitato dalle indagini svolte sul versante penale dalla Procura della Repubblica di Cremona.
La doglianza è parzialmente fondata, per le ragioni e nei termini già individuati in relazione al terzo motivo di appello.
Sotto un profilo di carattere generale, va detto che entrambe le voci di danno riconosciute in sentenza – ossia il danno patrimoniale cagionato dal venir meno degli emolumenti corrisposti dalla società di calcio ad uno sportivo professionista ed il danno all’immagine della sua integrità di sportivo – sono di per sé risarcibili alla luce delle linee guida enunciate nella prima parte delle motivazioni in diritto.
Ciò detto quanto all’ammissibilità dell’azione risarcitoria, ritiene il Collegio che il calcolo del danno patrimoniale operato in sentenza non sia corretto, non tenendo in alcun conto – in favore della Federazione odierna appellante – la circostanza che le parti erano presumibilmente giunte alla determinazione di risolvere il rapporto nei termini concordati tenuto altresì conto del fatto che la carriera del OMISSIS doveva ormai considerarsi sostanzialmente conclusa per raggiunti limiti di età.
E’ infatti verosimile, alla luce delle allegazioni processuali e della stessa mancata contestazione – sul punto – da parte dell’appellato/appellante incidentale, ritenere che l’accordo di risoluzione abbia altresì “monetizzato” quest’ultimo elemento, consentendo al giocatore – nell’incertezza circa l’esito del lodo arbitrale – di ridurre l’impatto, in suo danno, di una ormai ridotta “spendibilità agonistica” (per mere ragioni anagrafiche) sulle condizioni pattuite della risoluzione.
La quantificazione del minor danno patrimoniale derivante dall’incidenza di tale elemento non può essere operata sulla base di parametri certi e predeterminati, ma solamente equitativi, che il Collegio ritiene plausibile individuare, anche in assenza di eventuali prassi sportive e/o commerciali individuate dalle parti, in una percentuale pari al 5% dell’incentivo netto all’esodo (ossia l’importo la cui determinazione finale sarebbe stata influenzata anche da detto elemento), per un totale di euro 9.750,00.
Per quanto invece concerne la censura relativa all’incompatibilità dell’attività di agente con quella di calciatore, la stessa non pare accoglibile per genericità (non essendo tra l’altro adeguatamente chiarito e documentato dall’appellante lo status del già calciatore OMISSIS, una volta intrapresa la nuova attività di agente). Né potrebbe essere accolta quale censura contro un’errata applicazione delle regole della compensatio lucri cum damno, atteso che il primo giudice, sul punto, ha dichiaratamente operato un calcolo di tutt’altra natura, di tipo equitativo.
In relazione infine al danno non patrimoniale, ritiene il Collegio che, se pure è vero che non risulta prodotta in atti – ad opera dell’allora ricorrente OMISSIS – la prova documentale di una specifica attenzione dedicata dagli organi di informazione alle sue vicende disciplinari, è pur vero che un danno di tale natura può comunque essere ragionevolmente ritenuto – secondo il principio presuntivo dell’id quod plerumque accidit – una volta comunque associati ad una vicenda illecita di ampia rilevanza mediatica, quale quella a monte dell’incolpazione disciplinare.
Venendo ora all’appello incidentale proposto da OMISSIS, lo stesso ha ad oggetto tre aspetti della decisione di primo grado: 1) la detrazione dall’importo del risarcimento del danno patrimoniale, corrispondente alla mancata percezione dei compensi previsti dal contratto risolto (pari ad euro 145.000,00), del 70% degli introiti netti percepiti dall’attività di procuratore sportivo; 2) il mancato riconoscimento del danno per la perdita della possibilità di proseguire il rapporto contrattuale con il OMISSIS Calcio s.p.a. dopo la scadenza del contratto 2012/2015; 3) la quantificazione del danno non patrimoniale in una misura percentuale (5%) del danno patrimoniale.
Circa il primo punto, erroneamente il primo giudice avrebbe fatto applicazione del principio dell’aliunde perceptum ad un’ipotesi di risarcimento del danno extracontrattuale, in quanto contrasterebbe con il principio dell’integrale ristoro del pregiudizio (patrimoniale e non) subìto.
Del resto, l’istituto opera principalmente nelle ipotesi di licenziamento illecito. Né potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie, la compensatio lucri cum damno, la quale presuppone che il processo causale del danno e del beneficio sia unico, nel senso che la stessa condotta illecita deve provocare direttamente le conseguente sia negative sia positive.
Il motivo non è fondato.
Va in primo luogo evidenziato che la distinzione teorica operata dall’appellante incidentale non trova riscontro nella sentenza impugnata, laddove viene semplicemente operato un ragguaglio di carattere equitativo tra la perdita economica conseguente al venir meno degli introiti che in condizioni ordinarie sarebbero starti corrisposti sino al 30 giugno 2015 dal OMISSIS Calcio in ragione del preesistente rapporto lavorativo e quanto invece percepito, nello stesso periodo, dall’ex-calciatore nella sua nuova qualità di agente, attività che peraltro presupponeva, per poter essere legittimamente esercitata (e, dunque, consentire la percezione di un utile) la cessazione di quella precedentemente svolta. Cessazione che, alla luce degli atti di causa, va data per presunta, in assenza di documentate contestazioni sul punto.
A rigore, invero, l’applicazione degli istituti richiamati dall’appellante incidentale avrebbe comportato l’integrale sottrazione degli importi percepiti nella veste di agente (come del resto richiesto dall’appellante Figc) e non solamente una loro quota percentuale, ancorché elevata.
Ciò premesso, ritiene il Collegio, ad ogni buon fine, che nel caso di specie comunque si sarebbero verificati anche i presupposti della compensatio lucri cum damno, unica essendo la causa che ha determinato il venir meno del rapporto lavorativo con la società calcistica e dei correlati emolumenti e, contestualmente, la possibilità di intraprendere la nuova attività di agente, con conseguenti guadagni.
L’istituto in esame, va ricordato, assolve ad una tipica funzione compensativa, mirando a ristabilire – unitamente ai principi delineati negli artt. 1223, 1225 e 1227 Cod. civ. – nella sua integralità la condizione patrimoniale antecedente alla provocazione del danno. In altri termini, mira a garantire che il danneggiato, nel risarcimento del danno, non riceva né più e né meno di quanto sia necessario a ristorare quest’ultimo.
Il fatto, però, che il primo giudice non abbia fatto applicazione di tale principio, bensì abbia diversamente operato una valutazione prettamente equitativa spiega anche il correlato rigetto – sul punto – del quinto motivo dell’appello principale.
Con il secondo motivo viene invece contestato il mancato riconoscimento del danno (patrimoniale) da perdita di chance relativo alla perdita della possibilità di rinnovo del contratto da dirigente con la società OMISSIS Calcio s.p.a.
Anche questo motivo non è fondato. Correttamente, infatti, il primo giudice ha preso atto che la presunta (passata) intenzione dei vertici del OMISSIS Calcio di assumere il OMISSIS quale dirigente – con contratto quadriennale – una volta venuto a naturale scadenza il precedente rapporto lavorativo calcistico era oggetto di semplice affermazione indimostrata del ricorrente.
Da un lato, infatti, il contenuto di articoli di giornale (la cui paternità è al più riferibile al giornalista che li scrive, non certo alle persone cui si riferisce) non può in alcun modo assumere il ruolo di un principio di prova in danno o a favore di queste ultime, tanto più ove riferito alla futura stipula di contratti per i quali è prevista la forma scritta; dall’altro il semplice riferimento a dichiarazioni rimaste pur sempre – ove effettivamente avvenute (il che neppure è provato) – a livello di mere intenzioni, certo non assolve l’onere probatorio che compete a chi agisca per responsabilità ex art. 2043 Cod. civ.
Premessa l’inutilità del suo esperimento ai fini della decisione, solo per completezza va detto che neppure potrebbe trovare accoglimento l’istanza istruttoria volta all’ammissione di prova testimoniale, che si palesa inammissibile per genericità dei capitoli dedotti, tra l’altro pure valutativi (il primo ed il terzo) ed ipotetici (il secondo), o comunque relativi a circostanze da provarsi in via documentale (il primo).
Con il terzo motivo di appello incidentale, infine, viene dedotta l’erroneità del criterio di valutazione equitativa applicato per il danno non patrimoniale all’immagine del calciatore, quale percentuale del danno patrimoniale: ciò infatti contrasterebbe con la piena autonomia riconosciuta dalla giurisprudenza alla prima categoria di danno rispetto alla seconda.
Nel caso di specie, poi, avendo il primo giudice – ad avviso dell’appellante – applicato la regola della compensatio lucri cum damno nel liquidare il danno patrimoniale, l’effetto sarebbe ancor più distorsivo: “Se OMISSIS – situazione in concreto non verificata – avesse ricavato dalla propria attività di procuratore sportivo somme assai superiore all’importo corrispondente ai mancati introiti per il contratto risolto dal OMISSIS Calcio spa a causa della sanzione sportiva poi annullata dal TNAS, lo stesso non avrebbe ricevuto nulla a titolo di danno all’immagine ancorché lo stesso è stato accertato come esistente”.
Anche questo motivo non può trovare accoglimento.
Premesso, come già detto, che la liquidazione del danno patrimoniale è stata (dichiaratamente) operata dal primo giudice in via equitativa (pro quota) e non applicando i parametri aritmetici (totalitari) della compensatio, va detto che il danno all’immagine, essendo stato anch’esso stimato in via equitativa, in assenza di parametri quantitativi certi cui ancorarlo, solo per meri e contingenti fini di calcolo è stato “riferito” dal primo giudice al danno patrimoniale, non certo per assimilarvelo quanto a natura e finalità.
Circa poi la questione della presunta irrisorietà dello stesso, va detto che la cifra indicata dall’appellante incidentale – ossia 300.000,00 euro – non viene in alcun modo giustificata nel suo importo, limitandosi lo stesso a definirla “congrua”. Il che preclude al giudice dell’appello un ricalcolo della stessa, non essendo stata in realtà dedotto alcun profilo di obiettiva erroneità o contraddizione nel ragionamento seguito dal primo giudice.
Contraddizione che non può rinvenirsi nella dedotta “sproporzione tra l’importo del risarcimento e le parole contenute nella sentenza”, laddove quest’ultima ricorda che “l’eco mediatica che ne è derivata, ha comportato un gravissimo discredito nell’ambiente calcistico e nei rapporti sociali, avendo cancellato la sua immagine di “calciatore pulito” e di “persona pulita”, come sempre avviene in casi come quello qui in rilievo […]”.
In particolare, la presunta perdurante “etichettatura” del calciatore come “in qualche modo implicato […] nella vicenda delle partite truccate” è in realtà solamente asserita ma mai documentata, anche quanto a presunte opportunità lavorative o sociali venute meno per effetto del ricordo di tale precedente, laddove per contro – come eccepito dalla Figc – lo stesso risulta aver avuto notevole successo sempre in ambito calcistico, nel suo nuovo ruolo, circostanza che mal si concilia con quanto sopra.
Conclusivamente, alla luce dei precedenti rilievi l’appello principale va parzialmente accolto, nei sensi di cui in motivazione, mentre l’appello incidentale va respinto.
Rileva il Collegio che la complessità della vicenda sottoposta al suo esame e la relativa novità di alcune delle questioni trattate, oltre alla parziale soccombenza reciproca delle parti, giustifichi l’integrale compensazione, tra queste ultime, delle spese di lite del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei termini di cui in motivazione, per l’effetto riducendo di euro 9.750,00 – in riforma dell’impugnata sentenza – l’ammontare del danno patrimoniale da risarcire a carico della Figc.
Respinge l’appello incidentale proposto da OMISSIS.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere, Estensore
Angela Rotondano, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere