CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5671/2019 Pubblicato il 12/08/2019 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5671/2019

Pubblicato il 12/08/2019

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale (…), proposto da OMISSIS (ora OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova, Fabio Ferraro, Anna Marcantonio e Daniela Agnello, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonella Terranova in Roma, via Vincenzo Bellini 24;

OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto A. Jacchia, Daniela Agnello, Fabio Ferraro, Anna Marcantonio, Antonella Terranova, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonella Terranova in Roma, via Vincenzo Bellini 24;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12;

nei confronti

OMISSIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Anna Romano, Roberto Baratta, Roberto Mastroianni, Sergio Fidanzia, Angelo Gigliola e Filippo Arturo Satta, con domicilio eletto presso lo studio Satta Romano & Associati in Roma, Foro Traiano, 1/a;

OMISSIS s.p.a., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione II, 21 aprile 2016, n. 4651, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e della OMISSIS s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2019 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Daniela Agnello, Fabio Ferraro, Antonella Terranova, Anna Romano, Sergio Fidanzia, Angelo Gigliola, Roberto Baratta e dello Stato Del Fante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.La società OMISSIS (ora OMISSIS), registrata nel Regno Unito, e la OMISSIS, sua controllata con sede in Malta (di seguito congiuntamente OMISSIS), autorizzate all’esercizio di giochi e scommesse in numerosi Stati membri e attive anche in Italia nel settore delle scommesse sportive, propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma, II, 21 aprile 2016, n. 4651 che ha respinto “perché infondato” il ricorso per l’annullamento degli atti della “procedura di selezione aperta per l’affidamento in concessione del servizio del gioco del Lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa”, indetta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (successore ex lege dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) con bando di gara pubblicato sulla G.U.R.I. n. 150 del 21 dicembre 2015, in attuazione dell’art. 1, comma 653, della legge 23 dicembre 2014 n. 190 (recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” - c.d. legge di stabilità 2015).

1.1. Con quest’ultima disposizione - di cui le società ricorrenti chiedevano, altresì, la previa disapplicazione “ove occorra”- il legislatore aveva, infatti, in vista della scadenza della concessione vigente, demandato all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito “ADM”) il compito di indire e aggiudicare la gara per l’affidamento della nuova concessione avente ad oggetto la gestione del servizio del gioco del Lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa, “per la sua raccolta sia attraverso la rete dei concessionari di cui all’art. 12 della legge 2 agosto 1982, n. 528 e successive modificazioni, (…)sia a distanza”.

1.2. In particolare, la richiamata disposizione normativa (della quale le ricorrenti, per quanto più diffusamente si dirà, prospettavano il contrasto sia con i principi eurounitari di libertà di stabilimento e proporzionalità sia con quelli costituzionali di uguaglianza, libertà di iniziativa economica, libertà di concorrenza) aveva previsto che la gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa fosse affidata in concessione aggiudicata da ADM “nel rispetto dei principi e delle regole europee e nazionali, ad una qualificata impresa con pregresse esperienze nella gestione o raccolta di gioco con sede legale in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, munita di idonei requisiti di affidabilità morale, tecnica ed economica, scelta mediante procedura di selezione aperta, competitiva e non discriminatoria”.

1.3. Nel contempo con la norma citata il legislatore aveva stabilito le seguenti condizioni essenziali della procedura in esame: a) la durata prevista della concessione era fissata in nove anni, non rinnovabili; b) il compenso per il concessionario era individuato nell’aggio del 6 per cento della raccolta di gioco; c) il criterio dell’aggiudicazione era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; d) quanto alla componente prezzo, la base d’asta, per le offerte al rialzo, era pari ad euro 700.000.000, da versarsi da parte dell’aggiudicatario in tre tranches secondo la tempistica e nella misura ivi stabilita.

1.4. In attuazione dell’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 ADM aveva dunque pubblicato (sulla G.U.U.E. del 17 dicembre 2015 e sulla G.U.R.I. del 21 dicembre 2015) il bando di gara e l’annesso schema di convenzione per l’affidamento della concessione de qua: essa aveva ad oggetto il servizio del gioco del Lotto automatizzato e degli altri giochi a quota fissa anche con partecipazione a distanza, nonché “degli ulteriori giochi numerici a quota fissa, anche con partecipazione a distanza, che l’ADM riterrà in qualsiasi momento di commercializzare per mezzo della rete distributiva” (in base alla previsione di cui all’art. 2.1 del Capitolato).

1.5. Ai fini che qui rilevano per la comprensione delle complesse questioni sottese alle censure formulate dalle appellanti, giova sin d’ora richiamare le previsioni di maggiore interesse stabilite dal bando di gara per regolare la procedura in oggetto.

1.5.1. Il punto 5.3. del capitolato d’oneri (di seguito “il Capitolato”) prevedeva, quale requisito di capacità economica e finanziaria, il conseguimento, nel triennio 2012/2014 o nel triennio 2013/2015, di un fatturato complessivo connesso alle attività di gestione o raccolta del gioco pari ad almeno euro 100.000.000.

1.5.2. Il punto 5.4 del Capitolato prevedeva, quali requisiti di capacità tecnica: a) la raccolta di gioco pari ad almeno euro 350.000.000 (“relativamente a tipologie di giochi effettuati tramute terminali di gioco”) nei medesimi trienni alternativamente indicati (ovvero una raccolta proporzionalmente rapportata all’effettivo periodo, nel caso di candidato operante nel settore da meno di tre anni, ma da almeno diciotto mesi); b) il possesso della certificazione di qualità dei sistemi di gestione aziendale conforme alle norme UNI EN ISO 9001:2008 e sui sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni conforme alla norma ISO IEC 27001.

1.5.3. La lex specialis prevedeva, altresì, un requisito specifico per partecipare alla gara costituito dalla pregressa esperienza nella gestione o raccolta di gioco sulla base di un valido ed efficace titolo abilitativo in uno degli Stati dello Spazio Economico Europeo.

1.6. L’offerta economica (ai sensi del punto 12.4 del Capitolato) consisteva “nell’offerta al rialzo sull’importo minimo a base d’asta previsto in € 700.000,00; le offerte al rialzo dovranno essere formulate con importo minimo di € 3.000.000,00 (euro tremilioni/00), come precisato nelle istruzioni contenute nell’allegato”.

1.6.1. Il punto 15.3 del Capitolato prevedeva l’aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con attribuzione di un punteggio massimo pari a 100 punti, così articolato: fino ad un massimo di 30 punti, riferito all’offerta tecnica secondo le regole indicate nel capitolo 17 del Capitolato; fino ad un massimo di 70 punti, riferito all’offerta economica secondo le regole indicate nel capitolo 18 del Capitolato.

1.7. Il punto 11 del Capitolato richiedeva anche di presentare un piano di investimenti, un progetto organizzativo e un progetto di sviluppo, redatti secondo le istruzioni contenute nell’Allegato B; mentre il punto 13 del Capitolato prevedeva che il candidato fosse tenuto a presentare una garanzia provvisoria di € 5.000.000,00 con impegno a portarla ad € 40.000.000 in caso di aggiudicazione.

1.8. La legge di gara prevedeva, inoltre, la facoltà, per i concorrenti, di fare ricorso all’avvalimento (cfr. punto 5.5. del Capitolato) ovvero alle diverse forme di partecipazione in forma aggregata (punto 4.1 del Capitolato).

1.9. Altra previsione di rilievo ai fini che qui interessano (sulla quale pure si appuntavano le critiche delle società ricorrenti) era poi quella contenuta nell’art. 22.1 dello Schema di Convenzione in base alla quale “Al termine del periodo di concessione, il concessionario devolve ad ADM, senza alcun onere a carico della stessa e a sua richiesta, tutti i beni materiali e immateriali che costituiscono la rete costituita dai punti di raccolta fisici nonché laproprietà dell’intero sistema automatizzato, comprensivo della disponibilità dei locali, delle apparecchiature, ivi compresi i terminali presso tutti i punti di raccolta, degli impianti, delle snellire dei programmi degli archivi e di quanto altro occorre per il completo funzionamento, gestione e funzionalità del sistema stesso risultante dell’ultimo inventario approvato da ADM; tali beni al momento della devoluzione devono essere liberi da diritti e pretese di terzi”.

1.9.1. A tale specifico riguardo, l’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 prevedeva, tra le condizioni essenziali, l’obbligo del concessionario di aggiornamento tecnologico del sistema della rete e dei terminali di gioco “secondo standard qualitativi che garantiscano la massima sicurezza ed affidabilità, secondo il piano di investimento che costituisce parte dell’offerta tecnica”.

2. Le società OMISSIS, sostenendo che le misure introdotte dal legislatore prima, con la disciplina normativa in esame, e da ADM poi, con gli atti della procedura, pur formalmente volte a garantire l’apertura del mercato nel settore dei giochi in questione, in sostanza avessero introdotto gravi restrizioni e asimmetrie in danno degli operatori di minori dimensioni, impugnavano, dinanzi al Tribunale amministrativo, oltre al bando, i seguenti atti di gara: a) il nomenclatore unico delle definizioni; b) il capitolato d’oneri con i relativi allegati; c) il capitolato tecnico con l’allegato tecnico; d) lo schema di atto di convenzione; e) l’allegato I- livelli di servizi e penali; f) la nota dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli del 22 dicembre 2015, con la quale era stata riscontrata negativamente la nota di parte ricorrente dell’11 dicembre 2015; g) tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.

2.1. Le esponenti premettevano che la gestione del gioco del lotto inerisce a due tipi di concessioni, quella per la raccolta delle giocate, riservata esclusivamente ai rivenditori dei generi di monopolio (i tabaccai) sulla base del modello a più concessionari (c.d. multiproviding non esclusivo), e quella per i servizi di estrazione, collegamento e automazione, affidata in via diretta alla società OMISSIS s.p.a., sino all’indizione della gara oggetto della controversia: gara alla quale le società ricorrenti, pur avendo i requisiti di fatturato e possedendo l’esperienza e la capacità tecnica per candidarsi seriamente alla gestione del servizio, non avevano inteso partecipare (in quanto assumevano che le previsioni della lex specialis avrebbero reso impossibile e, comunque, inutile la presentazione di un offerta) e di cui perciò domandavano in via principale l’annullamento.

2.2. Le società OMISSIS chiedevano, infatti, la rimozione delle misure, asseritamente discriminatorie e distorsive, adottate da ADM con la lex specialis della procedura in questione: e, per un verso, contestavano la scelta di indire la gara secondo il c.d. modello monoproviding esclusivo che, insieme alla previsione di elevatissimi e irragionevoli requisiti speciali, avrebbe escluso dalla procedura medesima le ricorrenti e molti altri operatori del settore, riservando di fatto la partecipazione alla gara alla sola concessionaria uscente (la OMISSIS s.p.a.) o, al più, ad un ristretto numero di operatori di dimensioni straordinariamente elevate; per altro verso, paventavano che la lex specialis della nuova gara, mediante la previsione di clausole escludenti (sulla cui legittimità aveva espresso perplessità, evidenziandone le criticità, anche il Consiglio di Stato nel parere n. 878 del 28 ottobre 2015), fosse costruita “su misura” per la concessionaria uscente (che oltretutto aveva già beneficiato per un ventennio dell’affidamento diretto della concessione e del suo rinnovo tacito, in virtù dell’allora controversa possibilità di affidare concessioni traslative di pubblici poteri senza procedura concorsuale).

Le ricorrenti affermavano la propria legittimazione a ricorrere sostenendo che, sebbene disponessero dei requisiti di fatturato (avendo un fatturato di 500 milioni annui) e di raccolta, nonché della capacità tecnica ed esperienza richiesti dalla lex specialis e non avessero però partecipato alla gara, avevano, tuttavia, manifestato in più occasioni un concreto interesse all’aggiudicazione del servizio del gioco del lotto ad ADM, chiedendole (con nota dell’11 dicembre 2015) di riconsiderarne complessivamente l’impianto quanto alla scelta del modello monoproviding, a taluni requisiti di qualificazione escludenti, alla devoluzione gratuita della rete alla scadenza della concessione: la decisione di non partecipare alla competizione sarebbe stata, pertanto, determinata dal convincimento che, da un lato, il modello monoproviding, del quale si contestava in radice l’adozione per l’assegnazione dei servizi di estrazione, collegamento e automazione oggetto della presente gara, restringeva l’accesso al mercato di nuovi operatori, dall’altro (come dimostrato dalla consulenza di parte a firma dell’economista dott. Matteo Merini, depositata in vista dell’udienza pubblica dinanzi al Tribunale amministrativo) che le condizioni e i requisiti previsti dal bando, “pur ragionevoli a prima vista”, celavano in realtàun meccanismo che riservava nei fatti la partecipazioneal solo operatore incumbent, escludendo chiunque altro.

A conforto delle tesi prospettate, le ricorrenti evidenziavano che alla procedura in questione aveva difatti partecipato unicamente il raggruppamento temporaneo di imprese con mandataria OMISSIS s.p.a. (con una quota di partecipazione pari al 62% circa) ed altre tre società mandanti (OMISSIS s.p.a., OMISSIS ing a.s. e OMISSIS s.p.a.), risultato all’esito delle operazioni aggiudicatario definitivo (giusta determinazione prot. n. RU47031 del 16 maggio 2016, anch’essa impugnata dalle società ricorrenti con autonomo ricorso dinanzi al T.a.r. Lazio).

2.3. In particolare, il ricorso introduttivo era affidato a cinque motivi di diritto con cui erano dedotte le seguenti censure:

“I) Incompatibilità dell’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 e degli atti di gara impugnati con norme e principi dell’Unione in tema di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi; violazione dei principi di congruenza, non discriminazione e proporzionalità, trasparenza ed imparzialità della P.A.; eccesso di potere per difetto di motivazione;

II) Violazione e falsa applicazione dei principi e della parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost., della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. e della libertà di concorrenza di cui all’art. 117 comma 2, lett. E) Cost.; eccesso di potere per irragionevolezza;

III) Violazione di norme e principi dell’Unione in tema di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi; violazione della direttiva 2014/23/UE e dei principi di congruenza, non discriminazione e proporzionalità,trasparenza ed imparzialità della P.A.; eccesso di potere per illogicità manifesta e per difetto di motivazione; sviamento di potere;

IV) Violazione dei principi comunitari in tema di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi sotto altro profilo; violazione dei principi di congruenza, non discriminazione e proporzionalità, trasparenza ed imparzialità della P.A.; eccesso di potere per difetto di motivazione;

V) Violazione dei principi di trasparenza in relazione alla devoluzione a titolo gratuito della rete.”

2.4. Con il primo motivo di ricorso, OMISSIS lamentava che i criteri di selezione del concessionario erano stati concepiti, nella disciplina normativa prima e negli atti applicativi poi, in modo tale da rendere obiettivamente possibile solo a OMISSIS e ad un ristretto numero di operatori di grandissima dimensione di aggiudicarsi la gara: ciò in palese contrasto con gli articoli 49 e 56 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito “TFUE”) che riconoscono il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi.

La scelta del modello monoproviding esclusivo - a differenza di quello multiproviding adottato per altri giochi, concorsi a pronostici, videolotterie e scommesse - avrebbe, infatti, ostacolato l’accesso al mercato di nuovi operatori, in assenza di valide ragioni idonee a giustificarla.

In primo luogo, le ricorrenti sostenevano che il gioco del lotto non differirebbe da una semplice scommessa a quota fissa, risolvendosi nell’estrazione di determinati numeri sulle c.d. ruote delle varie città.

Peraltro, l’esclusiva in favore di un solo operatore sarebbe ancor più censurabile in quanto neppure circoscritta al solo gioco del lotto, ma estesa invece anche ad altri giochi numerici, come il 10 e lotto, nonché a “qualunque ulteriore gioco numerico a quota fissa che ADM riterrà in qualsiasi momento di voler commercializzare per mezzo della rete Distributiva” (cfr. l’art. 2.1 del capitolato d’oneri).

Inoltre, le ricorrenti rammentavano che la Corte la Corte di Giustizia, nella sentenza 24 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11, ha affermato quanto segue : «Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che concede un diritto esclusivo avente ad oggetto lo svolgimento, la gestione, l’organizzazione e il funzionamento dei giochi d’azzardo ad un organismo unico, qualora, da un lato, tale normativa non risponda realmente all’intento di ridurre le occasioni di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico e, dall’altro, non sia garantito uno stretto controllo da parte delle autorità pubbliche sull’espansione del settore dei giochi d’azzardo, soltanto nella misura necessaria alla lotta alla criminalità connessa a tali giochi, circostanze queste che spetta al giudice del rinvio verificare».

Alla luce di tali affermazioni la disciplina speciale regolante la fattispecie in esame non troverebbe, sempre ad avviso delle ricorrenti, giustificazione in esigenze di interesse generale e non supererebbe il “test di coerenza e sistematicità” al fine di verificare l’effettiva proporzionalità di una misura restrittiva: in particolare, non si spiegherebbe perché le attività di service providing relative ad altri giochi, maggiormente pericolose per la tutela dell’ordine pubblico e dei consumatori (quali scommesse e videolotterie), sono esercitate da più operatori in competizione tra di loro, mentre il servizio del gioco del lotto automatizzato, che presenta minori criticità, debba essere affidato ad un solo operatore.

Né la scelta del modello monoconcessionario, con le restrizioni alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi che ne conseguono, potrebbe ritenersi dettata dall’intento di ridurre le occasioni di gioco (vista l’espansione esponenziale delle opportunità di gioco e della pubblicità, anche tramite internet, che ha caratterizzato gli ultimi anni) o da esigenze erariali (stante la sicura maggiore redditività per lo Stato che deriverebbe dall’adozione del modello multiproviding e dall’ampliamento della rete di raccolta a soggetti diversi dai rivenditori di generi di monopolio).

2.5. Con il secondo motivo di ricorso le società OMISSIS denunciavano il contrasto della disciplina normativa di cui all’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 e dei relativi atti applicativi con i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost.), libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e libertà di concorrenza (art. 117, comma 2, lett. e) Cost.).

La gara per la concessione sarebbe stata sottratta al mercato e alla libera competizione sì da agevolare il concessionario uscente con un’evidente disparità di trattamento non sorretta da alcuna adeguata giustificazione: l’obiettivo di tutela dell’ordine pubblico e dei consumatori ben potrebbe essere adeguatamente realizzato attraverso un modello multi providing.

Ne risulterebbero sconfessate anche le chiare indicazioni dell’Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato (di seguito “AGCM”): quest’ultima, con la segnalazione AS404 del 28 giugno 2017, aveva richiesto di garantire la contendibilità dei diversi giochi in occasione del rilascio dei nuovi titoli, evitando di attribuire esclusive ad un unico operatore.

Per contro, i criteri di selezione del concessionario erano stati delineati in modo tale da rendere possibile aggiudicarsi la concessione solo al concessionario uscente e ad un esiguo numero di operatori di straordinarie dimensioni.

2.6. Ad ulteriore riprova e specificazione di queste ultime affermazioni, le critiche articolate con il terzo motivo si appuntavano, quindi, sull’offerta economica, sui requisiti di capacità finanziaria e sull’importo delle garanzie richieste, costituenti altrettante preclusioni alla partecipazione.

In primo luogo, il legislatore italiano avrebbe previsto una base d’asta (pari a 700 milioni di euro) irragionevole e sproporzionata rispetto ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico- organizzativi: dal raffronto con questi ultimi emerge, infatti, che l’importo della base d’asta per il prezzo offerto è pari al doppio della soglia di capacità tecnica e a sette volte il fatturato generato nel triennio di riferimento; sicché un’offerta a rialzo su tale importo base non potrà che interessare operatori che realizzano fatturati e volumi di raccolta di gran lunga superiori rispetto a quelli nominalmente richiesti dalla lex specialis (caratterizzata, per di più, da previsioni e condizioni eccedenti le obiettive necessità operative e organizzative della concessione).

Nonostante l’intervenuta riduzione dei requisiti di fatturato e di raccolta a seguito del parere del Consiglio di Stato del 7 agosto 2016, la lex specialis continuerebbe a porsi in contrasto con le previsioni degli articoli 49 ss. e 56 ss. del TFUE e della Direttiva 2014/23/UE, risultando i criteri di selezione previsti dall’ADM ancora non congruenti con i considerando n. 63 e n. 67 della Direttiva stessa.

In particolare, la lex specialis sarebbe stata illegittima ed immediatamente lesiva perché rivolta a pochissimi operatori, in grado di realizzare un’elevata capacità di indebitamento o di reperimento di mezzi propri: difatti, anche un operatore come OMISSIS - che realizza, a livello di gruppo, un fatturato annuo pari a circa 500 milioni di euro e che è in possesso dei requisiti di fatturato e di raccolta previsti dal bando - non sarebbe comunque in grado di farsi affidare dal sistema bancario o di reperire capitali di rischio nell’ordine di 700/800 milioni di euro.

2.7. Con il quarto motivo di ricorso le società esponenti lamentavano che la lex specialis contenesse diverse disposizioni idonee ad interferire con le vicende contenziose e con l’attività del gruppo OMISSIS nel settore dei giochi e delle scommesse.

Le censure si appuntavano, in particolare, sulle clausole di cui al punto 9.1. lett. b. del Capitolato d’oneri e all’art. 30 lett. h) e k) dello schema di convenzione inerente a talune ipotesi di decadenza dalla concessione.

La prima clausola prevedeva l’obbligo di dichiarare, tra l’altro, di non aver commesso “violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui è stabilito intendendosi per gravi le violazioni che comportano l’omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore a quello indicato all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e successive modificazioni ed integrazioni”.

L’art. 30.2 dello schema di convenzione stabiliva invece che può determinare decadenza dalla concessione “ogni ipotesi di reato per il quale sia stato disposto il rinvio a giudizio e che ADM, in ragione della sua natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione, valuti tale da far escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario” (lett. h), nonché ogni ipotesi in cui “il concessionario viola la normativa in materia di repressione del gioco anomalo, illecito e clandestino ed, in particolare, quando in proprio od attraverso società controllate o collegate ovunque ubicate, commercializzi sul territorio italiano altri giochi assimilabili al gioco del Lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa senza averne il prescritto titolo ovvero ad altri giochi vietati dall’ordinamento italiano” (lett. k).

A tale riguardo le ricorrenti evidenziavano che esse operano in Italia attraverso punti di raccolta denominati Centri Trasmissione Dati (c.d. CTD), presso i quali offrono servizi di scommesse sportive (che gli utenti possono concludere per via telematica accedendo ad un server della OMISSIS ubicato nel regno Unito o in un altro Stato Membro, pagando presso i detti Centri le puntate o riscuotendo le vincite) in regime di libera prestazione di servizi e in assenza di concessione; aggiungevano poi che, sebbene tale modus operandi fosse stato riconosciuto legittimo sia dalla Corte di Giustizia sia dalla Corte di Cassazione, l’ADM continuava a mantenere una posizione di segno contrario, come dimostrerebbe il contenzioso (sia penale sia tributario) in atto di cui sono parti il gruppo OMISSIS e la stessa Agenzia.

Per tali ragioni le suddette previsioni, nella misura in cui hanno stabilito una valutazione ampiamente discrezionale dell’ADM sulle ipotesi che possono dare luogo ad esclusione dalla gara o a decadenza dalla concessione e determinato così incertezza su simili evenienze, avrebbero rivestito una portata dissuasiva rispetto alla partecipazione alla gara nei confronti di un imprenditore di normale avvedutezza (e ancor più nel caso di OMISSIS per il quale la partecipazione alla gara avrebbe richiesto la rinuncia all’esercizio dell’attività tramite i propri CTD, per non incorrere nella sanzione espulsiva o decadenziale).

2.8. Infine, con il quinto motivo di doglianza, le ricorrenti lamentavano che ADM, prima di disciplinare il profilo inerente la devoluzione a titolo gratuito della rete al termine della concessione, avrebbe dovuto prudenzialmente attendere la decisione della Corte di Giustizia nella causa C-375/14, avente ad oggetto un’analoga disciplina nel settore delle scommesse.

2.9. Come già evidenziato, al fine di avvalorare le proprie tesi difensive, le ricorrenti depositavano nel giudizio di primo grado una consulenza economica a firma del dottor Matteo Merini (di seguito “Memoria Merini”), ove si poneva in rilievo la necessità di operare una valutazione complessiva delle previsioni del bando e, in dettaglio, di quelle relative: alla base d’asta; alla ristretta finestra temporale in cui dovevano essere pagati dall’aggiudicataria i corrispettivi del prezzo offerto (comprensivo dell’ammontare dei rilanci obbligatori); alla prestazione di una garanzia definitiva di 40 milioni di euro al momento dell’affidamento del servizio; alla realizzazione entro i primi cinque anni di un piano di investimenti di valore complessivo non inferiore a 90 milioni di euro per l’aggiornamento della rete. Dette previsioni, pur apparentemente ragionevoli, in realtà davano luogo ad un meccanismo che riservava la competizione al solo concessionario uscente OMISSIS, generando esse di fatto la necessità di un fabbisogno finanziario immediato pari a circa 750/800 che, unitamente al fatturato richiesto dal bando, imporrebbe al concorrente di reperire in un solo anno risorse pari tra le 21 e 24 volte il fatturato annuo indicato.

2.9.1. Inoltre, per effetto delle stringenti condizioni di patrimonializzazione prescritte dalla lex specialis al concorrente - al quale era, da un lato, consentito di indebitarsi fino al 400 per cento del suo patrimonio netto (art. 9.2. lett. f) del capitolato) e dall’altro imposto il rispetto degli altri indici di solidità patrimoniale di cui al Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 28 giugno 2011, n. 1845/Strategie/UD - sarebbe fortemente limitata la sua capacità di indebitamento, soprattutto di lungo periodo, da parametrarsi costantemente al patrimonio netto: ne conseguirebbe che, alla stregua di tali elementi, soltanto due operatori, OMISSIS (e la sua controllante OMISSIS) e OMISSIS Ltd (e la sua controllante OMISSIS plc) erano qualificati per partecipare poiché soltanto gli operatori che avessero già posseduto un patrimonio netto superiore ad un miliardo di euro avrebbero, ad un tempo, potuto ricorrere al finanziamento esterno e soddisfare i requisiti di solidità patrimoniale richiesti dal bando. Ad un esame più approfondito, anzi, neppure OMISSIS avrebbe rispettato i requisiti indicati dal d.m. 28 giugno 2011 e, in definitiva, soltanto la società OMISSIS avrebbe potuto partecipare alla gara.

Tali considerazioni confermerebbero l’intrinseca attitudine escludente della legge di gara che consentiva l’ingresso alla selezione competitiva solo agli operatori di grandi dimensioni: invero, i candidati avrebbero dovuto generare un flusso di cassa annuo che assommasse complessivamente fino a sette-otto volte il fatturato richiesto dal bando e che non avrebbero potuto in alcun modo reperire dai proventi derivanti dall’esercizio della concessione (che avrebbero al più consentito di generare un flusso di cassa pari a circa 133,2 milioni di euro annui, ossia il 33, 3% dell’aggio dovuto al concessionario, quantificabile in circa 400 milioni di euro all’anno), con conseguente impossibilità per l’aggiudicatario di far fronte agli impegni assunti, peraltro entro una tempistica (imposta dal bando) eccessivamente rigorosa (si pensi in primis al pagamento entro trenta giorni dall’aggiudicazione dell’importo di 350 milioni di euro).

Né sarebbe alternativa percorribile l’emissione di nuove azioni da destinarsi a terzi per raggiungere il fabbisogno finanziario richiesto in quanto tale scelta modificherebbe la compagine proprietaria con i connessi problemi di governance e perdita del controllo della società: piuttosto, potrebbe in concreto optarsi solo per apporti di capitale proprio (quali il finanziamento in conto capitale o gli aumenti del capitale sociale), strumenti riservati però ancora una volta alle società appartenenti a gruppi multinazionali di grandissime dimensioni (come OMISSIS-  OMISSIS ed OMISSIS - OMISSIS), sufficientemente liquidi e adeguatamente patrimonializzati per sopperire al fabbisogno finanziario delle proprie controllate, intenzionate a partecipare alla gara.

In definitiva, con il mezzo in esame le ricorrenti sostenevano che il complesso delle condizioni e dei requisiti previsti da ADM con la lex specialis si sarebbe tradotto in una sorta di requisito occulto che aveva operato, mediante il combinato disposto dell’ingente fabbisogno finanziario e del contemporaneo rispetto dei requisiti di solidità patrimoniale, come una fortissima barriera all’ingresso di operatori di piccole e medie dimensioni, impossibilitati a partecipare anche ove avessero rispettato tutti gli altri requisiti previsti dal bando.

2.9.2. In via istruttoria, le società OMISSIS richiedevano che, in caso di contestazione dei dati e documenti rappresentati nella Memoria Merini, il Tribunale disponesse una consulenza tecnica d’ufficio ai sensi degli articoli 63, comma 4, Cod. proc. amm. e 67 Cod. proc. amm. per l’acquisizione di elementi di valutazione e giudizio sulle condizioni di qualificazione dei partecipanti che postulano specifiche competenze tecnico-economiche.

3. In subordine, le società ricorrenti chiedevano, altresì, il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, delle questioni pregiudiziali prospettate con riferimento all’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 e agli atti applicativi impugnati al fine di verificare la compatibilità con il diritto comunitario (ed in particolare con il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché con i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza) delle relative previsioni in punto di: a) modello di concessionario monoproviding esclusivo (prescelto solo in relazione al servizio del gioco del Lotto e non per altri giochi, concorsi pronostici e scommesse); b) base d’asta (di gran lunga superiore rispetto ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi, del tipo di quelli previsti dai punti 5.3, 5.4, 11, 12.4 e 15.3 del capitolato d’oneri); c) alternatività del tipo di quella che discende dall’art. 30 dello schema di convenzione tra la partecipazione alla gara per l’assegnazione di una nuova concessione ed esercizio della libertà di prestazione dei diversi servizi di scommessa su base transfrontaliera, sì da comportare la rinunzia all’attività trasfrontaliera nonostante quest’ultima sia stata più volte riconosciuta legittima dalla Corte di Giustizia (con sentenze 6 novembre 2003, in C-243/01 Gambelli, 6 marzo 2007 nelle cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica, e 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C 72/10 e C 77/10, Costa-Cifone).

3.1. Le ricorrenti chiedevano, altresì, in subordine, la rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate con riferimento alle citate disposizioni della legge di stabilità 2015 per violazione degli artt. 3, 41 e 117 comma 2, lett. e), della Costituzione.

3.2. Si costituivano in resistenza il Ministero dell’Economia e della Finanze (di seguito “il MEF” o “il Ministero”) e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; non si costituiva invece nel giudizio di primo grado la controinteressata OMISSIS s.p.a., benché ritualmente evocata.

3.3. Preliminarmente le Amministrazioni intimate eccepivano l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse (stante il possesso da parte delle società ricorrenti, per loro stessa ammissione, dei requisiti di partecipazione) e la tardività delle censure afferenti l’impianto della gara (rispetto alla pubblicazione della legge di stabilità del 2015 e, comunque, alla pubblicazione sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa del parere interlocutorio del Consiglio di Stato del 7 agosto 2015); nel merito, ne argomentavano comunque l’infondatezza, alla stregua delle concrete modalità di funzionamento del gioco del Lotto, fondato su un sistema necessariamente multiproviding a valle (quanto alla raccolta delle giocate, affidata a oltre 33.000 ricevitorie, operanti in virtù di concessione) e monoproviding a monte (per quanto invece attiene a tutte le attività di estrazione, collegamento e gestione costituenti oggetto specifico della gara in questione); in ogni caso, sostenevano la carenza di una lesione attuale della sfera giuridica delle società ricorrenti, in quanto la base d’asta, i requisiti speciali e l’importo delle garanzie richieste non sarebbero state né preclusive della partecipazione alla gara né irragionevoli.

3.4. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo, prescindendo per ragioni di economia processuale dalle esame delle eccezioni in rito formulate in limine dalle Amministrazioni, ha respinto il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure proposte.

3.5. In primo luogo, il Tribunale ha trattato congiuntamente i primi due motivi di ricorso e li ha rigettati, evidenziando la ragionevolezza di un modello monoproviding e la sua rispondenza anche a finalità di interesse generale: da un lato, esso crea una minore competizione all’interno del mercato (realizzando una logica di governo responsabile e non competitiva del gioco); dall’altro si attaglia alle peculiarità del gioco del lotto, unico in cui lo Stato assume il rischio di impresa e nel quale sussiste una netta distinzione tra la fase della raccolta, affidata ad una rete di ricevitorie diffuse capillarmente su tutto il territorio nazionale, e la fase della gestione affidata ad un unico concessionario, peculiarità che lo differenziano rispetto ad altri giochi.

Pertanto, la previsione di un sistema a più concessionari auspicato dalle ricorrenti imporrebbe, secondo il Tribunale, la necessità di un coordinamento affidato ad una sorta di “superconcessionario” (o, quantomeno, la costituzione di una rete di collegamento presso l’ADM) che tenga indenni l’Amministrazione da eventuali responsabilità derivanti da inadempimenti di tali soggetti, con maggiori oneri per l’Erario.

3.6. Il Tribunale amministrativo adito ha altresì ritenuto che non valesse alle ricorrenti invocare né la segnalazione dell’AGCM AS 403 del 27 giugno 2007 (nella quale si chiariva che «anche nel mercato dei giochi e delle scommesse l’ingresso dovrebbe avvenire nel rispetto del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica e dei principi comunitari di non discriminazione, di parità di trattamento, di mutuo riconoscimento e di proporzionalità” evitando di stabilire condizioni di accesso tali da favorire gli operatori di gioco già attivi sul mercatomediante previsione di “criteri di selezione che non appaiono proporzionati al pur condivisibile obiettivo di attribuire il titolo ad operare a soggetti dotati di stabilità economica- finanziaria e di esperienza tecnico-organizzativa”); né la sentenza della Corte di Giustizia del 21 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11 (con la quale è stato affermato che «gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale … che concede un diritto esclusivo avente ad oggetto lo svolgimento, la gestione, l’organizzazione e il funzionamento dei giochi d’azzardo ad un organismo unico, qualora, da un lato, tale normativa non risponda realmente all’intento di ridurre le occasioni di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico e, dall’altro, non sia garantito uno stretto controllo da parte delle autorità pubbliche sull’espansione del settore dei giochi d’azzardo, soltanto nella misura necessaria alla lotta alla criminalità connessa a tali giochi, circostanze queste che spetta al giudice del rinvio verificare»).

3.6.1. Quanto alla segnalazione dell’AGCM, essa, avendo ad oggetto le “Modalità di affidamento in concessione della gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale” (in definitiva, inerendo ad una concessione per la raccolta delle giocate), non potrebbe perciò riferirsi a concessioni come quella in esame (riguardante, invece, soltanto la “gestione del servizio del gioco del Lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa”): le indicazioni operative fornite dall’AGCM risulterebbero comunque rispettate nel caso concreto (come dimostrerebbe l’assenza di limitazioni alla costituzione di raggruppamenti temporanei di impresa ai fini della partecipazione alla gara in questione).

3.6.2. Con riguardo alla citata sentenza della Corte di Giustizia essa si riferiva, sempre secondo il Tribunale, ad una fattispecie ben diversa nella quale le società OMISSIS ed altri operatori del settore si dolevano dell’istituzione di un monopolio statale da parte dello Stato greco nel settore dei giochi d’azzardo mediante affidamento diretto e senza gara ad una società pubblica maggioritaria di un diritto esclusivo avente ad oggetto lo svolgimento, la gestione, l’organizzazione e il funzionamento, per venti anni, dei giochi: mentre nel caso oggetto di giudizio, le ricorrenti contestavano la scelta dello Stato italiano di affidare il servizio relativo alle attività di gestione automatizzata del Lotto ad unico concessionario “scelto mediante procedura di selezione aperta, competitiva e non discriminatoria”. In tal modo, sarebbero, dunque, assicurate sia la “concorrenza nel mercato” della raccolta del gioco del Lotto, sia la “concorrenza per il mercato” relativo alla gestione del servizio del gioco del Lotto automatizzato.

3.7. Il Tribunale amministrativo ha parimenti ritenuto infondate le doglianze articolate con il terzo motivo inerente all’asserita irragionevolezza e sproporzione della base d’asta e alla violazione, da parte dell’ADM, dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e concorrenza nella fissazione dei requisiti di partecipazione alla gara, costituenti un’indebita limitazione dell’accesso al mercato per le imprese interessate a candidarsi come la OMISSIS: ha, infatti, rilevato che, per un verso, non fosse precluso alle concorrenti, per soddisfare i requisiti speciali di cui fossero state singolarmente carenti, partecipare nelle forme di aggregazione associativa consentite dal bando (come, peraltro, aveva fatto la stessa aggiudicataria OMISSIS, il che smentirebbe pure l’assunto delle ricorrenti secondo cui la nuova gara e il modello monoproviding sarebbero stati costruiti “su misura” per il concessionario uscente), ovvero per il tramite di società direttamente o indirettamente controllanti o controllate, in Italia o in altro Stato dello Spazio Economico Europeo e, nel caso di società consortile o consorzio, posseduti anche cumulativamente dalle imprese componenti (purché per almeno 1/3 da un’unica impresa); per altro verso la base d’asta, per quanto elevata, era determinata dall’esigenza di tutela dei rilevantissimi pubblici connessi alla gestione del gioco del lotto e proporzionata sia all’entità economica della concessione (tenuto conto dei dati storici e del gettito generato per l’Erario: nel solo 2015, pari a circa 1,2 miliardi) sia all’aggio, previsto dal legislatore nella misura del 6 per cento della raccolta e tale da comportare, per il concessionario, un ricavo annuo pari a 400 milioni di euro (e a circa 3,7 miliardi di euro per l’intera durata, novennale, della concessione).

Allo stesso tempo, il Tribunale ha condiviso le deduzioni svolte dalle Amministrazione resistenti in merito all’adeguatezza e proporzionalità rispetto alla tipologia e all’oggetto della prestazione per la quale era stata indetta la gara anche dei requisiti speciali prescritti da ADM con la lex specialis, tenuto conto in particolare: a) dei dati storici (negli ultimi cinque esercizi la raccolta dei giochi numerici a quota fissa è stata sempre superiore a 6 miliardi all’anno, generando così un fatturato per il concessionario di circa 400 milioni annui); b) del fatto che tali requisiti sono inferiori al fatturato annuo che potrà derivare dalla concessione e sono comunque contenuti se raffrontati alla base d’asta; c) della possibilità che l’aggio annuale già nel primo anno generi un fatturato superiore a 400 milioni di euro, ossia a pari a poco meno della metà del fabbisogno finanziario richiesto; d) del fatto che sia rimasto del tutto sfornito di prova il timore, espresso dalle ricorrenti, di non vedere realizzato l’obiettivo del rapporto di indebitamento previsto dal citato d.m. del 28 giugno 2011, considerando altresì che tale rapporto non costituiva condizione di ammissione alla selezione competitiva, ma atteneva alla mera fase esecutiva del rapporto concessorio; e) della circostanza che, per stessa ammissione delle ricorrenti, almeno quattro operatori del settore erano in possesso dei requisiti di partecipazione e che le società OMISSIS avevano pure omesso di indicarne altri di grandissime dimensioni (sebbene dovesse pure ritenersi, ad avviso del Tribunale, che le prescrizioni in tema di fabbisogno finanziario e limiti all’indebitamento avessero in effetti precluso a gran parte dei quindici operatori economici indicati dall’ADM, benché in possesso dei requisiti speciali previsti dal bando, di partecipare singolarmente alla gara).

In conclusione, il Tribunale amministrativo ha ritenuto, alla luce delle risultanze del giudizio, che la disciplina posta dalla lex specialis non avesse determinato un’indebita limitazione della concorrenza: e ha fondato, tra l’altro, il suo convincimento proprio sulle valutazioni espresse nella “memoria Merini” in ordine alla effettiva e concreta possibilità di partecipazione alla gara, anche singolarmente, quanto meno degli operatori di maggiori dimensioni.

Il Collegio di prime cure ha in particolare dato rilievo a quei passaggi (si veda pagina 22 e 27 della consulenza di parte depositata dalle ricorrenti in primo grado) ove si riconosceva che: a) la possibilità di un finanziamento in conto capitale o mediante un aumento di capitale riservato agli azionisti esistenti fosse in concreto praticabile dalle filiali italiane di gruppi nazionali di grandissime dimensioni (e, tra questi, OMISSIS e OMISSIS erano proprio due dei quindici operatori del settore indicati dalle Amministrazioni resistenti); b) gli operatori potevano di fatto, a loro discrezione, scegliere tutte le modalità possibili per reperire il fabbisogno finanziario necessario; c) nell’ambito di un campione di undici operatori, ben tre di essi (OMISSIS /OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS) avrebbero potuto partecipare con successo alla gara.

Oltre a tali considerazioni, il Tribunale ha rilevato poi che non vi erano preclusioni alla possibilità di partecipare ricorrendo ad un raggruppamento temporaneo di imprese o ad una società consortile, il che escludeva anche la prospettata violazione della direttiva 2014/23/UE: risultava perciò pienamente rispettato il dettato del considerando n. 63 ove si afferma un principio generale, secondo il quale la congruità della scelta di criteri di selezione operata dalla stazione appaltante non deve essere valutata solo con riferimento al singolo candidato perché, salvo casi eccezionali, le stazioni appaltanti devono consentire a ciascun operatore economico di dimostrare il possesso dei requisiti richiesti facendo ricorso “alle capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei suoi rapporti con essi, qualora l’operatore dimostri all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore che disporrà delle risorse necessarie”.

3.8. La sentenza in epigrafe ha poi respinto il quarto motivo di impugnazione, ritenendo che le clausole con esso censurate dalle ricorrenti non potessero tradursi in una forma di dissuasione dal partecipare alla gara.

A tale riguardo, il Tribunale ha, in primo luogo, osservato che, sebbene in passato la Corte di Giustizia (cfr. le sentenze 6 novembre 2003, in C-243/01 Gambelli; 6 marzo 2007 nelle cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica; e 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C 72/10 e C 77/10, Costa-Cifone) e la Corte di Cassazione abbiano effettivamente affermato che il diritto dell’Unione osta a che vengano applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di soggetti (quali i gestori dei CTD) legati ad un operatore (la OMISSIS) che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione - purtuttavia tale ius singulare dovesse oramai ritenersi venuto meno: inoltre, ha richiamato al riguardo un proprio precedente (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 5 marzo 2015, n. 3793).

In tale decisione il Tribunale amministrativo aveva già avuto modo di precisare che: a) le società OMISSIS e OMISSIS hanno impugnato il bando della c.d. gara Monti (ossia della gara indetta ai sensi dell’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito dalla legge del 26 aprile 2012, n. 44, per l’affidamento in concessione di duemila concessioni per l’esercizio congiunto dei giochi pubblici attraverso l’attivazione di rete fisica di negozi di gioco e relativa conduzione) perché hanno correttamente inteso gli effetti che tale gara avrebbe prodotto sullo “sdoppiamento” della disciplina del mercato dei giochi, ponendo fine allo ius singulare riservato agli operatori di altri Stati membri ai quali in passato erano state illegittimamente negati i titoli per operare nel mercato italiano; b) difatti la “gara Monti” è stata prevista dal legislatore al dichiarato fine di “rendere la legislazione nazionale pienamente coerente con quella degli altri Paesi che concorrono in ambito europeo alla realizzazione della nuova formula di gioco” e le predette società nel ricorso proposto avverso il relativo bando hanno espressamente dichiarato il proprio interesse ad aggiudicarsi le nuove concessioni, interesse che sarebbe stato, invece, insussistente se l’operatività del sistema dei CTD in assenza di concessione fosse stata comunque garantita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; c) l’integrale reiezione delle censure dedotte dalle società OMISSIS avverso il bando della “gara Monti” (per effetto delle sentenze del Consiglio di Stato n. 4199 del 20 agosto 2013 e n. 3985 del 25 agosto 2015, nonché della sentenza della Corte di Giustizia 22 gennaio 2015 in C/463-13) vale a dimostrare che tale gara ha effettivamente sortito l’effetto di porre termine al predetto ius singulare.

Tanto premesso, il Collegio di prime cure ha, quindi, ritenuto che il motivo non meritasse accoglimento in quanto, da un lato, la clausola di cui al punto 9.1. del capitolato si limitava a recepire la disposizione normativa di cui all’art. 38 del Codice dei Contratti pubblici; dall’altro, quanto alle cause di decadenza dello schema di convenzione, le censure delle ricorrenti si infrangevano irrimediabilmente su quanto già statuito dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alla lex specialis relativa alla gara per l’affidamento delle duemila concessioni di cui all’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge n. 16 del 2012 e alle previsioni di decadenza contenute nelle clausole di cui all’art. 23 dello schema di convenzione relativo a tali concessioni (cfr. Cons. di Stato, IV, 20 agosto 2013, n. 4199 che ha respinto l’appello delle OMISSIS, richiamando le valutazioni già espresse dalla Sezione Consultiva nel parere n. 3337 del 19 luglio 2012 e aderendo alle argomentazioni della decisione della Corte di Giustizia Costa- Cifone).

In particolare, il Tribunale ha rammentato che nel parere in oggetto la Sezione Consultiva aveva rilevato come sine dubio la nuova formulazione dell’art. 23 (ove si disponeva la decadenza dalla concessione per “ogni ipotesi di reato per il quale sia stato disposto il rinvio a giudizio e che AAMS, in ragione della sua natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione, valuti tale da far escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario”“nel caso di organizzazione, esercizio e raccolta di giochi pubblici con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalle disposizioni legislative regolamentari e convenzionali vigenti” e nei “casi di violazione accertata dagli organi competenti della normativa in materia di repressione delle scommesse e del gioco anomalo, illecito e clandestino, nonché per frode in competizione sportiva nonché nei casi di grave violazione della normativa in materia antimafia e di antiriciclaggio”) presentasse un grado di gran lunga superiore di chiarezza e analiticità rispetto alla previgente formulazione, ove la previsione di decadenza era genericamente collegata ad “ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS”.

Alla luce di tali statuizioni, il Collegio di primo grado ha, dunque, ritenuto che le censurate disposizioni dell’art. 30 dello schema di convenzione (sostanzialmente corrispondenti a quelle dell’art. 23 dello schema di convenzione relativo alle concessioni di cui all’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge n. 16/2012), lungi dal costituire un mezzo per dissuadere le società ricorrenti dal partecipare alla gara, fossero pienamente legittime perché fissano, con sufficiente determinatezza, precisione, cause di decadenza del concessionario connesse a condotte obiettivamente suscettibili di determinare il venir meno del rapporto fiduciario con l’ADM.

Né, al fine di escludere la legittimità degli obiettivi ragionevolmente perseguiti dall’Amministrazione con le indicate previsioni di decadenza, avrebbero potuto assumere rilievo le vicende contenziose invocate dalle società ricorrenti che non potrebbero comunque perpetuare lo ius singulare riservato in passato alle ricorrenti stesse, da ritenersi definitivamente venuto meno per effetto della gara indetta ai sensi dell’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge n. 16 del 2012.

3.9. Infine, il Tribunale ha respinto, ritenendolo infondato, anche il quinto mezzo di censura, rilevando che la devoluzione a titolo gratuito della rete al concessionario uscente, in assenza di un divieto ex lege, non fosse previsione irragionevole né sproporzionata e che non fossero invocabili i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 28 gennaio 2016 (c.d. sentenza Laezza), in quanto afferente a fattispecie ben diversa da quella in esame: nel caso di specie, infatti, la clausola sulla cessione gratuita era volta non solo a garantire la continuità del servizio relativo al gioco del lotto automatizzato, ma anche ad assicurare la par condicio di tutti i partecipanti alla gara e ad evitare indebiti vantaggi competitivi a favore del concessionario uscente e in danno di quello subentrante e, in definitiva, la produzione di quegli stessi effetti discriminatori che la citata decisione della Corte di Giustizia mirava a scongiurare.

4. Avverso la sentenza hanno proposto appello le società OMISSIS ricorrenti in primo grado, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone la riforma per i seguenti motivi di diritto: “I) Violazione dell’art. 24 della Costituzione e dei principi del contraddittorio e di parità delle parti (anche in relazione a previsioni del Decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 25 maggio 2015). Violazione del principio di parità delle parti e dei principi del doppio grado di giurisdizione e dell’equo processo; II) Violazione di norme e principi dell’ordinamento dell’Unione in tema di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi. Violazione dei principi di congruenza, non discriminazione e proporzionalità, trasparenza ed imparzialità della P.A., nonché dei principi di parità di trattamento (art. 3 Cost.), di libertà di iniziativa economa (art. 41 Cost.) e di libertà di concorrenza (art. 117, secondo comma, lett. e) Cost. Carenza di motivazione. Violazione degli artt. 24 e 113 Cost. Violazione dei principi comunitari dell’effetto utile, di effettività dei rimedi giurisdizionali e del primato; III) Carenza di motivazione ed erronea valutazione dei mezzi di prova. Violazione dell’art. 63.4. CPA e carenza di istruttoria. Violazione dei principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, di norme della direttiva 214/23/UE e dei principi di congruenza, non discriminazione, trasparenza ed imparzialità della P.A. sotto un diverso profilo; IV) Carenza di motivazione e violazione di norme e principi del diritto dell’Unione in tema di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi sotto altri riguardi. Violazione dei principi di congruenza, non discriminazione e proporzionalità, trasparenza ed imparzialità della P.A.; V) Violazione delle libertà garantite dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE sotto un’ancora ulteriore profilo. Violazione di legge nonché dei principi di congruenza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Insufficienza della motivazione”.

4.1. Con i mezzi di censura rubricati le appellanti hanno, in via principale, chiesto che la sentenza impugnata sia dichiarata nulla, se del caso con rinvio della causa al giudice di primo grado ex art. 105 Cod. proc. amm. e, in subordine, riformata con conseguente annullamento degli atti della legge di gara, sostanzialmente riproponendo tutti i motivi del ricorso di prime cure e contestando puntualmente i rispettivi capi della sentenza che li hanno respinti.

4.2. In subordine, le appellanti hanno chiesto il rinvio degli atti da parte di questo Consiglio, quale giudice nazionale di ultima istanza, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267, comma terzo, TFUE in relazione alle questioni di interpretazione pregiudiziale sottese al presente appello, ricorrendone i presupposti (rilevanza della questione, assenza di precedente interpretazione su identica questione da parte della Corte e dell’evidenza della corretta applicazione del diritto dell’Unione tale da non lasciare adito a ragionevoli dubbi).

4.3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e OMISSIS s.r.l.

Le appellate hanno anzitutto riproposto in limine, con memoria ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., le eccezioni di rito inerenti l’inammissibilità, improponibilità e irricevibilità del ricorso di prime cure per carenza di interesse e legittimazione al ricorso delle società OMISSIS e tardività dell’impugnativa proposta (rispetto alla pubblicazione del parere del Consiglio di Stato del 7 agosto 2015); nel merito, hanno comunque argomentato l’infondatezza del gravame e la correttezza della sentenza impugnata, illustrando diffusamente con le memorie in atti le proprie tesi difensive.

4.4. Con memoria depositata in vista dell’udienza camerale del 27 ottobre 2016, le appellanti hanno rinunziato alla domanda di sospensiva e chiesto che la trattazione dell’istanza cautelare incidentalmente formulata fosse abbinata alla discussione del merito.

4.4.1. Con la medesima memoria, le appellanti OMISSIS hanno, inoltre, dedotto l’inammissibilità delle eccezioni di rito sollevate dalla difesa erariale e dalla OMISSIS perché solo riproposte ex art. 101, comma 2, Cod, proc. amm. e non ritualmente introdotte con appello incidentale, benché il Tribunale non le avesse ritenute nei fatti assorbite ma si fosse, nel merito, pronunziato su di esse, rilevandone l’effettiva infondatezza.

4.5. All’esito dell’udienza dell’11 maggio 2017, la Sezione, con ordinanza n. 2808 del 12 giugno 2017, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulle questioni comunitarie sottese all’appello: ha, pertanto, sospeso il giudizio in attesa della decisione della Corte e disposto la trasmissione a quest’ultima degli atti.

4.6. Con sentenza del 19 dicembre 2018 (causa pregiudiziale C-371/17 OMISSIS e OMISSIS) la Corte di Giustizia si è pronunziata sull’affare che le è stato rimesso in ordine alle questioni interpretative degli articoli 49 e 56 TFUE e alla compatibilità con i principi e le libertà ivi affermati di una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale.

La Corte di Giustizia ha altresì chiarito l’inapplicabilità sotto il profilo temporale alla fattispecie de qua della direttiva concessioni; non ha, invece, affrontato, perché non oggetto di rinvio pregiudiziale da parte della Sezione (per le ragioni di cui si dirà nel prosieguo) il tema della devoluzione a titolo gratuito della rete alla scadenza della concessione.

4.7. Nell’imminenza dell’udienza pubblica, fissata su richiesta delle appellanti, le parti costituite hanno depositato memorie e repliche, richiamandosi anche a quanto dedotto nei precedenti scritti difensivi prima del disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

4.8. In tali memorie, le difese delle appellate hanno poi eccepito di non accettare alcun contraddittorio rispetto alla c.d. seconda “memoria Merini” e al “parere Nera”, trattandosi di documenti prodotti solo nel giudizio di rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia, ma non ritualmente depositati nelle forme, nei termini e nei modi prescritti dal codice del processo amministrativo nel giudizio principale di appello.

4.9. All’udienza pubblica del 30 aprile 2019, udita la rituale discussione dei difensori delle parti costituite, la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. L’appello delle società OMISSIS, operanti in Italia nel settore delle scommesse sportive, sottopone alla Sezione complesse questioni concernenti la legittimità e la compatibilità con il diritto comunitario della procedura di gara organizzata dall’ADM ai fini dell’affidamento della concessione della gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa, nonché della disciplina con cui il legislatore ha stabilito l’indizione della gara e ne ha delineato le condizioni essenziali.

Va anzitutto evidenziato come la raccolta delle giocate (che non è oggetto della gara in esame) è affidata per legge alle ricevitorie che operano sulla base di un autonomo rapporto concessorio con lo Stato, esercitando la corrispondente attività a titolo proprio (unitamente a quella di rivenditore di generi di monopolio).

La gara in esame attiene, invece, alla concessione di tutte le attività di gestione automatizzata della rete di raccolta finalizzate al collegamento a sistemi centralizzati della raccolta stessa (e quindi delle ricevitorie che la effettuano), per consentire il puntuale riscontro e controllo delle giocate effettuate, delle vincite, dei pagamenti; oltre al collegamento informatizzato di tutte le ricevitorie, il concessionario effettua, inoltre, le operazioni di estrazione dei numeri vincenti, il controllo delle giocate e la determinazione delle giocate vincenti, il pagamento delle vincite, l’effettuazione della ritenuta alla fonte sui relativi proventi, il versamento all’Erario dell’utile e delle ritenute alla fonte.

5.1. Ai fini di una migliore comprensione delle molteplici questioni sottese all’appello, è dunque preliminarmente opportuna una ricostruzione, sia pur sintetica, della disciplina normativa di interesse.

5.2. Il lotto, gioco di sorte avente origini antiche consistente nell’estrazione dei numeri dall’1 al 90 sulle c.d. ruote che determinano le vincite e l’attribuzione di premio secondo quote prestabilite, è stato da sempre riservato allo Stato che ne ha gestito la raccolta delle giocate mediante una rete di ricevitorie, secondo le regole e i criteri fissati nel R.D.L. 10 ottobre 1938, n. 1933.

5.3. Infatti, ai sensi dell’art. 1 della legge 2 agosto 1982, n. 528 del 1982 (recante “Ordinamento del gioco del lotto e misure per il personale del lotto”), “l’esercizio del gioco del Lotto è riservata allo Stato. Il servizio del lotto è affidato all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato che lo gestisce, nell’ambito dei monopoli fiscali, nelle forme e nei modi previsti dalla presente legge e dal successivo regolamento di applicazione ed esecuzione”.

L’art. 2, secondo comma, della stessa legge stabilisce che “il gioco si articola nelle fasi della raccolta delle scommesse, dell’emissione dello scontrino, delle operazioni di controllo, della elaborazione dei tabulati in diversi livelli di automazione di un unico sistema nonché del riscontro delle scommesse e della convalida delle vincite”.

5.4. Al fine di modernizzare il sistema di raccolta, il d.P.R. 7 agosto 1990, n. 303, ha poi previsto che la raccolta venisse automatizzata, anche mediante affidamento in concessione che, in esecuzione del disposto normativo, veniva effettivamente attribuita ad una società, con decreto del Ministero delle Finanze del 1993.

5.5. Successivamente, come si è detto, l’art. 1, comma 653, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (c.d. legge di stabilità 2015) ha stabilito i criteri e i requisiti per procedere all’affidamento del servizio del Lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa con procedure di rilevanza europea.

Pertanto, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (subentrata ex lege all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), investita direttamente dal legislatore (che ne stabiliva al contempo le regole essenziali) del compito di indire e aggiudicare la gara per l’affidamento della concessione de qua“ad una qualificata impresa, con pregresse esperienze nella gestione e raccolta del gioco, con sede legale in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, munita di idonei requisiti di affidabilità morale, tecnica ed economica, scelta mediante procedura di selezione aperta, competitiva e non discriminatoria”, procedeva alla pubblicazione del bando (in G.U.C.E. il 17 dicembre 2015 e in G.U.R.I. il 21 dicembre 2015) e degli altri documenti di gara (sul suo sito istituzionale il successivo 22 dicembre) che prescrivevano i requisiti di partecipazione come sinteticamente ricostruiti in narrativa (e dei quali le odierne appellanti sostenevano e continuano a sostenere il carattere preclusivo ai fini dell’ammissione alla selezione competitiva).

5.6. Le società OMISSIS, ritenendo che fosse stato loro impedito di partecipare alla gara, ricorrevano quindi in giustizia per l’annullamento della procedura, sostanzialmente lamentando che l’art. 1, comma 653, nonché alcuni requisiti di partecipazione e talune clausole previste nel bando, nel capitolato e nello schema di convenzione non fossero compatibili con il diritto eurounitario, con particolare riguardo ai principi di proporzionalità, congruenza, trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento, libertà di concorrenza e con i principi costituzionali (di parità di trattamento, libertà di iniziativa economica e di concorrenza), nonché con la direttiva 2014/23/UE.

5.7. Il Tribunale adito ha, tuttavia, ritenuto infondate tutte le censure formulate dalle ricorrenti ritenendo non irragionevole la scelta del c.d. modello monoproviding esclusivo né in concreto ostativi alla partecipazione di operatori diversi dal concessionario uscente OMISSIS i requisiti previsti dalla lex specialis.

5.8. Con l’appello in epigrafe le società OMISSIS hanno chiesto in via principale dichiararsi la nullità della sentenza del Tribunale amministrativo con rinvio al primo giudice ai sensi dell’art. 105 Cod. proc. amm. per violazione del diritto di difesa e lesione del contraddittorio e, in subordine, hanno contestato nel merito, chiedendone la riforma, le statuizioni di rigetto dei motivi di ricorso.

5.8.1. In dettaglio, con il primo motivo di appello OMISSIS ha lamentato la mancata conoscenza della memoria dell’Avvocatura di Stato depositata in data 5 febbraio 2016 nel giudizio di primo grado perché non risultante nella schermata del fascicolo telematico nella quale era data evidenza solo al deposito dei documenti allegati alla memoria: ciò avrebbe determinato la violazione dell’art. 24 Cost., del principio di parità delle parti, del doppio grado di giurisdizione e del diritto ad un equo processo, per l’impossibilità di replicare alle argomentazioni ivi dedotte nel primo giudizio ed anche nel giudizio di appello alla luce delle previsioni del Decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 25 maggio 2015 sull’estensione dei ricorsi e degli atti difensivi e sui relativi limiti ivi stabiliti.

5.8.2. Con il secondo mezzo le appellanti censurano l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere che gli atti gravati non siano in contrasto con il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi sanciti dagli artt. 49 e 56 del TFUE, né con gli artt. 3, 41 e 117, comma 2, lett. e) Cost. che sanciscono i principi di uguaglianza, libertà di iniziativa economica e di concorrenza.

Le appellanti tornano, infatti, a sostenere la tesi secondo la quale il gioco del lotto non sarebbe differente da una semplice scommessa a quota fissa, stante la possibilità di pronosticare anche in quel caso il risultato di un evento (l’esito di un’estrazione numerica) al quale sono associate delle quote predefinite di vincita.

Alla luce di tale natura l’anomalo modello concessorio prescelto non troverebbe affatto giustificazione in funzione delle sue asserite peculiarità: sarebbe, quindi, del tutto fuorviante (oltre che contraddetta dalla stessa difesa erariale laddove riconosce che esso garantisce all’Erario entrate nell’ordine di 1,2 miliardi di euro annui) l’affermazione delle Amministrazioni, recepita anche in sentenza, secondo la quale solo nel gioco del lotto lo Stato si assumerebbe il rischio di impresa.

Per converso, il lotto produrrebbe per definizione un saldo netto positivo a favore dello Stato, trattandosi di un gioco “non matematicamente equo” in quanto paga al vincitore somme di gran lunga inferiori rispetto a quella, equa, legata alla probabilità teorica dell’estrazione dei numeri vincenti.

Le motivazioni della sentenza impugnata, secondo le appellanti, non convincono neppure con riferimento alla struttura della rete del lotto, che troverebbe la sua origine in una normativa risalente, e non già in giustificazioni di carattere economico, gestionale o organizzativo: non si ravvisano difatti preclusioni alla costituzione di un eventuale centro di coordinamento tra i vari concessionari presso ADM (come già avviene per le scommesse on line, che affluiscono al totalizzatore nazionale attraverso una rete cui sono collegati i diversi operatori), né a che la rete sia, in concreto, strutturata in modo da identificare la fonte di eventuali disservizi (e così manlevare lo Stato da eventuali responsabilità per fatti dei concessionari).

Il modello multiproviding rappresenterebbe, dunque, la soluzione economicamente più vantaggiosa (nella misura in cui consentirebbe di ripartire il rischio default tra più concessionari), senza dare luogo alla “competizione all’interno del mercato” paventata dal primo giudice (posto che la competizione tra più concessionari non si dispiegherebbe nei riguardi dei giocatori): il gioco del lotto è unico e interamente prefigurato sicché non sarebbe possibile per i concessionari variarne la struttura e i contenuti “al fine di rendere l’offerta più attraente di quella dei loro concorrenti”, sì da tradursi in un incremento dell’esposizione alle ludopatie a danno dei consumatori.

In realtà gli obiettivi che (secondo la sentenza appellata) avrebbero in ipotesi giustificato la scelta del sistema monoproviding sarebbero ugualmente realizzabili attraverso un modello multiproviding non esclusivo.

Del resto, anche la Corte di Giustizia ha chiarito che “... gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che concede un diritto esclusivo avente ad oggetto lo svolgimento, la gestione, l'organizzazione e il funzionamento dei giochi d'azzardo ad un organismo unico, qualora, da un lato, tale normativa non risponda realmente all'intento di ridurre le occasioni di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico e, dall'altro, non sia garantito uno stretto controllo da parte delle autorità pubbliche sull'espansione del settore dei giochi d'azzardo, soltanto nella misura necessaria alla lotta alla criminalità connessa a tali giochi, circostanze queste che spetta al giudice del rinvio verificare...” (Corte di Giustizia 24.01.2013, Cause Riunite C-186/11 e C-209/11, OMISSISbet International Ltd. e altri/OPAP, punto 21; cfr. anche CGUE 15.09.2011, Causa C-347/09, Dickinger e timer, punto 41; CGUE 03.06.2010, Causa C-258/08, Ladbrokes & Gaming e a.; ed inoltre CGUE 16.02.2012, Cause Riunite C-72/10 e C-77/10, Costa e Cifone, punto 61).

Al contrario, gli atti di gara come congegnati sottrarrebbero l’affidamento della concessione al libero mercato e alla concorrenza, contravvenendo anche alle raccomandazioni dell’AGCM circa la necessità di assicurare la contendibilità in occasione del rilascio dei nuovi titoli ed evitare nuove attribuzioni di esclusive; a maggior ragione detti atti avrebbero poi violato il principio di uguaglianza tra offerenti che dovevano essere messi in condizioni di partecipare alla gara pubblica su un piano di parità e senza discriminazione ove si fosse, soprattutto, tenuto conto che l’ammissione alla procedura era in concreto possibile, per la maggior parte degli operatori, non singolarmente, ma solo facendo ricorso al raggruppamento temporaneo di imprese e alle altre forme associative previste dal bando.

Vero è che, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, la compatibilità con il diritto dell'Unione della più intensa di tutte le misure restrittive, quale è un monopolio, potrebbe “... essere ammessa sulla base delle misure derogatorie, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previsti dagli articoli 45 CE e 46 CE, applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi in forza dell'articolo 55 CE, ovvero possa essere giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da ragioni imperative di interesse generale ...” (Corte di Giustizia, OMISSISbet International Ltd. ed a., cit., punto 22. In punto anche Corte di Giustizia, Dickinger e Omer, cit. punto 42].

E però, nella fattispecie in esame non ricorrerebbero affatto, ad avviso delle appellanti, le ravvisate esigenze imperative di interesse generale (quali la tutela dei consumatori e dell’ordine sociale), vista l’inidoneità della scelta del modello monoconcessionario, adottato peraltro solo in un ambito (quello dei servizi di estrazione, collegamento e automazione del Lotto) che presenta minori criticità, a ridurre le occasioni di gioco (come comproverebbe l’espansione esponenziale del settore e della relativa pubblicità).

Dirimenti in relazione a tale profilo sarebbero, ancora una volta, le statuizioni della Corte di Giustizia, secondo cui “... uno Stato membro non può legittimamente invocare ragioni di ordine pubblico attinenti alla necessità di ridurre le occasioni di gioco, qualora le autorità pubbliche di tale Stato incitino e incoraggino i consumatori a partecipare a giochi d'azzardo al fine di consentire all'Erario di ritrarne degli utili ...” [CGUE, Dickinger e Omer, cit., punto 62]. In particolare, la circostanza che “... nel caso di questi altri giochi d’azzardo, diversi da quelli sottoposti al monopolio pubblico in questione nella causa principale, le autorità competenti conducano ... politiche intese ad incoraggiare la partecipazione agli stessi piuttosto che a ridurre le occasioni di gioco e a limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico, produce la conseguenza che l’obiettivo di prevenzione dell’incitamento a spese eccessive legate al gioco e di lotta contro la dipendenza da quest'ultimo, il quale era alla base dell’istituzione del citato monopolio, non può più essere efficacemente perseguito mediante quest’ultimo, sì che esso cessa di essere giustificabile in riferimento all'art. 49 CE ...” (CGUE 08.09.2010, Causa C-46/08, Carmen Media Group, punto 68). E nella sentenza Costa Cifone cit. (punto 62)., la Corte ha riconosciuto che “... il settore dei giochi d'azzardo in Italia è stato per lungo tempo caratterizzato da una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali e dunque, in tale contesto, non è possibile invocare alcuna giustificazione fondata sugli obiettivi della limitazione della propensione al gioco dei consumatori o della limitazione dell'offerta di giochi ...”.

In conclusione, la scelta del modello monoconcessionario non è né giustificata né proporzionata ed idonea a perseguire in modo coerente e sistematico i motivi imperativi di interesse generale nel settore dei giochi: motivi che non possono certo, per pacifica giurisprudenza, essere integrati neppure da esigenze di ordine economico.

Pertanto, la disciplina normativa che ha previsto un siffatto modello dovrà, dunque, secondo le appellanti, essere disapplicata per incompatibilità con il diritto comunitario o, in subordine, essere sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 41, 117, comma 2, lett. e) Cost.

Le appellanti tornano perciò, con il mezzo in esame, a sostenere qui la tesi secondo la quale gli atti gravati non superano il test di coerenza e sistematicità che, per costante giurisprudenza, costituisce parametro di apprezzamento delle misure restrittive delle libertà fondamentali adottate degli Stati Membri in materia di servizi di gioco.

5.8.3. Con il terzo motivo di impugnazione, OMISSIS assume che la motivazione della sentenza appellata sulla non irragionevolezza e proporzionalità della base d’asta sarebbe solo apparente tenuto conto che una misura può ritenersi tale solo quando sia non eccedente rispetto allo scopo, ovvero quando risulti corrispondente a quanto strettamente necessario per raggiungerlo.

Ove il Tribunale avesse fatto buon governo di tali principi si sarebbe dunque avveduto che la base d’asta non andava raffrontata all’aggio riconosciuto al concessionario che corrisponde al ricavo lordo, ma al margine di guadagno del concessionario al netto degli ammortamenti che, parametrata alla durata della concessione, dava luogo ad un valore finanche inferiore alla base d’asta.

Né il primo giudice avrebbe fornito argomentazioni convincenti con riguardo alla valenza escludente e discriminatoria della lex specialis, da valutarsi con riguardo al complesso dei requisiti e delle condizioni in essa prescritti.

Le statuizioni della sentenza appellata, per un verso, non avrebbero adeguatamente motivato sui profili di criticità adeguatamente rappresentati nella “memoria Merini”, del tutto travisando le affermazioni ivi riportate (ed omettendo finanche di disporre il richiesto e necessario approfondimento istruttorio), per altro verso sarebbero contraddittorie lì dove riconoscono che quei requisiti e quelle condizioni avrebbero sì precluso a gran parte dei quindici operatori indicati da ADM di prendere alla gara, ma al contempo non avrebbero comportato un’indebita restrizione della concorrenza: non si comprenderebbe, invero, come un tale risultato possa prodursi ove si ponga mente alla circostanza, puntualmente argomentata e comprovata dalle ricorrenti, che solo operatori di dimensioni eccezionalmente elevate avrebbero potuto partecipare alla competizione e avere concrete chances di aggiudicazione.

Per contro, gli operatori di piccole e medie dimensioni avrebbero potuto essere ammessi solo facendo ricorso alle capacità e alla qualificazione (che da solo non sarebbe stato in grado di possedere) di altri soggetti attraverso RTI, società consortili o consorzi.

Non è dato comprendere allora come si possa escludere, come ritenuto dal primo giudice, la lesione della concorrenza: ed infatti, l'esercizio delle libertà garantite dal TFUE ed i principi richiamati in rubrica non possono che fare capo al singolo soggetto, quantomeno in forma potenziale, lasciando a lui solo la scelta della veste, singola oppure associata, con cui partecipare alla procedura concorsuale.

In conclusione, la restrittività delle previsioni in discorso discende proprio dal fatto che la partecipazione alla selezione è stata drasticamente onerata o resa di fatto impossibile dalla necessità (per gli operatori che non siano di enormi dimensioni) di ricorrere a forme associative.

A voler seguire poi in toto il ragionamento del primo giudice secondo cui neppure OMISSIS avrebbe potuto partecipare da sola (argomento utilizzato per smentire l’assunto di un bando costruito su misura per l’operatore incumbent, ma del tutto privo di fondamento ove si consideri che detta modalità partecipativa era, in realtà, non la conseguenza di una necessità, ma esclusivamente il frutto di una libera e autonoma scelta imprenditoriale di OMISSIS) si dovrebbe finanche pervenire alla conclusione che la lex specialis sarebbe totalmente escludente.

In tesi, sarebbe poi fallace l’ulteriore argomento valorizzato dal Tribunale in base al quale sarebbe stato possibile che una filiale italiana beneficiasse di finanziamenti dei propri azionisti: da tale (solo ipotetica) possibilità non discende, infatti, in alcun modo (come invece ha ritenuto il Collegio di prime cure) che essi fossero in effetti realizzabili (e difatti non lo erano affatto per la carenza, in capo agli operatori potenzialmente interessati, dei necessari requisiti di solidità patrimoniale per partecipare alla gara).

5.8.4. Con il quarto motivo di appello le società OMISSIS chiedono a questo Consiglio di apprezzare (ed emendare) l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel negare il carattere illegittimo delle clausole di cui al punto 9.1, lett. b), del capitolato d’oneri e all’ art. 30 dello schema di convenzione, prevedenti ipotesi di revoca e decadenza dalla concessione.

In particolare, sarebbe erronea e ingiusta la sentenza impugnata nel non riconoscere né l'indeterminatezza delle disposizioni inerenti le previste ipotesi decadenziali, rimesse alla valutazione discrezionale dell’ADM, né l’incertezza che tali previsioni determinano sullo svolgimento del rapporto concessorio e sulla stessa permanenza della concessione in capo al concessionario, tanto da essere idonee a dissuadere un imprenditore di normale avvedutezza dal partecipare alla gara; e sarebbero parimenti erronee quelle statuizioni della sentenza che hanno escluso l’ingiustificata interferenza di dette previsioni con diverse vicende contenziose di OMISSIS, tutt’ora sub judice, e con le sue differenti attività svolte mediante i propri CTD nel comparto dei servizi di gioco e scommessa.

Non varrebbe ad avvalorare la correttezza di una siffatta esclusione il vaglio che, in relazioni ad analoghe previsioni, avrebbe fatto questo Consiglio in sede consultiva nel parere n. 3337 del 2012, richiamato dal Tribunale: ciò in quanto tali valutazioni non potevano allora (e non possono ora) vincolare il convincimento del giudicante. Questi avrebbe per contro dovuto apprezzare come le previsioni qui impugnate si presentino ancora più incerte e vaghe di quelle contenute negli atti della c.d. “gara Monti” (laddove, ad esempio, neppure richiedono, come previsto invece dall’art. 23 dello schema di convenzione di quella gara, che la violazione della normativa in materia di repressione del gioco anomalo, illecito e clandestino da parte del concessionario sia “accertata dagli organi competenti”).

Pertanto, le menzionate clausole che contemplano tali ipotesi di decadenza non soddisfano le coordinate ermeneutiche indicate dalla Corte di Giustizia per valutarne la legittimità (cfr. in particolare la sentenza Costa e Cifone, richiamata anche dal Tribunale amministrativo, ove, evidenziata la particolare gravità della misura decadenziale, si chiarisce che “per consentire ad ogni potenziale offerente di valutare con certezza il rischio che gli vengano applicate simili sanzioni, per garantire l’assenza di rischi di favoritismo o arbitrarietà da parte dell'amministrazione aggiudicatrice e, infine, per garantire il rispetto del principio di certezza del diritto, è necessario che le circostanze nelle quali le suddette sanzioni verranno applicate siano enunciate in modo chiaro, preciso e univoco ...”).

In tesi, con le previsioni censurate ADM avrebbe inteso riproporre fattispecie di decadenza e revoca analoghe a quelle già censurate dalla menzionata pronunzia della Corte, illegittime perché escludenti (id est: impeditive di una proficua partecipazione alla gara) nei confronti della OMISSIS: ed infatti, ancorché la Corte di Giustizia si sia più volte positivamente pronunciata (con le sentenze c.d. Gambelli, Placanica, Costa e Cifone e Laezza) sulle prestazioni di servizi rese dalla società appellante tramite la rete di CTD, le clausole in oggetto (e in particolare quella di cui all’art. 30.2, lett. k), dello schema di convenzione, che riguarda il caso in cui un operatore commercializzi giochi assimilabili al gioco del lotto automatizzato e agli altri giochi numerici a quota fissa senza la relativa concessione o autorizzazione) comporterebbero, per la partecipazione alla gara in questione, la necessaria rinunzia da parte di Staley al proprio modus operandi (benché riconosciuto legittimo dalla giurisprudenza europea) al fine di evitare di incorrere nella sanzione decadenziale. Tali clausole avrebbero così finito per sovvertire o eludere il giudicato della Corte di Giustizia sulla legittimità della gestione delle attività connesse ai giochi in regime di libera prestazione svolte dalle società OMISSIS per il tramite dei CTD.

Le ipotesi di decadenza e revoca dalla concessione impugnate erano, dunque, immediatamente lesive nei confronti delle appellanti in ragione della certezza della sanzione dopo l’aggiudicazione, interferendo con le vicende contenziose della OMISSIS e tendendo a rimettere in discussione un diritto acquisito dopo ben quattro decisioni della Corte di Giustizia.

5.8.5. Infine, con il quinto mezzo di doglianza OMISSIS censura l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice in ordine all'illegittimità della clausola recata dall'art. 22.1 dello schema di convenzione, che prevede la devoluzione a titolo gratuito della rete del concessionario al termine della concessione. Sul punto, nonostante la Corte di Giustizia si fosse già pronunciata con la ricordata sentenza c.d. Laezza, il Tribunale ha disatteso le censure di OMISSIS che ne evidenziavano la contrarietà al diritto dell'Unione con riferimento agli artt. 49 e 56 TFUE, nell’erroneo convincimento che il caso ivi deciso fosse diverso da quello oggi in discussione.

In realtà, il primo giudice non spiega affatto in cosa consisterebbe la diversità su cui fonda la sua decisione, limitandosi ad affermare che “... invece la fattispecie in esame si caratterizza perché la clausola di cui all'art. 22 dello schema di convenzione precisa i termini, le modalità e l'oggetto della cessione non onerosa al termine della concessione ...”.

Di contro, la clausola oggetto del giudizio Laezza coincideva perfettamente con quella impugnata con il ricorso introduttivo ed anzi, nel caso di specie, la previsione della cessione a titolo gratuito si presenterebbe ancor più onerosa (specie, per gli operatori che non detengono concessioni a titolo esclusivo), poiché il valore economico della rete del monoconcessionario del gioco del Lotto è di gran lunga più elevato di quello della rete di uno dei tanti concessionari (duemila solo a seguito dell'ultimo bando di gara del 2012) delle scommesse sportive.

Per tali ragioni, ad avviso delle appellanti le motivazioni fornite dal Tribunale si presentano, ad un tempo, oscure e non condivisibili.

5.9. Le appellanti hanno altresì reiterato la richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE in relazione alle questioni interpretative e di compatibilità con il diritto comunitario della disciplina normativa di cui all’art. 1, comma 653, della Legge di stabilita 2015 (che prevede un modello di concessionario monoproviding, asseritamente allo scopo di limitare l’offerta di questo gioco e di salvaguardare il rischio di impresa assunto dallo Stato, ma in realtà in assenza di un’idonea causa di giustificazione), nonché della legge di gara (quanto alla previsione di una base d’asta straordinariamente elevata e non oggettivamente giustificata rispetto ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi prescritti, del tipo di quelli previsti dai punti 5.3, 5.4, 11, 12.4 e 15.3 del capitolato d’oneri, ed alle ipotesi di esclusione e decadenza contemplate).

6. Con ordinanza n. 2808 del 12 giugno 2017 la Sezione ha, dunque, sospeso il giudizio e rinviato in alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del TFUE le seguenti questioni pregiudiziali:

A) “se il diritto dell’Unione - e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza - debba essere interpretato nel senso che osta ad una disciplina come quella posta dell’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 e dai relativi atti attuativi, che prevede un modello di concessionario monoproviding esclusivo in relazione al servizio del gioco del Lotto, e non già per altri giochi, concorsi pronostici e scommesse”;

B) “se il diritto dell’Unione - e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi e la direttiva 2014/23/UE, nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza - debba essere interpretato nel senso che osta ad un bando di gara che prevede una base d’asta di gran lunga superiore ed ingiustificata rispetto ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi, del tipo di quelli previsti dai punti 5.3, 5.4, 11, 12.4 e 15.3 del capitolati d’oneri della gara per l’assegnazione della concessione del gioco del Lotto”;

C) “se il diritto dell’Unione - e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi nonché e la direttiva 2014/23/UE, nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza - deve essere interpretato nel senso che osta ad una disciplina che prevede l’imposizione di un’alternatività di fatto fra divenire assegnatari di una nuova concessione e continuare ad esercitare la libertà di prestazione dei diversi servizi di scommessa su base transfrontaliera, alternatività del tipo di quella che discende dall’art. 30 dello Schema di Convenzione, cosi che la decisione di partecipare alla gara per l’attribuzione della nuova concessione comporterebbe la rinunzia all’attività transfrontaliera, nonostante la legittimità di quest’ultima attività sia stata riconosciuta più volte dalla Corte di Giustizia”.

La Sezione ha, in particolare, ritenuto che “le questioni comunitarie, formulate in modo articolato e ben argomentato dall’appellante, siano suscettibili di rinvio alla Corte di Giustizia UE” in quanto non solo “sono all’evidenza rilevanti per la decisione della causa”, ma per esse “non è applicabile la cosiddetta teoria dell’atto chiaro, in base alla quale il giudice nazionale non deve nemmeno operare il rinvio pregiudiziale, qualora il contenuto della norma comunitaria che intende applicare si ponga agli occhi dell’interprete con un evidenza tale da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio(cfr., per tutte, Corte Giust. CE, 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit)”; ha ricordato poi come, al di fuori dell’ipotesi dell’atto chiaro su indicato, il mancato rinvio pregiudiziale costituisca nel nostro ordinamento nazionale un caso di responsabilità del giudice (ex legge 27 febbraio 2015, n. 18 che ha modificato l’art. 2, comma 3, Legge 13 aprile 1988, n. 117 sul Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati e ha introdotto il comma 3-bis al predetto art. 2).

7. Con la sentenza del 19 dicembre 2018 (Causa pregiudiziale C-375/17 OMISSIS e OMISSIS) la Corte di Giustizia UE, respinta l’eccezione di irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla OMISSIS e dal governo italiano (le quali assumevano che la decisione di rinvio si sarebbe limitata a riprodurre i quesiti sollevati dalla OMISSIS, senza esporre le ragioni che hanno indotto il giudice nazionale a rivolgersi alla Corte e senza dimostrare la necessità dei quesiti stessi) e ritenendo che, per converso, la domanda in questione definisse esaurientemente il contesto giuridico e fattuale del procedimento principale mediante precise indicazioni che consentivano di valutare positivamente la rilevanza delle questioni, ha fornito le risposte ai quesiti formulati dal giudice del rinvio, statuendo i seguenti principi a cui questi dovrà attenersi nella decisione della causa principale:

“1) Gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, la quale preveda, per la concessione della gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa, un modello a concessionario unico, a differenza degli altri giochi, dei concorsi pronostici e delle scommesse, ai quali si applica un modello a più concessionari, a condizione che il giudice nazionale accerti che la normativa interna persegue effettivamente in modo coerente e sistematico i legittimi obiettivi fatti valere dallo Stato membro interessato.

2) Gli articoli 49 e 56 TFUE, nonché i principi di non discriminazione, di trasparenza e di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una discussione nel procedimento principale, i quali prevedano, per la concessione della gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa, un importo a base d'asta elevato, a condizione che tale importo sia formulato in maniera chiara, precisa e univoca e sia oggettivamente giustificato, aspetti questi la cui verifica incombe al giudice nazionale.

3) Gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una disposizione, come quella in discussione nel procedimento principale, contenuta in uno schema di convenzione per il rapporto di concessione predisposto per una pubblica gara, e la quale preveda la decadenza dalla concessione della gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa:

- in presenza di qualsiasi ipotesi di reato per il quale sia stato disposto il rinvio a giudizio e che l’amministrazione aggiudicatrice, in ragione della sua natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l'oggetto dell’attività affidata in concessione, valuti tale da far escludere l'affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario,

- oppure qualora il concessionario violi la normativa in materia di repressione del gioco anomalo, illecito e clandestino ed, in particolare, quando in proprio od attraverso società controllate o collegate ovunque ubicate commercializzi altri giochi assimilabili al gioco del lotto automatizzato e agli altri giochi numerici a quota fissa senza averne il prescritto titolo, a condizione che tali clausole siano giustificate, risultino proporzionate all’obiettivo perseguito e siano conformi al principio di trasparenza, aspetti questi la cui verifica incombe al giudice nazionale sulla scorta delle indicazioni fornite nella presente sentenza”.

7.1. La Corte di Giustizia ha, altresì, preliminarmente chiarito l’inapplicabilità ratione temporis della Direttiva 2014/23 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione: ha, infatti, evidenziato che il bando di gara controverso nel procedimento principale è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 17 dicembre 2015, ossia prima della scadenza, in data 18 aprile 2016, del termine per la trasposizione della direttiva 2014/23, senza peraltro che risulti che tale trasposizione fosse già stata effettuata nell’ordinamento nazionale al momento della pubblicazione.

8. Può dunque procedersi all’esame dei motivi di censura formulati dall’appellanti, alla luce dei principi statuiti dalla Corte di Giustizia nella sentenza resa su questioni pregiudiziali sottoposte da questo Consiglio con la citata ordinanza collegiale.

8.1. A tale riguardo, è opportuno infatti evidenziare che il diritto comunitario conferisce alla Corte di Giustizia UE il ruolo di interpretazione del diritto dell’Unione, senza attribuzioni nella risoluzione del caso, ed al giudice nazionale il ruolo di decisione della controversia in virtù delle emergenze processuali e del diritto interno, tramite eventualmente la disapplicazione della norma nazionale contraria al diritto eurounitario (v. punti 8 ed 11 delle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale 2016/C 439/01; v. per tutte C. Giust. Cee 27 marzo 1963, Da Costa en Schaake NV e a. c. Amministrazione olandese delle imposte).

Giova, altresì, evidenziare che le decisioni della Corte di Giustizia, in quanto volte a chiarire l’interpretazione delle norme comunitarie, hanno valenza di fonte del diritto (v. Corte Cost. 23 aprile 1985, n. 113) ed effetto e portata vincolante per il giudice remittente: esse vincolano altresì le giurisdizioni di grado superiore chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa (con effetti erga omnes e al di fuori del giudizio principale), al punto che il rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza della Corte può implicare l’apertura di una procedura di infrazione e la presentazione da parte della Commissione del ricorso di inadempimento di cui all’art. 258 del TFUE.

Va però anche precisato che, con la restituzione degli atti al Giudice a quo e il riavvio del giudizio riemergono profili di autonomia del giudice nazionale il quale potrebbe, ritornando sulla disamina degli atti, anche ritenere per ipotesi irrilevante la disposizione normativa per cui era stata sollevata la questione pregiudiziale o interrogare nuovamente la Corte per chiarimenti (art. 158 Regolamento procedura della Corte) o non esaustività della decisione (ritenendo quindi necessario sottoporle un’ulteriore questione pregiudiziale).

Resta fermo che il giudice nazionale non può, comunque, discostarsi dalla sentenza resa in via pregiudiziale poiché la Corte di Giustizia “risolve, con la forza del giudicato, una o più questioni di diritto comunitario e vincola il giudice nazionale per la definizione della lite principale” (ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wunsche Handelsgesellschaft, Racc. p. I- 11435, punto 49).

8.2. All’esito della pronunzia della Corte di Giustizia e del riavvio del giudizio, le parti costituite hanno depositato memorie e repliche con cui hanno insistito per la correttezza delle rispettive tesi e ribadito l’erroneità degli assunti avversari alla luce dei principi ivi statuiti, soffermandosi analiticamente sulle risposte fornite dalla Corte ai singoli quesiti e riportandosi, per il resto, a quanto già evidenziato e dedotto nei propri scritti precedenti al rinvio pregiudiziale.

8.3. In particolare, con le memorie depositate in vista dell’udienza pubblica del 30 aprile 2019, le società appellanti hanno prospettato che le risposte fornite dalla Corte di Giustizia nella propria decisione rispetto ai tre quesiti pregiudiziali sollevati da questo Consiglio, “se correttamente contestualizzate e interpretate”, convergano nella medesima direzione: vale a dire sull’esistenza di una vistosa disparità di trattamento ai fini della gara controversa tra la posizione di OMISSIS e quella degli eventuali subentranti.

8.3.1. Le società OMISSIS sono, dunque, tornate a contestare che la normativa interna, incentrata sull’adozione del modello monoconcessionario, non persegue effettivamente in modo coerente e sistematico i legittimi obiettivi fatti valere dallo Stato membro interessato.

Il giudice del rinvio (alla quale la Corte ha rimesso la verifica di tale accertamento in ordine all’effettività, coerenza e sistematicità del sistema interno) dovrebbe allora riconoscere che l’unica giustificazione addotta a sostegno del modello monoproviding da parte delle Amministrazioni appellate, ovvero l’assunzione del rischio di impresa nella gestione del gioco del Lotto da parte dello Stato, integra un motivo essenzialmente economico.

Il rischio imprenditoriale paventato è, infatti, meramente astratto e nominale, tenuto conto della già evidenziata non equità in senso matematico del gioco del lotto e della concomitante assenza di costi fissi per lo Stato, e quindi di ardua verificazione (come dimostrato nella seconda “memoria Merini”), tant’è che mai si è in concreto verificato per lo Stato Italiano dal 1997 ad oggi (in quanto la somma che in caso di vincita il giocatore si vede attribuire è largamente inferiore rispetto a quello che avrebbe potuto attendersi sulla base di calcoli probabilistici).

Le appellanti hanno poi ribadito che il modello monoproviding non potrebbe neppure giustificarsi sulla paventata contrazione del gettito fiscale (trattandosi di motivazione solo economica e risultando, peraltro, ben più redditizio per le casse dello Stato l’adozione di un modello multiproviding), su esigenze connesse al perseguimento della semplificazione amministrativa o di ordine pratico perché correlate ad evitare i prospettati inconvenienti per l’azione amministrativa: nessuno di questi motivi risulta infatti idoneo e adeguato a giustificare deroghe alle libertà e ai principi fondamentali e, in particolare, restrizioni alle libertà di stabilimento e prestazione dei servizi dei candidati, come avvenuto nel caso di specie.

Non soccorrono poi neppure le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e dei consumatori, tant’è vero che il modello a più concessionari (in competizione tra loro) è da tempo utilizzato per l’attività di service providing di altri giochi che ictu oculi presentano maggiori criticità rispetto al gioco del Lotto.

8.3.2. Le appellanti sostengono, altresì, che nella gara in esame non siano soddisfatte le condizioni indicate dalla Corte in risposta al quesito pregiudiziale e da valutarsi ad opera del giudice del rinvio: vale a dire se l’elevato importo a base d’asta sia stato formulato in modo chiaro, preciso e univoco, e sia stato oggettivamente giustificato.

Le società appellanti ribadiscono, infatti, l’assunto secondo cui l’importo a base d’asta, unitamente agli altri requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa, nonché alle previsioni sui rilanci e alla rigorosa tempistica della relativa corresponsione, sulla costituzione di una garanzia definitiva di 40 milioni di euro e sull’obbligo di realizzazione da parte dell’aggiudicatario di un piano di investimenti per l’aggiornamento della rete (previsioni che presupponevano un fabbisogno finanziario immediato nell’ordine di 750-800 milioni di euro), celava di fatto un meccanismo che riservava la partecipazione al solo concessionario uscente, costituendo una fortissima barriera all’ingresso per gli aspiranti candidati: un’ulteriore limite alla partecipazione e all’aggiudicazione della gara per questi ultimi era, poi rappresentato, dalle stringenti condizioni di patrimonializzazione imposte che rappresentavano un limite esogeno alla capacità strutturale di indebitamento, mentre anche l’ipotesi di autofinanziamento (per le ragioni evidenziate nella Prima e nella Seconda Memoria Merini) avrebbe confermato l’intrinseca vocazione escludente del bando per tutti gli operatore che non avessero enormi dimensioni.

Le appellanti hanno poi lamentato l’inadeguatezza della ristretta tempistica intercorrente tra la pubblicazione del Bando e la presentazione dell’offerta economica tale da accentuare l’asimmetria informativa già esistente tra il concessionario uscente e gli altri operatori interessati (come dimostrerebbe il “parere Nera” - depositato nel giudizio pregiudiziale- dal quale risulta che, nel caso del Regno Unito, la National Lottery Commission aveva messo a disposizione dei potenziali aspiranti, un’ampia gamma di informazioni dettagliate per mezzo di una Virtual Data Room ed aveva affidato a dei consulenti esterni delle ricerche volte a consentire una migliore conoscenza del mercato e del funzionamento del gioco, al fine di ridurre il vantaggio competitivo del concessionario uscente).

8.3.3. Questo Consiglio, ad avviso delle appellanti, dovrebbe poi concludere che le censurate clausole di decadenza di cui all’art. 30, lett. h) e k), dello schema di convenzione non soddisfano le condizioni poste dalla Corte di Giustizia nella sua decisione, risultando le medesime clausole non giustificate, non proporzionate all’obiettivo perseguito e non conformi al principio di trasparenza.

A tale riguardo, le società OMISSIS nella memoria in vista dell’udienza pubblica hanno richiamato la recente sentenza della Corte Costituzionale 21 marzo 2019, n. 63 che ha riconosciuto l’applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole con riferimento alle sanzioni amministrative: secondo la prospettazione delle appellanti, pertanto, anche la decadenza dalla concessione, avendo natura e finalità punitive, dovrebbe rispettare le garanzie e i principi che la Costituzione e la CEDU riservano alle sanzioni penali e perciò devono essere previste dalle legge e formulate in modo preciso e prevedibile sì da consentire ai soggetti interessati di prefigurare le conseguenze del loro comportamento.

Al contrario, lo schema di convenzione della gara in esame avrebbe “dilatato le ipotesi di decadenza ben oltre quanto previsto dalla legge”: sicché non si verificherebbe, nella specie, quanto richiesto dalla Corte di Giustizia che ammette sì la “possibilità di conferire all’amministrazione giudicatrice la facoltà di pronunciare la decadenza in assenza di una sentenza definitiva”, ma solo “ove siano soddisfatte condizioni rigorosamente disciplinate dalla legge”.

A conforto dei propri assunti, le appellanti OMISSIS richiamano le valutazioni espresse nel parere di questo Consiglio sul superenalotto (parere Consiglio di Stato, II, 2018, n. 1520,reso con riguardo alla “Procedura di selezione per l’affidamento in concessione della gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale, dei giochi complementari e opzionali e delle relative forme di partecipazione a distanza, nonché di ogni ulteriore gioco numerico basato su un unico totalizzatore a livello nazionale”): in tale sede il Consiglio di Stato ha infatti messo in rilievo come “avuto riguardo alla natura esiziale e gravemente pregiudizievole per gli interessi e l’immagine del concessionario del provvedimento di decadenza, il riferimento al mero “rinvio a giudizio”, ossia ad un atto del processo penale che non contiene ancora alcun accertamento di reità, possa essere giustificato solo in presenza di una fonte di carattere primario che, in considerazione della peculiarità e delicatezza del settore, preveda le specifiche deroghe al generale principio, fatto proprio dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici, per il quale è sempre necessario un accertamento passato in giudicato”.

ADM avrebbe poi puntualmente recepito (condividendole quanto meno per facta concludentia) le indicazioni fornite da questo Consiglio in sede consultiva, eliminando dalla versione definitiva dello Schema di Convenzione del Superenalotto l’ipotesi di decadenza dalla concessione in caso di rinvio a giudizio (e in tal modo ammettendone l’incongruenza e sproporzione).

Tali indicazioni e il comportamento ad esso conforme tenuto da ADM dimostrerebbero dunque la censurabilità delle controverse clausole di decadenza perché anch’esse riconducibili ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione e non fondate su norme di legge né su criteri trasparenti, univoci, prevedibili e determinati.

Le appellanti hanno, inoltre, ribadito che non assume rilievo ai fini del decidere il merito del contenzioso in essere tra il gruppo OMISSIS e lo Stato Italiano, bensì la circostanza che detto contenzioso non sia stato ancora definito e sia ancora sub iudice: una clausola che, nei fatti, attribuisce unilateralmente ad una parte di tale contenzioso (l’ADM) mani libere nell’applicazione della sanzione della decadenza dalla concessione assumerebbe, nei fatti, una valenza ancor più gravemente escludente nei confronti delle società OMISSIS.

8.3.4. Le appellanti hanno poi evidenziato che la sentenza della Corte non ha affrontato (perché non oggetto del rinvio pregiudiziale da parte di questo Consiglio) il tema della cessione a titolo gratuito della rete.

A tale riguardo, ha dunque ribadito l’applicabilità nel caso di specie delle medesime considerazioni e dei principi statuiti nella sentenza c.d. Laezza (28 gennaio 2016, Causa C-375/14), vista la coincidenza delle clausole che formavano oggetto di quel giudizio con quella impugnata da OMISSIS nel giudizio a quo: nel caso di specie, anzi, la clausola in questione riveste ancor più portata dissuasiva della partecipazione alla gara, stante il valore della rete del monoconcessionario del Lotto, assai più elevato di quello della rete di uno dei numerosi concessionari di altri giochi.

Nel caso in cui questo giudice di appello ritenga invece di discostarsene, le appellanti hanno chiesto proporsi un nuovo rinvio pregiudiziale sulla questione ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE.

8.4. Per converso, la difesa erariale e OMISSIS sostengono che la Corte di Giustizia, nel valutare in modo specifico le peculiarità della contestata concessione, pur rimettendo al giudice nazionale il compito di verificare in concreto - entro i limiti tracciati dalla pronuncia stessa – se vi siano le condizioni richieste ai fini della corretta osservanza dei principi eurocomunitari, abbia preso inequivocabilmente posizione su tutte le questioni pregiudiziali dichiarando l’infondatezza dei dubbi di conformità alle regole europee sollevati con i quesiti stessi.

Le appellanti avrebbero, invece, del tutto obliterato nelle proprie memorie i contenuti della sentenza della Corte, trascurandone del tutto passaggi significativi che consentono, senza dubbio, di comprendere il positivo apprezzamento della Corte stessa rispetto ai principi comunitari e alle norme parametro menzionate da questo giudice di appello nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale.

9. I motivi di appello sono tutti infondati, il che esime la Sezione dallo scrutinio delle eccezioni preliminari, sollevate in limine dalle difese delle appellate, di inammissibilità per carenza di interesse e di legittimazione al ricorso e per la sua tardività (eccezioni sulle quali- osserva il Collegio per mera completezza - il Tribunale non si è pronunziato nel merito, dichiarando expressis verbis di poterne prescindere “per ragioni di economia processuale” e che, pertanto, sono state ritualmente riproposte nel presente giudizio con memoria ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.).

10. In primo luogo, deve evidenziarsi come non si sia in concreto consumata la dedotta lesione del diritto di difesa e la mancanza del contraddittorio processuale che costituirebbe una delle ipotesi (aventi, in coerenza con il generale principio dell’effetto devolutivo-sostitutivo dell’appello, carattere eccezionale e tassativo e non suscettibili, pertanto, di interpretazioni analogiche o estensive, come statuito dalla giurisprudenza e, in particolare, da Cons. di Stato, Ad. Plen., 30 luglio 2018, n. 10; Ad. Plen. 5 settembre 2018, n. 14), di rinvio al primo giudice ai sensi dell’art. 105 Cod. proc. amm.

10.1. Detta lesione non può infatti essere integrata, nel caso di specie, dalla mera circostanza per cui non sarebbe stata data evidenza nella schermata del fascicolo telematico alla memoria depositata dalla difesa erariale in vista della camera di consiglio fissata nel giudizio di primo grado per la discussione dell’istanza cautelare.

10.2. Deve, infatti, ritenersi che tale omissione non abbia messo le ricorrenti in una condizione di concreta impossibilità di difendersi adeguatamente e di replicare alle argomentazioni ivi sviluppate.

10.3. Ciò non solo e non tanto perché la stessa difesa erariale aveva richiamato espressamente, nella breve replica depositata per l’udienza pubblica, la precedente memoria difensiva che era stata depositata in copia cartacea, richiamandosi alle argomentazioni ivi sviluppate (che pertanto le ricorrenti OMISSIS avevano l’onere di verificare) ovvero perché, come pure bene dedotto dall’Avvocatura, nell’odierno giudizio, instaurato in epoca anteriore all’entrata in vigore del processo amministrativo telematico, si doveva tener conto del deposito cartaceo delle relative memorie.

10.4. A riguardo, va anzitutto osservato come nei due gradi di giudizio la parte ricorrente abbia avuto modo di svolgere ampiamente le sue difese, sviluppando ampiamente i motivi proposti con il ricorso introduttivo, anche attraverso un’articolata consulenza tecnica di parte con cui ha, in realtà, puntualmente contestato tutte le argomentazioni e i contenuti delle memorie delle Amministrazioni e anche quelle di cui alla memoria depositata il 5 febbraio 2016: l’asserita mancata conoscenza della memoria dell’Avvocatura in vista della camera di consiglio, seguita poi da nuove produzioni difensive, repliche e l’udienza pubblica per la discussione del merito, non risulta dunque idonea ad incidere, inibendolo, sul diritto di difesa delle ricorrenti nel primo giudizio.

10.5. Accertato che non si versa in una delle ipotesi eccezionali e tassative che impongono l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice, deve poi osservarsi che, comunque, il supposto vizio (come peraltro incidentalmente ammesso dalle stesse appellanti nella formulazione della censura) sarebbe emendabile in virtù dell’effetto devolutivo-sostitutivo del giudizio di appello: le deduzioni difensive di OMISSIS, seppure non esaminate dal Tribunale, potranno, infatti, essere scrutinate da questo giudice, senza che il diritto di difesa delle appellanti possa neppure ritenersi conculcato in considerazione dei limiti dimensionali imposti per i ricorsi e le memorie dal citato decreto presidenziale in attuazione della Legge 11 agosto 2014, n. 114 (limiti che sono comunque derogabili e del quale la parte ben poteva chiedere l’autorizzazione al superamento alla luce della rilevanza della causa e delle circostanze rappresentate con la presente censura).

10.6. In conclusione, l’omissione lamentata dalle appellanti (quanto al mancato deposito telematico e alla carenza di evidenza conferita proprio a quella specifica memoria) non ha esplicato alcun rilievo causale rispetto all’asserita lesione del diritto di difesa.

11. Può dunque procedersi all’esame nel merito dell’appello, con la precisazione che, nel valutare i motivi di censura formulati dalle appellanti, la soluzione della causa dovrà essere conforme e coerente alle risposte interpretative fornite dalla Corte di Giustizia ai quesiti pregiudiziali sottoposti da questo Consiglio e che, inoltre, non si terrà conto dei documenti (la Seconda Memoria Merini e il Parere Nera) depositati soltanto nel giudizio di rinvio pregiudiziale: documenti che, in ogni caso – si rileva per mera completezza - non avrebbero assunto alcuna portata rilevante ai fini del decidere né potrebbero dar luogo ad una pronunzia diversa; essi, infatti, non introducono elementi di novità idonei a sovvertire e a confutare le corrette motivazioni della decisione di prime cure.

12. In primo luogo è infondato il secondo motivo di appello con cui le società OMISSIS hanno prospettato l’irragionevolezza e l’illegittimità della scelta del modello di concessione monoproviding per l’affidamento dei servizi oggetto di gara.

12.1. La decisione della Corte di Giustizia ha affrontato e risolto positivamente il tema (oggetto del primo quesito posto dall’ordinanza di rinvio) della compatibilità comunitaria della gestione del servizio del gioco del Lotto secondo il modello monoproviding.

12.2. A tale riguardo, la Corte ha richiamato la sua consolidata giurisprudenza in base alla quale “una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nel procedimento principale la quale subordini l’esercizio di un’attività economica all’ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza dalla concessione costituisce un ostacolo alle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenze del 16 febbraio 2012, Costa e Cifone, C‑72/10 e C‑77/10, EU:C:2012:80, punto 70, nonché del 22 gennaio 2015, OMISSIS  e OMISSIS, C‑463/13, EU:C:2015:25, punto 46)”: e ciò “indipendentemente dal fatto che venga utilizzato un modello di concessionario unico oppure un modello a più concessionari”.

12.3. La Corte ha comunque anche statuito che, in assenza di un’armonizzazione a livello eurounitario del settore dei giochi d’azzardo, “gli Stati membri restano liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in questa materia, godendo al contempo di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di protezione dei consumatori e dell’ordine sociale che essi considerano più appropriato”; ha chiarito, inoltre, come “le restrizioni che detti Stati impongono devono però soddisfare le prescrizioni risultanti dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda segnatamente la loro giustificazione sulla scorta di motivi imperativi di interesse generale e la proporzionalità (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2016, Politanò, C-225/15, EU:C:2016:545, punti 39 e 40 nonché la giurisprudenza ivi citata)”.

La Corte ha, in definitiva, rimesso al giudice nazionale il compito di verificare “se una siffatta restrizione possa essere ammessa a titolo di misure derogatorie, per ragioni di interesse pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previste dagli articoli 51 e 52 TFUE, applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE, oppure possa essere giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi di interesse generale (sentenza del 22 gennaio 2015, OMISSIS  e OMISSIS, C-463/13, EU:C:2015:25, punto 27 nonché la giurisprudenza ivi citata”, rilevando come l’identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalla normativa nazionale rientra nella competenza del giudice del rinvio, al quale pure spetta di verificare l’effettiva proporzionalità delle prescrizioni imposte dallo Stato interessato sia pur tenendo conto delle indicazioni fornite dalla Corte stessa.

12.4. Se, dunque, gli inconvenienti amministrativi e le ragioni economiche non costituiscono un motivo adeguato a giustificare un ostacolo ad una libertà fondamentale garantita dal diritto dell’Unione, secondo la giurisprudenza europea (cfr. in tal senso sentenza del 22 gennaio 2015, OMISSIS e OMISSIS, C-463/13) possono invece essere qualificati come motivi imperativi di interesse generale (perciò atti a giustificare delle restrizioni alle libertà fondamentali riconosciute dagli articoli 49 e 56 TFUE) la protezione dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco.

12.5. Muovendo da tali premesse, la Corte ha conclusivamente rilevato come se uno degli obiettivi della normativa controversa consiste effettivamente nel ridurre la competizione all’interno del particolare mercato della gestione del servizio del gioco del lotto, il modello a concessionario unico sembra allora idoneo a raggiungere tale obiettivo: ciò in quanto l’applicazione della concorrenza tra più operatori autorizzati a gestire gli stessi giochi d’azzardo può comportare un effetto pregiudizievole per i consumatori, legato al fatto che “tali operatori sarebbero inclini a rivaleggiare per inventiva al fine di rendere la loro offerta più attraente di quella dei loro concorrenti, con conseguente aumento delle spese legate al gioco nonché dei rischi di dipendenza dal gioco stesso”.

La Corte ha parimenti escluso che possa assumere rilievo per escludere la proporzionalità della normativa in discussione nel procedimento principale la circostanza che il legislatore abbia optato per il modello monoproviding solo per la gestione del gioco del lotto (e non per gli altri giochi): tale proporzionalità deve essere valutata, invero, solo avendo riguardo agli obiettivi in concreto perseguiti (in primis il contrasto della ludopatia e la prevenzione delle spese eccessive legate al gioco).

12.6. Deve, dunque, verificarsi in concreto se le autorità competenti dello Stato membro conducano politiche intese a incoraggiare la partecipazione ai giochi d’azzardo diversi da quelli rientranti nel sistema a concessione unica, anziché volte a ridurre le occasioni di gioco e a limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico.

Pertanto, la Corte ha conclusivamente statuito che gli articoli 49 e 56 del TFUE non ostano ad una normativa nazionale (come quella qui in discussione) la quale preveda, per la concessione della gestione del servizio del gioco del lotto, un modello a concessionario unico, a differenza degli altri giochi, pronostici e scommesse, “a condizione che il giudice nazionale accerti che la normativa interna persegue effettivamente in modo coerente e sistematico i legittimi obiettivi fatti valere dallo Stato membro interessato”.

12.7. Alla luce di tali indicazioni interpretative fornite dalla Corte, deve ritenersi come le ragioni che hanno orientato la scelta legislativa di un siffatto modello (scelta poi recepita negli atti di gara impugnati) siano effettivamente ascrivibili a fattispecie meritevoli di tutela secondo l’ordinamento dell’Unione: essa è infatti giustificata da ragioni di controllo e vigilanza a presidio dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza (che improntano peraltro, nel nostro ordinamento, l’intero settore dei giochi e delle scommesse) e da motivi di imperativi di interesse generale; il che esclude che essa comporti una violazione delle libertà garantite degli articoli 49 e 56 TFUE.

12.7.1. In primo luogo, è innegabile che le peculiarità del gioco del Lotto abbiano necessariamente determinato la scelta a monte (non per i servizi di raccolta delle giocate affidata alla rete di ricevitorie capillarmente diffusa su tutto il territorio nazionale, ma per i servizi automatizzati di estrazione, gestione della raccolta, riscossione degli importi dovuti e pagamento delle vincite) di un sistema monoconcessionario.

12.7.2. Il gioco del lotto è in effetti l’unico in cui lo Stato sopporta il c.d. rischio banco, ossia quello che le vincite siano superiori alle giocate effettuate: non può, infatti, condividersi l’assunto di OMISSIS secondo cui si tratterebbe di un rischio puramente teorico e nominale, perché non rileva la circostanza che in concreto non si sia mai verificata una siffatta evenienza né la percentuale di probabilità del suo effettivo accadimento, bensì l’astratta possibilità (che non può escludersi con una probabilità vicina alla certezza) della sua verificazione durante l’attività di impresa, potenzialmente idonea ad avere effetti negativi sulla medesima.

È evidente, allora, come, in tal senso, il modello monoproviding soddisfi in primis l’esigenza dello Stato (il quale sopporta in via esclusiva il rischio di impresa nei termini su indicati) di confrontarsi nella gestione di quel gioco con un unico ed affidabile operatore scelto mediante una procedura aperta, competitiva, non discriminatoria e trasparente.

12.7.3. La scelta del modello monoproviding non si esaurisce, tuttavia, in ragioni connesse alle peculiarità del gioco del lotto: ma, proprio in ragione di tali innegabili peculiarità, non può dubitarsi che detta scelta risponda ad una fondamentale esigenza di ordine pubblico e pubblica sicurezza, convogliando il gioco in un circuito unico e controllato sì da rendere possibile un rapido, agevole e trasparente controllo dell’Amministrazione sulla sua gestione e da prevenire il rischio di frode e di infiltrazioni di organizzazione criminali; obiettivi questi da tempo perseguiti dal legislatore nazionale nel settore dei giochi.

12.7.4. Ed infatti, le attività affidate al concessionario unico della gestione del lotto automatizzato, oggetto della presente concessione, sono complesse e strettamente correlate tra loro, riguardando anche le attività di gestione della raccolta delle giocate, l’aggiornamento telematico della rete telematica, la riscossione degli importi dovuti e il pagamento delle vincite, nonché la gestione e l’amministrazione contabile e l’intera attività di rendicontazione (verso banche e operatori finanziari): la scelta del concessionario unico risponde, dunque, anche a motivazioni di carattere gestionale, ma non nel senso di esaurirsi in esse; esso nella misura in cui attua, invero, la garanzia di un più efficace e sicuro controllo dell’Amministrazione statale sulla gestione del gioco, assicura al contempo un più adeguato livello di prevenzione dai rischi di frodi e infiltrazioni di organizzazioni criminali.

In più occasioni, infatti, la Corte di Giustizia ha dichiarato, per quanto concerne la normativa italiana in materia di giochi d’azzardo, che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo (finalizzata a garantire la continuità dell’attività legale di raccolta di gioco, arginando lo sviluppo di attività illegali e parallele) è idoneo a giustificare le restrizioni della libertà fondamentali derivanti da tale normativa.

12.7.5. Inoltre, detto modello, vista la sua unicità, assicura una migliore tutela dei consumatori: esso, infatti, garantisce lo stesso livello di sevizio, la medesima tecnologia e la continuità nel pagamento delle vincite, consolidando la fiducia nel sistema da parte degli utenti.

Per contro, il modello multiproviding invocato dalle appellanti, considerata anche l’estensione della rete sul territorio, potrebbe determinare assai più facilmente occasioni di frodi e irregolarità nelle giocate (ma anche per quanto concerne il versamento allo Stato di ritenute e utili) e nel contempo, deresponsabilizzando i singoli concessionari, sarebbe pure foriera di incertezze, con effetti negativi sulla raccolta e sui consumatori, e i conseguenti rischi di tenuta del sistema nel suo complesso sì da comportare anche il pericolo di proliferazione di reti illegali del lotto.

12.8. Nel contempo, non è revocabile in dubbio che il modello monoproviding rappresenta un efficace strumento per realizzare una politica regolatoria responsabile e non competitiva del gioco del lotto: esso finisce così per garantire una più efficace e incisiva tutela dei consumatori perché impedisce la concorrenza tra più operatori (con il conseguente aumento esponenziale delle spese legate al gioco e delle connesse patologie), ontologicamente insita nel modello a concessionario plurimo.

Quest’ultima porterebbe in effetti gli operatori a rivaleggiare tra loro sul piano dell’inventiva, anche mediante la creazione di nuove forme di giochi numerici, sì da rendere la loro offerta più attraente di quella dei concorrenti, al fine di accaparrarsi nuovi utenti, creando al contempo fenomeni di competizione aggressiva per assicurarsi i punti di raccolta più redditizi: come bene dedotto dalla difesa di OMISSIS, insieme alla pluralità delle reti, aumenterebbero altresì i punti di raccolta che non sarebbero più controllabili dalla rete informatica, con i conseguenti rischi di abusi o frodi.

Il modello monoproviding risponde, dunque, ad una logica di gestione responsabile, dando origine ad una minore competizione all’interno di questo mercato particolare: del resto, la definizione e il consolidamento dei valori del gioco responsabile possono essere perseguiti esclusivamente attraverso lo sviluppo di messaggi coerenti e mediante una comunicazione univoca e uniforme che presuppone un’unica regia, possibile solo in un modello monoproviding.

Peraltro, non a caso un siffatto modello, come dimostrato dalle appellate e contrariamente a quanto assume OMISSIS, non costituisce affatto un unicum né in una logica comparatistica né nel settore dei giochi nell’ambito del nostro ordinamento (ove anche altri giochi, quali quelli a totalizzatore nazionale, sono esercitati da un concessionario unico): ad ogni modo, la circostanza è ininfluente ai fini del decidere, posto che la stessa Corte di Giustizia ha chiarito come lo Stato, nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale che gli compete per quanto riguarda il livello di protezione dei consumatori e la scelta dell’ordine sociale ritenuto più appropriato, legittimamente può optare per un sistema dualistico nel quale convivano entrambi i sistemi nei diversi settori (come peraltro si desume dalla stessa Direttiva concessioni, la quale, pur non applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede la possibilità di affidare una concessione “ad uno o più operatori economici”: cfr. art. 5, par. 1 e considerando n. 11).

La Corte ha, infatti, chiarito che la valutazione della proporzionalità della normativa in discussione non può riferirsi alle differenti modalità di organizzazione e gestione del gioco in taluni settori e non in altri: in ogni caso, in disparte le evidenziate peculiarità che, in applicazione del principio di uguaglianza sostanziale e di ragionevolezza, giustificherebbero una differente disciplina, deve registrarsi una tendenziale dismissione da parte del legislatore italiano del modello multi providing anche in generale per le altre concessioni di gioco ed un complessivo superamento dell’opzione a favore di più operatori (cfr. art. 1, comma 576, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 che, modificando l’art. 21 del d.l. n. 78 del 2009, conv. in l. 102 del 2009, ha stabilito che le concessioni di gioco sono affidate “indistintamente ad uno o più soggetti”).

Non può che rilevarsi poi la contraddittorietà delle tesi prospettate dalle appellanti nella misura in cui, da un lato, asseriscono che l’opzione del modello in esame riposerebbe unicamente su giustificazioni economiche, dall’altro auspicano l’adozione di un modello multiproviding senza indicare né comprovare le ragioni per cui esso sarebbe idoneo (o lo sarebbe di più) a perseguire obiettivi imperativi di interesse generale, ma solo facendo riferimento proprio ad una sua asserita maggiore redditività per lo Stato.

12.9. In conclusione, non può condividersi l’assunto delle appellanti secondo cui i motivi addotti a sostegno della legittimità di un siffatto modello avrebbero esclusivamente carattere economico o gestionale e non sarebbero giustificati né alla luce delle peculiarità del gioco del lotto né della ricorrenza di motivi imperativi di interesse generale: al contrario, il modello monoproviding rappresenta un sistema idoneo a realizzare finalità di ordine sociale e sicurezza pubblica, nonché una politica regolatoria responsabile del settore, in linea con numerosi interventi del legislatore nazionale in tal senso.

12.9.1. A tale proposito si pensi, a mero titolo esemplificativo: a) al d.l. 13 settembre 2012, n. 158, recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, e in particolare all’art. 7 - “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica”b) al d.l. n. 158 del 2012, conv. con mod. in l. n. 189 del 2012, che dispone l’esistenza di un obbligo dell’amministrazione a porre in essere interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco ai fini della tutela della salute e ispirati al principio di precauzione; c) alla disciplina di cui all’art.1, comma 943, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, volta a garantire un sistema più sicuro in materia di prevenzione di frodi e manomissioni e a diminuire le occasioni di gioco mediante una riduzione delle c.d. slot machined) e, da ultimo (ma non meno importante), alle disposizioni di cui al capo III (rubricato “Misure per il contrasto del gioco d’azzardo”) del d.l. 12 luglio 2018, n 87 recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, ed in particolare all’art. 9 “Divieto di pubblicità di giochi e scommesse”.

12.9.2. Alla luce delle discipline richiamate, non può dunque disconoscersi che la normativa interna ha, nel tempo, perseguito in modo coerente e sistematico gli obiettivi fatti valere dallo Stato, di tutela del giocatore e contrasto dei fenomeni ludopatici che rendono legittime le deroghe e le limitazioni delle liberte riconosciute dal diritto dell’Unione, quali la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi.

12.9.3. Del resto, tali considerazioni trovano fondamento nella consolidata giurisprudenza europea che, in più occasioni, ha riconosciuto la conformità ai principi dell’Unione, delle discipline nazionali per la raccolta e gestione del gioco lecito, purché non pongano discriminazioni in base alla nazionalità degli operatori e siano preordinate alla tutela dei consumatori e alla protezione dell’ordine pubblico e sociale, nei limiti dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (in tal senso, Corte di Giustizia dell’Unione Europea 30 giugno 2011, in C-21/08, Zeturf; 6 marzo 2007, in cause riunite C/338.04 e C 360/04, Placanica; 6 novembre 2003, in causa C-243/01, Gambelli); anche la giurisprudenza nazionale (si veda ex multis Cons. di Stato, VI, 11 marzo 2019, n. 1618; Consiglio di Stato, V, n. 4867 dell’8 agosto 2018 che ha ritenuto legittima la misura con cui un Comune aveva disposto limitazioni, prescrivendone la sospensione in una determinata fascia oraria, al funzionamento degli apparecchi per l’esercizio del gioco di cui all’art. 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, T.U.L.P.S) ha a più riprese affermato la legittimità delle limitazioni previste dal sistema concessorio nel mercato dei giochi sulla scorta delle stesse previsioni comunitarie, perché giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi, di turbative all’ordine sociale e dell’incitamento ad una spesa eccessiva legata al gioco, e perciò proporzionate all’obiettivo perseguito.

12.9.4. Per le ragioni indicate, una specifica disciplina del gioco del lotto non può ritenersi, dunque, né ingiustificata né irragionevole, risultando anzi coerente con le specifiche finalità di interesse pubblico (perseguite in maniera coerente e sistematica) e con la politica dell’intero comparto dei giochi attuata dallo Stato: essa, infatti, è volta a realizzare, con modalità adeguate e proporzionate (perché commisurate e non eccedenti rispetto allo scopo), obiettivi imperativi di interesse generale che lo rendono pienamente conforme ai dettami stabiliti dalla Corte di Giustizia.

12.9.5. In definitiva, meritano conferma le statuizioni di prime cure che correttamente avevano ritenuto legittimo e ragionevole l’adozione nella specie del modello monoproviding a monte (per la concessione relativa alle attività di gestione automatizzate della rete di raccolta del gioco del Lotto) e pluriconcessionario a valle per la raccolta delle giocate, perché idoneo ad assicurare sia la “concorrenza nel mercato” della raccolta del gioco del lotto, sia la “concorrenza per il mercato” relativo alla gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato: e che hanno, quindi, rilevato come, da un lato, fossero inconferenti e non pertinenti i richiami operati dalle OMISSIS alle segnalazioni e ai pareri dell’Autorità garante della concorrenza e alla sentenza della Corte di Giustizia del 21 gennaio 2013, cause riunite C-186 e C-209/11 (che si riferiva al ben diverso dell’affidamento diretto e senza gara), dall’altro come detto modello, creando una minore competizione all’interno del mercato, realizzasse una logica di governo responsabile (id est: non competitivo) del gioco.

13. Risulta parimenti infondato il terzo motivo d’appello, concernente la base d’asta della procedura di evidenza pubblica per l’affidamento della concessione, di cui le appellanti hanno sostenuto la natura irragionevole, sproporzionata e finanche escludente.

13.1. Anche tale questione è stata oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia che si è pronunziata sulla compatibilità con il diritto comunitario.

13.1.2. In particolare, la Corte, dopo aver ricordato che la base d’asta costituisce, in effetti, un elemento in grado di incidere sulla partecipazione alla gara, da scrutinarsi secondo parametri di proporzionalità e nel rispetto generale del canone di trasparenza, ha escluso che l’assunto di OMISSIS, secondo cui la base d’asta, ammontante ad euro 700 milioni (ossia il doppio del requisito di capacità economica e finanziaria previsto al punto 5.3. del capitolato d’oneri), sia tale da influire sul carattere oggettivo del valore stimato del contratto.

La Corte di Giustizia ha, infatti, ribadito che tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione, ivi compresa la base d’asta e il valore stimato del contratto (che deve essere fondato su criteri oggettivi), devono essere formulate in maniera chiara, precisa e univoca, per assicurare un’informazione effettiva e adeguata dai parte dei candidati “ragionevolmente informati e normalmente diligenti”, fissando dei limiti al potere discrezionale dell’autorità concedente nella determinazione di tali requisiti; e sulla base di tali premesse, aderendo alle conclusioni dell’Avvocato Generale, ha chiarito che detto valore va valutato “anche in rapporto all’entità economica assai elevata della concessione, pari ad euro 6600 milioni annui, ed all’aggio annuale riconosciuto al concessionario per la gestione del servizio pari al 6% delle somme raccolte, ossia euro 400 milioni circa, nonché in rapporto alla possibilità di cui disponevano gli eventuali candidati a partecipare alla procedura come raggruppamenti di imprese”; ha, infine, richiamato la sentenza del Tribunale amministrativo dalla quale risultava che almeno quindici operatori soddisfacevano tale criterio per partecipare alla gara.

La Corte ha, quindi, conclusivamente statuito che, da un lato, l’importo a base d’asta in discussione è stato formulato in maniera chiara, precisa e univoca, dall’altro che “sembra essere oggettivamente giustificato”.

13.2. Alla stregua delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia (la quale ha rimesso a questo giudice la verifica finale del carattere proporzionato della normativa nazionale in discussione), va respinto, perché infondato, il terzo motivo di censura dedotto dalle appellanti. Infatti, le statuizioni della decisione pregiudiziale sono di per sé in grado di confutare gli assunti delle società OMISSIS.

13.3. Anche il Tribunale amministrativo, operando analogo ragionamento a quello svolto dalla Corte (con argomentazione che la Sezione condivide pienamente e che intende confermare), ha rilevato come la base d’asta non presentasse i censurati profili di irragionevolezza e sproporzione, poiché essa andava rapportata e commisurata all’elevato valore della concessione (e, in definitiva, ai rilevatissimi interessi pubblici ad essa sottesi) ed era comunque bilanciata dall’aggio riconosciuto dal concessionario. A tale riguardo, la difesa erariale ha dedotto che nell’anno 2017, per il gioco del Lotto, a fronte di una raccolta di euro 7.500.000.000, l’aggio, pari al 6 per cento della raccolta stessa spettante al concessionario, ammontava ad euro 450.000.000.

13.4. L’ADM, dunque, nella quantificazione dell’importo a base d’asta, ha correttamente tenuto conto degli unici elementi di rilievo per valutare il profitto atteso dal concessionario, vale a dire il compenso percepito per l’attività di raccolta e la sostenibilità dei relativi costi (correlati ai necessari investimenti tecnologici per garantire la regolarità e l’efficienza del servizio): tali criteri oggettivi sono stati poi resi noti in anticipo a tutti i possibili partecipanti.

13.5. Dalle statuizioni della Corte si trae, dunque, conferma alle validità delle affermazioni della sentenza appellata laddove ha evidenziato come la misura della base d’asta (peraltro da tempo integralmente corrisposta da OMISSIS unitamente al rialzo del 10 % offerto per un valore di complessivi 770 milioni) fosse in linea con quanto previsto da analoghi bandi pubblicati negli ultimi anni per l’affidamento in concessione delle altre principali tipologie di scommesse e giochi pubblici (si pensi alla fissazione dell’importo del c.d. diritto all’ingresso nella misura di 800 milioni di euro, ritenuta “non incongrua e nemmeno discriminatoria, risultando, per quanto di notevolissima consistenza, compatibile con le finalità, gli interessi “in gioco” e le caratteristiche tecniche della procedura selettiva per cui è causa”, il cui bando era volto ontologicamente a “selezionare i principali operatori del settore del gioco, soggetti decisamente forti ed idonei a sopportare …l’urto iniziale di un esborso così cospicuo”: in questi termini Cons. di Stato, Sez. IV, 23 marzo 2010, n. 1705).

Deve poi rilevarsi, come ha peraltro evidenziato la Corte di Giustizia, che la normativa in argomento prevedesse non un pagamento in un’unica soluzione ma scaglionato in tre rate, nel corso degli anni 2015-2017 del prezzo indicato nell’offerta del concorrente risultato vincitore.

13.6. Né risulta dimostrato l’assunto di OMISSIS secondo cui la base d’asta di valore così elevato, unitamente ai prescritti requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi “pur ragionevoli a prima vista” a motivo della dimensione economica del servizio, celavano in realtà un meccanismo “occulto”, operando come una fortissima barriera all’ingresso per i nuovi operatori, nell’ambito di una gara costruita “su misura” per il concessionario uscente. Tali affermazioni appaiono, infatti, alla luce delle risultanze del giudizio, mere congetture, rimaste sfornite di prova quanto all’effettiva esistenza di un canale preferenziale o, comunque, di un favor partecipationis riservato dall’Amministrazione alla sola OMISSIS.

13.6.1. Del resto, la partecipazione di quest’ultima alla procedura in raggruppamento temporaneo è circostanza neutra priva di rilevanza ai fini del decidere, in quanto non dimostrativa di una sua impossibilità a parteciparvi singolarmente, ma frutto, per ammissione delle stesse appellanti, di una libera e autonoma scelta imprenditoriale della OMISSIS. Nulla ostava, dunque, a che anche le società appellanti facessero ricorso, come consentito dalla lex specialis, alle capacità di altri operatori per soddisfare i requisiti di partecipazione alla gara, non potendo ritenersi che la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi fossero conculcate dalla impossibilità per gli operatori economici, perché di minori dimensioni o comunque privi dei requisiti di ammissione, di competere singolarmente per l’aggiudicazione della concessione. In definitiva, non può ritenersi di per sé illegittimo l’esercizio da parte della concorrente, risultata aggiudicataria, di una facoltà espressamente consentita dalla legge di gara.

13.7. Vero è, piuttosto, che l’indicazione dei requisiti partecipativi, formulata in maniera chiara, precisa e univoca, mira inevitabilmente ad assicurare l’aggiudicazione della gara ad un soggetto dotato di adeguata affidabilità e solidità patrimoniale: tale obiettivo, legittimamente perseguito dal legislatore prima e dall’amministrazione poi, non è tuttavia censurabile.

13.8. A diverse conclusioni non si giunge poi sulla scorta degli indici di solidità patrimoniale posti dal decreto del MEF del 28 luglio 2011, richiamati dalla “memoria Merini” depositata da OMISSIS in primo grado e confutata dal Tribunale: tali indici, da un lato, non erano requisiti di partecipazione alla gara (sì che andavano valutati solo nella fase esecutiva della concessione, ben potendo l’aggiudicatario adeguarvisi durante il rapporto concessorio), dall’altro andavano valutati complessivamente e non loro insieme, secondo un giudizio ponderato che tenesse conto della diversa tipologia e della tipologia del gioco, nonché del momento in cui la valutazione viene effettuata (come stabilito nella circolare prot n. 2011/22367Strategie/ UD del 5 agosto 2001 dell’ADM).

In ogni caso, anche a voler leggere tali indici singolarmente, alla gara avrebbero potuto partecipare (sulla base di quanto riportato nella stessa Memoria Merini) cinque operatori, ovvero OMISSIS, OMISSIS OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, tutti facenti parte del campione analizzato dal consulente delle appellanti (campione, peraltro, incompleto per avere il consulente omesso di considerare concessionari di grandissime dimensioni, quali OMISSIS s.p.a., OMISSIS s.p.a. e Bet 365).

Per mera completezza, deve poi osservarsi come la consulenza di parte non abbia tenuto conto delle maggiori entrate derivanti dall’aggiudicazione e dalla gestione della rete, circostanza dirimente ai fini della determinazione dell’effettivo indebitamento dell’aggiudicatario.

13.9. In conclusione, il motivo in esame va respinto e vanno confermati i capi e le motivazioni della sentenza di prime cure laddove hanno ritenuto le clausole della lex specialis, censurate dalla società OMISSIS, inidonee a determinare un’indebita restrizione e limitazione della concorrenza e dell’accesso al mercato in questione: risultano, infatti, pienamente rispettate le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia, che consentono di ritenere l’individuazione della base d’asta de qua non contraria ai principi e alle libertà riconosciute del diritto dell’Unione, perché proporzionati al valore del contratto e fondati su criteri oggettivi, elementi tutti resi noti in anticipo ai potenziali concorrenti secondo i principi di trasparenza, uguaglianza e par condicio.

Per le stesse ragioni, non può ritenersi che la disciplina normativa in argomento, di cui le appellanti hanno invocato la disapplicazione, violi i principi costituzionali di uguaglianza, libertà di iniziativa economica e libertà di concorrenza.

14. Anche il quarto motivo di doglianza, con cui OMISSIS si doleva delle ipotesi di revoca e decadenza della concessione contenuto nello schema di convenzione, prospettando l’interferenza con diverse vicende contenziose ancora sub iudice che la riguardavano, è stata oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con l’ordinanza 2808/2017 di questa Sezione.

14.1. Va, anzitutto, precisato che le appellanti, sebbene nell’articolare il motivo abbiano genericamente dedotto l’erroneità dei capi della sentenza che hanno negato anche il carattere illegittimo delle clausole di cui punto 9.1.lett. b) del capitolato, non hanno tuttavia sviluppato specifiche censure avverso i medesimi. Le critiche formulate dalla OMISSIS con il mezzo in esame si sono infatti in concreto appuntate solo sulle clausole di decadenza dalla concessione previste dall’art. 30, lett. h) e k), dello schema di convenzione.

A prescindere dall’inammissibilità in parte qua del mezzo di impugnazione, deve comunque rilevarsi che meritano conferma le statuizioni di prime cure che hanno rilevato la legittimità della clausola in esame perché con essa l’Amministrazione si è limitata a recepire previsioni legislative (e, in specie, quella dell’art. 38 dell’allora vigente codice dei contratti pubblici in base al quale sono esclusi dalla partecipazione alla procedure di gara i soggetti che “hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”).

14.2. OMISSIS, dunque, ha censurato e continua a censurare con il mezzo in esame le previsioni, contenute nello schema di convenzione, che prevedono la decadenza dalla concessione nel caso in cui il concessionario venga rinviato a giudizio per reati suscettibili di incrinare il rapporto fiduciario con l’Amministrazione (art. 30 lett. h) o commetta violazioni delle norme in materia di repressione del gioco illecito, anomalo e clandestino (art. 30 lett. k).

Nelle memorie e nelle repliche depositate in vista dell’udienza pubblica, le appellanti hanno ulteriormente dedotto che la prima ipotesi decadenziale si porrebbe in palese conflitto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 21 marzo 2019 e con il parere del Consiglio di Stato, II, n. 1520 del 2018 sulla gara per il superenalotto, il quale avrebbe stigmatizzato una clausola di analogo tenore in quanto suscettibile di dilatare eccessivamente le ipotesi ivi contemplate rispetto al novero delle cause di esclusione contemplate dall’art. 80 del D.Lgs. n. 50 del 2016.

14.3. Così delineato il thema decidendum, giova in primo luogo evidenziare che la Corte di Giustizia ha preliminarmente chiarito che, pur avendo in passato constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è tuttavia mai pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse ai giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale. In tal modo, la Corte ha, dunque, disatteso il postulato su cui “la terza questione sollevata dal giudice del rinvio sembra fondarsi”, ovvero quello secondo cui la sua giurisprudenza avrebbe riconosciuto la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD (id est: in assenza di concessione e senza autorizzazione di polizia).

Alla luce di tale precisazione, la Corte ha dunque proceduto a riformulare la terza questione “nel senso che, tramite essa, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 56 TFUE, nonché i principi di non discriminazione, di trasparenza e di proporzionalità, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una disposizione, come quella in discussione nel procedimento principale, contenuta in uno schema di convenzione per il rapporto di concessione predisposto per una pubblica gara, e la quale preveda la decadenza dalla concessione per la gestione del servizio del gioco del lotto: - in presenza di qualsiasi ipotesi di reato per il quale sia stato disposto il rinvio a giudizio e che l’amministrazione aggiudicatrice, in ragione della sua natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione, valuti tale da far escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario; - oppure qualora il concessionario violi la normativa in materia di repressione del gioco anomalo, illecito e clandestino ed, in particolare, quando in proprio od attraverso società controllate o collegate ovunque ubicate commercializzi altri giochi assimilabili al gioco del lotto senza averne il prescritto titolo”.

Riformulato così il quesito pregiudiziale e rammentato che le clausole di decadenza dalla concessione, costituendo ostacolo alle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE, devono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale e devono soddisfare il criterio di proporzionalità, la Corte di Giustizia ha dunque rilevato che le clausole di cui all’art. 30, lett. h), dello schema di convenzione “descrivono in maniera succinta ma chiara le condizioni che devono essere soddisfatte prima che l’ADM decida di pronunciare la decadenza, di modo che un candidato ragionevolmente avveduto e normalmente diligente non può incontrare difficoltà a comprendere l’ambito di applicazione e la portata della clausola stessa”.

Rilevato, infatti, che la gravità della sanzione postula che il concessionario sia posto ex ante nella condizione di prevederne l’irrogazione e che ciò richiede a sua volta che “le circostanze nelle quali la sanzione può essere applicata siano enunciate in modo chiaro, preciso e univoco”, la Corte ha, dunque, evidenziato che la clausola in esame “sembra rispondere a tale requisito, fatte salve le verifiche che competono al giudizio del rinvio”.

Nella decisione pregiudiziale ai fini della valutazione in ordine alla prevedibilità e accessibilità per la generalità degli operatori delle circostanze che comportano la decadenza, si dà rilievo al fatto che i presupposti per il rinvio a giudizio sono disciplinati nell’ordinamento italiano dalle norme del codice di procedura penale.

Quanto poi alla questione se la clausola soddisfi anche le prescrizioni derivanti dal principio di proporzionalità (in base al quale le restrizioni imposte dalla normativa nazionale non devono andare oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito), la Corte di Giustizia ha conclusivamente ritenuto che sebbene la decadenza automatica postuli una sentenza passata in giudicato che abbia accertato la commissione di un reato connesso con l’oggetto dell’attività affidata in concessione, ben può riconoscersi all’Amministrazione la facoltà di disporre la decadenza anche in assenza di una sentenza definitiva “ove siano soddisfatte condizioni rigorosamente disciplinate dalla legge” e nel momento in cui si verifichino fatti idonei a rimettere in discussione l’affidabilità del concessionario “segnatamente a causa della commissione di un reato connesso con l’oggetto dell’attività affidata in concessione”.

14.4. In presenza di accadimenti tali da pregiudicare il rapporto fiduciario con il concessionario, deve essere dunque riconosciuto all’Amministrazione il potere discrezionale di disporre la decadenza, tenendo conto che il relativo margine di discrezionalità, come rilevato dalla Corte europea (v. par. 77 della decisione pregiudiziale) “incontra un limite duplice”in primis, la decadenza presuppone il previo intervento di un’autorità giudiziaria indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice, la quale, a seguito di una domanda del pubblico ministero, formuli un imputazione fondata su un complesso di indizi probanti raccolti nell’ambito di un indagine penale; in secondo luogo, il reato commesso deve essere “connesso” con l’oggetto dell’attività affidata in concessione.

14.5. Infine, la Corte di Giustizia ha statuito che nell’esaminare il carattere proporzionato di tali clausole, “il giudice del rinvio dovrà altresì tener conto del fatto che la decadenza di un operatore economico dal contratto di concessione non può essere considerata proporzionata qualora la normativa nazionale non preveda né un’efficace possibilità di ricorso in sede giurisdizionale, né un risarcimento del danno subìto nell’ipotesi in cui, successivamente, tale esclusione si rivelasse ingiustificata”: qualora, dunque, l’operatore escluso o il concorrente dichiarato decaduto dispongano di un diritto di ricorso effettivo per contestare il fatto di essere stati dichiarati, rispettivamente, escluso o decaduto, e gli interessati possano ottenere un risarcimento del danno subito nell’ipotesi in cui, successivamente, l’esclusione o la decadenza si rivelassero ingiustificate, compreso il caso in cui ciò sia conseguenza di una violazione del diritto dell’Unione, simili clausole devono essere considerate rispondenti alle prescrizioni derivanti dal principio di proporzionalità.

14.6. Tanto premesso, la Sezione qui rileva come le statuizioni della Corte di Giustizia sgomberano il campo dai dubbi in ordine ai profili di criticità prospettati dalle appellanti in relazione alle contestate clausole della convenzione, escludendo che esse siano ex se illegittime, consentendo, al contempo, sulla base dei parametri fissati, di elidere anche i paventati pericoli di influenza della clausola in esame e di quelle ipotesi decadenziali sul contenzioso in essere tra OMISSIS e lo Stato Italiano relativo a vicende, di rilevanza penale, che riguardando i c.d. CTD (Centri trasmissione dati) attraverso i quali le società appellanti operano sul territorio italiano,.

14.6.1. Va anzitutto osservato, infatti, che i timori rappresentati dalle appellanti sono privi di consistenza alla luce del contenuto delle clausole convenzionali controverse che prevedono, quale causa di decadenza, il rinvio a giudizio per gravi ipotesi di reato “connesse” con l’oggetto della concessione: va da sé che le vicende giudiziarie che interessano le appellanti e i loro Centri di trasmissione dati, attraverso i quali operano sul territorio italiano, non potrebbero ritenersi rilevanti ai fini della decadenza poiché afferiscono alle attività di raccolta del gioco, mentre la concessione per cui è causa (che non è appunto una concessione di gioco, ma di servizi) ha ad oggetto la gestione dei servizi di estrazione, collegamento e automazione del lotto e degli altri giochi a quota fissa.

Una volta chiarito poi che la Corte non si è pronunziata né ha mai riconosciuto nella propria giurisprudenza la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD (in assenza di titolo concessorio), OMISSIS non può dolersi della presunta incongruenza e sproporzione della clausola che dispone la decadenza in caso di violazione, da parte del concessionario, della normativa in materia di repressione del gioco anomalo, illecito e clandestino. Tale clausola risponde, infatti, alla realizzazione di primari interessi generali, risultano proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito in modo coerente e sistematico dallo Stato Italiano (che è quello di contrastare infiltrazioni della criminalità nel settore dei giochi e arginare lo sviluppo di un’attività illegale e parallela) ed è conforme al principio di trasparenza, in quanto formulata in modo chiaro, preciso e univoco.

14.7. Per quanto concerne la verifica di proporzionalità di tali clausole demandata al giudice nazionale, si deve ritenere che nel caso di specie siano soddisfatte nel nostro ordinamento le condizioni poste dal giudice europeo, vale a dire la possibilità di ricorso in sede giurisdizionale per contestare la legittimità della clausola ed ottenere la tutela risarcitoria ove si accerti, all’esito del giudizio, che l’esclusione e la decadenza furono illegittimamente disposte. Infatti, in base all’art. 24 Cost., tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi; l’art. 1 del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 recante il Codice del processo amministrativo dispone che “La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzionee del diritto europeo”; l’art. 34, comma 1, Cod. proc. amm. stabilisce inoltre che: “in caso di accoglimento del ricorso, il giudice nei limiti della domanda: a) annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato; b) ordina all’amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine; c) condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile. L’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’articolo 31, comma 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio; d) nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato; e) dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza.”; i commi terzo e quarto della norma in esame prevedono, inoltre, che: “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori. 4. In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti.” Solo allorquando nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti “pienamente soddisfatta”, il giudice dichiarerà cessata la materia del contendere.

14.7.1. Alla luce di tali disposizioni, l’operatore economico e l’aggiudicatario che siano stati, rispettivamente, esclusi dalla selezione o dichiarati decaduti dalla concessione potranno certamente rivolgersi al giudice per ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo e il risarcimento dei danni derivanti dall’attività provvedimentale, lesiva dei propri interessi, della Pubblica Amministrazione.

14.8. Né possono ricavarsi argomenti contrari a supporto delle tesi delle appellanti (sì da escludere la legittimità e proporzionalità di una previsione di decadenza rimessa alla valutazione discrezionale dell’ADM in presenza di qualsiasi ipotesi di reato per il quale sia stato disposto il rinvio a giudizio e che l’amministrazione aggiudicatrice, in ragione della sua natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l'oggetto dell'attività affidata in concessione, valuti tale da far escludere 1’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario) dalle perplessità espresse da questo Consiglio in sede consultiva nel parere n. 1520 dell’11 giugno 2018 (in relazione alla “Procedura di selezione per l’affidamento in concessione della gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale, dei giochi complementari e opzionali e delle relative forme di partecipazione a distanza, nonché di ogni ulteriore gioco numerico basato su un unico totalizzatore a livello nazionale”). In quel caso questo Consiglio non si è infatti pronunciato criticamente sulla circostanza per cui la decadenza fosse correlata al mero rinvio a giudizio, ma ha solo rilevato come il riferimento ad un tale atto del processo penale che non contiene ancora alcun accertamento di reità possa essere giustificato solo in presenza di una fonte di carattere primario (individuata in quel caso nell’art. 24, comma 25, del d.l. 6 luglio 2011, n. 9) che “in considerazione delle peculiarità e delicatezza del settore, preveda le specifiche deroghe al generale principio, fatto proprio dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici, per il quale è sempre necessario un accertamento penale passato in giudicato”.

Come bene rilevato dalle difese delle appellate, la circostanza che l’Amministrazione abbia poi eliminato la clausola in parola nel bando di gara dei giochi numerici a totalizzatore nazionale (Super Enalotto) non costituisce un’ammissione per facta concludentia dell’illegittimità, incongruenza o arbitrarietà della clausola né un’inversione di rotta da parte dell’Agenzia rispetto al bando di gara del servizio automatizzato del gioco del lotto, ma deriva dalla constatazione della sua sostanziale inutilità in un gioco a totalizzatore.

14.8.1. Né risulta pertinente il richiamo operato dalle appellanti ai principi affermati nella sentenza della Corte Costituzionale 21 marzo 2019, n. 63, che ha statuito l’applicazione della retroattività della legge più favorevole anche con riferimento alle sanzioni amministrative.

Invero, non è in discussione che le clausole controverse siano state formulate in modo da consentire ai partecipanti alla gara di prefigurare le conseguenze del loro comportamento né che la facoltà discrezionale dell’Amministrazione di disporre la decadenza fosse subordinata a condizioni rigorosamente disciplinate dalla legge: come statuito dalla Corte di Giustizia “poiché i presupposti per il rinvio a giudizio sono disciplinati nell’ordinamento italiano dalle norme del codice di procedura penale, essi sono accessibili e prevedibili per la generalità degli operatori”, tenuto inoltre conto del fatto che il rinvio a giudizio viene disposto dal giudice su richiesta del pubblico ministero, dunque da “un’autorità giudiziaria indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice la quale formuli un’imputazione fondata su un complesso di indizi probanti raccolti nell’ambito di un’indagine penale”. (cfr. par. 77 della sentenza della Corte di Giustizia).

Tanto premesso, giova evidenziare come la richiamata sentenza della Corte Costituzionale afferisce al differente caso in cui una successiva disposizione normativa aveva modificato le sanzioni di cui all’art. 187 bis del d.lgs. n. 58 del 1999 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), così affrontando la questione della legittimità della legge con la quale si escluda l’applicazione della lex mitior alle sanzioni amministrative pecuniarie: i principi ivi affermati non si attagliano, dunque, alla fattispecie de qua, in quanto, per un verso, non viene in discussione alcun intervento normativo che abbia modificato la disciplina applicabile (né tantomeno le appellanti indicano la legge più favorevole eventualmente non applicata), per altro verso si verte non già di sanzioni amministrative con finalità punitive e afflittive (alle quali, pertanto, trovano applicazione i principi del ne bis in idem e le medesime garanzie delle sanzioni penali), ma di clausole decadenziali nell’ambito di un rapporto concessorio.

Dette clausole sono, in particolare, volte a tutelare l’interesse generale ad interrompere l’esecuzione del rapporto in itinere in presenza di accadimenti sopravvenuti, quali la commissione di un reato connesso all’oggetto dell’attività o la violazione della normativa in materia di repressione del gioco anomalo, illecito e clandestino, che hanno rimesso in discussione l’affidabilità e l’integrità del concessionario e irrimediabilmente compromesso l’intuitus fiduciae in esso riposto quale esecutore del servizio: e tanto anche a presidio dell’immagine e dell’efficienza dell’Amministrazione, la quale non deve essere percepita dai consociati e dall’intera collettività come struttura disorganizzata e inerte, avvezza a mantenere rapporti contrattuali con esecutori non più integri (o dei quali finanche si accerti, al termine della concessione, la responsabilità penale) e incapace di reagire al fine di ripristinare la legalità violata e di tutelare effettivamente gli interessi pubblici alla cui cura è preposta.

14.8.2. In conclusione, il Collegio rileva come lo scopo principale della clausola sia quello di evitare che soggetti che rappresentano e amministrano le società concessionarie di gioco in Italia possano continuare ad operare in modo illecito anche in pendenza di procedimenti penali di grande rilevanza, in coerenza con il primario interesse pubblico di contrastare e prevenire fenomeni criminali nell’esercizio delle attività affidate dallo Stato in concessione.

14.9. Per le indicate motivazioni, il motivo va respinto e meritano conferma le statuizioni della sentenza di prime cure che hanno ritenuto che le censurate disposizioni dell’art. 30 dello schema di convenzione, lungi dal costituire un mezzo per dissuadere le società ricorrenti dal partecipare alla gara, sono pienamente legittime perché fissano, con sufficiente determinatezza, cause di decadenza del concessionario connesse a condotte che determinano il venir meno del rapporto fiduciario con l’ADM.

A tal fine, in particolare, il Tribunale amministrativo correttamente ha dato rilievo decisivo alle considerazioni svolte con riferimento alla lex specialis relativa alla gara per l’affidamento delle concessioni in materia di scommesse di cui all’art. 10, comma 9-octies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 convertito con modificazione nella l. 26 aprile 2012, n. 44, prima da questo Consiglio nel parere n. 3337 del 19 luglio 2012 e poi dallo stesso Tribunale nella sentenza n. 1884 del 20 febbraio 2013, con cui è stata respinta l’impugnazione del bando di gara e delle clausole di decadenza proposta dalle società OMISSIS: quest’ultima decisione è stata poi confermata dal giudice d’appello (con la sentenza della IV Sezione, n. 4199 del 20 agosto 2013).

Ed infatti, nel parere menzionato, all’esito del raffronto tra la prima clausola dell’art. 23 e l’analoga prescrizione inserita nello schema di convenzione attinente alle procedure di gara del 2006 - richiamati i principi della Corte di Giustizia nella sentenza Costa-Cifone e rievocata la circostanza che alla Corte sovranazionale era apparsa non rispondente a tali principi, con riserva di verifica, da parte del giudice di rinvio, circa la chiarezza, precisione ed univocità, la previsione di decadenza ricollegata “ad ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS”- si invitava l’Amministrazione a valutare “se introdurre ulteriori elementi di specificazione che valgano a rafforzare il rispetto delle esigenze di chiarezza, precisione ed univocità sancite nella richiamata pronuncia”. Tali rilievi sono stati recepiti, appunto, con la modifica e la riformulazione della clausola da parte dell’Agenzia appellata nel senso di prevedere la necessità, ai fini della decadenza, di un provvedimento di rinvio a giudizio per reati tali da “escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario”.

Detta clausola è stata poi ritenuta dalle sentenze citate legittima, perché attinente alla fase di esecuzione e gestione del rapporto contrattuale (e non già a quella di ammissione alla gara) sicché esse “oltre a non essere escludenti nei termini già visti appaiono chiare, univoche, e sinanco doverose”, per la loro funzione preventiva nei confronti di un operatore sospettato, sulla base di indizi concludenti, di essere implicato in attività criminali, e rispondente al principio di proporzionalità rispetto all’interesse protetto, in considerazione della delicatezza del settore e dei rilevanti motivi di interesse pubblico sottesi alla sua regolamentazione.

15. Deve, infine, essere scrutinato il quinto motivo di censura con cui le appellanti lamentano l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel giudicare in ordine all’illegittimità della clausola recata dall’art. 2.1. dello schema di convenzione che prevede la devoluzione a titolo gratuito della rete del concessionario al termine della concessione.

15.1. Al riguardo va anzitutto precisato che tale questione non ha formato oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia: nelle memorie difensive in vista della discussione del merito le appellanti continuano dunque ad insistere su un presunto contrasto di tale clausola con i principi della pronunzia della Corte di Giustizia (Terza Sezione, 28 gennaio 2016, causa C375/14 c.d. sentenza Laezza), assumendo che verterebbe su identica questione, chiedendo pertanto un altro rinvio pregiudiziale ex 267 TFUE per il caso in cui questo giudice decida di discostarsi dai principi ivi affermati.

Le appellanti hanno anzi sostenuto che tale aspetto non avrebbe formato oggetto di uno specifico quesito pregiudiziale a causa dell’asserito convincimento da parte della Sezione della chiara ed evidente applicabilità dei principi affermati dalla c.d. sentenza Laezza al caso oggetto di giudizio: in tesi, i profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione della clausola di devoluzione gratuita della rete, per la loro univocità, avrebbero verosimilmente indotto questo giudice a non sollevare, nell’odierno giudizio, la questione pregiudiziale.

15.2. Tali assunti sono errati.

15.3. Non meritano, infatti, censura le statuizioni della sentenza appellata laddove hanno rilevato che “non giova alle società ricorrenti invocare la suddetta sentenza della Corte di Giustizia 28 gennaio 2016”, in quanto la fattispecie esaminata in quella sentenza è ben diversa da quella in esame.

15.4. Va in primo luogo osservato che con la sentenza richiamata la Corte sovranazionale si è pronunziata sulla disposizione di cui all’art. 25 dello schema di convenzione relativo alle concessioni di cui all’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge del 2 marzo 2012, n. 16 (recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”, conv. con modificazioni dalle legge del 26 aprile 2012, n. 44) in relazione alla gara per l’attribuzione fino ad un numero massimo di duemila concessioni con scadenza al 30 giugno 2016.

Tale clausola, oggetto della sentenza della Corte di Giustizia, prevedeva l’impegno “dietro espressa richiesta [dell’ADM], e per il periodo nella stessa stabilito”, del concessionario “a cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine finale della concessione o per effetto di provvedimenti di decadenza o revoca, [all’ADM] o ad altro concessionario da essa individuato con criteri di concorsualità, l’uso dei beni materiali ed immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, liberi da diritti e pretese di terzi, secondo le modalità previste nei commi seguenti”, previa individuazione dei beni oggetto di cessione nell’inventario e nei suoi successivi aggiornamenti.

15.4.1. Nel pronunziarsi sulla compatibilità comunitaria di una siffatta clausola la Corte di Giustizia ha statuito che “gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione nazionale restrittiva, quale quella in questione nel procedimento principale, la quale impone al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, qualora detta restrizione ecceda quanto è necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito da detta disposizione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.

15.5. Tanto premesso, deve dunque rilevarsi come il giudice di prime cure non si sia affatto discostato dai principi della sentenza sul c.d. caso Laezza, ma di quei principi abbia fatto piuttosto corretta applicazione, alla luce delle innegabili diversità esistenti tra le due fattispecie oggetto di giudizio.

In quel caso specifico, infatti, la devoluzione a titolo gratuito della rete veniva censurata in considerazione dell’anomala durata delle concessione, confinata ex lege a soli quaranta mesi: pertanto, secondo la Corte sovranazionale, “nell’ipotesi in cui il contratto di concessione, concluso per una durata sensibilmente più breve di quella dei contratti conclusi prima dell’adozione del decreto legge del 2012, giunga alla sua scadenza naturale, il carattere non oneroso di una siffatta cessione forzata pare contrastare con il requisito di proporzionalità, in particolare quando l’obiettivo di continuità dell’attività autorizzata di raccolta di scommesse potrebbe essere conseguito con misure meno vincolanti, quali la cessione forzata, ma a titolo oneroso a prezzi di mercato, dei beni in questione”.

15.6. In altri termini, le statuizioni della Corte di Giustizia non consentono di ritenere che la devoluzione gratuita della rete sia di per sé illegittima: essa nondimeno, potrebbe rivelarsi contraria al principio di proporzionalità in presenza di specifiche circostanze (che dovranno essere verificate dal giudice del rinvio), come nel caso esaminato nella c.d. sentenza Laezza in ragione della brevità della concessione (il tema dirimente affrontato nella sentenza della Corte europea era, infatti, proprio quello della disparità di trattamento dei nuovi concessionari rispetto a quelli che, in base al previgente regime, avevano potuto fruire di un periodo di ammortamento più lungo degli investimenti effettuati).

In particolare, in quel caso la Corte di Giustizia ha sostanzialmente ritenuto che una clausola siffatta fosse compatibile con il diritto dell’Unione e proporzionata solo laddove fosse giustificata da motivi di interesse legittimo, idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di interesse generale perseguito e non eccedente rispetto a tale realizzazione.

15.6.1. È evidente, allora, come, proprio mutuando i principi e applicando i parametri vincolanti per il giudice del rinvio fissati in quella sentenza (su identica questione interpretativa), si giunga (in ragione delle specifica diversità della fattispecie oggetto di giudizio) ad opposte conclusioni in punto di proporzionalità della clausola nella concessione in esame, avente una durata novennale, tale quindi da consentire l’integrale ammortamento degli investimenti, ivi inclusi quelli sostenuti per l’aggiornamento tecnologico della rete.

15.6.2. Sotto altro diverso ma concorrente profilo, come bene osservato dalle appellate, la devoluzione a titolo gratuito della rete non rappresenterebbe una passività per il concessionario: dai bilanci dei precedenti concessionari, può infatti evincersi che al termine del rapporto concessorio il valore della rete era pari a zero e il valore delle migliorie apportate era stato pienamente ammortizzato (cfr. memoria della OMISSIS per l’udienza pubblica del 30 aprile 2019, pagine 33-34).

15.7. Correttamente, dunque, l’Agenzia ha stabilito la devoluzione gratuita della rete, trattandosi di infrastruttura altamente tecnologica e soggetta a rapita obsolescenza: diversamente, la cessione a titolo oneroso sarebbe suscettibile di dar luogo ad un indebito arricchimento del concessionario uscente.

15.7.1. Inoltre, altro elemento di differenziazione tra le due fattispecie, correttamente rilevato dal Tribunale amministrativo, è che la clausola controversa qui impugnata si caratterizza in quanto, diversamente da quella esaminata dalla Corte, precisa i termini, le modalità e l’oggetto della cessione non onerosa al termine della concessione.

15.7.2. Vero è che, diversamente dalla clausola che prevedeva la cessione gratuita dell’uso dei beni materiali ed immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco nella fattispecie oggetto della decisione pregiudiziale della Corte di Giustizia, nella gara per la gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato, viceversa, il mancato inserimento di tale clausola avrebbe finito per determinare i medesimi effetti discriminatori che la sentenza della Corte di Giustizia ha inteso scongiurare, creando un indebito vantaggio competitivo a favore del concessionario uscente (se diverso dall’aggiudicatario).

15.7.3. Al contrario, la clausola di devoluzione gratuita della rete non può in concreto ritenersi lesiva di alcun interesse dei partecipanti alla gara, ai quali non sono imposti ulteriori oneri ostativi, posto che essi, se diversi dall’operatore uscente, erediteranno alla scadenza del termine di durata una rete già integralmente realizzata dal precedente concessionario e l’aggiorneranno “secondo standard qualitativi che garantiscano la massima sicurezza ed affidabilità”, mediante gli investimenti (previsti nel piano che costituisce parte dell’offerta tecnica) destinati ad essere remunerati dall’aggio riconosciuto e integralmente ammortizzati nel corso della concessione.

15.8. La clausola in esame risulta, dunque, pienamente conforme al principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, perché da un lato, stante il suo carattere essenziale, è finalizzata a garantire la continuità del relativo servizio relativo al gioco del Lotto, rendendo più sicura e più agevole la successione del gestore entrante, dall’altro essa è volta ad assicurare la par condicio di tutti i partecipanti alla gara che non saranno tenuti a corrispondere alcunché al concessionario uscente né ad affrontare costi aggiuntivi per realizzare una nuova rete di consistenti dimensioni (sì da richiedere un maggior impegno finanziario proprio al nuovo operatore che volesse candidarsi alla gara, con conseguente pregiudizio per il favor partecipationis).

15.8.1. Il concessionario uscente del servizio di gestione del lotto automatizzato, del resto, era già subentrato gratuitamente nella gestione della rete esiste (in virtù e per effetto dell’articolo 29 del Decreto Ministeriale 17 marzo 1993), sicché la previsione di una vendita forzata della rete, nel caso di aggiudicazione allo stesso (come difatti avvenuto), avrebbe determinato un’ingiustificata locupletazione a suo favore: era, dunque, ragionevole prevedere, come nella previgente disciplina, che l’aggiudicatario del servizio restituisse gratuitamente la rete all’eventuale nuovo concessionario al termine della concessione.

15.8.2. Tali profili sono stati tutti ben colti e valorizzati dal primo giudice che correttamente li ha ritenuti dirimenti ai fini della decisione sulla legittimità della clausola in parola.

15.8.3. Il primo giudice non si è, dunque, discostato dai principi della sentenza della Corte di Giustizia del 28 gennaio 2016, come asseriscono le appellanti, ma, rilevata l’esistenza di oggettive e ontologiche differenze tra la fattispecie esaminata dalla Corte sovranazionale e quella al suo vaglio (quanto alla diversa natura della rete ad oggetto della concessione, agli adempimenti del gestore e alla stessa gestione della rete che, nel caso esaminato in quella decisione, era del tipo multiproviding), proprio sulla base dei parametri fissati, sulla questione di interpretazione del diritto comunitario, dalla Corte europea, vincolanti per il giudice nazionale, ha correttamente ritenuto che la clausola in esame fosse legittima e compatibile, in quanto giustificata da motivi di interesse legittimo, idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di interesse legittimo perseguito e proporzionata rispetto all’obiettivo di interesse generale perseguito, perché non imposta arbitrariamente né eccedente quanto necessario allo scopo.

15.8.4. Non possono, invero, disconoscersi le oggettive peculiarità del servizio in esame e non apprezzarsi le specificità delle due fattispecie che attengono, a monte, alla natura stessa della concessione oggetto di affidamento che afferiva: a) nel c.d. caso Laezza ad una concessione di gioco (inerente alla raccolta delle giocate) e, dunque, alla devoluzione gratuita dell’uso dei beni materiali ed immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, liberi da diritti e pretese dei terzi, di uno dei tanti concessionari in regime multiprovidingb) nella presente gara, ad una concessione di servizi e, conseguentemente, al subentro a titolo gratuito dell’aggiudicatario (unico) della concessione nell’intero sistema automatizzato, comprensivo della disponibilità dei locali, delle apparecchiature, ivi compresi i terminali presso tutti i punti di raccolta, degli impianti, delle strutture dei programmi, degli archivi e di quanto altro occorre per il completo funzionamento, gestione e funzionalità del sistema stesso, in definitiva in una rete di ben altre e consistenti dimensioni.

15.8.5. Per tali ragioni, non sussistono i presupposti per un nuovo rinvio pregiudiziale come richiesto dalle appellanti.

Ed infatti, la Sezione, nell’ambito della funzione di filtro riconosciuta al giudice a quo, ha ritenuto a suo tempo di non rimettere alla Corte di Giustizia alcun quesito pregiudiziale su tale profilo (che, invero, non aveva formalmente costituito, come desumibile dal ricorso in appello, oggetto dei quesiti pregiudiziali proposti in subordine dalle appellanti: cfr. pagina 35-36 dell’atto di appello), non a caso richiamando a più riprese la c.d. teoria dell’atto chiaro, in base al quale il giudice nazionale non deve nemmeno operare il rinvio pregiudiziale, qualora il contenuto della norma comunitaria che intende applicare si ponga agli occhi dell’interprete con un evidenza tale da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio: ed ha, pertanto, ritenuto che tale situazione non ricorresse in relazione alle questioni formulate dalle appellanti (che andavano rimesse in via pregiudiziale alla Corte per la verifica di compatibilità di una normativa interna come quella in discussione) e che, invece, non andasse sottoposta alla Corte di Giustizia la questione inerente alla devoluzione gratuita della rete, sulla quale la stessa Corte si era già pronunziata fissando i principi ermeneutici su indicati.

Ebbene, proprio l’applicazione dei principi e dei criteri indicati dalla Corte di Giustizia nella decisione del 28 gennaio 2016, invocata dalle appellanti, consente di pervenire ad un giudizio di piena compatibilità e proporzionalità della clausola in esame.

15.9. Altrettanto correttamente il primo giudice ha, poi, evidenziato come nessun rilievo assume la disposizione dell’art. 1, comma 948, della legge n. 208 del 2015, che ha abrogato la disposizione dell’art. 1, comma 78, lett. b), numero 26), della legge n. 220 del 2010, ove si prevedeva che l’aggiornamento dello “schema-tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l’esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici” comprendesse l’inserimento della “previsione della cessione non onerosa ovvero della devoluzione della rete infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all’atto della scadenza del termine di durata della concessione, esclusivamente previa sua richiesta in tal senso, comunicata almeno sei mesi prima di tale scadenza ovvero comunicata in occasione del provvedimento di revoca o di decadenza della concessione”.

Difatti, l’abrogazione di tale disposizione per effetto della norma menzionata determina solo il venir meno dell’obbligo di inserimento della clausola relativa alla cessione non onerosa della rete al termine della concessione, ma non comporta alcun divieto in tal senso: resta ferma, dunque, la facoltà di prevedere la devoluzione gratuita, purché detta clausola risulti giustificata da motivi di interesse legittimo, idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di interesse legittimo perseguito (nel caso di specie la continuità del funzionamento della rete automatizzata del gioco del lotto e la tutela dei principi di massima partecipazione alla gara e parità di trattamento dei concorrenti, assicurando il più rapido subentro, in condizioni di parità, del nuovo concessionario) e proporzionata rispetto all’obiettivo di interesse generale perseguito.

16. Infine, il Collegio rileva come non sussistano i presupposti per l’accoglimento delle richieste istruttorie formulate dalle appellanti: a prescindere dall’eccezione di inammissibilità sollevata a riguardo dalle appellate, non si ravvisa, infatti, l’indispensabilità del mezzo di prova richiesto in relazione alle valutazioni riguardanti il modello monoproviding e la base d’asta, trattandosi di valutazioni di carattere esclusivamente giuridico e attinenti ad aspetti in relazione ai quali la Corte di Giustizia si è pronunziata, statuendo i principi interpretativi e fissando i parametri e i criteri vincolanti in relazione ai profili che spetta al giudice del rinvio verificare.

17. Per le ragioni esposte, l’appello va respinto.

18. Sussistono giusti motivi, in considerazione dell’oggettiva complessità e novità delle questioni giuridiche trattate, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giustizia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dalle società OMISSIS (ora OMISSIS ) e OMISSIS lo respinge.

Dispone compensarsi tra le parti le spese di giustizia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente

Raffaele Prosperi, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere, Estensore

Stefano Fantini, Consigliere

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