CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5886/2011 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5886/2011

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. (…), proposto da: Ministero dell'Interno - Questura di Terni, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, rappresentati e difesi dagli avv. Giovanni Adami, Lorenzo Contucci, con domicilio eletto presso Lorenzo Contucci in Roma, via Candia N. 50;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 262/2011.

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011 il Cons. Marco Lipari e udito per l’appellante l’Avvocati dello Stato Borgo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il ricorso può essere definito nel merito.

2. La sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso proposto dagli interessati, ha annullato i provvedimenti adottati dal Questore di Terni, concernente il divieto di accesso agli impianti sportivi siti sul territorio nazionale (“DASPO”).

L’amministrazione contesta la decisione impugnata, mentre la parte appellata resiste al gravame.

3. L’appello è fondato.

La pronuncia di accoglimento del TAR muove dalla premessa secondo la quale la condotta cui si riferisce il provvedimento impugnato si è “tenuta non nell’ambito di una competizione sportiva, ma di un allenamento di una squadra di calcio.”

A giudizio del tribunale, l’allenamento non potrebbe considerarsi “manifestazione sportiva”: pertanto, i comportamenti violenti verificatisi in tali circostanze non sarebbero sanzionabili con il DASPO.

4. La tesi del giudice di primo grado non è condivisibile, ancorché essa si ponga nel solco di altre pronunce dei TAR e dei giudici penali.

L’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989 n. 401 prevede che il provvedimento DASPO possa essere adottato nei confronti “delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all'articolo 6-ter della presente legge, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, (…).

5. La disposizione indica con chiarezza che le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa.

In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi di violenza verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive (come definite dall’articolo 2 bis, comma 1, del decreto legge 20 agosto 2001 n. 336, convertito nella legge 19 ottobre 2001 n. 377) sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità.

Ne deriva, pertanto, che il provvedimento impugnato in primo grado è stato correttamente adottato, in presenza dei necessari presupposti.

6. La parte appellata ripropone i motivi dichiarati assorbiti o non esaminati dal TAR.

Anche tali censure sono prive di pregio.

Infatti, contrariamente a quanto affermato dalla parte appellata, tutti gli elementi istruttori raccolti dall’amministrazione sono pienamente idonei a dimostrare il ruolo e la partecipazione dei destinatari del DASPO ai denunciati episodi di violenza e danneggiamento. Né rileva, sul piano processuale, che parte di tale documentazione sia stata acquisita tardivamente dal TAR, dal momento che l’eventuale lacuna istruttoria avrebbe potuto essere colmata mediante l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, eventualmente anche in grado di appello.

7. In definitiva, quindi, l’appello deve essere accolto, con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

Le spese dei due gradi possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

Accoglie l’appello e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.

Spese dei due gradi di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente

Marco Lipari, Consigliere, Estensore

Vittorio Stelo, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere

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