CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 7420/2020 Pubblicato il 26/11/2020 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 7420/2020
Pubblicato il 26/11/2020
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Mozzati e Andrea Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Mozzati in Genova, via Corsica, 2/11;
contro
Ministero dell'Interno e Questura di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma per la riforma della sentenza del T.A.R. Liguria, sede di Genova, sezione I, -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il divieto di partecipare ad eventi sportivi relativi al calcio e di transitare o sostare nei pressi degli stadi o dei luoghi percorsi dai tifosi;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza svolta in modalità telematica il giorno 19 novembre 2020 il Pres. Franco Frattini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con sentenza -OMISSIS-, qui impugnata, il T.A.R. Liguria –Sez. Prima, ha respinto il ricorso dell’odierno appellante avverso il provvedimento -OMISSIS-, con cui il Questore di Genova ha applicato la misura del D.A.SPO. quinquennale, con il divieto di partecipare agli eventi sportivi calcistici, e di transitare o sostare nei pressi degli stadi o dei luoghi percorsi dai tifosi.
L’appellante censura la sentenza del primo giudice per i seguenti motivi:
1) difetto ed erroneità della motivazione, travisamenti dei fatti, illogicità, contraddittorietà.
Non vi sarebbe, per l’appellante, alcuna pericolosità nel comportamento dell’appellante, essendo stato il fumogeno acceso, agitato “in maniera festosa”.
Il giudice penale avrebbe assolto l’appellante per la particolare tenuità del fatto.
In ogni caso, la Questura non avrebbe valutato la pericolosità in concreto del comportamento.
2) Difetto ed erroneità della motivazione, travisamento dei fatti; omessa pronuncia.
Il primo giudice non avrebbe pronunciato sulla censura di mancata comunicazione di avvio del procedimento, né sulla censura di illegittimità costituzionale della norma applicata, per la quale in ogni caso il quinquennio di divieto sarebbe del tutto sproporzionato.
L’appellante ripropone poi le ulteriori censure a suo avviso non esaminate in primo grado.
L’appello è infondato.
Ritiene il Collegio, quanto alle ripetute censure afferenti la motivazione del provvedimento questorile e la appellata sentenza, che logicamente e correttamente sia stata ritenuta la pericolosità del comportamento dell’appellante in quanto:
A) il fatto accertato dalla Digos di Genova, di cui al verbale -OMISSIS- e negato anche in questa sede con mere affermazioni di smentita, evidenzia che l’appellante, noto per l’appartenenza al noto -OMISSIS-, si dirigeva all’ingresso dello stadio -OMISSIS- con un fumogeno acceso in mano e, attraversando la folla con il fumogeno, lo agitava tra le persone dirette al cancello dove è il primo filtro di ingresso, e là “depositava per terra" il fumogeno acceso.
E’ evidente, dal mero rapporto dei fatti, che l’atto di attraversare la folla diretta allo stadio, agitando un fumogeno acceso e lasciandolo, sempre acceso, in prossimità di un cancello di ingresso gremito di pubblico, costituisca attività tutt’altro che “festosa” – come la difesa dell’appellante sostiene – bensì gravemente pericolosa per l’incolumità di coloro che si apprestavano, in fila, ad avvicinarsi al cancello ed a oltrepassarlo per assistere alla partita.
L’identità dell’appellante era inequivocabilmente confermata dalle telecamere poste presso il tornello -OMISSIS-.
Appare perciò corretta l’applicazione della misura di prevenzione all’appellante, a prescindere dall’esito del procedimento penale che lo ha riguardato.
Infatti, seppure la “particolare tenuità” è stata ritenuta dal giudice penale ai fini della assoluzione, nella diversa ed autonoma sede della prevenzione, il Questore ben poteva, come ha fatto, ritenere che l’azione dell’appellante avesse i connotati della pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica, stante i connotati temporali e locali in cui l’azione stessa si è svolta.
Va poi sottolineato che l’appellante era già stato, in anni anteriori, destinatario di altro D.A.SPO. per anni uno, per il compimento di azione del tutto analoga – possesso di artifizi pirotecnici in prossimità dello stesso stadio -OMISSIS- prima dell’inizio di altra partita della squadra Sampdoria – e ciò consente di ritenere non solo proporzionata, ma anzi doverosa la misura di D.A.SPO quinquennale contestata.
Tale esito è imposto dalla legge, che prevede (art. 6 L. n. 401/1898 nel testo novellato ex L. n. 146/2014) un provvedimento di durata minima “non inferiore a cinque anni e non superiore a otto anni” a carico di coloro che avessero già riportato il divieto di cui al suddetto art. 6 co.2.
Reputa, anzi il Collegio, che il Questore abbia tenuto conto dei connotati dell’azione – nel graduare la valutazione di ritenuta, e sussistente, pericolosità – giacché la misura applicata è stata in concreto un D.A.SPO. quinquennale, consentendo la legge allo stesso Questore di applicare il divieto per una durata fino ad otto anni.
Ciò rende infondate tutte le censure relative alla motivazione dell’atto questorile impugnato e alla sua affermata sproporzionatezza, giacché è stata determinata la misura per la durata minima possibile imposta a coloro che hanno reiterato il comportamento pericoloso dopo essere stati destinatari di analoga (e nella specie, di più breve durata) misura preventiva.
Sono poi manifestamente destituite di fondamenti le censure di costituzionalità delle disposizioni applicate alla fattispecie.
L’appellante pretenderebbe, con tali censure, una distorta applicazione delle norme costituzionali richiamate, che gli artt. 6, 6-bis e 6-ter L. 401/1989 mirano al contrario a seguire correttamente, giacché il fine di prevenzione di ogni comportamento pericoloso in occasione di eventi sportivi conferma, e non certo viola, i principi di eguaglianza, libertà di circolazione, necessità di adeguata valutazione prima di applicare ogni misura restrittiva o limitativa.
L’equivoco di fondo dell’appellante, persona avvezza ad interpretare il principio della sana partigianeria sportiva in senso fazioso ed estremistico – come è tipico dei cd. “club ultras” – è quello di ritenere che le disposizioni costituzionali da lui stesso a sproposito invocate tutelino le manifestazioni di pericoloso estremismo delle minoranze di ultras piuttosto che – come invece deve essere secondo la Costituzione e le norme di prevenzione applicate – il diritto incomprimibile dei tifosi pacifici e della stragrande maggioranza di appassionati del calcio che desiderano avvicinarsi agli stadi, entrarvi e assistere alle competizioni senza timore che, come nella fattispecie e accaduto, un fumogeno acceso lasciato accanto a loro per terra ne metta a rischio l’incolumità.
Le censure, come già detto, cadono, in quanto la pericolosità in concreto è stata non solo ritenuta e accertata, ma anche ponderata quanto alla applicazione della misura preventiva tra il minimo e il massimo di durata consentita dalla legge, attestandosi sul minimo imposto dal legislatore per il caso in esame.
E’, da ultimo, infondata la censura di mancata preventiva notifica di avvio del procedimento.
L’appellante, convocato in questura subito dopo i fatti, era stato segnalato all’A.G. e reso edotto degli addebiti contestati.
La censurata violazione – per non avere, la Questura, notificato uno specifico avviso di inizio procedura per il D.A.SPO. – perde totalmente consistenza, risultando al più come mera irregolarità, se soltanto si considera che l’atto questorile era nella fattispecie vincolato (art. 6 co. 2 legge più volte cit.) visto che l’appellante era già stato destinatario di analoga misura preventiva, sicché il procedimento non avrebbe potuto avere esito diverso da quello ora infondatamente contestato; il che degrada al rango di mera irregolarità non viziante la omessa specifica comunicazione.
L’appello deve essere respinto.
Le spese, come di regola, seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), respinge l’appello.
Condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione appellata le spese processuali, che liquida in euro 6.000.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente, Estensore
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere