CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 7165/2018 Pubblicato il 20/12/2018 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N.  7165/2018

Pubblicato il 20/12/2018

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: Comitato Olimpico Nazionale Italiano, C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, rappresentati e difesi dagli avvocati Franco Gaetano Scoca, Guido Valori, Ignazio Tranquilli, con domicilio eletto presso lo studio Franco Gaetano Scoca in Roma, via G. Paisiello, 55;

Roberto Musiani non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZ. I TER, n. 04041/2018, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Piercarlo Pilani, Gianluca Matarese, Alberto Pregnolato, Sergio Rotaris e Davide Cacciari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2018 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Franco Gaetano Scoca e Guido Valori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dai signori Pier OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS – tesserati della Federazione Italiana Danza Sportiva – FIDS (riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano) nei confronti del C.O.N.I., contro la decisione resa dal Collegio di garanzia dello Sport del C.O.N.I. a Sezioni Unite il 7 novembre 2017, a definizione del ricorso n. 104/17, con dispositivo prot. n. 878/2017, pubblicata, distinta con il n. 2/2018, munita di motivazione, in data 10 gennaio 2018, nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali o, comunque, connessi, ivi compresi i provvedimenti del Procuratore generale dello Sport del C.O.N.I. prot. 0063/2017/D del 20 gennaio 2017, prot. 0142/2017/D del 20.2.2017 e prot. 0349/2017/D del 19 aprile 2017, gli atti di indagine relativi ai procedimenti disciplinari riuniti iscritti ai nn. 3/17 e 6/17 del Registro Procura federale della FIDS e, infine, l’atto di deferimento della Procura generale dello Sport del C.O.N.I, prot. 2456 del 21.4.2017.

1.1. I ricorrenti erano stati destinatari di due procedimenti disciplinari (n. 3/17 e n. 6/17), poi riuniti.

La sentenza di primo grado - dopo aver dato atto delle qualità rivestite da ciascuno di loro (<<[…] il Sig. OMISSIS è membro del Consiglio Federale della FIDS, il Sig. OMISSIS è un tecnico che svolge, per la FIDS, l’incarico di Direttore Nazionale della Scuola Federale di Danza Sportiva e quello di componente della Direzione Tecnica Internazionale, il Sig. OMISSIS è un tecnico, titolare di scuole di danza, che svolge per la FIDS l’incarico di Coordinatore Tecnico Nazionale e quello di componente della Direzione Tecnica Internazionale, il Sig. OMISSIS è un tesserato che ha con la FIDS un rapporto di collaborazione, il Sig. OMISSIS è un dipendente della FIDS con l’incarico di Direttore tecnico ed organizzativo ed il Sig. OMISSIS, ex consigliere federale, infine, ha ricoperto importanti incarichi internazionali quale membro della WDSF (World Dance Sport Federation)>>)- ricostruisce le vicende dei procedimenti disciplinari come segue:

<<Quanto al procedimento n. 3/17, iniziato dalla Procura Federale della FIDS, in data 19.1.2017 il Procuratore Federale ha, tuttavia, formulato una prima istanza di autorizzazione all’astensione e, a seguito del rigetto di tale istanza da parte del Procuratore Generale, ha assegnato il fascicolo ad un proprio Sostituto. Con successivo atto del 20.2.2017, lo stesso Procuratore Federale ha formulato una seconda istanza di autorizzazione all’astensione, che, con provvedimento prot. n. 0142/2017/D anch’esso del 20.2.2017, il Procuratore Generale ha accolto, disponendovi altresì l’applicazione del Procuratore Nazionale Avv. Martone.

Rispetto al fascicolo n.6/17, in data 19.1.2017 il Procuratore Federale ha avanzato richiesta di autorizzazione ad astenersi, subito accolta dal Procuratore Generale con provvedimento prot. n. 0063/2017/D del 20.1.2017, con applicazione a tale procedimento sempre del Procuratore Nazionale Avv. Martone.

Con atto prot. n. 2456 del 21.4.2017 la Procura Generale dello Sport ha esercitato l’azione disciplinare, deferendo diverse persone, tra cui gli attuali ricorrenti, dinanzi al Tribunale Federale della FIDS.

Il Tribunale Federale, con decisione n. 20/2017 depositata in data 3.7.2017, ha dichiarato “inammissibile l’azione disciplinare promossa con l’atto di deferimento del 21 aprile 2017 (prot.2456) per difetto di titolarità in capo al Procuratore Generale dello Sport” e “altresì inammissibile l’azione disciplinare promossa con l’atto di deferimento del 21 aprile 2017 (prot.2456) per difetto di legittimazione dei Procuratori Nazionali dello Sport applicati”, “la nullità dell’atto di delega del 19 aprile 2017 (prot.0349/2017/D)”, nonché “la nullità di tutti gli atti di indagine”.

A seguito di reclamo presentato dalla Procura federale e dai Procuratori nazionali dello Sport, la Corte Federale d’Appello della FIDS, con dispositivo comunicato il 15.9.2017 (CU n.7/2017) e motivazione pubblicata in data 18.9.2017 (CU n.8/2017), ha confermato la decisione del Tribunale Federale.

La Procura Generale presso il CONI ha impugnato la decisione dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport del CONI a Sezioni Unite, il quale all’udienza del 7.11.2017 ha accolto il ricorso.

Il relativo dispositivo (prot. n. 878/17) è stato comunicato in pari data a mezzo p.e.c.. Esso così recita: “Accoglie il ricorso e, per l’effetto, rimette gli atti al Tribunale Federale Nazionale di primo grado, affinché si proceda all’esame del merito. Nulla per le spese”.>>.

1.2. La sentenza impugnata - riassunti i motivi del ricorso introduttivo (contro il dispositivo della decisione del Collegio di garanzia dello Sport e gli atti presupposti sopra specificati) ed i motivi aggiunti (contro la motivazione, successivamente depositata) - respinge le eccezioni preliminari in rito sollevate dal C.O.N.I., osservando:

- quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, per essere invece legittimato in proprio il Collegio di garanzia dello Sport, che quest’organo non ha personalità giuridica autonoma e distinta da quella del C.O.N.I. ed emette atti a natura amministrativa e non giurisdizionale, sicché la legittimazione processuale va riconosciuta in capo al C.O.N.I.;

- quanto all’eccezione di difetto di giurisdizione, in forza di quanto disposto dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.-l. n. 220 del 2003, convertito dalla legge n. 280 del 2003, con riserva perciò di giurisdizione in capo al giudice sportivo, che <<secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, che garantisca la massima tutela giurisdizionale dinanzi agli organi giurisdizionali statali, peraltro perfettamente conforme al dato letterale, il termine “irrogazione”, riferito alle sanzioni, non può che essere inteso in senso restrittivo, anche perché la locuzione adoperata alla lett. b): “l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” viene posta in correlazione con “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare”, suggerendo che il vaglio debba riguardare l’entità e la tipologia della sanzione rispetto a detti comportamenti>> e che la norma in esame sarebbe “[…] naturalmente di stretta interpretazione, per cui non se ne può estendere la portata applicativa a casi diversi, ivi non espressamente e chiaramente contemplati”, sicché non vi sarebbe riserva di giurisdizione in favore del giudice sportivo, in casi, quale quello oggetto del presente contenzioso, in cui “non vengono in esame né comportamenti rilevanti sul piano disciplinare né sanzioni disciplinari già irrogate”. Se ne è tratta la conseguenza dell’applicabilità, piuttosto, dell’art. 3 del decreto-legge n. 220 del 2003, che prevede la devoluzione al giudice amministrativo (salvo che per le controversie attinenti ai rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, riservate al giudice ordinario) “di ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2”, con affermazione della giurisdizione del giudice adito anche rispetto al petitum annullatorio, oltre che rispetto a quello risarcitorio;

- quanto all’eccezione di mancato rispetto della pregiudiziale sportiva, in relazione appunto all’appena citato art. 3, sollevata dal C.O.N.I. in via subordinata (dal momento che il Collegio di garanzia dello Sport, con la decisione n.2/2018 impugnata, ha rimesso gli atti al Tribunale federale di primo grado “affinché si proceda all’esame del merito”, per cui non si sarebbero esauriti tutti i gradi della giustizia sportiva), che l’eccezione è priva di fondamento perché il C.O.N.I. “fa riferimento ad una seconda valutazione della medesima vicenda […]”, laddove l’intento perseguito col ricorso è proprio l’accertamento dell’illegittimità della decisione di rinvio, atteso che sia il Tribunale federale che la Corte federale di appello avevano definito la controversia in sede sportiva, dichiarando inammissibile l’azione disciplinare intrapresa; la questione dell’inammissibilità dell’azione disciplinare è idonea a definire il giudizio, senza ulteriori fasi di merito, sicché “sulla vicenda sono stati … esperiti i tre gradi di giudizio, per cui risulta rispettata la pregiudiziale sportiva di cui all’art. 3 del d.l. n. 220/2003 […]”;

- quanto all’eccezione di carenza di interesse, per mancanza di lesività della decisione impugnata, che invece la portata lesiva è da ricollegare alla conseguente riapertura del procedimento disciplinare nei confronti dei ricorrenti.

1.3. Nel merito, si è ritenuto che:

- il Collegio di garanzia dello Sport fosse sfornito, nel caso di specie, del potere cognitivo di legittimità, ai sensi dell’art. 12-bis dello statuto del C.O.N.I., adottato in applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 242 del 1999, e dell’art. 54 del Codice di giustizia sportiva, approvato dal Consiglio nazionale del C.O.N.I. con delibera n. 1538/2015, da interpretarsi nel senso che il Collegio di garanzia può conoscere solo delle sanzioni tecnico-sportive concretamente irrogate e solo se di durata superiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 Euro;

- vi fossero ulteriori profili di illegittimità della decisione dell’organo di ultima istanza (che pure, secondo quanto si legge in motivazione, “essendo privo di potere, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso proposto dalla Procura generale avverso la decisione emessa dalla Corte federale d’appello di che trattasi”), e precisamente: avrebbe dovuto ritenere non ammissibile alcuna delega delle funzioni inquirenti e requirenti da parte del Procuratore generale, poiché la Procura generale ha esclusivamente funzioni di vigilanza e coordinamento delle attività inquirenti e requirenti delle Procure federali, che spettano in via esclusiva a queste ultime; l’art. 12 ter, comma 5, dello statuto del C.O.N.I. consente l’applicazione dei Procuratori nazionali ai fini dell’esercizio dell’attività inquirente e requirente soltanto in via eccezionale ed in caso di avocazione, possibile solo nelle ipotesi contemplate dal comma 4 della stessa disposizione; vi sono altre ipotesi di applicazione dei Procuratori nazionali, previste dall’art. 52 del Codice della giustizia sportiva e, nel caso di specie, il Procuratore nazionale ha disposto l’applicazione di un Procuratore nazionale ai sensi di quest’ultima norma in combinato disposto con l’art. 11, comma 2, del Regolamento di organizzazione e funzionamento della Procura generale dello Sport, ma i principi desumibili dalle richiamate disposizioni sarebbero stati disattesi dal Procuratore generale (quando, a seguito dell’istanza di astensione del Procuratore federale, ha disposto l’applicazione di un Procuratore nazionale, invece di affidare le indagini al Sostituto procuratore federale, facente parte della stessa Procura federale) ed erroneamente il Collegio di garanzia avrebbe invece giudicato legittimo l’operato del Procuratore generale (per le ragioni esposte alle pagine 33-36 della motivazione, cui è qui sufficiente fare rinvio).

1.4. Affermato altresì che la decisione impugnata sarebbe errata anche laddove ha disposto il rinvio al Tribunale federale nazionale di primo grado, anziché alla Corte federale di appello, la sentenza ha accolto, come detto, la domanda di annullamento e, per l’effetto, ha annullato tutti i provvedimenti impugnati. Ha quindi esaminato e respinto, invece, la domanda -pure avanzata dai ricorrenti- di risarcimento dei danni, per insussistenza di pregiudizi risarcibili ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. , applicabile in quanto l’azione risarcitoria è stata ricondotta “entro lo statuto della responsabilità aquiliana della P.A.”.

1.5. Le spese del giudizio sono state poste a carico del C.O.N.I., liquidate nell’importo complessivo di € 3.000,00 (tremila/00), oltre oneri di legge.

2. Per la riforma della sentenza, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, C.O.N.I., ha avanzato appello con sei motivi, alcuni dei quali articolati in più censure.

Hanno resistito, con memoria di costituzione e difensiva, i signori OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS.

Le parti hanno depositato memorie conclusive e repliche.

Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Preliminarmente va detto dell’eccezione di carenza di interesse all’impugnazione da parte del C.O.N.I., sollevata dalla difesa degli appellati nell’assunto che la sfera giuridica di quest’ultimo non sarebbe stata lesa in quanto la domanda risarcitoria avanzata in primo grado è stata respinta (e -giova aggiungere- non riproposta con appello incidentale, con conseguente formazione di giudicato di rigetto).

L’eccezione è infondata.

3.1. Con la sentenza qui impugnata il C.O.N.I. è stato ritenuto, a ragione, il soggetto passivamente legittimato, non solo rispetto alla domanda risarcitoria ma anche rispetto a quella di annullamento, in quanto il Collegio di garanzia dello Sport, pur in posizione di autonomia e indipendenza, è organo interno al Comitato Olimpico Nazionale Italiano e non ha una propria personalità giuridica.

Pertanto, unico soggetto legittimato a resistere alle impugnazioni delle decisioni dell’organo di ultima istanza della giustizia sportiva è il C.O.N.I., che è parimenti soggetto legittimato a difenderne la competenza e l’operato, quindi a sostenere la legittimità dei provvedimenti conclusivi.

4. Col primo motivo di appello viene riproposta l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

L’appellante sostiene che: l’art. 2 del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, riserva all’ordinamento sportivo, in via esclusiva, l’intera materia delle condotte rilevanti sul piano disciplinare e delle relative sanzioni; in particolare, in quel sistema, all’ordinamento sportivo, da un lato, è attribuito il potere di individuare e regolamentare i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare nonché di stabilire le relative sanzioni e, dall’altro, mediante la “giustizia associativa”, è attribuita la valutazione della condotta all’esito della quale si provvede all’eventuale irrogazione di una sanzione disciplinare; il sistema così delineato, come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza dell’11 febbraio 2011, n. 49, prevede altresì che il giudice statale, in specie quello amministrativo, possa conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, in via incidentale e indiretta, delle decisioni nell’ambito della “materia” disciplinare solo a fini risarcitori (senza poteri caducatori), in ragione di un “non irragionevole bilanciamento di interessi”, che tiene conto dell’esigenza di rilevanza costituzionale di salvaguardia dell’autonomia dell’ordinamento sportivo.

Ne consegue, per l’appellante, e contrariamente a quanto ritenuto con la sentenza impugnata, che proprio il tenore letterale del richiamato art. 2 impone di interpretare la norma nel senso che anche la mancata irrogazione di sanzione disciplinare, alla conclusione del procedimento dinanzi alla “giustizia associativa”, non fa venire meno la riserva dell’ordinamento sportivo a favore di quello statale; in sintesi, la riserva non è limitata al solo caso in cui sia disposta una sanzione.

4.1. L’appellante critica quindi la soluzione opposta, come illogica, irragionevole e foriera di “esiti abnormi e paradossali”, perché si avrebbe una sorta di giurisdizione a “doppio binario”, a seconda del contenuto dell’atto conclusivo del procedimento sportivo, e, piuttosto che costituzionalmente orientata, l’interpretazione avversata si tradurrebbe in una disapplicazione della legge.

5. Il motivo è fondato.

L’art. 2 (Autonomia dell’ordinamento sportivo) del d.-l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva) prevede che:

<<1. In applicazione dei principi di cui all’art. 1, è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a) …omissis…;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.

2. Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui agli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo. […]>>.

5.1. La disposizione distingue, come rileva l’appellante, due piani di competenza dell’ordinamento sportivo e della giustizia sportiva, rispettivamente al comma 1 e al comma 2:

- la competenza a dettare la “disciplina delle questioni”, quindi a regolare autonomamente, rispetto alle norme statali, per un verso, i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e, per altro verso, “l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” (primo comma);

- la competenza a decidere, mediante gli organi di giustizia sportiva, le questioni anzidette come autonomamente regolate nell’ambito di quell’ordinamento e con valutazione delle condotte ascritte ai tesserati riservata appunto alla giustizia sportiva (secondo comma).

5.2. Il comma 2 individua l’ambito della riserva di giurisdizione (ribadita dal successivo art. 3, comma 1, cui fa pendant l’art. 133, lett. z), Cod. proc. amm.) facendo rinvio, tra l’altro, alla “materia” disciplinare, così come per intero contemplata nel primo comma.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza gravata, la “materia” del comma 1 non è solo quella dell’«irrogazione» delle sanzioni intesa come atto con cui la sanzione, astrattamente comminata dall’ordinamento sportivo, viene concretamente irrogata all’esito del giudizio e applicata al destinatario della decisione dell’organo di giustizia di quell’ordinamento.

Il comma 1 , riferendosi alla «disciplina delle questioni» in materia di «irrogazione ed applicazione» delle sanzioni, contempla anche il procedimento che culmina nella decisione sanzionatoria; e all’ordinamento sportivo spetta così l’individuazione degli organi, delle regole e degli atti del giudizio iniziato a seguito dell’esercizio dell’azione disciplinare.

Il comma 2, di conseguenza, riserva alla giustizia sportiva la cognizione delle inerenti controversie.

5.3. Coerentemente, il Codice della giustizia sportiva, adottato dal C.O.N.I. con deliberazione 9 novembre 2015, n. 1538 (applicabile ratione temporis), detta le norme generali del processo sportivo, individua gli organi della giustizia sportiva e fissa le regole procedimentali.

6. Ciò premesso in diritto, va sottolineato che la domanda di annullamento avanzata in primo grado riguarda una decisione del Collegio di garanzia dello Sport, organo particolare della giustizia sportiva, adottata a conclusione di un procedimento regolato dal Codice della giustizia sportiva.

Il procedimento è iniziato nei confronti dei ricorrenti mediante esercizio dell’azione disciplinare per violazione del Regolamento e dello Statuto della FIDS, a seguito di atti di indagine compiuti nell’ambito dei suindicati procedimenti riuniti (n.3/17 e n. 6/17 del Registro della Procura Federale della FIDS) e di atto di deferimento della Procura generale dello Sport, prot. n. 2456 del 21 aprile 2017 (tutti impugnati col ricorso introduttivo).

Il Collegio di garanzia dello Sport si è pronunciato su ricorso proposto dalla Procura generale dello Sport contro la statuizione della Corte federale di appello che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’azione disciplinare promossa appunto col detto atto di deferimento, nonché la nullità dell’atto di delega d’indagine del 19 aprile 2017 e di tutti gli atti dell’indagine disciplinare.

6.1. La materia che ha formato oggetto dell’intero procedimento di giustizia sportiva e di ciascuna delle decisioni nel suo ambito, sia degli organi di giustizia federali che dell’organo predetto, riguarda “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare” così come contestati ai tesserati da parte della Procura generale dello Sport, nonché “l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, come da richiesta della stessa Procura, disattesa dagli organi federali di giustizia sportiva per ritenuta inammissibilità dell’azione disciplinare, ed ammessa invece dal Consiglio di garanzia dello Sport (fatto salvo il giudizio di merito per il quale ha disposto il rinvio).

Si tratta di materia che ben rientra nella riserva di giurisdizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2, d.-l. n. 220 del 2003, convertito dalla legge n. 280 del 2003.

7. In senso contrario, non merita condivisione l’obiezione degli appellati per cui l’oggetto del giudizio non avrebbe riguardato “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, né le relative sanzioni”, bensì “provvedimenti di organi del CONI illegittimi in punto di attribuzione del potere, che hanno inciso in via diretta sulla posizione giuridica degli appellati”.

Il riferimento è al merito della controversia sulla titolarità in capo alla Procura generale dello Sport di funzioni inquirenti e requirenti e sulla validità degli atti di indagine compiuti dal Procuratore generale e dal Procuratore nazionale applicato, nonché dell’atto di deferimento sottoscritto da entrambi e dell’attività requirente svolta dai medesimi (mediante produzione di memorie difensive e partecipazione alle udienze).

A corollario, la difesa degli appellati torna a sostenere che una questione di compatibilità della tutela caducatoria riservata al giudice amministrativo con l’autonomia dell’ordinamento sportivo si porrebbe soltanto quando dinanzi a quest’ultimo si controverta della legittimità di un provvedimento che abbia “contenuto sanzionatorio”.

7.1. Il primo argomento difensivo, corrispondente ad uno dei motivi di ricorso accolti in primo grado, è destituito di fondamento.

La questione della titolarità dell’azione disciplinare, in capo al Procuratore generale dello Sport, e della legittimazione al relativo esercizio da parte di quest’ultimo, e dei Procuratori nazionali da lui applicati, è questione che, all’evidenza, attiene all’individuazione dell’organo della giustizia sportiva titolare del potere disciplinare, quindi alla “materia” della “irrogazione ed applicazione delle … sanzioni disciplinari sportive”, di cui all’art. 2 del d.-l. n. 220 del 2003, convertito dalla legge n. 280 del 2003, come sopra letto.

In particolare, si tratta di questione di rito sui presupposti processuali del processo sportivo dinanzi ai competenti organi della giustizia sportiva, ai quali il Codice della giustizia sportiva attribuisce “la risoluzione delle questioni e la decisione delle controversie aventi ad oggetto: a) …b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e l’applicazione delle relative sanzioni” (art. 4 del Codice, parzialmente riproduttivo del testo di legge).

Spetta pertanto agli organi della giustizia sportiva risolvere, nell’ambito del loro processo, ogni questione che a quel processo attiene, compresa l’individuazione dei soggetti legittimati ad agire ed a resistere in giudizio e la valutazione della sussistenza dei presupposti processuali, oltre che delle condizioni per l’irrogazione, in concreto, della sanzione disciplinare.

7.2. Consegue a tale corretta lettura del citato art. 2, comma 1, lett. b), e comma 2, che appare senza fondamento l’ulteriore assunto degli appellati, che vorrebbe individuare il criterio di riparto della giurisdizione nel contenuto della decisione, sicché si avrebbe che le decisioni a contenuto processuale, di inammissibilità, ovvero anche quelle di rigetto, nel merito, della richiesta di sanzione disciplinare si sottrarrebbero alla riserva di giurisdizione.

Evidente è, per un verso, l’irragionevolezza di questa conclusione; per altro verso, come pure bene dedotto dal primo motivo di appello, la disapplicazione dell’art. 2, comma 2, del d.-l. n. 220 del 2003, convertito nella dalla lgge n. 280 del 2003.

Si avrebbe infatti che il giudice amministrativo sarebbe chiamato ad interpretare ed applicare -non solo incidentalmente, come è per la tutela risarcitoria- le norme dell’ordinamento sportivo in materia di “irrogazione ed applicazione delle …sanzioni disciplinari sportive”.

Questo approdo dell’interpretazione pretesa dagli appellati è reso palese dalla motivazione della sentenza qui impugnata che, contro il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, ha finito per sindacarne la competenza degli organi -non solo del Procuratore generale, ma anche dello stesso Collegio di garanzia dello Sport (cui era riferito il primo motivo di ricorso)-, nonché la legittimazione all’esercizio dell’azione disciplinare e la sussistenza dei presupposti per lo svolgimento del processo sportivo, sostituendo il proprio giudizio a quello per legge riservato al giudice sportivo.

8. Gli appellati ripropongono nel presente grado la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2, del d.-l. n. 220 del 2003, convertito dalla legge n. 280 del 2003, per violazione degli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, per la preclusione, fattane derivare, della tutela caducatoria dinanzi al giudice amministrativo.

Gli appellati sostengono che la rilevanza della questione sarebbe data dal fatto che gli appellati, mancando siffatta tutela, verrebbero a subire un vulnus al diritto di difesa che la tutela risarcitoria per equivalente non riuscirebbe a colmare; quanto alla non manifesta infondatezza della questione, fanno valere gli assunti dell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale da parte del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in data 11 ottobre 2017, n. 10171, in un caso analogo al presente, in cui le doglianze di parte ricorrente si appuntavano sulla violazione delle norme procedurali dettate dal Codice della giustizia sportiva FIGC per i giudizi disciplinari, con conseguente dedotto vizio di legittimità del provvedimento conclusivo -in quel caso, di irrogazione della sanzione.

8.1. In disparte la diversità tra la fattispecie oggetto del presente giudizio e quella che ha indotto lo stesso Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ad una nuova rimessione alla Corte Costituzionale -diversità dovuta alla già avvenuta irrogazione, in quest’ultimo giudizio a differenza che nel presente, di una sanzione disciplinare inibitoria ancora interamente da scontare da parte del tesserato ricorrente- e quindi in disparte il profilo di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, si ritiene che, a legislazione invariata, debbano essere ribaditi i principi espressi dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 49 dell’11 febbraio 2011, interpretativa di rigetto dell’art. 2, comma 1, lett. b), e comma 2, cit.

E precisamente:

- sebbene la tutela avverso gli atti con cui sono irrogate sanzioni disciplinari sia rimessa in via esclusiva agli organi della giustizia sportiva, tuttavia, "qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo", può essere proposta dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il risarcimento del danno;

- nelle fattispecie in cui la situazione soggettiva abbia la consistenza di diritto soggettivo o di interesse legittimo "deve, quindi, ritenersi che la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari - posta a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo - non consente che sia altresì esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno.";

- "È sicuramente una forma di tutela, per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione esclusiva), ma non può certo affermarsi che la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all'affermato intendimento di tutelare l'ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall'art. 24 Cost. Nell'ambito di quella forma di tutela che può essere definita come residuale viene, quindi, individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia, una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.".

8.2. La decisione costituzionale, basata sul “diritto vivente” richiamato in motivazione e seguita dalla prevalente giurisprudenza successiva (tra cui, da ultimo, Cons. Stato, V, 22 agosto 2018, n. 5019 e id., V, 24 agosto 2018, n. 5046, nonché Cons. Stato, V, 15 marzo 2017, n. 1173 e Cass. S.U., 9 novembre 2018, n. 28652), non sembra lasciare impregiudicati profili di contrasto con gli artt. 103 e 113 della Costituzione, come sostenuto dagli appellati - che fa propri i rilievi di cui alla citata ordinanza di rimessione n. 10171/2017.

Il primo argomento a base di tale ultimo provvedimento si rinviene nella prospettazione per la quale gli artt. 103 e 113 della Costituzione risulterebbero violati perché non sarebbe garantita, col risarcimento del danno, una tutela piena delle posizioni, non tanto di diritto soggettivo, quanto di interesse legittimo. Rileverebbero, in particolare, le situazione di interesse legittimo lese da provvedimenti disciplinari degli organi della giustizia sportiva -che sono pur sempre provvedimenti amministrativi, emanati nell’esplicazione di attività amministrativa, a rilevanza pubblicistica- e che non potrebbero, in ragione di ciò, essere sottratti al sindacato giurisdizionale di legittimità, anche quando il provvedimento risulti viziato da violazione delle regole del procedimento.

L’assunto che la posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo lesa dall’esercizio di poteri a rilevanza pubblicistica da parte degli organi federali e del C.O.N.I. sia tutelabile, ai sensi degli artt. 103 e 113 della Costituzione, soltanto mediante l’impugnazione degli atti e dei provvedimenti dinanzi agli organi della giustizia amministrativa trova smentita già nelle ragioni poste dalla Corte Costituzionale a fondamento della decisione di rigetto n. 49 del 2011.

Le disposizioni costituzionali che si assumono violate riconoscono la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, ma non ne impongono forme e modalità; né la riserva di legge di cui al terzo comma dell’art. 113, concernente la tutela caducatoria dinanzi agli organi della giurisdizione, può indurre a ritenere che la Costituzione ne abbia presupposto l’indispensabilità nei termini di cui sopra.

D’altronde, nemmeno appare coerente con tutela costituzionale della posizioni giuridiche soggettive ritenere che limiti di tutela riconosciuti come conformi alla Costituzione in caso di lesione di diritti soggettivi possano invece essere ritenuti incostituzionali quando si tratti di presidiare situazioni di interesse legittimo.

8.3. Più controvertibile è il secondo degli argomenti spesi per dubitare della legittimità costituzionale dell’esclusione della tutela caducatoria dinanzi al giudice statale. Questo fa leva sul contrasto dell’art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2, cit. –nell’interpretazione fornitane dal “diritto vivente” ed avallata dalla Corte costituzionale - con l’art. 24 letto in combinato disposto con gli artt. 103 e 113 della Costituzione, in considerazione delle marcate differenze esistenti tra tutela risarcitoria e tutela caducatoria. Secondo la prospettazione degli appellati, tali differenze -in ragione delle quali la prima forma di tutela non sarebbe in grado di compensare i pregiudizi provocati dalla preclusione dell’accesso alla seconda dinanzi al giudice statale- imporrebbero un’espressa presa di posizione del legislatore ordinario nel senso dell’esclusività della tutela risarcitoria e del mancato riconoscimento della tutela caducatoria dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Si tratta di un profilo di censura trattato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2011, dove è stata evidenziata la diversità delle due forme di tutela ribadendo, tuttavia, la discrezionalità del legislatore nel garantire la tutela esclusivamente risarcitoria per equivalente. La sentenza ha concluso che, pur in mancanza di un’esplicita previsione legislativa, l’individuazione della tutela risarcitoria, quale “diversificata modalità di tutela giurisdizionale” viene desunta “sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia” fornita dal “diritto vivente”, che consente di affermare che il legislatore abbia comunque “operato un non irragionevole bilanciamento che lo ha indotto, per i motivi già evidenziati, ad escludere la possibilità dell'intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull'autonomia dell'ordinamento sportivo”.

9. In conclusione, respinta la questione di legittimità costituzionale, va accolto il primo motivo di appello, con assorbimento dei motivi restanti, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, vanno dichiarati inammissibili il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti, quanto alla domanda di annullamento, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito.

9.1. I profili di novità della questione di giurisdizione, come posta nel presente giudizio, consentono di compensare per giusti motivi le spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibili il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti, quanto alla domanda di annullamento, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore

Anna Bottiglieri, Consigliere

 

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it