CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 2946/2010 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 2946/2010
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: Fallimento OMISSIS S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Fusco, Lorenzo Durano, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via Mantegazza N.24;
contro
F.I.G.C.-Federazione Italiana Giuoco Calcio, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Gallavotti, Luigi Medugno, con domicilio eletto presso Mario Gallavotti in Roma, via Po N.9; C.O.N.I.-Comitato Olimpico Nazionale Italiano, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Angeletti, con domicilio eletto presso Alberto Angeletti in Roma, via Giuseppe Pisanelli , 2; Lega Professionisti Serie "C", rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Biscotto, Lucia Scognamiglio, con domicilio eletto presso Lucia Scognamiglio in Roma, via Pisanelli, 40;
nei confronti di
OMISSIS 1912 S.r.l., OMISSIS Calcio S.r.l.;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO - ROMA :Sezione III TER n. 04284/2005, resa tra le parti, concernente NORME ORGANIZZATIVE INTERNE DELLA F.I.G.C.(RIS.DANNO).
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2010 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Fusco,Durano, Medugno, Angeletti per se e per Biscotto.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Viene in decisione l’appello proposto dal Fallimento OMISSIS Calcio s.r.l. per ottenere la riforma della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. Terza Ter, n. 4284/2005 con cui è stato dichiarato in parte improcedibile ed in parte inammissibile il ricorso proposto in primo grado.
2. La società OMISSIS Calcio S.r.l. è stata per anni titolare della principale squadra di calcio della città di OMISSIS e nello tagione 2003-2004 ha disputato il Campionato di Serie C2 mancando di poco la promozione in serie C1.
La mancata promozione ha determinato lo stato di insolvenza della società, che ha chiesto comunque l’iscrizione al Campionato di serie C2 per la stagione 2004-2005, versando la relativa tassa di iscrizione.
La crisi finanziaria della società ha indotto gli organi a presentare richiesta di fallimento con ricorso del 17/8/04, sul quale il Tribunale di Brindisi si è pronunciato con sentenza dichiarativa di fallimento del 19/8/04 n. 26.
Lo stesso giorno nel quale è stata depositata la sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore fallimentare ha diffidato la F.I.G.C. e la Lega Professionisti di Serie C a non disporre del titolo sportivo della società, bene di maggiore rilevanza della società stessa, a tutela dei diritti dei creditori, e ad iscrivere la OMISSIS Calcio nel relativo campionato.
Le istanze del curatore sono state disattese, poiché la lega calcio ha predisposto il campionato di serie C non includendovi il OMISSIS Calcio; il titolo sportivo di eccellenza è stato assegnato, a seguito dell’applicazione del cosiddetto lodo Petrucci, alla Nuova Società F.B. OMISSIS 1912 S.r.l. dietro il versamento in favore della F.I.G.C. della somma di € 300.000,00.
A tutela degli interessi dei creditori, la curatela si è attivata giudizialmente – in seguito ad autorizzazione del giudice delegato – dapprima in sede civile mediante ricorso ex art. 700 c.p.c. (conclusosi con declaratoria di difetto di giurisdizione), e poi in dinanzi al T.A.R.
Al T.a.r la curatela fallimentare ha chiesto l’annullamento delle norme federali della F.I.G.C. che prevedono l’indisponibilità del titolo sportivo da parte della società e la sua attribuibilità a terzi da parte della stessa Federazione, in quanto dette norme pregiudicano gravemente i diritti patrimoniali dei creditori della società fallita.
Dette norme, infatti, secondo la curatela, si porrebbero in contrasto con i principi propri dell’ordinamento statale, che sono alla base della normativa fallimentare, in quanto pregiudicano irrimediabilmente gli interessi della massa dei creditori della società che si vede privata – a seguito della declaratoria di fallimento – del maggio bene societario (il titolo sportivo) che costituisce l’avviamento della società.
Le stesse norme federali che impongo o il rispetto di stringenti parametri economici per l’iscrizione al campionato e che impongono il pagamento dei debiti pregressi nel caso di società in stato di insolvenza determinano effetti pregiudizievoli per la massa dei creditori societari violando il principio della par condicio creditorum.
3. Il fallimento ha impugnato anche l’art. 12 dello statuto del CONI, l’art. 27 e seguenti dello statuto della FIGC, l’art. 29 dello Statuto e regolamento della Lega nazionale Professionisti di Serie C, sul cosiddetto “vincolo di giustizia” , nonché il provvedimento con il quale è stata deliberata la non ammissione al campionato della squadra del OMISSIS Calcio, e gli ulteriori provvedimenti con i quali è stato predisposto il campionato di serie C ammettendo altre squadre al posto del OMISSIS, ed il provvedimento – con il qale in applicazione del cosiddetto lodo Petrucci – è stato assegnato il titolo sportivo di classe inferiore alla squadra Fottoball OMISSIS 1912 s.r.l.
4. Il primo giudice ha ritenuto di dover esaminare nell’ordine le seguenti questioni di rito:
- se sia ammissibile l’impugnazione diretta delle norme federali, e quali siano i poteri del giudice;
- oppure al contrario, se la cognizione delle norme federali transiti necessariamente attraverso l’impugnazione di atti della federazione che ne facciano applicazione;
- e quindi, di conseguenza, se la cognizione della normativa federale presupponga la rituale impugnazione degli atti applicativi;
- in tal caso, se la normativa impositiva del vincolo di giustizia sia applicabile al caso di specie.
5. Tali questioni sono state risolte dalla sentenza impugnata nel modo che segue.
5.1. Alla luce dei principi di autonomia e di separazione che regolano i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale, il giudice statale non può conoscere direttamente le norme interne associative, espressione dell’autonomia negoziale dell’associazione tutelata costituzionalmente perché si tratta di norme appartenenti ad altro ordinamento, separato da quello statale;
nel sistema delineato nella legge n. 280/2003, relativo al rapporto tra ordinamento settoriale ed ordinamento statale, le norme dell’ordinamento sportivo possono assumere rilevanza solo ove attraverso la loro applicazione siano stati adottati atti lesivi di posizioni giuridiche soggettive;
pertanto, il giudice non può conoscere e sindacare direttamente le norme federali al fine di accertare la loro compatibilità con l’ordinamento nazionale, in quanto alla luce del principio di autonomia degli ordinamenti e della espressa previsione di cui all’art. 3 l. n. 280/2003, può essere chiamato a giudicare solo della legittimità di atti assunti da organi del CONI o da Federazioni Sportive che siano lesivi di interessi legittimi o i diritti soggettivi affiliati.
5.2. Tuttavia, nell’ipotesi di invalidità derivata, nel pronunciarsi sui singoli atti lesivi il giudice può in pratica sindacare le norme federali che risultano in contrasto con le norme inderogabili dell’ordinamento statale.
Ciò comporta che per poter sindacare le norme federali relative al titolo sportivo è necessaria la previa impugnazione degli atti della Federazione, applicativi delle stesse.
5.3. Alla luce dei principi esposti, il giudice di primo grado, rilevando che il fallimento odierno appellante non si era limitato ad impugnare le norme federali che disciplinano il titolo sportivo disponendone la sua incedibilità, ma anche alcuni atti applicativi della Federazione, ha escluso la automatica inammissibilità del ricorso ed ha ritenuto di pronunciarsi sulla pretesa del fallimento odierno appellante, relativa in ultima analisi al mantenimento del titolo sportivo, attraverso il sindacato sul provvedimento di esclusione del campionato.
5.4. Tuttavia, rilevato che il fallimento, prima di attivare il ricorso giurisdizionale non aveva adito la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso il CONI, ha affermato la irritualità dell’impugnazione per violazione dell’art. 3 l. n. 280/2003 che imporrebbe il previo esaurimento dei gradi di giustizia sportiva.
5.5. Il T.a.r. ha, quindi, dichiarato improcedibile il ricorso avverso il provvedimento di esclusione al campionato perché non preceduto dal previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva ai sensi dell’art. 3 l. n. 280/2003 ed ha conseguentemente dichiarato inammissibile il ricorso avverso i consequenziali provvedimenti relativi all’organico del campionato, all’attribuzione del titolo di eccellenza in base al lodo Petrucci e avverso le norme federali che stauiscono l’indisponibilità del titolo sportivo.
6. Avverso tale decisione il Fallimento OMISSIS Calcio ha proposto appello chiedendone la riforma.
Il Collegio ritiene di dover decidere le questioni relative ala procedibilità e ammissibilità del ricorso di primo grado in maniera diversa rispetto alle conclusioni del primo giudice.
7. Occorre, infatti, partire dalla premessa che le norme e gli atti dell’ordinsamento sportivo non sono suscettibili di vincolare soggetti estranei all’ordinamento sportivo che vengano ad avere rapporto con i suoi organi o con le società ad essi affiliate.
Come ha rilevato Cass., sez. I, 3 aprile 1987, n. 3218 “il Coni, in quanto entre strumentale per l raggiungimento dei fini che rientrano negli interessi generali propri dell’ordinamento giuridico statale, non può agire ponendosi in contrasto con lo stesso ma solo entro la sfera di potestà riconosiutegli, con la conseguenza che gli atti che tale ente o le varie federazioni, che ne costituiscono gli organi, emanino nell’esercizio della potestà amministrativa, avendo natura di regolamenti interni ed una sfera di efficacia limitata alle materie che rientrano nell’ordinamento sportivo, non possono regolamentare i rapporti intersoggettivi eccedenti quelle materie, né vincolare soggetti estranei all’ordinamento sportivo. I rapporti tra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento sportivo non sono, quindi, di reciproca autonomia e totale indipendenza: così che qualunque soggetto che venga in rapporto con organi dell’ordinamento amministrativo sportivo resti soggetto esclusivamente ad esso e perda la tutela dei diritti soggettivi a lui riconosciuti dall’ordinamento statale. Al contrario, l'ordinamento sportivo opera nell'ambito delle leggi dello Stato e può agire solo entro la sfera delle potestà che da queste ultime gli sono riconosciute, sfera che è limitata all'esercizio della predetta potestà regolamentare amministrativa nel settore sportivo il quale rientra fra gli interessi generali dello Stato e che è stato delegato ad un ente pubblico, appositamente creato e sottoposto alla vigilanza del competente organo amministrativo statale. Perciò l'ordinamento giuridico sportivo assume sotto la denominazione di Comitato olimpico nazionale italiano la qualificazione di ente pubblico nell'ordinamento giuridico statale e, quale ente pubblico distinto dalla persona giuridica dello Stato e dai suoi organi, viene utilizzato dall'ordinamento giuridico statale per l'esercizio della funzione amministrativa nel settore sportivo, sì che l'efficacia degli atti amministrativi e della normativa regolamentare, anziché essere limitata all'interno dell'ordinamento sportivo, si estende nell'ambito dell'ordinamento statale. Da tali premesse di natura generale consegue che la potestà normativa avente per oggetto la regolamentazione dei rapporti intersoggettivi privati, poiché deve essere esercitata con atti di normazione primaria, non può che essere esercitata con atti aventi natura ed efficacia di legge.
Essa è, quindi, necessariamente esclusa dall'ambito delle potestà riconosciute all'ordinamento sportivo con efficacia esterna allo stesso e, quindi, idonea ad operare nell'ambito dell'ordinamento generale dello Stato. Questi rapporti intersoggettivi debbono necessariamente essere disciplinati con legge dello Stato.
I regolamenti delle società sportive, peraltro, - a somiglianza dei regolamenti di qualsiasi altro ente pubblico dotato di una simile potestà - sono regolamenti "interni" non soltanto per la loro rilevanza rispetto all'ordinamento giuridico dello Stato, ma, altresì, per la loro sfera di efficacia che, entro i limiti segnati dalle norme legislative, non può eccedere l'ambito di quelle materie che rientrano nell'ordinamento sportivo e che sono soltanto quelle prima indicate”.
8. In base a tali premesse, deve allora ritenersi che nessun onere di attivare i rimedi di giustizia sportiva gravava sul curatore fallimentare, il quale è soggetto estraneo all’ordinamento sportivo e, nella specie, ha promosso un’azione non in sostituzione della società sportiva fallita, ma quale pubblico ufficiale esercente una funzione pubblica diretta a garantire la conservazione ed amministrazione del patrimonio fallimentare.
Giova rilevare, al riguardo, che il curatore può esercitare due distinte categorie d’azioni: quelle di massa e quelle che già appartenevano al patrimonio del fallito.
Nella fattispecie, alla luce dei motivi di ricorso, è evidente che la curatela fallimentare abbia agito nella posizione di terzo, portatore degli interessi della massa e non anche nella stessa posizione della società sportiva fallita.,
Infatti, la curatela fallimentare ha presentato ricorso al fine di ottenere l’annullamento (ed il relativo risarcimento del danno) delle norme federali della F.I.G.C. e i conseguenti atti applicativi nella parte in ci stabiliscono l’indisponibilità del titolo sportivo da parte della società e la sua attribuibilità a terzi da parte della stessa Federazioni, in quanto dette norme pregiudicano gravemente i diritti patrimoniali dei creditori della società fallita.
Inoltre, si deve comunque rilevare che nel caso di specie l’oggetto del contendere non è l’esclusione della OMISSIS Calcio s.r.l. dal campionato di C2 (che l’appellante non contesta riconoscendo che la società era innegabilmente in stato di insolvenza), bensì le norme federali che consentono di sottrarre il titolo sportivo alla massa attiva fallimentare, senza alcun indennizzo, per attribuirlo ad altra società calcistica della medesima città.
Il provvedimento lesivo, della cui legittimità si discute, è quindi quello con cui la F.I.G.C., in applicazione del c.d. lodo Petrucci (art. 52, comma VI, delle NOIF) ha disposto del titolo sportivo della OMISSIS Calcio s.r.l. assegnandolo ad altra società.
Il ricorso avverso tale provvedimento non è quindi preluso dai vincoli posti dall’ordinamento sportivo e, data la sua rilevanza su situazioni giuridicamente rilevanti di soggetti terzi rispetto all’ordinamento sportivo, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
9. Occorre ora svolgere qualche ulteriore considerazione sull’interesse alla decisione del presente ricorso.
Si è detto, che il curatore agisce nel presente giudizio a tutela non della società ma della posizione dei creditori del fallimento. L’interesse al ricorso, quindi, può sussistere solo in relazione a quegli aspetti dei provvedimenti impugnati che possono pregiudicare la posizione dei creditori, compromettendo il loro diritto alla soddisfazioni a condizioni paritarie sul patrimonio del fallito.
Nel caso di specie, i creditori (e quindi il curatore che li rappresenta) hanno interesse a contestare le norme federali e i provvedimenti applicativi solo nella parte in cui queste prevedono che quanto si ricava dall’atto di disposizione del provvedimento impugnato vada a beneficio solo di determinati creditori e non della massa della società fallito.
La contestazione del potere della Federazione del potere di disporre del titolo sportivo è, invece, questione che trascende l’interesse dei creditori per riguardare, invece, direttamente quello della società fallita. Anche i motivi di ricorso sotto questo profilo fanno valere violazioni che riguardano principalmente la lesione dei diritti della società fallita (essenzialmente la lesione di prerogative prioritarie senza indennizzo) e non dei creditori.
Sotto questo profilo, quindi, il ricorso avverso il provvedimento di disposizione del titolo sportivo deve essere dichiarato inammissibile.
10. L’interesse al ricorso sussiste, invece, in relazione alle censure che si appuntano sulla norma che prevede che il ricavato ottenuto in seguito alla disposizione del titolo venga destinata a vantaggio di alcuni creditori (Fondo di garanzia per calciatori e allenatori di calcio) e non equamente ripartito tra la massa.
Anche così circoscritta, la domanda di annullamento non può, tuttavia, essere scrutinata nel merito, in quanto la mancata notifica ai creditori controinteressati (quelli beneficiati dalla destinazione delle somme) la rende inammissibile.
11. Rimane da esaminare, nonostante, l’inammissibilità della domanda di annullamento, la domanda risarcitoria proposta dalla curatela.
Si tratta del danno che la massa avrebbe asseritamente subito a causa della lesione della par condicio originata dal c.d. Lodo Petrucci e dal relativo provvedimento attuativo, nella parte in cui, come sopra si è detto, tali norme prevedono la destinazione del ricavato a beneficio solo di alcuni creditori.
Sotto tale profilo, l’art. 52, comma 7, delle NOIF (vigente ratione temporis al tempo cui si riferiscono i fatti per cui è causa) presenta profili di illegittimità perché introduce una deroga al principio della par condicio creditorum di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., e questo certamente fuoriesce dalle competenze dell’ordinamento sportivo.
Ciò nonostante, tuttavia, la domanda risarcitoria non può essere accolta perché non risulta provato il danno concretamente subito dai creditori del fallimento.
11.1. Non risulta, in particolare, che, per effetto di questa alterazione della par condicio quali e quantisiano stati dei creditori rimasti insoddisfatti, né risulta la misura dell’eventuale pregiudizio patito da ciascuno.
11.2. Inoltre, considerando che anche gli allenatori e i calciatori (ovvero i soggetti privilegiati dal c.d. lodo Petrucci) sono pur sempre creditori della massa, si viene a creare una situazione di conflitto di interesse tra creditori (quelli privilegiati dal c.d. lodo Petrucic e gli altri) che fa nascere seri dubbi in ordine alla legittimazione ad agire della curatela fallimentare in ordine alla domanda risarcitoria in esame.
Come hanno affermato le Sezioni Unite occupandosi della domanda di risarcimento del danno per abusiva concessione del credito (S.U. n. 7029/2006) non si può ritenere, che nel sistema fallimentare il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato. Il sistema piuttosto prevede che la funzione del curatore sia diretta a conservare il patrimonio del debitore, garanzia del diritto del creditore, attraverso l'esercizio delle cosìdette azioni di massa, dirette ad ottenere, nell'interesse del creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come avviene per l'appunto attraverso l'esercizio delle azioni revocatorie e surrogatorie. Tale principio peraltro non è assoluto, ma va armonizzato con quello secondo il quale siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito.
Il quesito da esaminare è allora se l’azione di risarcimento del danno subito da alcuni creditori per effetto dei provvedimenti in questioni sia azione di massa o meno.
La risposta, anche sulla scorta della dominante opinione scientifica, deve essere negativa.
L'azione di massa è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo. Essa nell'immediato perviene all'effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno. Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia generica e comunque esso sarà suddiviso attraverso il riparto.
Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori. Nè vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una specifica pretesa, necessita pur sempre dell'esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non essendo sufficiente ad assicurarne l'eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto.
Va dunque anzitutto rilevato che l'azione risarcitoria di cui si tratta nella sua ontologia costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore.
Il danno che deriva da siffatta attività andrà, comunque, caso per caso valutato nella sua esistenza e nella sua entità, essendo ben ipotizzabile che creditori che pur hanno diritto di partecipare al riparto non hanno titolo per il risarcimento di cui si tratta, non avendo ricevuto danno dai provvedimenti impugnati.
12. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va, pertanto, respinto.
Le spese del giudizio devono essere integralmente compensate, tenuto conto della complessità e della novità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2010 con l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore