T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 11220/2018

Pubblicato il 20/11/2018

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 e 74 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale (…), integrato da motivi aggiunti, proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo Pastena, con domicilio eletto presso il suo studio in Giustizia, Pec Registri;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

sia con il ricorso introduttivo, che con i motivi aggiunti:

del decreto Prot. n. 79740 del 03/11/2017 di non ammissione del ricorrente all'esame pratico previsto dall'art 2 “Organizzazione del corso”, del bando relativo al corso di formazione professionale propedeutico alla concessione della licenza di allievo guidatore di cui al Decreto n. 44432 del 30 maggio 2016 del Dicastero;

e di tutti gli atti presupposti e connessi, in particolare la valutazione della relativa commissione di esame di “NON IDONEO” nell'esame teorico” consistito in un “test scritto e in un colloquio orale”.

- per la richiesta di misura cautelare tesa ad ammettere il ricorrente prova pratica in pista con riserva dell'esito del giudizio di merito sul ricorso giurisdizionale;

- per la richiesta del risarcimento del danno nel caso di non effettuazione della prova pratica e riconosciuta illegittimità nel merito degli atti impugnati.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 ottobre 2018 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti in ordine alla regolarità ed alla completezza del contraddittorio e dell’istruttoria ai fini della decisione sul ricorso nel merito ex art. 74 c.p.a., previa conversione del rito in pubblica udienza, con rinuncia delle parti ai relativi termini a difesa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Espone l’odierno ricorrente di aver conseguito l’ammissione al test scritto per la selezione indicata in epigrafe, dopo aver seguito 80 ore di lezione; il suddetto test scritto conseguiva una votazione con media del 9,5; non superava però i colloqui orali, risultando valutato “non idoneo”; veniva quindi escluso dalla partecipazione all’esame pratico (consistente nella simulazione di una corsa e due false partenze con i nastri); dopo l’esame pratico avrebbe potuto accedere alla successiva fase di selezione, consistente in 12 mesi di tirocinio, con conseguente abilitazione alla professione di guidatore nelle corse al trotto e poi allenatore e guidatore.

Con il ricorso in epigrafe impugna gli esiti dell’esclusione dalla selezione, censurandone il difetto di motivazione e la illogicità sotto diversi profili.

Più precisamente, sull’assunto che il bando preveda lo scritto e l’orale come due momenti di un unico “esame teorico” sulle medesime materie di insegnamento (sei), del tutto illogico sarebbe il mancato superamento del test orale conseguente a tre risposte ad altrettante domande; il provvedimento impugnato sarebbe a sua volta in contraddizione con la circostanza che è annotato che durante il colloquio sarebbero non sarebbero state fornite “risposte strutturate”; dal che deriverebbe un elemento di contraddittorietà nella verbalizzazione che comunque non riporta le risposte date.

L’esito della prova orale non sarebbe logico debba prevalere su quello della prova scritta; sarebbero insufficienti le tre domande per misurare la “capacita’ di collegare l’aspetto tecnico delle corse con le disposizioni regolamentari che sovrintendono il settore ippico”.

Conclude per l’annullamento degli atti impugnati e con domanda di risarcimento del danno, in caso di diniego di misura cautelare, per il mancato accesso al corso nella misura di euro 200.000,00 o di quella diversa di giustizia, con interessi e rivalutazione come per legge.

Con decreto monocratico nr. 6125 del 16.11.2017 è stata concessa la misura cautelare urgente dell’ammissione provvisoria del ricorrente “con riserva” allo svolgimento dell’esame pratico, impregiudicata ogni decisione, anche in sede cautelare, da parte del Collegio giudicante, con effetti dell’ammissione fino alla camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2017.

Si è costituita l’Avvocatura Generale dello Stato che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto.

Parte ricorrente ha depositata l’attestato di superamento della prova pratica, conseguito nelle more del giudizio, alla quale era stato ammesso per effetto della misura cautelare.

Nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2018 è stato disposto il non luogo a provvedere sulla domanda cautelare, atteso il mancato deposito del ricorso notificato per le vie ordinarie, circostanza rappresentata dal Presidente durante la discussione ed a seguito della quale la difesa di parte ricorrente ha rinunciato alla trattazione della domanda cautelare stessa (cfr. ord. coll. nr. 12284 del 12.12.2017).

Fissata nuovamente la trattazione del ricorso dopo istanza della parte ricorrente (del 21.12.2017), nella camera di consiglio del 14 febbraio 2018 il ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare preannunciando la presentazione di motivi aggiunti (cfr. ord. Nr. 948 del 19.02.2018).

Il 3 luglio 2018 è stato depositato atto per motivi aggiunti, notificato in pari data, con il quale lamenta l’illegittimità del comportamento omissivo della PA resistente in quanto, stante l’avvenuto superamento della prova pratica, sarebbe comprovato che il ricorrente è idoneo al conseguimento del titolo per cui ha concorso; si duole che, nonostante l’esito favorevole della prova, la PA non recede dai suoi deliberati impugnati, come sarebbe di giustizia secondo articolate argomentazioni rivolte a dimostrare l’esistenza di un interesse generale all’ammissione definitiva del ricorrente stesso (precisa la difesa del ricorrente che se si esclude quest’ultimo dal poter essere un operatore ippico, si recherebbe un vero e proprio nocumento all’Ippica agonistica avendo riguardo alla necessità di arginare l’allontanamento degli operatori in un periodo particolarmente difficile per il settore).

Insiste nell’accoglimento del ricorso, precisando che alla precedente camera di consiglio è stata rinunciata non già la domanda cautelare, ma solo la sua trattazione.

Il Ministero ha prodotto ulteriori atti di causa, comprensivi di una relazione dell’Ufficio.

Con atto del 31 luglio 2018 il difensore della parte ricorrente ha depositato una dichiarazione di rinuncia al mandato ed è stato sostituito, nel prosieguo, dall’avv. Vincenzo Pastena con atto di costituzione depositato il 19 ottobre 2018.

Nella camera di consiglio del 31 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art.74 C.p.a., previa conversione del rito in pubblica udienza, con rinuncia ai termini da parte dei difensori delle parti, allo scopo di definire il ricorso ed i motivi aggiunti nel merito; la difesa del ricorrente si è soffermata su alcuni aspetti ritenuti di particolare interesse, evidenziando che dal verbale non risulterebbe l’indicazione delle votazioni dei singoli commissari (ma solo il punteggio finale).

Così come ritenuto in controversia similare (TAR Lazio, II ter, 22.01.2018 nr. 790), l’odierno ricorso, volto ad ottenere l’annullamento dell’esito delle prove orali sostenute dal ricorrente, alla luce delle difese svolte dall’Amministrazione (che le deduzioni difensive di parte ricorrente svolte anche nella memoria conclusiva non consentono di superare) non può trovare accoglimento, essendo affidato a censure generiche e sostanzialmente di merito, come tali inammissibili.

Il ricorrente contesta, infatti, la sufficienza e la idoneità delle domande formulate dalla commissione in relazione al fine di saggiare la capacità del candidato.

Le difese dell’Amministrazione, pur eccependo l’insindacabilità nel merito delle valutazioni della commissione, offrono numerosi argomenti a sostegno della correttezza del procedimento svolto, che tuttavia non v’è luogo ad approfondire, essendo fondata l’eccezione principale sollevata della difesa dell’Avvocatura.

Nonostante lo sforzo argomentativo, infatti, le deduzioni del ricorrente non sfuggono ai principi che la giurisprudenza ha elaborato, più in generale, in ordine ai limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle prove di concorso (v. da ultimo T.A.R. Trento, sez. I 09 dicembre 2016 n. 415) secondo cui “A) la determinazione delle domande da rivolgere ai candidati costituisce espressione di un potere tecnico - discrezionale assai ampio, sindacabile in sede giurisdizionale solo ove esse non risultino effettivamente pertinenti al settore oggetto del concorso; B) qualora il bando di un concorso preveda che la prova orale consiste in un colloquio interdisciplinare sulle materie indicate dal bando stesso, non è necessario che la prova riguardi in modo specifico tutte le materie; c) sui giudizi della Commissione esaminatrice, il sindacato di legittimità è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabile ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti. Pertanto, la circostanza che al ricorrente sia stata posta una sola domanda non è sufficiente per ritenere che la stessa fosse insufficiente per verificare il possesso delle competenze richieste dal bando” (in ordine alla natura delle valutazioni delle commissioni di concorso ed al rapporto con il voto numerico, vedasi anche T.A.R. Milano, sez. III, 30 novembre 2016 n. 2270).

Sulla base di tali principi va affermato, anche nell’odierno giudizio, che in sede di prova di concorso, come anche di prove idoneative, svolte per l’accesso agli impieghi pubblici o per l’iscrizione in albi professionali o di genere similare, le competenti commissioni svolgono una attività di accertamento di requisiti e condizioni dei candidati che si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest'ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell'apprezzamento riservato dalla Commissione esaminatrice all'elaborato e quindi del grado di idoneità o inidoneità riscontrato; giudizio che la pacifica giurisprudenza considera assoggettabile al sindacato del giudice amministrativo nei soli limiti della coerenza estrinseca e logica. Altrimenti detto il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile - unicamente sul piano della legittimità - per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e sino tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che con ciò il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione. Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, dell’apprezzamento espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo quest’ultimo essere sindacabile solo ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà. In applicazione di detto postulato la giurisprudenza del Giudice amministrativo ha affermato e ribadito – dando vita ad un indirizzo di pensiero che può dirsi pacificamente radicato – la inammissibilità di una censura (come quelle dedotte nell’odierna fattispecie) che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell'elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una - preclusa - cognizione del merito della questione.

In ogni caso, il giudizio di legittimità richiede comunque che la censurata violazione dei limiti della discrezionalità sia sorretta da puntuali ed argomentate ragioni di censura, che nell’odierno giudizio non risultano essere formulate, limitandosi il ricorrente a sostenere – genericamente – una supposta erroneità o inadeguatezza delle domande stesse, ciò che rende privo di rilievo anche il profilo – peraltro solo formale - evidenziato durante la discussione orale del ricorso relativamente alle modalità di indicazione del punteggio.

Quanto ai motivi aggiunti, rileva il Collegio che essi hanno ad oggetto il medesimo provvedimento impugnato avverso il quale formulano ulteriori argomenti di gravame, insistendo poi circa l’illegittima omissione dell’esercizio dell’autotutela che sarebbe stato opportuno avendo il ricorrente superato la prova pratica; ragioni di pubblico interesse collegate alla generale tutela dell’Ippica, in un momento di grave crisi del settore, avrebbero ulteriormente giustificato l’invocata autotutela.

Si tratta di argomentazioni, ancora una volta, riferite al merito amministrativo; deve solo precisare il Collegio che, secondo pacifica giurisprudenza, l’esercizio dell’autotutela è oggetto di una riserva di piena discrezionalità dell’Amministrazione (v. T.A.R. Salerno, sez. I 17 maggio 2016 n. 1246, Consiglio di Stato, V, 20 marzo 2015, nr. 1543; Consiglio di Stato Sez. VI, 07 gennaio 2014, n. 12; Consiglio di Stato Sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5207; T.A.R. Potenza, I, 11 febbraio 2015, nr. 90; T.A.R. Venezia, I 26 gennaio 2015, n. 45; T.A.R. Catanzaro Sez. I, 14 febbraio 2014, n. 279; T.A.R. Lecce Sez. III, 15 gennaio 2014, n. 111), come tale non coercibile in giudizio e pertanto non può prestarsi a censure il comportamento della PA che, dopo l’avvenuto superamento della prova pratica del ricorrente, sostenuta per effetto di una misura cautelare, ritenga di non dover modificare l’assetto degli interessi fondato sul provvedimento negativo impugnato.

Il ricorso come integrato dai motivi aggiunti, va dunque respinto in quanto inammissibile e le spese seguono la soccombenza, liquidandosi come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 1.000,00 in favore dell’Amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Fabio Mattei, Consigliere

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore

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