T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 1715/2018

Pubblicato il 13/02/2018

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Mattii, con domicilio eletto presso lo studio Domenico Pavoni in Roma, via Riboty 28;

contro

Unire, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

della determinazione n. 13 del 13 febbraio 2007, recante in particolare la sospensione da ogni qualifica per mesi sei e relativa sanzione pecuniaria.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 2 febbraio 2018 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Viene in questa sede gravato il provvedimento in epigrafe citato con cui, a seguito di riscontrata positività del cavallo “OMISSIS”, veniva incolpato l’allenatore OMISSIS, che ne aveva la “esclusiva detenzione e custodia”, per non avere fornito lo stesso la “prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare che il doping si verificasse”. Questi i motivi di ricorso:

a) violazione art. 10 Regolamento controllo sostanze proibite (RCSP) per non avere l’amministrazione intimata sottoposto le seconde analisi al controllo di un laboratorio diverso da quello che aveva analizzato le prime analisi;

b) violazione allegato 3 dello stesso regolamento RCSP nella parte in cui il laboratorio deputato alle seconde analisi non sarebbe stato in possesso del prescritto accreditamento ISO/IEC 17025;

c) difetto di istruttoria e di motivazione nella parte in cui, nella documentazione di analisi, difetterebbero i fondamentali cromatogrammi e spettri di massa. Difetterebbe in ogni caso la prova della positività nonché la ricerca degli altri metaboliti della cocaina, oltre alla BZE;

d) violazione art. 17 Regolamento Disciplina Unire nella parte in cui la decisione sarebbe stata depositata ben oltre il termine ivi previsto, pari a 20 giorni, decorrente dalla udienza della competente commissione disciplinare;

e) violazione art. 84-bis del Regolamento Corse Trotto nella parte in cui sarebbe stata disposta la sanzione prevista per responsabilità diretta (da 1 a 6 mesi) e non quella invece contemplata per responsabilità oggettiva (fino ad un massimo di 1 mese), ipotesi quest’ultima unicamente presa in considerazione dall’intimata amministrazione.

Si chiedeva altresì il risarcimento dei danni patiti.

Alla pubblica udienza del 2 febbraio 2018 la causa veniva infine trattenuta in decisione.

Tutto ciò premesso osserva il collegio che:

1. Il motivo sub a) è infondato sulla base di quanto affermato dalla più recente giurisprudenza amministrativa. In particolare è stato rilevato, nella sentenza n. 5482 del 6 ottobre 2011 della sesta sezione del Consiglio di Stato, che “Non può condividersi l’assunto del Tribunale di giustizia amministrativa, secondo cui le controanalisi dovevano essere eseguite, a pena d’illegittimità, da un laboratorio diverso da quello che aveva eseguito le prime analisi.

Infatti, in primo luogo, dallo stesso tenore letterale dell’art. 10, comma 1, del “Regolamento per il controllo delle sostanze proibite”, deliberato dal Commissario straordinario dell’U.N.I.R.E. il 6 agosto 2002 e approvato con D.M. n. 797 del 16 ottobre 2002 – il quale testualmente statuisce: “In caso di non negatività alle prime analisi, entro 30 giorni dalla corsa, il laboratorio che le ha eseguite deve, sollecitamente ed in modo riservato, comunicarne l’esito all’U.N.I.R.E. e contemporaneamente alla Commissione Scientifica, la quale, nell’approntare il fascicolo di sua competenza da trasmettere agli Organi disciplinari, può chiedere al laboratorio qualsiasi documento o analisi già effettuata o approfondimenti analitici da svolgere sul campione di seconda analisi” –, emerge che il laboratorio, il quale abbia effettuato le prime analisi con esito di “non negatività”, può essere investito anche delle seconde analisi, sicché l’operato dell’Amministrazione odierna appellante trova un diretto avallo di legittimità nella citata previsione regolamentare.

In secondo luogo – come condivisibilmente dedotto dall’Amministrazione appellante nel ricorso in appello –, le seconde analisi non possono qualificarsi alla stregua di mezzo di gravame contro le risultanze delle prime, bensì quale strumento di comparazione con queste e di approfondimento analitico, a garanzia dell’univocità scientifica del relativo esito. Le stesse, infatti, costituiscono essenzialmente, più che una revisione e/o un riesame, un accertamento ex novo, in contraddittorio con l’interessato, del secondo recipiente dell’unico prelievo effettuato sul cavallo (a norma dell’art. 8, comma 1, del citato regolamento “il campione prelevato è diviso in due parti, di cui una destinata alle prime analisi e l’altra destinata alle seconde analisi in conformità a quanto disposto dalle normative (articolo 6) emanate dalla Federazione delle Autorità Ippiche Mondiali (F.I.A.H.)”). Le seconde analisi s’inseriscono dunque, quale subprocedimento, nel procedimento volto alla verifica della presenza di sostanze dopanti, forgiato secondo regole standardizzate a livello internazionale, in modo da garantire la scientificità dei risultati degli accertamenti medesimi.

In terzo luogo, alle seconde analisi può partecipare direttamente la parte privata, se del caso delegando anche un sanitario di fiducia, onde assicurare il controllo immediato e diretto sull’attività d’analisi. Le maggiori garanzie procedimentali prescritte dal citato regolamento (art. 10, comma 2) per lo svolgimento delle controanalisi escludono la configurabilità di una violazione del diritto di difesa, abilitando la disciplina di cui al richiamato regolamento l’interessato a controdedurre rispetto alle risultanze delle prime analisi e persino a presenziarvi personalmente, cosicché non assume particolare rilievo, proprio in ragione della diversità strutturale e funzionale del subprocedimento delle controanalisi, che le stesse siano eseguite dal medesimo laboratorio (e/o dalla medesima persona fisica in seno allo stesso laboratorio), non potendovisi ravvisare – anche in virtù degli strumenti di difesa garantiti all’interessato – una lesione dei principi di imparzialità e di trasparenza.

Contrariamente a quanto ritenuto dall’impugnata sentenza, deve dunque escludersi la configurabilità di una situazione d’incompatibilità, in capo al laboratorio che ha effettuata le prime analisi, ad eseguire anche le seconde, il cui espletamento è, peraltro, soggetto alla disciplina dettata dalle “Linee guida per l’espletamento fasi operative seconde analisi antidoping cavalli” deliberate dall’U.N.I.R.E. il 24 dicembre 2003, che regolano in modo dettagliato le modalità operative con cui procedere alla analisi sia qualitativa che quantitativa dei campioni biologici ippici in sede di secondo esame, e le quali nel caso di specie, alla luce delle risultanze del verbale di seconda analisi dell’8 ottobre 2008 e dei relativi allegati, appaiono puntualmente osservate, con conseguente infondatezza dei motivi assorbiti (e riproposti) che assumevano – peraltro, in modo apodittico e confuso – la violazione di tali linee guida”. Si confrontino, sul punto specifico, anche le pronunzie di questo stesso Tribunale Amministrativo n. 12120 del 2 dicembre 2014, n. 6255 del 10 luglio 2012 e n. 520 del 16 gennaio 2018, le quali si esprimono nella stessa direzione sopra indicata.

Da quanto riportato consegue il rigetto della specifica censura.

2. Parimenti da rigettare è la censura sub b) sulla base delle seguenti considerazioni del TAR Lazio, sezione terza ter, 16 gennaio 2018, n. 520: “Va poi respinta la terza censura con cui si deduce la mancanza di accreditamento del Laboratorio di 2^ analisi e degli altri requisiti previsti. Sul punto, la più risalente giurisprudenza del TAR appariva effettivamente orientata in senso favorevole al ricorrente (vedasi TAR Lazio, III ter N. 10354/2014 del 15.10.2014 ed anche 29 luglio 2014 nr. 08280/2014). Tuttavia, i più recenti orientamenti del Consiglio di Stato sono pervenuti a conclusione del tutto opposta (vedasi, in particolare, la sentenza del 16 febbraio 2017, nr. 692; si confrontino inoltre le coeve decisioni nr. 690 e 691; vedi anche sez II ter TAR Lazio, n. 06908/2017) in relazione al tema dell’accreditamento dei laboratori ai sensi della Guida ISO/IEC 17025. Infatti, si è intanto presupposto che “la norma invocata prevede espressamente, al punto 18 (rubricato “Laboratori”) che “L’obiettivo dei paesi firmatari è che i loro laboratori: siano accreditati conformemente alla guida ISO/IEC17025 “Condizioni generali di competenza richieste ai laboratori di analisi e di verifica” e al documento complementare ILAC G7 “Condizioni di accreditamento e criteri di funzionamento dei laboratori ippici”; applichino le disposizioni della “Guida per il rilevamento delle sostanze proibite”(Parte B dell’ILAC G7); rispettino le “Specifiche di rendimento della Federazione delle Autorità Ippiche”; partecipino a test fra laboratori (comma 5 9/b) della Guida ISO/IEC 17025:1999” …l’incipit della disposizione “l’obiettivo dei paesi firmatari…” qualifica la norma come programmatica, prefigurando sostanzialmente un risultato da raggiungere nella organizzazione e nel funzionamento dei laboratori.”

Sulla base di tali premesse, è stato affermato che tale disposizione “crea un obbligo di conformarsi ad essa, ma non prevedendo termini in proposito, non conduce affatto a ritenere la illegittimità delle attività svolte dai laboratori già esistenti, nelle more dell’adeguamento. La disposizione non ha, dunque, una portata immediatamente precettiva, la cui violazione incide sulla validità delle attività svolte. Invero, tale illegittimità non è espressamente contemplata, né è prevista, nelle more dell’accreditamento l’impossibilità di utilizzo di laboratori che a tali prescrizioni ancora non si siano adeguate” e che, pertanto, “i laboratori esistenti che svolgano analisi incaricati dall’UNIRE, legittimamente svolgano la loro attività, soprattutto quando, come nel caso di specie, siano determinate le procedure seguite nella effettuazione delle analisi, queste seguano modalità corrispondenti alle regole tecnico-scientifiche del settore e sia garantita la partecipazione ed il controllo, da parte dei privati, delle attività svolte”.

Pertanto, una volta riscontrata l’effettiva mancanza di accreditamento del laboratorio per la specifica sostanza riscontrata nel cavallo, è onere della parte interessata che intenda contestare il risultato dell’analisi dimostrare l’inosservanza delle modalità tecnico-scientifiche del settore o la mancanza di possibilità di partecipazione dei privati stessi alla verifica, circostanze queste ultime che non sono emerse nell’odierno giudizio. Di qui il rigetto della specifica censura sub b).

3. Ancora da rigettare è la censura sub c) in quanto, come affermato nelle citate sentenza n. 6255 del 2012 e n. 520 del 2018, “Priva di pregio è poi la quarta censura con cui si deduce difetto di motivazione in quanto non sarebbero stati esibiti i dati analitici rappresentati dai cromatogrammi e spettri di massa sottesi al formale risultato delle II analisi. Infatti, come affermato da TAR Lazio sez III ter, n. 06255/2012, nelle linee guida non si rintraccia un obbligo a pena di nullità delle analisi di fornire detti elementi, la cui necessità o meno nella presente fattispecie appartiene all’area di discrezionalità tecnica non sindacabile da questo Giudice se non per evidenti illogicità”. Evidente illogicità comunque non dimostrata nel presente ricorso il quale, sul punto specifico, si appalesa oltre modo generico.

Si lamenta poi la mancata ricerca degli altri metaboliti della Cocaina, oltre alla BZE, caratterizzanti il contatto con la sostanza primaria cocaina, per desumerne l’insufficienza degli accertamenti istruttori espletati e la mancata applicazione dei criteri introdotti con delibera del CdA UNIRE sulla determinazione della soglia di punibilità della positività alla BZE riscontrata.

Anche in questo caso il rilievo non convince.

Come evidenziato nella sentenza n. 6255 del 2012 del TAR Lazio, l’adeguatezza tecnica del metodo seguito dal competente organo istruttorio per l’accertamento della positività alla sostanza in parola, peraltro conforme al vigente regolamento, oltre ad essere confermata dalla prevalente letteratura scientifica, non è sindacabile in sede di legittimità alla stregua dei rilievi di parte ricorrente che vorrebbero introdurre, attraverso argomenti ipotetici, un sindacato tecnico intrinseco sulla correttezza dell’accertamento tecnico tanto sotto il profilo del metodo di analisi, quanto sotto il profilo della soglia di positività necessaria ai fini della verifica del doping.

Per tutte le ragioni sopra evidenziate anche tale specifico motivo deve dunque essere rigettato.

4. Sempre da rigettare è la censura sub d) dal momento che, come affermato nella citata sentenza n. 520 del 16 gennaio 2018 di questa stessa sezione, “è infondata anche l’ultima censura relativa alla violazione dell’art. 17 del Regolamento di disciplina dell’UNIRE, in quanto la decisione della Commissione sarebbe stata depositata oltre il ventesimo giorno dall’udienza di cui alla citata norma interna, trattandosi evidentemente di termine acceleratorio e non perentorio, la cui inosservanza dà luogo a mera irregolarità non invalidante l’atto impugnato”.

5. Risulta invece fondato il motivo sub e) sulla base di quanto ritenuto nelle sentenze n. 7202 e n. 7203 del 2 settembre 2003 di questa stessa sezione che di seguito si riporta per quanto di specifico interesse:

“L’art. 84 bis del Regolamento delle Corse al Trotto, prevede due ipotesi di responsabilità per la somministrazione di sostanze considerate doping:

- in caso di individuazione, attraverso inchiesta, della persona che prima della corsa o in vista di essa, ha somministrato il preparato vietato (detta ipotesi è gravamente sanzionata con la sospensione o l’appiedamento da un minimo di un mese ad un massimo di sei oltre alla multa da £. 2.000.0000 a £. 12.000.000) – art. 84 bis comma 3 (nel vecchio testo del Regolamento prodotto dal ricorrente come documento n. 11 appare come II comma);

- in ogni caso, e quindi in mancanza di prova in ordine alla effettiva responsabilità per la produzione dell’evento, prevede la responsabilità dell’allenatore (che incorre in una multa da £. 2.000.000 a £. 5.000.000 e nella sospensione fino ad un mese) se non prova di aver preso tutte le misure idonee ad evitare la possibilità che il doping si verificasse -art. 84 bis comma VI (nel vecchio testo del Regolamento prodotto dal ricorrente come documento n. 11 appare come V comma).

Mentre nel primo caso il regolamento contempla e sanziona la fattispecie commissiva (e quindi la somministrazione della sostanza vietata) nell’ipotesi in cui sia stato individuato a seguito di apposita inchiesta, il soggetto responsabile del doping, nel secondo caso punisce invece la condotta omissiva dell’allenatore, che può liberarsi della responsabilità oggettiva soltanto fornendo la prova di aver fatto tutto quanto fosse necessario per evitare l’evento.

Poiché, di fatto, l’allenatore - secondo il principio dell’id quod plerumque accidit - , risulta essere il soggetto che può avere più facilmente l’accesso al cavallo (e quindi può più agevolmente drogarlo) e anche il maggior interesse a somministrargli sostanze vietate al fine di ottenere migliori risultati nelle competizioni, è stata introdotta a suo carico questa forma di responsabilità oggettiva, (proprio al fine di limitare se non di evitare del tutto la somministrazione di sostanze vietate, considerato che appare oggettivamente molto difficile provare la condotta commissiva consistente nella somministrazione della sostanza stessa), dalla quale l’allenatore si può liberare soltanto fornendo la prova di aver preso tutte le precauzioni del caso per evitare l’evento.

La responsabilità oggettiva dell’allenatore diviene quindi operativa nei casi in cui non sia stato possibile accertare chi sia stato l’esecutore materialedella somministrazione, ma potrebbe sussistere anche qualora fosse stato scoperto l’autore del fatto semprechè, l’omessa predisposizione delle cautele necessarie in violazione del principio di diligenza, avesse reso possibile o agevolato la dolosa somministrazione da parte di terzi.

Questa forma di responsabilità, potremmo dire residuale, assolve alla funzione di sanzionare sempre e comunque anche in mancanza di prova circa l’effettiva responsabilità commissiva, i comportamenti che abbiano dato origine al doping.

L’ipotesi della responsabilità diretta, riguarda invece il caso diverso nel quale la Commissione di Disciplina ha conseguito la prova in ordine alla fattispecie commissiva, ha cioè scoperto chi ha materialmente somministrato la sostanza vietata.

La prova in questo caso deve essere piena e deve essere acquisita dalla stessa Commissione di Disciplina, non potendo ammettersi un’inversione dell’onere della prova, pretendendo che sia il soggetto accusato a doversi discolpare dimostrando che la somministrazione è stata effettuata da altri, oppure che è stata accidentale.

Depone per questa interpretazione non soltanto l’esegesi letterale del testo dell’art. 84 bis III comma, ma soprattutto la sua lettura in combinato disposto con il successivo sesto comma, nel quale invece si sanziona il fatto stesso del doping senza aver conseguito la prova in ordine alla responsabilità per commissione: in altre parole, la presunzione di responsabilità dell’allenatore (e l’onere della prova a suo carico) riguardano la fattispecie disciplinata nel sesto comma, e non quella di cui al terzo comma”.

Alla luce di quanto sopra riportato sussiste dunque la violazione della citata disposizione regolamentare nella parte in cuila Commissione non ha allegato alcuna prova specifica circa l’effettiva somministrazione da parte del ricorrente della sostanza vietata, essendosi la stessa limitata ad affermare che il medesimo ricorrente non ha fornito prova liberatoria a suo discarico, elementi questi che avrebbero legittimamente dovuto portare all’applicazione della sanzione a titolo di responsabilità oggettiva per fatto omissivo (pena sino ad un mese) e non di responsabilità diretta per fatto commissivo (pena da 1 a 6 mesi).

Di qui l’accoglimento della specifica censura.

In conclusione il ricorso è fondato, nei sensi di cui sopra, e deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento della determinazione in epigrafe indicata.

Va invece respinta la richiesta di risarcimento danni, attesa la estrema genericità con la quale la medesima è stata formulata.

Spese di lite da compensare, data la peculiarità della fattispecie esaminata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua (sospensione mesi 6) la determinazione pure in epigrafe indicata.

Rigetta l’istanza risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Michelangelo Francavilla, Presidente

Emanuela Loria, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

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