T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 2033/2019

Pubblicato il 14/02/2019

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Lorenzo Contucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno e Questura Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la sede della quale sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

a) del D.A.SPO. (Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive) n. 85/18 del 07.05.2018, emesso dal Questore della Provincia di Roma, notificato il 11.05.2018 (all. 1), recante il divieto di accedere, per il periodo di anni due, con decorrenza dalla data di notifica: “all'interno degli stadi e di tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale ove si disputano incontri di calcio a qualsiasi livello agonistico, amichevoli e per finalità benefiche, calendarizzati e pubblicizzati”, con estensione del divieto “anche agli incontri di calcio disputati all'estero dalle squadre italiane e dalla Nazionale Italiana di calcio” con estensione del divieto “da quattro ore prima a due ore dopo la conclusione delle manifestazioni sportive, a tutte le aree di rispetto dei luoghi menzionati luoghi, di volta in volta individuate ed evidenziate, con transenne o altro, a cura del responsabile del servizio di ordine pubblico ed a tutti gli altri luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che assistono o partecipano alle suddette manifestazioni sportive, siano essi indicati da apposita segnaletica e dalle forze dell'ordine o siano essi facilmente individuabili da prassi comune o consuetudine”;

b) di ogni ulteriore atto presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale della serie procedimentale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2019 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in esame, l’istante ha impugnato, per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, il provvedimento (D.A.SPO.) con cui il Questore di Roma, in data 7 maggio 2018, ha vietato, per il periodo di anni due, l’ingresso all’interno degli stadi e “di tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale ove si disputano incontri di calcio a qualsiasi livello agonistico, amichevoli e per finalità benefiche, calendarizzati e pubblicizzati”, con estensione del divieto “anche agli incontri di calcio disputati all’estero dalle squadre italiane e dalla Nazionale Italiana di calcio”; il divieto è stato, altresì, esteso a tutti i luoghi limitrofi nell’arco temporale compreso tra le quattro ore prima e le due ore dopo la conclusione delle manifestazioni sportive.

Il provvedimento è stato emesso in ragione di due condotte tenute dal ricorrente durante altrettanti eventi calcistici (-OMISSIS-), avendo egli contravvenuto alla previsione contenuta nel regolamento d’uso dello Stadio olimpico che vieta di stazionare sulla balaustra dell’impianto (nel caso di specie, -OMISSIS-); in ragione di ciò, la Questura di Roma ha notificato al ricorrente due verbali di accertamento di infrazione amministrativa, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1-septies del decreto legge n. 28 del 2003 e dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981.

Avverso tale provvedimento, il ricorrente ha proposto i seguenti motivi:

1) mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, con conseguente violazione di legge e carenza di istruttoria ex artt. 3 e 10 della legge n. 241 del 1990.

Al ricorrente non è stata inviata alcuna comunicazione di avvio del procedimento e, pertanto, non ha potuto partecipare al procedimento che è finalizzato all’adozione di un provvedimento che restringe la libertà di circolazione dell’interessato.

Né vi era alcuna esigenza di celerità che avrebbe giustificato tale omissione posto che i due episodi contestati risalgono ad alcuni mesi prima dell’adozione del provvedimento impugnato;

2) violazione di legge con riferimento all’art. 1 septies del decreto legge n. 28 del 2003, convertito dalla legge n. 88 del 2003 ed all’art. 6 della legge n. 401 del 1989; eccesso di potere per difetto dei presupposti.

Ai sensi del combinato disposto dell’art. 1-septies del decreto legge n. 28 del 2003 e dell’art. 6 della legge n. 401 del 1989, il DASPO può essere adottato soltanto a fronte dell’irrogazione di due sanzioni amministrative da parte del Prefetto.

Nel caso di specie, al ricorrente sono stati elevati due verbali da parte della Questura di Roma, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, ma il relativo procedimento non si è però mai concluso con l’adozione del provvedimento conclusivo da parte del Prefetto competente.

Ora, il ricorrente ha proceduto al pagamento della sanzione in misura ridotta sulla base dei verbali elevati dalla Questura di Roma e ciò, avendo estinto il procedimento sanzionatorio, ha comportato che l’istante non ha ricevuto alcuna sanzione dal Prefetto.

Ora la necessità della previa irrogazione della doppia sanzione irrogata dal Prefetto è stata confermata da tre ordinanze del GIP del Tribunale di Torino che, in ragione di tale carenza, non ha convalidato la prescrizione accessoria imposta ad altrettanti soggetti, avente ad oggetto l’obbligo di comparizione presso gli uffici di polizia;

3) violazione di legge, con riferimento agli artt. 6, l. 401/89 e 3, l. 241/90, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria; eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico dei comportamenti censurati.

La possibilità di adottare provvedimenti come quello impugnato trova il proprio fondamento nell’art. 6 della legge n. 401 del 1989 che richiede, tra l’altro, la sussistenza di profili di pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Ora, nella motivazione del provvedimento impugnato, la Questura di Roma non ha spiegato come l’arrampicarsi su una balaustra possa comportare un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica; non risulta, poi, che il ricorrente abbia preso parte attiva a episodi di violenza, intimidazione e minaccia.

Peraltro, durante gli eventi calcistici di che trattasi, nessun episodio di violenza è stato registrato né alcuno spettatore si è lamentato con gli addetti alla sicurezza;

4) violazione di legge, con riferimento agli artt. 6, l. 401/89 e 3, l. 241/90, eccesso di potere per difetto di istruttoria; eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di pericolosità intrinseca del ricorrente.

Come detto, l’adozione del DASPO non può prescindere dall’accertamento della pericolosità del soggetto interessato.

Se così non fosse, si dovrebbe dubitare della stessa legittimità costituzionale della norma che consente di adottare il DASPO in caso di violazione del regolamento d’uso degli impianti sportivi (art 1-septies del decreto legge n. 28 del 2003) posto che, in alcuni di essi, vi sono prescrizioni che vietano, ad esempio, l’uso del fumo; sarebbe, invero, inconciliabile con i principi della Costituzione che una tale violazione possa comportare una restrizione come quella imposta dal DASPO;

5) in subordine: violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1 L. 401/89 e successive modifiche ed eccesso di potere per difetto in ordine all’entità della misura.

Dalla motivazione del provvedimento impugnato, non è dato comprendere le ragioni per cui il provvedimento impugnato abbia la durata di due anni invece del minimo di un anno, come avvenuto in casi analoghi;

6) in subordine: violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1 L. 401/89 e successive modifiche ed eccesso di potere per difetto ed indeterminatezza dei presupposti.

La misura impugnata incide profondamente sulla libertà di circolazione anche perché il provvedimento gravato non prescrive con precisione le manifestazioni calcistiche alle quali al ricorrente è vietato l’accesso, tanto che, in assenza di specificazione, egli non potrebbe assistere neanche a eventi calcistici di terza categoria.

Tale genericità incide sulla libertà di circolazione costituzionalmente garantita, anche dalla normativa europea.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato nel merito.

Con ordinanza n. 5325/2018, è stata accolta la domanda di sospensiva.

Alla pubblica udienza del 15 gennaio 2018, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Per ragioni di economia e sinteticità, va anticipato l’esame del terzo e del quarto motivo, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, i quali si rivelano fondati ed, in quanto tali, rivestono carattere assorbente delle altre censure proposte dal ricorrente.

Ciò premesso, va invero condivisa la prospettazione contenuta nel ricorso circa la necessità che, nell’ambito del provvedimento impugnato, sia operata una valutazione in concreto in ordine alla pericolosità del soggetto tanto da giustificare l’assoggettamento al divieto di che trattasi.

È ormai affermazione costante della giurisprudenza che il DASPO costituisce una misura di prevenzione atipica applicabile a categorie di persone che versino in situazioni sintomatiche della loro pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica, non in generale, ma con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, desunte dalle circostanze di tempo e di luogo inerenti i fatti e gli eventi posti a base della misura, dalla condotta tenuta dall'interessato nella circostanza, e da altri elementi oggettivi.

Il DASPO può dunque essere disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse, e non solo nel caso di accertata lesione, in ottica di repressione, ma anche in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, in evidente ottica di prevenzione, come appunto nel caso di condotte che comportino o agevolino situazioni di "allarme" o di "pericolo" (cfr TAR Lombardia, sez. staccata di Brescia, 18 settembre 2017, n. 1128).

Ed invero, l’art. 6, comma 1, della legge n. 401 del 1989 attribuisce al Questore un potere interdittivo, esercitabile nei riguardi di coloro che, in occasione o a causa di manifestazioni sportive, tengano una condotta violenta, o comunque tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica.

Detto potere è connotato da un’elevata discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto, in vista della tutela dell’ordine pubblico, non soltanto in caso di accertata lesione, ma – come detto - anche in via preventiva ed in caso di pericolo anche soltanto potenziale di lesione.

Il fine è, infatti, la tutela dell’ordine pubblico, non solo nel caso di accertata lesione, ma pure di pericolo di lesione, sicché si tratta di un potere attribuito anche con fini di prevenzione della commissione di illeciti, tenuto conto della diffusività del fenomeno relativo alle violenze negli stadi di calcio e della necessità di approntare, anche sul piano normativo, rimedi efficaci, con il corollario che la misura del divieto di accesso ad impianti sportivi può essere disposta pure in caso di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, magari ascrivibile a semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 5 dicembre 2011, n. 9547).

Tuttavia, proprio perché la misura del divieto di accesso agli impianti sportivi (c.d. "daspo") ha funzione di prevenzione e di precauzione per fini di polizia (la cui valutazione, quanto all’inaffidabilità del soggetto, spetta all'Autorità amministrativa, la quale è chiamata a un apprezzamento discrezionale nel bilanciamento, tra il prevalente interesse pubblico alla tutela dell'ordine e della sicurezza dei cittadini e l'interesse privato ad accedere liberamente negli stadi), è necessario che tale giudizio si basi su valutazioni non inattendibili e congruamente motivate, avuto riguardo ad oggettive segnalazioni e circostanze di fatto specifiche.

2. Ciò posto, nel caso di specie, tale valutazione tesa peraltro all’individuazione di un giusto contemperamento tra interessi così opposti non risulta svolta in maniera adeguata se si considera che il tutto si basa sulla presa d’atto da parte dell’Autorità competente che l’interessato era stato sanzionato, in due occasioni, per essersi posizionato “in piedi sulla balaustra situata nella parte bassa del settore curva sud, in zona non adibita allo stazionamento del pubblico, rimanendovi per gran parte dell’incontro” e sul fatto che tali circostanze facevano ritenere che l’accesso presso gli stadi era “da ritenersi pregiudizievole per la sicurezza pubblica”.

Ora, dalle suesposte circostanze di fatto, per come emergono anche dai verbali di accertamento del Commissariato di polizia che ha elevato le due contestazioni, non si ricava una condotta del ricorrente che abbia comportato o agevolato situazioni di "allarme" o di "pericolo" per la sicurezza pubblica in quanto, dagli atti descritti, non emerge che l’interessato abbia dato causa, incitato o innescato episodi di violenza in ragione del fatto di essersi arrampicato sulla balaustra dello stadio; ed invero, il fatto in sé, se non accompagnato da altre circostanze che avrebbero potuto provocare rischi per la sicurezza pubblica, rimane neutro dal punto di vista della potenzialità della lesione in quanto non si può escludere in radice che l’interessato si sia limitato ad inneggiare in favore della propria squadra, senza con ciò trascendere in episodi tali da mettere a rischio la pubblica incolumità.

In assenza di tali ulteriori circostanze, la condotta di arrampicarsi sulla balaustra dello stadio, seppure non sia revocabile in dubbio che costituisca una condotta non giustificabile e pericolosa (in particolare, per colui che la pratica) e che, per ciò solo, deve essere stigmatizzata attraverso l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 1-septies del decreto legge n. 28 del 2003 (come avvenuto nel caso di specie) e anche attraverso altre misure altrettanto efficaci, a garanzia della incolumità del soggetto interessato (come ad esempio, il rapido intervento delle forze di sicurezza presenti nello stadio), non è sufficiente da sola a giustificare l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 6, comma 1, della legge n. 401 del 1989 che, come detto, impone una ulteriore valutazione di pericolosità, anche solo potenziale, per la pubblica sicurezza che, nel caso di specie, non si ricava dalla motivazione del provvedimento impugnato.

3. In conclusione, previo assorbimento delle ulteriori censure proposte dall’istante (peraltro, il quinto ed il sesto motivo sono stati proposti in via subordinata), il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

4. Le spese di giudizio possono essere, invece, compensate tra le parti, in ragione della peculiarità e della novità della vicenda.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 15 gennaio e 12 febbraio 2019, con l'intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore

Francesca Romano, Primo Referendario

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