T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 3589/2020

Pubblicato il 20/03/2020

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Lorenzo Contucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Questura Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento del Questore della Provincia di Roma datato 25.03.2019, n. 104/2019, notificato 01.04.2019

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il dott. Raffaello Scarpato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Questore della Provincia di Roma n. 104/2019 del 25.03.2019, notificato in data 01.04.2019, con cui è stato disposto il divieto di accedere, per due anni, all’interno degli stadi e di tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale ove si disputano incontri di calcio a qualsiasi livello, ivi compresi gli incontri disputati all'estero dalle squadre italiane e dalla Nazionale italiana di calcio (cd. D.A.SPO). Il divieto è stato altresì esteso, da un punto di vista temporale, da quattro ore prima e sino a due ore dopo la conclusione delle manifestazioni sportive e, da un punto di vista spaziale, a tutte le aree di rispetto dei menzionati luoghi.

Parte ricorrente ha dedotto che il provvedimento è stato emanato a seguito della sua partecipazione alla manifestazione in forma statica del partito politico -OMISSIS-, alla quale l’esponente aveva aderito in via autonoma, non sapendo che in relazione alla stessa non era stato dato preavviso all'autorità di pubblica sicurezza. In occasione della detta manifestazione il ricorrente è stato identificato e denunciato per i reati di travisamento e di porto di oggetti atti ad offendere.

Tanto premesso, il ricorrente ha evidenziato che, nonostante i comportamenti posti a fondamento della misura ablatoria personale riguardassero una manifestazione di carattere eminentemente politico, l’Amministrazione aveva emanato un provvedimento che concerneva il divieto di partecipare a manifestazioni di carattere sportivo, che nessuna attinenza potevano avere con l’ambito politico.

Tanto premesso, il provvedimento impugnato è stato censurato per i seguenti motivi:

Violazione dell’art. 6, legge n. 401/1989; Violazione degli artt. 3, 13, 16, 23, 24 e 27, Cost.; Violazione dell’art. 6, del T.U.E.; Violazione degli artt. 21 e 67 del T.F.U.E.; Violazione degli artt. 12. 47. 48 e 49, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea; Violazione degli artt. 6 e 7 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo; Violazione dell’art. 27 della Direttiva 2004/58/CE; Violazione dell’ art. 3 della legge n. 241/1990; Violazione del principio di proporzionalità; Difetto di istruttoria e di motivazione; Ingiustizia grave e manifesta; Irragionevolezza e difetto di prevedibilità nell’applicazione della misura.

In particolare, secondo le deduzioni di parte ricorrente, l'art. 6 della legge n. 401/1989 circoscriverebbe le possibilità di comminare il D.A.SPO. soltanto in relazione ed in occasione di eventi verificatisi durante manifestazioni sportive, mentre l’amministrazione, nel caso di specie, aveva proceduto ad un'interpretazione abnorme della norma, tale da comportare la creazione, in via interpretativa, del c.d. “D.A.SPO. di piazza", non previsto dal legislatore, con violazione dei principi e delle norme, interne e comunitarie, poste a presidio delle libertà fondamentali rispetto all’incisione del potere amministrativo. Il ricorrente ha inoltre dedotto il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, in relazione al profilo della pericolosità sociale del destinatario della misura ed il difetto di istruttoria procedimentale, in quanto non era stato effettuato un giudizio in concreto sulla pericolosità sociale del prevenuto.

E’ stata inoltre dedotta l’irragionevolezza manifesta del provvedimento che, sebbene adottato a fronte di condotte “politiche”, avrebbe precluso al ricorrente la possibilità di partecipare a manifestazioni sportive, ma non a manifestazioni del tipo di quella in occasione della quale erano state poste in essere le condotte sottese all’emanazione della misura di prevenzione. Tale estensione analogica dell’istituto del D.A.SPO. a settori non prefigurati dal legislatore doveva ritenersi non ammissibile nell’ambito delle misure preventive che, prescindendo da accertamenti penalistici, devono essere applicate secondo uno stretto parametro di tassatività. Inoltre, l’applicazione del D.A.SPO al di fuori di una “cornice sportiva”, avrebbe determinato un inaccettabile difetto di prevedibilità della misura sanzionatoria, con violazione della giurisprudenza della Corte EDU in materia di misure di prevenzione, violazione degli articoli della Convenzione europea indicati in premessa e delle norme della Costituzione in tema di eguaglianza, ragionevolezza, presunzione di non colpevolezza e libertà personale.

L’Amministrazione si è costituita ed ha prodotto due relazioni dettagliate, dalle quali è emerso che il ricorrente è stato effettivamente deferito all’A.G. per i reati di travisamento e porto d’oggetti atti ad offendere, in quanto riconosciuto ed identificato in base ai filmati relativi alla manifestazione di piazza del 27.10.2018. Inoltre, l’Amministrazione ha ulteriormente precisato, quanto al requisito della pericolosità sociale in capo al ricorrente ed alla riferibilità della detta pericolosità anche all’ambito sportivo, che in violazione del D.A.SPO. per cui è causa il ricorrente aveva preso parte a due incontri calcistici all’estero ed era stato pertanto deferito all’A.G., con ulteriore aggravamento, in via amministrativa, della misura in questa sede impugnata.

Il ricorso è infondato e va respinto per i seguenti motivi.

Il provvedimento impugnato si basa sulla pericolosità sociale denotata dal ricorrente in occasione degli eventi di piazza del 27.10.2018, che è risultata confermata all’esito dell’istruttoria svolta in corso di causa e della documentazione prodotta dall’Amministrazione.

Invero, la Questura ha puntualmente circostanziato i comportamenti posti in essere dal ricorrente nel corso della detta manifestazione, citando, a supporto delle proprie deduzioni, specifici fotogrammi dai quali è emerso che lo stesso ha preso parte attiva al corteo non autorizzato, brandendo un tubo ed indossando oggetti atti ad ostacolare il proprio riconoscimento.

Tali comportamenti, per i quali il ricorrente risulta denunciato all’A.G., sono chiaro indice di un temperamento violento e pericoloso per l’ordine pubblico.

Alla luce di tali premesse, vengono meno le censure di difetto di istruttoria, di ingiustizia grave e manifesta, di mancanza di proporzionalità o irragionevolezza dedotte dal ricorrente, risultando il provvedimento impugnato ben motivato e risultando i fatti posti a fondamento dello stesso un indice di chiara pericolosità sociale.

Sul punto, è appena il caso di richiamare le recentissime statuizioni della giurisprudenza amministrativa d’appello (Consiglio di Stato, sentenza nr. 866/2019), che ha ribadito come sia sufficiente, ai fini dell’emanazione del D.A.SPO, una dimostrazione fondata su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico, improntato su di un’elevata attendibilità, sicuramente desumibile nel caso di specie sulla base della documentazione prodotta dall’Amministrazione.

Parimenti infondate sono poi le censure incentrate sulla violazione della normativa costituzionale, sovranazionale ed unionale, sotto il profilo della ingiustizia manifesta, del difetto di proporzionalità, di eguaglianza e di ragionevolezza, ovvero ancora del diritto di difesa del destinatario del provvedimento amministrativo.

E’ sul punto necessario premettere, quanto alla natura giuridica del provvedimento impugnato, che l’assimilazione operata dal ricorrente del D.A.SPO. al genus delle misure di prevenzione non determina, in maniera automatica, l’estensione di alcune considerazioni, effettuate nel tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza in relazione a tale ultima categoria, anche al D.A.SPO.

Innanzitutto, va premesso che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che il c.d. D.A.SPO integra una misura non repressiva, bensì di prevenzione e precauzione di polizia; appartiene, cioè, al genus di misure che possono essere definite come strumenti ante o comunque praeter delictum, aventi la finalità di evitare che il singolo, che ne è colpito, compia fatti di reato, illeciti o comunque tenga comportamenti lesivi di dati interessi, mediante la rimozione o il contenimento delle cause che si pongono alla base della commissione di tali condotte. Pertanto, il provvedimento di divieto di accesso alle manifestazioni sportive, diversamente dalle misure di prevenzione che sono collegate alla complessiva personalità del destinatario, appare avere natura interdittiva atipica, che si correla ad una valutazione di inaffidabilità del soggetto che spetta all'Autorità amministrativa, la quale è chiamata a un apprezzamento discrezionale nel bilanciamento tra il prevalente interesse pubblico alla tutela dell'ordine e della sicurezza dei cittadini e l'interesse privato ad accedere liberamente negli stadi (cfr. sul punto, T.A.R. Campobasso, sez. I, 11/03/2016, n.114; Cass. pen., sez. un., 12 novembre 2004, n. 44273; Id., sez. I, 2 luglio 2004, n. 29114; Cons. St., sez. I, 25 marzo 2015, n. 931; Id., sez. III, 23 dicembre 2011, n. 6808; Id., sez. VI, 2 maggio 2011, n. 2572; Tar Sicilia, Catania Sez. IV, 13 luglio 2015, n. 1938; Tar Toscana, sez. II, 6 giugno 2013, n. 955. Cons. St., Sez. III, 23 dicembre 2011, n. 6808; sez. VI, 2 maggio 2011, n. 2572).

Alla luce di tale premessa, destituite di fondamento sono le censure fondate sul parallelismo tra il D.A.SPO e le misure sanzionatorie o di prevenzione tout-court, in relazione agli arresti della giurisprudenza della Corte E.D.U. in tema di misure sanzionatorio-preventive e privo di pregio è il dedotto e conseguente vizio di difetto di motivazione, in relazione alla pericolosità sociale del destinatario. Ed infatti, come già chiarito in precedenza, non è necessario che la Questura motivi l’emissione del provvedimento sulla base di una comprovata pericolosità sociale, in ragione della natura atipica del D.A.SPO., non completamente assimilabile alle altre misure di prevenzione e non soggetta alla relativa disciplina, peraltro non omogenea nell’ordinamento. Peraltro, com’è stato già evidenziato, nel caso di specie la pericolosità sociale del prevenuto emerge chiaramente dagli episodi contestati ed è stata suffragata da puntuali riscontri documentali depositati dall’Amministrazione in corso di giudizio.

Venendo alle ulteriori censure inerenti alla violazione di legge e, in particolare, della Legge nr. 401/1989, le stesse sono prive di pregio e vanno respinte per i seguenti motivi.

E’ noto che l’ art. 6 comma 1 lettera “c” della Legge nr. 401/1989 ha subito, nel corso del tempo, una serie di modifiche e rimaneggiamenti, fino ad arrivare all’attuale formulazione della norma, ridisegnata dal D.L. 14 giugno 2019, n. 53, entrato in vigore il 15/06/2019 e convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 2019, n. 77.

Al momento della commissione dei fatti ed all’atto dell’emanazione del provvedimento impugnato, vigeva la versione della norma modificata dal D.L. 22 agosto 2014, n. 119 convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2014, n. 146 e dal successivo D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132.

La disposizione prevedeva che il D.A.SPO potesse essere comminato a danno di coloro che risultavano denunciati per alcuno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, ovvero di cui all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, come accaduto nel caso di specie.

Ed invero, all’epoca in cui il ricorrente ha posto in essere le condotte contestate e quando è stato emanato il provvedimento gravato, il divieto di frequentare i luoghi delle competizioni sportive risultava applicabile alle persone denunciate o condannate “per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ed all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all'articolo 6-ter, della presente legge, nonche' per il reato di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, e per uno dei delitti contro l'ordine pubblico e dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro II, titolo V e titolo VI, capo I, del codice penale, nonche' per i delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettere f) ed h) del codice di procedura penale, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di competizioni agonistiche, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore puo' disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono competizioni agonistiche specificamente indicate, nonche' a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime”.

Ebbene, ritiene il Tribunale che dalla formulazione della norma, come riportata, risultava legittima l’imposizione del divieto anche con riferimento ai fatti di reato espressamente indicati dalla disposizione e posti in essere al di fuori di manifestazioni sportive.

Depone in tal senso il chiaro dettato normativo, risultando evidente dalla lettura della disposizione che il divieto di frequentare le competizioni sportive potesse essere comminato a fronte della commissione di uno dei reati espressamente previsti, “ovvero” per aver preso parte ad episodi di violenza in occasione o a causa di competizioni agonistiche.

L‘utilizzo della congiunzione disgiuntiva assume il chiaro significato di tenere distinte, da un lato, le figure criminose espressamente previste - in relazione alle quali non viene volutamente specificata la necessaria correlazione con le manifestazioni sportive - e, dall’altro, le manifestazioni di violenza non necessariamente costituenti reato, in relazione alle quali, invece, è richiesta la necessaria correlazione con le manifestazioni sportive.

Questa interpretazione del dettato normativo è conforme al significato proprio delle parole utilizzate dal Legislatore, attenta alla connessione tra di esse e inoltre rispettosa dell’intentio legis, in quanto appare ragionevole che il Legislatore abbia ritenuto le condotte integranti i reati indicati dalla norma espressive di un pericolo per l’ordine e per la sicurezza pubblica tout-court: pertanto, le dette condotte sono state ritenute ostative rispetto alla partecipazione alle manifestazioni sportive, che costituiscono una delle più evidenti occasioni in cui i beni interessi protetti dalla norma (ordine pubblico e sicurezza pubblica) vengono messi in crisi.

Devono pertanto ritenersi integrati tutti i parametri interpretativi previsti dall’art. 12 delle Disposizioni sulla Legge in Generale.

Le medesime argomentazioni valgono peraltro a fugare ogni sospetto di costituzionalità della norma, non potendosi rinvenire nella summenzionata interpretazione alcuna violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, imparzialità o buona amministrazione, come erroneamente ritenuto dal ricorrente.

Non è superfluo rilevare, infine, come con l’ultima riforma della legge nr. 401/1989, operata con il D.L. 14 giugno 2019, il legislatore abbia aggiunto all’art. 6 l’inciso “anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, locuzione chiaramente indicativa della volontà legislativa di rendere più chiaro lo sganciamento della misura interdittiva dalle manifestazioni sportive, confermandone la dipendenza dalla sola commissione di fatti di reato ritenuti espressivi di un particolare allarme sociale o di una spiccata attitudine a turbare l’ordine e la sicurezza pubblica.

In tal senso depone del resto lo stesso art. 1 del D.L. 14 giugno 2019, da cui emerge chiaramente la voluntas legis tesa a rafforzare le norme a garanzia del regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e, allo spesso tempo, a corroborare gli strumenti di contrasto dei fenomeni di violenza in occasione delle manifestazioni sportive, “nel piu' ampio quadro delle attivita' di prevenzione dei rischi per l'ordine e l'incolumità pubblica” (cfr. art. 1 D.L. nr. 53/2019).

Emerge, in sintesi, dall’evoluzione legislativa, una chiara volontà del legislatore diretta ad ampliare la platea dei potenziali destinatari del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, non più limitata a coloro che danno luogo a manifestazioni di violenza in occasione di eventi sportivi, ma estesa a coloro che si rendono responsabili di atti di violenza in generale, idonei a porre in pericolo la sicurezza pubblica.

Devono dunque rigettarsi i motivi di ricorso inerenti all’asserita violazione dell’art. 6 della Legge nr. 401/1989, in quanto il dettato normativo consentiva all’epoca dei fatti (e consente tutt’ora) al Questore di emanare la misura del divieto di frequentare i luoghi delle composizioni sportive ai soggetti denunciati per i reati espressamente previsti dalla norma (tra i quali figurano anche quelli per cui è stato denunciato il ricorrente), senza che gli stessi presentino alcun collegamento diretto con una manifestazione sportiva.

Inoltre, è privo di pregio, nel caso di specie, anche il motivo inerente l’asserito difetto di prevedibilità della misura. Ed infatti, la giurisprudenza precedente alla più volte citata novella normativa operata in tema di D.A.SPO dal D.L. 14 giugno 2019 aveva già preso ad interpretare l’art. 6, comma 1, lettera “c” della Legge 401/1989 nel senso fatto proprio dal provvedimento impugnato.

Deve sul punto farsi riferimento ad un filone giurisprudenziale consolidatosi nel ritenere che con la novella del 2001 si è inteso estendere la portata della disposizione medesima, ampliandone l'efficacia a tutte le persone potenzialmente pericolose per l'ordinario e pacifico svolgimento delle manifestazioni sportive. Quindi non più soltanto a coloro che tale pericolosità hanno manifestato direttamente in occasione delle stesse, ma anche a coloro i quali tale pericolosità hanno evidenziato aliunde, per essere stati denunciati/condannati per determinati reati specificamente indicati ed appunto scelti quali indici precisi della pericolosità stessa (cfr. Cass, Sez. 3 n. 27284 del 2010; Cassazione penale sez. III, 28/06/2016, n.41501).

Pertanto, pur rinvenendosi in giurisprudenza opinioni difformi, il ricorrente non può invocare alcuna violazione del principio di prevedibilità della misura, sia perché l’interpretazione della norma adottata dall’Amministrazione rientra tra quelle desumibili dal significato delle parole utilizzate, sia perché la stessa rientrava tra le possibili interpretazioni adoperate dalla giurisprudenza ben prima dell’emanazione del provvedimento impugnato.

Per tali ragioni il ricorso va integralmente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Interno delle spese, dei diritti e degli onorari di lite, che si liquidano in complessivi € 1.500,00, oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Raffaello Scarpato, Referendario, Estensore

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