T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 4085/2019

Pubblicato il 27/03/2019

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Virgilio Di Meo e Antonio Gulluni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Virgilio Di Meo in Roma, via Lero 14;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Roma non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell’efficacia

del provvedimento n. 233/2017 del Questore di Roma emesso in data 31 ottobre 2017, notificato ai ricorrenti in data 4 novembre 2017, con il quale, alla luce del combinato disposto dell'art. 2, comma 3, legge 205/1993 con l'art. 6 della legge 401/1989, è stato vietato al sig. -OMISSIS-, a far data dalla notifica del predetto provvedimento, «di accedere all'interno degli stadi e di tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale ove si disputino incontri di calcio a qualsiasi livello agonistico od amichevole, calendarizzati e pubblicizzati. Tale divieto viene esteso anche agli incontri di calcio disputati all'estero dalle squadre italiane e dalla Nazionale Italiana di Calcio»,

e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2018 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso notificato il 20 dicembre 2017 e depositato il giorno successivo, i sig.ri -OMISSIS-, in qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore -OMISSIS-, medio tempore divenuto maggiorenne e costituitosi, perciò, in data 8 ottobre 2018, autonomamente in giudizio, hanno adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento n. 233/2017 emesso dal Questore di Roma in data 31 ottobre 2017 e notificato in data 4 novembre 2017, con il quale è stato disposto, nei confronti del sig. -OMISSIS-, il divieto di accesso agli stadi e agli impianti sportivi ai sensi dell’art. 2, comma 3, l. n. 205/1993 in combinato disposto con l’art. 6, l. n. 401/1989.

2. Il provvedimento è stato emesso sulla base dei seguenti rilievi:

- il sig. -OMISSIS- è stato denunciato, in concorso, per i reati di cui agli artt. 582 e 583 c.p., nonché dell’art. 3, comma 1, l. n. 205/93, perché in data 29 ottobre 2017 “alle ore 02.35, personale di Polizia interveniva, su disposizione della locale Sala Operativa, in Piazza Benedetto Cairoli per una segnalazione di aggressione. Sul posto gli operanti verificavano la presenza di un cittadino straniero che si trovava in terra, privo dei sensi, in posizione supina, con il volto insanguinato. Dai riscontri investigativi effettuati nell’immediatezza dei fatti e dalle testimonianze acquisite emergeva che, poco prima dell’intervento della Polizia, un gruppo di circa dieci giovani di nazionalità italiana, dei quali i testimoni confermavano con dovizia di particolari le descrizioni somatiche e dell’abbigliamento, senza alcuna motivazione, dopo aver insultato due cittadini stranieri che stavano transitando in quel momento sulla strada, proferendo al loro indirizzo le seguenti frasi di stampo discriminatorio “Negri di merda, immigrati del cazzo, Ebrei”, li aveva contestualmente aggrediti con calci e pugniUno dei due stranieri, nonostante fosse stato violentemente percosso al viso con calci e pugni riusciva a divincolarsi ed i-OMISSIS-, con una prognosi di 30 giorni salvo complicazioni”;

- nell’immediatezza dei fatti il sig. -OMISSIS- è stato compiutamente identificato dal personale di Polizia come appartenente al suddetto gruppo di persone;

- l’art. 2, comma 3, l. n. 205/1993 prevede, nell’ipotesi di reato aggravato per la circostanza di cui all’art. 3, l’applicazione della disposizione di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e il divieto di accesso conserva efficacia per un periodo di cinque anni.

3. Avverso il gravato provvedimento sono dedotti i seguenti motivi di ricorso:

I. Violazione degli artt. 7 ed 8 l. 241/1990. Presupposti e condizioni ai fini dell’avvio del procedimento amministrativo. Illegittimità del provvedimento.

II. Violazione dell’art. 6 l. 401/1989. Presupposti e condizioni idonei all’adozione del provvedimento di divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive. Eccesso di potere.

4. La resistente amministrazione non si è costituita in giudizio.

5. All’esito della camera di consiglio del 30 gennaio 2018 la causa è stata rinviata al merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a.

6. Alla pubblica udienza del 9 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

Richiamando il precedente di questa Sezione, già pronunciatasi sulla legittimità del provvedimento di Daspo applicato sulla base del combinato disposto dell’art. 2, comma 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122 “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” e dell’art. 6, l. n. 401/1989 (Tar Lazio, Iter, 24 dicembre 2018, n. 12516), deve osservarsi quanto segue.

Il divieto di accesso alle manifestazioni sportive è stato introdotto, al fine di prevenire gli episodi violenti nel contesto delle manifestazioni sportive, dalla legge 13 dicembre 1989, n. 401 ("Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive").

Secondo l'art. 6, comma 1, della citata legge n. 401, come modificato dal d.l. 22 agosto 2014, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146 ("Disposizioni urgenti in materia di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive, di riconoscimento della protezione internazionale, nonché per assicurare la funzionalità del Ministero dell'interno"), il DASPO può essere disposto "nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, e all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all'articolo 6-ter, della presente legge, nonché per il reato di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, e per uno dei delitti contro l'ordine pubblico e dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro II, titolo V e titolo VI, capo I, del codice penale, nonché per i delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettere f) ed h) del codice di procedura penale ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza".

Nel caso di specie, il divieto è stato applicato con riferimento al disposto dell’art. 2, comma 3, del d.l. n. 122/93, convertito in legge n. 205/93, secondo cui:

Nel caso di persone denunciate o condannate per uno dei reati previsti dall'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, o per un reato aggravato ai sensi dell'articolo 3 del presente decreto, nonché di persone sottoposte a misure di prevenzione perché ritenute dedite alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica, ovvero per i motivi di cui all'articolo 18, primo comma, n. 2-bis), della legge 22 maggio 1975, n. 152 si applica la disposizione di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e il divieto di accesso conserva efficacia per un periodo di cinque anni, salvo che venga emesso provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento o provvedimento di revoca della misura di prevenzione, ovvero se è concessa la riabilitazione ai sensi dell'articolo 178 del codice penale o dell'articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327”.

A sua volta l’art. 3 del medesimo d.l., richiamato dall’art. 2, comma 3, su citato, e il cui contenuto è oggi riportato nell’art. 604 ter del c.p., ha introdotto una circostanza aggravante, disponendo che:

Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà”.

Nel caso in esame, dunque, il ricorrente è stato denunciato, in concorso, per i reati di cui agli artt. 582 e 583 c.p., nonché dell’art. 3, comma 1, l. n. 205/93, perché in data 29 ottobre 2017, alle ore 2.35, avrebbe preso parte, con un gruppo di circa dieci giovani di nazionalità italiana, all’aggressione a due cittadini stranieri, senza alcuna motivazione; il gruppo, dopo aver insultato due cittadini stranieri che stavano transitando in quel momento sulla strada, proferendo al loro indirizzo le seguenti frasi di stampo discriminatorio “Negri di merda, immigrati del cazzo, ebrei”, li aveva contestualmente aggrediti con calci e pugni, procurandogli gravi lesioni.

Nell’immediatezza dei fatti il ricorrente è stato identificato dal personale di Polizia come appartenente al suddetto gruppo di persone sulla base della descrizione fornita da alcuni testimoni dell’accaduto.

Il provvedimento è stato quindi adottato con riferimento a tali circostanze, facendo espresso richiamo alla disposizione introdotta dall’art. 2 della l. 205/93, sopra riportato.

2. Con riguardo alla omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, dedotta con il primo motivo di ricorso, deve osservarsi che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, i provvedimenti quale quello in esame, essendo protesi alla più efficace tutela dell'ordine pubblico e ad evitare la reiterazione dei comportamenti vietati, possono anche prescindere dal previo coinvolgimento procedimentale del destinatario della misura di prevenzione. Secondo questo orientamento, "stante il carattere cautelare ed urgente della misura di cui all'art. 6 della legge n. 401 del 1989, volta a tutelare nel modo più efficace l'ordine pubblico e ad evitare la reiterazione di comportamenti vietati, quanto all'omessa comunicazione di avvio del procedimento, va esclusa la sussistenza dell'onere partecipativo di cui all'art. 7 della legge n. 241 del 1990" (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 3.10.2018, n.591; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 9.2.2018, n. 324; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 23.3.2016, n. 343).

3. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta l’applicazione del provvedimento di Daspo al di fuori delle ipotesi di comportamenti violenti o pericolosi per la sicurezza pubblica posti in essere “in occasione” o “a causa” di una manifestazione sportiva.

La censura è priva di pregio.

Il divieto di accesso alle manifestazioni sportive per cui è causa è stato adottato sulla base dell’espressa previsione di cui all’art. 2, comma 3, l. n. 205/93, che estende l’applicazione dell’art. 6, l. n. 401/89, ovvero del DASPO, proprio alle ipotesi di reati di particolare allarme sociale in quanto caratterizzati dalla manifestazione di odio razziale.

Tale previsione risponde proprio alla ratio di evitare che soggetti coinvolti in indagini per reati in tal modo caratterizzati, e pertanto suscettibili di sfociare in episodi di violenza immotivati e occasionati solo da un intento discriminatorio, possano accedere alle manifestazioni sportive, luogo in cui condotte analoghe potrebbero comportare una condizione di particolare rischio per l’ordine e l’incolumità pubblica, come testimoniato dal fatto che in più occasioni si sono verificate aggressioni o minacce correlate ad insulti di tipo razzista negli stadi.

Sotto tale profilo la previsione specifica dell’applicazione del DASPO non risulta irragionevole ma, anzi, si giustifica proprio con riferimento alle considerazioni che precedono.

Nel caso di specie, inoltre, non può non evidenziarsi la particolare aggressività e violenza delle condotte ascritte al ricorrente, e la gravità delle lesioni arrecate alle vittime, il tutto senza alcuna apparente motivazione se non quella della differente provenienza geografica delle stesse, di tal che, anche sotto questo profilo, la misura applicata deve ritenersi del tutto conforme al dato normativo ed alle circostanze del caso concreto.

4. In conclusione, per tutto quanto esposto, il ricorso deve essere respinto.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente, -OMISSIS-.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 9 ottobre 2018, 18 dicembre 2018, con l'intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Francesca Petrucciani, Consigliere

Francesca Romano, Primo Referendario, Estensore

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