T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 4563/2018

Pubblicato il 24/04/2018

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Eugenio Pini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana, n.82;

contro

Ministero dell'interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

Questore di Roma;

per l'annullamento

del provvedimento del Questore di Roma p.t. n. 72602.1.2.8.9/17 Cat. B.1.a. del 6 giugno 2008 che ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare pecuniaria di 5/30, nonché per il risarcimento del danno.

Visto il ricorso;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 marzo 2018 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, agente scelto della Polizia di Stato, ha interposto azione impugnatoria avverso il provvedimento del Questore di Roma p.t. meglio indicato in epigrafe, che gli ha inflitto la sanzione disciplinare pecuniaria nella misura pari a 5/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo.

La condotta stigmatizzata, ai sensi dell’art. 4, n. 11 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, è la seguente: “impiegato in servizio di ordine pubblico, disattendeva precisa disposizione impartitagli da un superiore gerarchico”.

Più dettagliatamente, il ricorrente, comandato in servizio di ordine pubblico presso il posto di polizia dello stadio Olimpico in Roma, ingresso curva sud, il 6 maggio 2007, in occasione di un incontro di calcio (OMISSIS-OMISSIS), rinveniva un tifoso con indosso una sciarpa riportante la scritta “credere obbedire conbattere” e “all’armi siam fascisti”, e provvedeva su disposizione del responsabile vice dirigente del Commissariato Prati ad accompagnare il medesimo presso il posto di polizia, ove, ritenendo configurabile il reato penale di cui all’art. 2, commi 1 e 2, della l. 25 giugno 1993, n. 205 (di conversione in legge del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) manifestava l’intendimento di denunciare il fatto alla competente Procura della Repubblica.

Il responsabile del posto di polizia presso lo stadio, sottufficiale di p.s. sostituto commissario, disponeva invece di doversi procedere esclusivamente in via amministrativa.

La predetta disparità di vedute determinava il rinvio della valutazione del caso al termine del servizio di ordine pubblico, allorquando il ricorrente insisteva sul proprio intendimento di procedere a denunzia penale e, ritenendo illegittimo il contrario ordine impartitogli dal predetto sottufficiale, ne chiedeva il rinnovo per iscritto.

In difetto di tale adempimento, ritenendo suo dovere, ex art. 55 c.p.p., documentare l’accaduto in un formale atto di polizia giudiziaria e assicurare le prove del reato all’A.G., il ricorrente procedeva con la contestazione penale nei confronti del predetto tifoso redigendo gli atti di rito.

L’Amministrazione contestava l’accaduto al ricorrente con atto del 3 dicembre 2007, avviando l’azione disciplinare conclusasi con il provvedimento gravato, avverso il quale l’interessato ha formulato le seguenti censure.

1) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 55 c.p.p. e 66 l. 1° aprile 1981, n. 121, per violazione dei principi sulle funzioni di polizia giudiziaria e sulle modalità di applicazione dell’ordine gerarchico e dei rapporti funzionali – Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di motivazione, violazione di legge e manifesta ingiustizia.

Il rinvenimento di cui sopra avrebbe imposto al ricorrente precisi obblighi ai sensi dell’art. 55 c.p.p., la cui mancata esecuzione è sanzionata penalmente ai sensi dell’art. 328 c.p., che non avrebbero potuto essere disattesi da un ordine del superiore gerarchico immotivato e non comminato per iscritto, secondo quanto previsto dall’art. 66 della l. 121/1981.

2) Violazione dell’art. 110 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per eccessiva durata del procedimento disciplinare.

La durata di oltre tredici mesi del procedimento de quo sarebbe eccessiva anche in difetto di un termine perentorio.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico dell’atto gravato il ricorrente ne ha domandato l’annullamento, avanzando anche domanda di integrale risarcimento del danno.

Costituitosi in resistenza, il Ministero ha depositato gli atti del procedimento disciplinare.

Con ordinanza 4 dicembre 2008, n. 5719, la Sezione ha respinto la domanda cautelare formulata in ricorso.

La controversia è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 marzo 2018.

2. Il ricorso è fondato.

3. L’Amministrazione, in relazione al fatto indicato in narrativa, compendiato nella formula “impiegato in servizio di ordine pubblico, disattendeva precisa disposizione impartitagli da un superiore gerarchico”, ha ritenuto sussistente nella fattispecie, la mancanza disciplinare di cui all’art. 4, n. 11, del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, consistente nel ritardo o nella negligenza nell'esecuzione di un ordine.

Tale fattispecie disciplinare presuppone un ordine legittimo attinente al servizio e non esorbitante dai compiti di istituto, emanato dal diretto superiore e mal eseguito dal subordinato, in coerenza con il modulo organizzativo della subordinazione gerarchica vigente nell'ordinamento della Polizia di Stato, ai sensi dell’art. 66, commi 1 e 2, della legge 1 aprile 1981, n. 121, secondo cui, rispettivamente, “L'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza è tenuto ad eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico od operativo”, e “Gli ordini devono essere attinenti al servizio o alla disciplina, non eccedenti i compiti di istituto e non lesivi della dignità personale di coloro cui sono diretti”, come dettagliato dall’art. 4 del D.P.R. 28 ottobre 1985 n. 782, recante il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

Invero, ogni appartenente ai ruoli dell'Amministrazione è tenuto a eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico od operativo (Tar Campania, Napoli, IV, 20 luglio 2010, n. 16865; Tar Molise, Campobasso, I, 4 agosto 2011, n. 513).

Ciò posto, al fine di prevenire il pericolo di un contrasto tra l’applicazione concreta del predetto modulo normativo e altre disposizioni dell’ordinamento nazionale, lo stesso art. 66 della l. 121/181 prevede che: “L'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, al quale sia rivolto un ordine che egli ritenga palesemente illegittimo, deve farlo rilevare al superiore che lo ha impartito, dichiarandone le ragioni; se l'ordine è rinnovato per iscritto, è tenuto a darvi esecuzione e di essa risponde a tutti gli effetti il superiore che lo ha impartito. Quando l'appartenente ai ruoli della Polizia di Stato si trova in servizio di ordine pubblico ovvero quando esiste uno stato di pericolo e di urgenza, l'ordine ritenuto palesemente illegittimo deve essere eseguito su rinnovata richiesta anche verbale del superiore, che al termine del servizio ha l'obbligo di confermarlo per iscritto” (comma 3); “L'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, al quale viene impartito un ordine la cui esecuzione costituisce manifestamente reato, non lo esegue ed informa immediatamente i superiori” (comma 4); “Il disposto di cui ai commi precedenti si applica, in quanto compatibile, ai rapporti di dipendenza funzionale derivanti dal nuovo ordinamento della pubblica sicurezza” (comma 5).

Si tratta della regolazione dell’esercizio da parte del subordinato del c.d. “diritto di rimostranza” in relazione a un ordine palesemente illegittimo, del quale il medesimo può chiedere la rinnovazione per iscritto, con la conseguenza, espressamente prevista dal citato comma 3 dell’art. 66 in parola, che di esso ne risponde a tutti gli effetti il superiore gerarchico.

Da tanto la giurisprudenza ha dedotto che tale diritto di rimostranza non può essere esercitato nei confronti di ogni ordine supposto come illegittimo, dovendo potersi ulteriormente ipotizzare una responsabilità giuridicamente rilevante del subordinato (Tar Lazio, Roma, II, 8 giugno 1989, n. 917; Tar Abruzzo, Pescara, 24 maggio 2002, n. 518).

4. Applicando tali coordinate normative ed ermeneutiche al caso di specie, si osserva che il ricorrente, come emerge da tutte le relazioni di servizio versate in atti dall’Amministrazione, ivi compresa quella dello stesso ricorrente, del superiore gerarchico e di altri agenti di polizia presenti all’accaduto, nonché dalle difese procedimentali svolte dall’interessato, ha considerato l’esecuzione dell’ordine orale di cui trattasi, ovvero di procedere in relazione alla condotta del tifoso di cui sopra in via solo amministrativa, contrastante con la possibile rilevanza penale della condotta stessa, ai sensi del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla l. 25 giugno 1993, n. 2015, e ne ha chiesto, pertanto, la conferma per iscritto, ritenendosi tenuto, quale agente di polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 55 c.p.p., “anche di propria iniziativa”, a “prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale”, e, conseguentemente, soggetto alla responsabilità penale di cui all’art. 328 c.p., secondo cui “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

Tale posizione non risultava né arbitraria né contrastante con i doveri del ricorrente.

In particolare, tenuto conto del contesto nel quale si è inserita la condotta del tifoso, e in particolare delle esigenze di ordine pubblico connesse allo svolgimento della partita di calcio di cui sopra, che non ne permettevano un immediato e approfondito apprezzamento dal punto di vista giuridico, il ricorso da parte di quest’ultimo al c.d. diritto di rimostranza non si appalesa sfornito delle relative condizioni legittimanti.

E ciò anche tenendo conto dell’avviso espresso dal superiore gerarchico in ordine all’inadeguatezza della via penale indicata dal ricorrente.

Tale avviso, anche e soprattutto poiché fondato sulla conoscenza della giurisprudenza penale (in applicazione della quale è poi intervenuta la richiesta di archiviazione del PM del procedimento avviatosi sulla denunzia del ricorrente, come da allegato 7 della documentazione depositata dalla parte resistente), non solo non giustificava la mancata reiterazione dell’ordine per iscritto, ma, anzi, a maggior ragione, nel descritto contesto, ne avrebbe imposto l’adozione, al fine di imprimere la dovuta efficacia all’azione di comando.

In difetto, non è dato ravvisare alcuna responsabilità disciplinare del subordinato, il quale non può ritenersi aver violato un ordine che non gli è stato impartito nelle forme necessitate dal peculiare evolversi della vicenda.

5. Alle rassegnate conclusioni consegue l’accoglimento della domanda demolitoria, e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento gravato.

Quanto al risarcimento del danno, pure richiesto, ancorchè molto genericamente, dal ricorrente, esso consegue, in forma specifica, alla eliminazione del provvedimento gravato, e al conseguente obbligo dell’Amministrazione di restituire al dipendente le somme trattenute a titolo di sanzione pecuniaria.

La singolarità della controversia induce il Collegio a disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater),

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie, disponendo, per l’effetto, l’annullamento del gravato provvedimento disciplinare.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Mezzacapo, Presidente

Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

Laura Marzano, Consigliere

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