T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 5929/2020
Pubblicato il 04/06/2020
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Costantini, con domicilio eletto presso il suo studio in L'Aquila, via G. Carducci 30;
contro
Comitato Olimpico Nazionale Italiano, C.O.N.I., rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, 2; A.I.A. -Associazione Italiana Arbitri, rappresentato e difeso dagli avvocati Letizia Mazzarelli e Luigi Medugno, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Panama 58;
per l'annullamento
- della delibera della Commissione Nazionale di Disciplina di Appello A.I.A. n. 031 del 03.05.2017, emessa in data 15.5.2017 prot. 007/RG e notificata al Sig. -OMISSIS- in data 19.05.2017, con la quale, nel decidere nel procedimento disciplinare in corso a carico del Sig. -OMISSIS-, successivamente alla declaratoria da parte del Collegio di Garanzia dello Sport, veniva confermato il provvedimento di ritiro della tessera A.I.A., in danno dell'odierno ricorrente, nonché annullare tutti gli atti presupposti come compiutamente in indicato in narrativa;
e per la condanna
al risarcimento del danno ingiusto subìto a causa di tale provvedimento, ai sensi dell'art. 133 Codice Giustizia Amministrativa, degli Enti convenuti, da quantificarsi equitativamente in €. 200.000,00 o in quella diversa somma ritenuta di giustizia con ogni necessario e conseguenziale provvedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comitato Olimpico Nazionale Italiano, C.O.N.I. e di A.I.A. -Associazione Italiana Arbitri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 21 aprile 2020, celebrata nelle forme di cui all’art. 84 del d.l. n. 18/2020, il dott. Vincenzo Blanda;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, dopo aver rivestito nel 1997 la carica di Presidente della Sezione Arbitri di Chieti, ha riproposto la propria candidatura alla massima carica associativa sezionale nel giugno del 2008 venendo eletto nuovamente Presidente con mandato di durata quadriennale.
Dopo la rielezione a Presidente della sezione A.I.A. della Città di Chieti il ricorrente afferma di aver portato a termine il mandato ricevuto adempiendo a tutti i propri doveri con correttezza e puntualità, sino alla naturale scadenza del medesimo incarico, maturata, per decorso del quadriennio, nel corso dell’anno 2012.
Nel 2012 il ricorrente, cessato dalla carica per naturale scadenza del mandato, sarebbe stato confermato nell’incarico anche per il successivo quadriennio, che sarebbe scaduto nel 2016.
Nel corso del 2013, l’istante ha proposto la propria candidatura per la Camera dei Deputati, per cui in data del 2 dicembre 2013 è stato sospeso dal predetto incarico per avere utilizzato il titolo di Presidente della sezione A.I.A., Associazione Italiana Arbitri di Chieti nel corso della campagna elettorale in alcuni SMS inviati agli elettori.
2. Il ricorrente, quindi, è stato sanzionato disciplinarmente con la sospensione dalla carica per mesi 9 e gli è stato precluso l’esercizio della facoltà di intervento e voto nelle, comma 3, lettera c) Allegato A del regolamento A.I.A.-.
Al ricorrente è stata successivamente contestata, come risulta al capo A dell’atto di deferimento emesso dalla Procura Arbitrale Nazionale, la partecipazione all’assemblea sezionale ordinaria biennale della Sezione Arbitri di Chieti del 13.6.2014, avente ad oggetto l’approvazione della relazione organizzativa e finanziaria e l’elezione di due membri del Collegio dei Revisori.
L’istante espone che in occasione della riunione del 13 Giugno 2014 non si sarebbe verificato quanto descritto nella parte finale del verbale dattiloscritto, che avrebbe leso e compromesso l’immagine, l’onore e la reputazione dello stesso tesserato, e da cui sarebbe derivato l’avversato provvedimento di ritiro della tessera associativa A.I.A.-.
Nella predetta riunione sarebbero stata data una rappresentazione alterata delle vicende accadute, al fine di cagionargli un pregiudizio, quale il ritiro della tessera AIA con conseguente lesione dei diritti del ricorrente.
In particolare, il brogliaccio redatto a seguito della riunione non conterrebbe alcuna indicazione delle espressioni minatorie proferite dal ricorrente ai danni del Sig.-OMISSIS-, né della condotta minacciosa tenuta (battendo un pugno sul tavolo), che costituirebbero elementi che nell’atto di deferimento della Procura Arbitrale Nazionale avrebbero costituito presupposto del ritiro della tessera.
L’istruttoria della Procura Arbitrale Nazionale nei confronti del ricorrente sarebbe stata avviata dalla trasmissione (riportata nella prima da parte della Relazione sull’Attività Istruttoria della Procura Arbitrale) da parte del Vice Presidente Vicario della Sezione di Chieti e del Presidente del C.R.A, del verbale dattiloscritto, redatto dal presidente dell’assemblea -OMISSIS-nei giorni successivi alla celebrazione dell’assemblea ordinaria sezionale del 13 giugno 2014, in difformità al verbale originale manoscritto.
3. All’esito dell’attività istruttoria il Procuratore Arbitrale ha emesso un atto di deferimento nei confronti del ricorrente contestandogli:
• capo A) l’aver partecipato, nonostante lo stato di sospensione dal 05.02.2014 al 04.10.2014, all’assemblea sezionale ordinaria biennale tenutasi presso la sezione di Chieti in data 13 giugno 2014;
• capo B) l’aver richiesto, pur non essendo legittimato in quanto privo del diritto di voto, al presidente dell’assemblea di riportare a verbale le parole esatte degli interventi nel corso dei quali sarebbero state pronunciate parole denigratorie nei suoi confronti, assumendo nella circostanza un comportamento non regolamentare derivante dalla posizione di sospeso a seguito di precedente procedimento disciplinare;
• capo C) l’aver rivolto nella parte finale dell’assemblea all’a.a.-OMISSIS-, sezione di Chieti, ad alta voce e con tono minaccioso, la frase “tu hai parlato male di me ed io ho due/tre testimoni. Ora vedi che ti succede, tanto ottobre arriva presto”;
• capo D) l’aver dato, a seguito del richiamo del presidente dell’assemblea ad un atteggiamento più corretto, un pugno sul tavolo della presidenza, pronunciando la frase “tu devi scrivere quello che dico io non quello che dici tu! Se lo fai ti assumi tu la responsabilità di quello che scrivi e vediamo quello che succede!”;
• capo E) l’aver, nei giorni successivi all’assemblea sezionale biennale, esercitato pressioni, in luoghi non istituzionali, nei confronti degli associati a.e. -OMISSIS-per costringerli a rilasciare dichiarazioni a lui favorevoli.
4. La Commissione di Disciplina Nazionale (anche CDN), accertata la responsabilità dell’incolpato in ordine a tutti gli addebiti contestati, con decisione n. 27 del 23.2.2015 ha inflitto al ricorrente la sanzione del ritiro della tessera (cfr. doc. n. 2 ricorrente).
5. Il ricorrente, dopo aver preso visione del fascicolo del procedimento penale avviato sulla vicenda, ha impugnato la predetta sanzione disciplinare innanzi alla Commissione di Disciplina d’Appello, che ha dichiarato la inammissibilità dell’appello perché privo dei motivi di impugnazione, con decisione n. 44 del 20.5.2015 non impugnata (cfr. doc. n. 3 ricorrente).
6. In data 8.8.2016, quindi, l’interessato ha chiesto la revisione, ai sensi dell'art.13 delle Norme di Disciplina, della decisione della CDN n. 27 del 23.2.2015 dinanzi alla Commissione di Disciplina d’Appello, deducendo la sopravvenienza di elementi probatori che avrebbero comprovato che la decisione del Collegio di prime cure sarebbe stata assunta sulla base di prove false.
6.1. La predetta impugnazione è stata respinta dalla Commissione di Disciplina d’Appello (in diversa composizione) con decisione n. 8 del 14.10.2016, ritenendo che la situazione prospettata non integrasse la eccezionale sopravvenienza di prove nuove (cfr. doc. 4 ricorrente), in particolare il collegio nella circostanza ha osservato che “II ricorso deve essere senz'altro rigettato poiché il ricorrente, da una parte, contesta la decisione della Commissione di Disciplina di primo grado nel merito delle interpretazioni delle norme regolamentari e, dall'altra, indica prove che non possono essere considerate nuovi elementi di prova.
Nella sostanza il ricorrente svolge principalmente quei motivi di appello che avrebbe dovuto esporre nei termini e nei modi previsti dal Regolamento A.I.A. avverso la delibera di primo grado della Commissione Nazionale, la qual cosa ha invece omesso di fare (si veda punto 3 della premessa)”.
6.2. Nell’ultima pagine della decisione la Commissione si è anche premurata di affermare che il giudizio rescissorio non avrebbe, comunque, potuto comportare una integrale revisione della posizione disciplinare dell’istante, osservando che “La Commissione Nazionale di disciplina, decise di adottare il provvedimento di ritiro tessera per una molteplicità di ragioni, alcune delle quali sono del tutto indipendenti dalle dichiarazioni testimoniali che oggi il ricorrente vorrebbe far assumere.
Riassumendo, il ricorso deve essere respinto in quanto:
con esso vengono svolti motivi di appello, ormai tardivamente;
non è fondato su prove che possano essere ritenute nuove e/o sopravvenute; in ogni caso, le prove indicate non sono riferite a tutti i fatti oggetto di contestazione e ritenuti provati dalla Commissione di disciplina Nazionale per giungere all'adozione del provvedimento di ritiro tessera”.
7. Tale sfavorevole giudizio di revisione è stato impugnato dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, il quale, con decisione n. 21 del 27.3.2017, in primo luogo, ha dichiarato inammissibili “le doglianze volte a sindacare l’operato della Procura Arbitrale e la proporzionalità della misura sanzionatoria inflitta dai giudici di merito avrebbero dovuto essere proposte attraverso specifici motivi di appello avverso la delibera di primo grado della Commissione Nazionale, nei termini e nei modi previsti dal Regolamento A.I.A., e non possono quindi trovare ingresso nel presente giudizio, che ha un oggetto più circoscritto e, in particolare, limitato esclusivamente al sindacato di legittimità sulla pronuncia che ha definito il giudizio di revisione” (cfr. pag. 5 della decisione 21/2017 doc. 25 ricorrente).
7.1. Il medesimo Collegio ha poi ritenuto che la “dichiarazione scritta di un associato, che confuta i fatti posti a fondamento della decisione impugnata”, costituisse una prova sopravvenuta “...idonea ad essere presa in considerazione nell’ambito di un giudizio di revisione” al fine di “decidere se e in quale misura la decisione impugnata vada riformata, ossia se, sulla base della rinnovata ricostruzione di quanto accaduto, la sanzione irrogata vada confermata, revocata ovvero modificata, nel rispetto del criterio di necessaria proporzionalità tra l’entità della sanzione e i fatti dai quali essa trae origine”.
7.2. Pertanto ha accolto l’appello con rinvio, cassando il provvedimento della Commissione Nazionale di Disciplina d'appello A.I.A. del 14.10.2016 e rinviando ad altra sezione dello stesso Giudice per la emanazione di un nuovo provvedimento, che tenesse conto delle nuove prove reperite dal ricorrente.
8. La Commissione di Disciplina d’Appello A.I.A., nella avversata delibera n. 031 del 03.05.2017, quale Giudice di rinvio in sede giudizio di revisione, in via preliminare ha precisato che il capo di incolpazione sub a), sul quale si era già formato il giudicato è, comunque, irrilevante ai fini della rideterminazione della sanzione.
8.1. Prosegue il giudice di appello osservando che “tanto il ricorso per revisione che il successivo ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport proposti da -OMISSIS- non attingano in alcun modo il capo e) dell’incolpazione, ossia ‘nei giorni successivi all’Assemblea sezionale biennale, aver esercitato pressioni nei confronti degli associati a.e. -OMISSIS-per costringerli a rilasciare dichiarazioni a te favorevoli’” e che tale incolpazione, su cui si è formato il giudicato, “si prospetta indubbiamente come la più grave tra quelle per le quali venne adottata la delibera sanzionatoria impugnata”, poiché “di per sé sola giustificherebbe il provvedimento sanzionatorio espulsivo, a maggior ragione ove adottato a carico di un associato già incorso, come correttamente contestato, in più di un precedente disciplinare”.
8.2. Con riguardo ai tre ulteriori capi di incolpazione oggetto del giudizio di revisione (sub b, c, e d), la Commissione “ottemperando a quanto deciso dal Collegio di Garanzia dello Sport” ha proceduto “all’accertamento dei nuovi elementi di prova” (in particolare, le dichiarazioni del -OMISSIS-) e li ha ritenuti inidonei a dimostrare la falsità degli addebiti contestati.
9. L’interessato, quindi, ha chiesto l’annullamento della decisione emessa dalla Commissione di Disciplina d’Appello A.I.A. (e degli atti ad essa presupposti) e il risarcimento del danno patito, deducendo i seguenti motivi:
1) eccesso di potere; violazione dei diritti fondamentali dell’individuo che intenda svolgere la sua personalità (art. 2 Costituzione) nell’ambito associativo (art. 18 Costituzione).
Il ricorrente, nell’ambito del procedimento disciplinare, avrebbe subito una compressione delle proprie prerogative difensive, in relazione all’accertamento dei fatti contenuti nel verbale assembleare e alle pressioni che avrebbe esercitato nei confronti degli associati -OMISSIS-;
2) la violazione del principio di proporzionalità nella attività provvedimentale della Commissione di disciplina Nazionale dell’A.I.A.; l’adozione del provvedimento maggiormente afflittivo in luogo di altri provvedimenti di minore impatto sanzionatorio.
La prima sanzione emessa dalla Commissione di Disciplina Nazionale A.I.A. del 2015 e quella confermativa del provvedimento di ritiro tessera emanata dopo il pronunciamento del Collegio di Garanzia, sarebbero state adottate in violazione dell'art. 54 del regolamento dell'Associazione Italiana Arbitri.
L’inciso del primo comma “secondo l'ordine di gravità”, confermerebbe l’obbligo di rispettare il principio di proporzionalità, di cui all’art. 133 c.p.-.
Lo stesso si ricaverebbe dal quarto comma secondo cui “la sanzione è graduata in considerazione della gravità dell'infrazione della condotta dell'associato, precedente e successivo all'infrazione medesima”.
Il ricorrente, apprezzato nell’ambiente sportivo abruzzese, avrebbe subito danni sotto il profilo economico, personale e, in particolare, dell’immagine e della reputazione sportiva, costruite con l’impegno profuso nel settore sportivo.
Nel 2014 l’A.I.A. non ha rinnovato al ricorrente la tessera federale senza alcuna motivazione, prima del ritiro della tessera federale disposta il successivo 23.2.2015.
Ciò gli avrebbe impedito di concludere il mandato quadriennale (2012-2016), di riproporre la propria candidatura per il ruolo di Presidente di Sezione per il successivo quadriennio (2016-2020), penalizzandolo anche dal punto di vista economico e perdita di chance in ambito sportivo.
La predetta estromissione avrebbe impedito al ricorrente di usufruire del punteggio relativo alla carica di Presidente di Sezione per il periodo di riferimento, che insieme ai titoli associativi relativi alla carriera arbitrale, gli avrebbero consentito di acquisire la qualifica di “arbitro benemerito” ai sensi dell’art. 42 lettera F del Regolamento A.I.A., presupposto necessario, ai sensi dell’art. 13 del Regolamento AIA per la candidatura alle elezioni nazionali per il ruolo di Presidente Nazionale A.I.A.-.
La Procura Arbitrale (organo A.I.A.) non avrebbe acquisito prove testimoniali a discarico del ricorrente determinando i successivi provvedimenti in pregiudizio del ricorrente.
Anche gli organi giudicanti della Giustizia Sportiva e, in particolare, la Commissione Disciplinare di Appello con la sentenza in data 3.5.2017 di conferma del provvedimento di ritiro della tessera, avrebbero leso il ricorrente, basandosi sulla mera considerazione del solo capo di incolpazione distinto alla lettera E), senza valutare la testimonianza del Sig. -OMISSIS-, come imposto dal Collegio di garanzia pronunciatosi in sede di appello avverso l’iniziale dichiarazione di inammissibilità circa la corretta valutazione di quelle prove (le s.i.t. del procedimento penale) ritenute come nuove.
La Commissione Disciplinare d'Appello, in relazione al capo di accusa di cui alla lettera E), non avrebbe indicato le ragioni del provvedimento di condanna, limitandosi a rilevare che si tratta della condotta più grave, senza considerare che il Collegio di Garanzia, aveva imposto al Giudice di rinvio, ossia alla Commissione Disciplinare d'Appello, l'applicazione del metodo proporzionale nella determinazione finale.
Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano - C.O.N.I. e l’Associazione Italiana Arbitri - A.I.A. si sono costituite in giudizio per resistere al ricorso, contestando tutte le doglianze nonché l’istanza risarcitoria.
All’udienza del 21 aprile 2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
10. In via preliminare occorre disattendere la eccezione di difetto di legittimazione passiva del Coni, formulata da quest’ultimo, sul presupposto che la controversia in esame ha ad oggetto provvedimenti degli organi della giurisdizione domestica dell’A.I.A., segnatamente, la delibera n. 31 del 3.05.2017 della Commissione di Disciplina d’Appello, non riferiti, né riferibili al C.O.N.I.-.
L’eccezione è infondata.
La Commissione di Disciplina d’Appello e il Collegio di garanzia dello sport, infatti, non hanno personalità giuridica autonoma e distinta da quella del C.O.N.I. ed emettono atti di natura amministrativa e non giurisdizionale, sicché la legittimazione processuale va riconosciuta in capo al C.O.N.I.-.
Il Collegio di Garanzia appartiene all’ente pubblico C.O.N.I. in ragione di quanto disposto nello Statuto di quest’ultimo (atteso che l’art. 12, con cui viene definito nel suo complesso il sistema di giustizia sportiva – al cui vertice è posto il predetto Collegio di garanzia, ex art. 12-bis – è parte integrante del Titolo II, che ne disciplina l’organizzazione interna).
11. Analoghe considerazioni valgono per la Commissione di Disciplina di Appello di cui all’art. 31 del regolamento dell’Associazione Italiana Arbitri (AIA) quale associazione che, all’interno della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), riunisce obbligatoriamente tutti gli arbitri italiani che, senza alcun vincolo di subordinazione, prestano la loro attività di ufficiali di gara nelle competizioni della FIGC e degli organismi internazionali cui aderisce la Federazione stessa.
La Commissione di Disciplina di Appello, che è competente a giudicare, in seconda ed ultima istanza, in ordine alle impugnazioni proposte dagli associati o dalla Procura arbitrale avverso le delibere assunte dalle Commissioni di Disciplina nazionale e regionali (cfr. art. 31 del regolamento A.I.A.), come tale è parte integrante degli organi di giustizia sportiva, che vedono all’apice il Collegio di garanzia dello sport.
Dallo Statuto del CONI emerge una stretta correlazione tra organismo indicato ed il sistema di giustizia sportiva responsabile chiamato in giudizio, con conseguente legittimazione passiva del C.O.N.I. (v. anche C.d.S. Sez. V, n. 5046/2018).
L’eccezione va quindi respinta.
12. Occorre soffermarsi sulla ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del CONI e dell’AIA.
In particolare le parti resistenti, con un primo ordine di eccezioni, sostengono la inammissibilità dell’azione impugnatoria per difetto di giurisdizione, trattandosi di vicenda di natura disciplinare, riservata ai sensi dell’art. 2 della legge n. 280/2003, all’autonomia dell’ordinamento sportivo.
Il CONI e l’AIA sostengono, in particolare, che l’impugnazione, avrebbe, seppure in via incidentale, richiesto, l’annullamento del provvedimento della delibera della commissione di Disciplina d’Appello AIA n. 31 del 3.05.2017, di ritiro della tessera.
12.1. La prima questione che si pone, quindi, è quella di verificare la sussistenza o meno della giurisdizione del Giudice amministrativo, per cui occorre richiamare, sia pur brevemente, la disciplina in materia.
In proposito, secondo l’art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a., sussiste la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per “le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”.
L’art. 2, comma 1 dello stesso d.-l. n. 220 del 2003 riserva all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: “a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” e al comma 2 stabilisce che “Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”.
12.2. In particolare, nel presente giudizio viene in rilievo la fattispecie enucleata sub b), atteso che nessun dubbio può residuare in ordine all’inquadramento in tale ambito dell’oggetto della controversia in esame.
Il successivo art. 3, titolato “Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”, dispone poi che “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.
12.3. Ciò premesso, il sistema che riserva alla giustizia sportiva l’impugnativa delle sanzioni disciplinari è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 49/2011, che ha dichiarato non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), del d.l. n. 220/ 2003, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina del 2003, di modo che, nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni disciplinari, ad essere preclusa, innanzi al giudice statale, sarebbe la sola tutela annullatoria, ma non anche quella risarcitoria.
In senso conforme alla sentenza n. 49 del 2011 si è pronunciata più di recente la medesima Corte Costituzionale, nuovamente sollecitata con l’ordinanza 10171/2017 (cfr. sentenza n. 160/2019).
Al Giudice Amministrativo è, quindi, preclusa la tutela impugnatoria nei confronti dei provvedimenti disciplinari, anche idonei ad incidere su situazioni giuridiche protette dall’ordinamento statale, permanendo in capo allo stesso una cognizione meramente incidentale volta all’esclusiva valutazione dei presupposti del risarcimento del danno a favore dei soggetti che ritengano di aver subito, per l’effetto, una lesione.
12.4. Tornando all’esame dell’eccezione sollevata, la stessa non appare conferente al caso di specie, in quanto dall’esame del ricorso introduttivo non si evince che l’interessato abbia inteso chiedere l’annullamento del provvedimento della delibera della commissione di Disciplina d’Appello AIA n. 31 del 3.5.2017.
L’unico scopo perseguito dal ricorrente, in coerenza con la logica del sistema delineato dal combinato disposto degli artt. 1 e 3 della L. 280 del 2003, come ricostruito dalla Corte costituzionale, è piuttosto quello di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla adozione di un provvedimento ritenuto illegittimo.
E ciò in conformità al quadro normativo e giurisprudenziale esistente secondo cui chi ritenga di aver subito un danno da un provvedimento può, una volta “esauriti i gradi della giustizia sportiva”, chiedere la tutela risarcitoria al giudice amministrativo, che svolgerà una valutazione incidentale di legittimità del provvedimento amministrativo, per disporre - nell’eventualità - il risarcimento del danno.
Tale arresto, trova conferma, peraltro trova conferma nella richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 11.02.2011, che – come osservato – ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 del D.L. 220 del 2003 nella parte in cui riserva al Giudice Sportivo la competenza a decidere su sanzioni disciplinari inflitte a soggetti operanti nell’ordinamento, sottraendo tali giudizi alla cognizione del Giudice Amministrativo che, tuttavia, “resta competente a conoscere, in via incidentale e indiretta, soltanto della domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione”.
13. L’AIA e il CONI hanno eccepito un ulteriore profilo di inammissibilità sostenendo che il ricorrente avrebbe violato il vincolo della c.d. “pregiudiziale sportiva”, avendo impugnato direttamente dinanzi al giudice amministrativo la delibera della Commissione di Disciplina d’Appello A.I.A. n. 31 del 3.05.2017, senza il previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva.
In particolare, il ricorrente, prima di proporre ricorso al Tar, non avrebbe impugnato la delibera della Commissione di Disciplina d’Appello dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport.
In proposito si osserva che secondo l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 220/2003, “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo”.
La predetta norma in questione impone, quindi, il necessario previo esperimento dei gradi della giustizia sportiva previsti dagli Statuti e dai regolamenti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive, a pena di inammissibilità del ricorso proposto dinanzi al Giudice amministrativo (T.A.R. Lazio, sez. III ter, 25.05.2010, n. 13266; 31.05.2005, n. 4284 e 15.06.2006, n. 4604).
L’eccezione merita di essere condivisa.
13.1. Come osservato in fatto, l’istante ha impugnato la delibera CDN n. 27 del 23.2.2015. Detto gravame è stato dichiarato inammissibile dalla Commissione di Disciplina d’Appello (cfr. decisione n. 44 del 20.5.2015) perché privo di specifici motivi di impugnazione.
La decisione in appello non è stata impugnata dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport ed è, quindi, divenuta definitiva quanto meno rispetto ai capi di incolpazione sub a) ed e).
13.2. Ciò trova conferma nella delibera n. 031 del 03.05.2017 della Commissione di Disciplina d’Appello A.I.A. - oggetto di giudizio (vedi il punto 8 della presente decisione) - e ancora prima nella decisione della Commissione di Disciplina d’Appello n. 8 del 14.10.2016 (punto 6.2. in fatto), in cui l’organo di disciplina ha osservato che, anche a voler ritenere che il rimedio revocatorio fosse ammissibile, il giudizio, comunque, non avrebbe potuto condurre ad un integrale riesame della posizione disciplinare, in quanto le nuove testimonianze prodotte dall’interessato riguardavano solo alcuni degli addebiti contestati (posto che la sanzione del ritiro tessera era stata irrogata “per una molteplicità di ragioni, alcune delle quali del tutto indipendenti dalle dichiarazioni testimoniali che oggi il ricorrente vorrebbe far assumere”).
Dai passaggi sopra riportati si evince, quindi, che sui capi di incolpazione a) ed e) passati in giudicato ben prima della avversata decisione n. 031 del 03.05.2017 della Commissione di Disciplina d’Appello A.I.A., quanto meno alla data del 14.10.2016 in cui la Commissione di Disciplina d’Appello ha emesso la richiamata decisione n. 8, l’istante non ha esaurito tutti i gradi della giustizia sportiva, non avendo interposto appello avverso i predetti capi di contestazione risultati pertanto decisivi ai fini della irrogazione della contestata sanzione.
14. In proposito giova precisare che il Collegio di Garanzia dello Sport nell’accogliere (con la decisione n. 21 del 27.3.2017) l’appello avverso la decisione della Commissione di Disciplina d’Appello n. 8 del 14.10.2016, ha rinviato la questione a tale Commissione per valutare gli elementi di prova sopravvenuti, però senza riferirsi ai capi di incolpazione sub a) ed e), rispetto ai quali non risultavano essere stati proposti motivi di revocazione (cfr. pagg. 5 e 8 della decisione in questione - all. 25 del ricorso).
15. Da ciò consegue che la decisione del CDA n. 44 del 20.5.2015, in relazione al capo di incolpazione sub a) e sub e), quest’ultimo autonomamente idoneo a sorreggere la sanzione del ritiro tessera, è divenuta cosa giudicata, non essendo stata esperita nei suoi confronti alcuna impugnazione.
Il Collegio di Garanzia dello Sport, infatti, ha rinviato la questione alla Commissione di Disciplina d’Appello per la valutazione - ai fini del giudizio di revisione ex art. 13 delle Norme di Disciplina A.I.A.- degli elementi di prova sopravvenuti nel frattempo emersi, ma non in relazione ai capi di incolpazione sub a) ed e), rispetto ai quali non erano stati fatti valere motivi di revocazione. Di modo che l’affermazione di responsabilità in relazione a tali capi si è consolidata senza che fossero esauriti i rimedi previsti dall’ordinamento della giustizia sportiva.
15.1. Come emerge dalla ricostruzione dei diversi passaggi decisionali degli organi della giustizia sportiva, in relazione ai richiamati capi di incolpazione sub a) ed e), che costituiscono i presupposti delle contestazioni mosse all’interessato ai fini della irrogazione della sanzione del ritiro della tessera, il ricorrente, quindi, non si è avvalso dei rimedi previsti dalla giustizia sportiva, incorrendo nella preclusione in esame.
15.2. In altri termini l’istante non ha realizzato la condizione alla quale è subordinata la devoluzione della controversia al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.L. 19 agosto 2003 n. 220 (conv. in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della l. 17 ottobre 2003, n. 280), secondo cui solo “Esauriti i gradi della giustizia sportiva (…) ogni (…) controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
16. Non è dubbio che, nella specie, la controversia rientri nel novero di quelle da sottoporre prioritariamente alla giustizia sportiva, così come prevede l'art. 3 del d.l. n. 220/2003, davanti alla quale, d’altra parte, il ricorrente avrebbe potuto prospettare le doglianze esposte nel presente gravame.
Dunque, disattese le argomentazioni difensive della difesa dell’interessato, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Tuttavia, nella peculiarità della fattispecie vanno ravvisate ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra tutte le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente e delle persone menzionate nella decisione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, con l'intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore
Raffaello Scarpato, Referendario