T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 6907/2017

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Schileo C.F. SCHLSN75T58L407I, Stefano Mattii C.F. MTTSFN58H19F520U, con domicilio eletto presso Domenico Pavoni in Roma, via Riboty 28;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della decisione n. 1779/A/G/OST dep. il 09.11.2016 che ha respinto l'appello domestico del ricorrente avverso la decisione della commissione di disciplina di I istanza del MIPAAF n. 69/2016 con cui è stata applicata la sanzione della sospensione della qualifica e di allenatore rivestita per mesi quattro, oltre alla multa di euro 1.000,00;

di ogni atto, anche regolamentare meglio indicato in ricorso, presupposto o conseguente;

e per la reintegrazione in forma specifica, anche attraverso il risarcimento del danno, in caso di misura cautelare denegata;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2017 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente espone di essere stato rinviato di fronte alla commissione di disciplina del MIPAAF per rilevata positività al “desametasone” del cavallo OMISSIS (del quale è allenatore) a seguito del prelievo effettuato l’8.11.2014 presso l’Ippodromo di OMISSIS.

La Commissione di prima istanza lo condannava alle sanzioni disciplinari meglio descritte in epigrafe; proponeva appello alla competente Commissione che dapprima concedeva la misura cautelare della sospensione della sanzione; successivamente confermava la decisione di prima istanza.

Evidenzia l’allenatore che i propri cavalli non potranno correre dalla comunicazione della decisione della commissione di disciplina d’appello avvenuta l’11.11.2016; la qualifica di allenatore è sospesa delle ore 24 dell’ottavo giorno successivo, giusta regolamenti delle corse artt. 224 ex Jockey Club (doc.1) e 266 ex Steeple Chase (allegati al ricorso sub doc.2).

Deduce che la disciplina applicabile andrebbe rinvenuta nelle “Norme di procedura disciplinare” (prodotte sub doc.3); “Regolamento per il controllo sostanze proibite” ( prodotto sub doc.4).

Precisa, ancora in fatto, che la positività riscontrata non potrebbe che considerarsi conseguenza della somministrazione curativa, non già in funzione della corsa; somministrazione curativa cui aveva provveduto il veterinario dr. OMISSIS, titolare della clinica veterinaria dell’Ippodromo di OMISSIS; se il ricorrente avesse conosciuto i reali tempi di smaltimento del medicinale somministrato non avrebbe dato partenente il cavallo per la corsa del’8.11.2014 ed è per questa mancata conoscenza che non è stato neppure indagato per frode in competizione sportiva.

In diritto, lamenta l’illegittimità della decisione della commissione di disciplina e della sanzione per le seguenti ragioni.

I) Violazione del contraddittorio dell’art. 15 delle Norme di Procedura Disciplinare: mancata comunicazione al OMISSIS dell’udienza in Commissione di prima istanza con atto di incolpazione. Violazione Regolamento Steeple Chases e Jockey Club prevedenti l’obbligo di sentire l’interessato prima dell’irrogazione della sanzione.

Mentre il OMISSIS, in sede disciplinare, si era lamentato della “mancata comunicazione della data di udienza dinanzi alla commissione di disciplina di primo grado”, la commissione d’appello ha ritenuto doversi applicare l’art. 10 del regolamento indicato nell’epigrafe del motivo, secondo il quale il MIPAAF deve effettuare le comunicazioni all’interessato al suo indirizzo PEC o e-mail e quindi ha ritenuto valida la comunicazione di trattazione con allegato atto di incolpazione; tuttavia, secondo il ricorrente, la mail contenente l’atto di incolpazione non è mai pervenuta al OMISSIS.

Ne deriverebbe la violazione dell’art. 15 delle norme di procedura disciplinare (secondo cui l’atto di incolpazione è trasmesso mediante raccomandata RR, telegramma o altro mezzo equipollente); l’art. 10 del regolamento ex Steeple Chases d’Italia è illegittimo nella parte prevedente la possibilità del MIPAAF di comunicare alla e-mail, e se ne chiede l’annullamento o comunque la disapplicazione per violazione del Codice dell’Amministrazione digitale dlgs 7.3.2005, nr. 82 secondo cui (art. 3 bis) le comunicazioni al cittadino privo di PEC devono svolgersi per posta.

II) Violazione dell’art. 10 lett. b) L. 241/90.

Il ricorrente con appello domestico contestava l’applicazione della recidiva trattandosi la prima violazione presa in considerazione per l’applicazione della recidiva in una incauta medicazione, affermando che non è previsto che in tema di calcolo ai fini della recidiva rientrino anche le ipotesi di incauta medicazione. A riguardo si duole della omessa decisione da parte della commissione di appello di un capo specifico dell’appello domestico, con violazione dell’art. 11 RCSP.

III) Violazione art. 11 RCSP che punisce l’allenatore come tale se non prova che l’evento sia dipeso da fatto a lui non imputabile nemmeno a titolo colposo.

L’appello domestico concludeva, in via subordinata, circa l’applicazione della sanzione più lieve, in quanto non vi era prova che l’assunzione della sostanza rilevata fosse dipesa da “fatto” del sig. OMISSIS, che è stato incolpato solo per una posizione di responsabilità oggettiva, non come colui che ha somministrato o fatto somministrare la sostanza.

Si è costituita l’Avvocatura di Stato che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto.

Con ordinanza nr. 201700441, dell’11 gennaio 2017 è stata disposta istruttoria ed è stato al contempo fissata la discussione della causa nel merito alla pubblica udienza del 5 maggio 2017.

Con istanza del 9 febbraio 2017, il ricorrente ha chiesto la revoca o modifica della misura cautelare evidenziando che il Collegio non avrebbe provveduto sulla corrispondente domanda e che l’istruttoria disposta in proposito avrebbe riguardato anche aspetti non oggetto di censura.

Il Ministero ha depositato documenti in data 27 febbraio 2017, tra i quali una “relazione giuridica amministrativa” predisposta dall’ufficio competente, nella quale si deduce il difetto assoluto di giurisdizione.

Con ordinanza nr. 2017/1168 del 9 marzo 2017 è stata respinta l’istanza di revoca o modifica di misure cautelari del ricorrente, confermando la pubblica udienza già fissata del 5 maggio 2017.

Il Ministero ha depositato ulteriori documenti in corso di causa, in esecuzione dell’istruttoria disposta dal Collegio; le parti, con proprie memorie, hanno meglio precisato ciascuna le rispettive domande ed eccezioni.

Nella pubblica udienza del 5 maggio 2017 la causa è stata quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

Nell’odierno giudizio viene in esame la domanda del ricorrente con la quale si chiede l’annullamento della sanzione meglio descritta in epigrafe.

A fondamento del gravame, parte ricorrente lamenta il mancato inoltro via raccomandata postale dell’atto di incolpazione, la violazione art. 3 bis del dlgs 82/2005, la violazione art. 10 lett. b) 241/90 per mancata possibilità di presentare memorie scritte; contesta la sanzione che tiene conto della recidiva in relazione a precedente decisione nr. 085/2014 laddove tale possibilità non sarebbe prevista per i casi di incauta medicazione; difetterebbe la specificità dell’incolpazione e comunque l’appello domestico non risponderebbe sul punto della omessa dimostrazione che l’evento non è dipeso da fatto imputabile all’allenatore neppure a titolo colposo.

I) Deve preliminarmente scrutinarsi la questione relativa alla sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla domanda introduttiva.

Ia) A sostegno dell’eccezione di carenza di giurisdizione sulla domanda oggetto dell’odierno giudizio, si deduce che nella fattispecie verrebbero in rilievo questioni interne all’ordinamento sportivo, laddove il risultato delle competizioni agonistiche è determinato da regole tecniche che non possono, per natura, generare posizioni di interesse legittimo o diritto soggettivo, non potendosi qualificare esse in termini di norme di relazione; l’eventuale inosservanza di norme “interne” dell’ordinamento sportivo risulterebbe così del tutto irrilevante nell’ordinamento generale (Cass. SSUU 26.10.1989, nr. 3499). Secondo l’Amministrazione verrebbe dunque in rilievo l’art. 1, comma 2, del DL 220/03 che regola il riparto di giurisdizione tra l’ordinamento statale e quello sportivo – in tutte le sue articolazioni, inclusa l’ippica – secondo un principio di piena autonomia “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”, nell’ambito delle quali non rientrerebbero le sanzioni di cui si discute nell’odierno giudizio, come sembrerebbe ritenere la giurisprudenza più recente sulla base della considerazione che la norma non distingue gli effetti economici (Consiglio di Stato, 5782/08) e che il legislatore del 2003 non può non aver tenuto presente e considerato la rilevantissima entità di tale contenzioso (CGA Sicilia, n. 1048/07); a conferma di tale orientamento, la giustizia amministrativa (nella già richiamata decisione nr. 5782/08 del Consiglio di Stato) ha trattenuto la giurisdizione in ordine alla (sola) pretesa risarcitoria, che non è esperibile di fronte alla giustizia sportiva (e dunque rischierebbe di cadere in un vuoto di tutela); la sentenza nr. 49/2011 dalla Corte Costituzionale, ha del resto considerato la tutela risarcitoria una forma alternativa alla tutela di annullamento, pienamente effettiva; confermerebbe tale impostazione la introduzione, nel codice del processo amministrativo del 2010, della previsione di cui alla lett. “z” dell’art. 133 sulla giurisdizione esclusiva.

In via subordinata, la giurisdizione andrebbe riconosciuta al giudice ordinario e precisamente il collegio arbitrale previsto dal regolamento del MIPAAF laddove si prevede che i soggetti ad esso tenuti, qualora intendano promuovere azioni nei confronti del Ministero, devono previamente sottoporre la vertenza ad un collegio arbitrale, il quale giudica irritualmente entro trenta giorni.

Ib) A sostegno della giurisdizione, militerebbe l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dell’Ente attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza, affievolendole in posizioni di interesse legittimo (così Cons. Stato, VI, 20 dicembre 1993, n. 996; TAR Lazio, III, 1591 del 14 novembre 2003; TAR Marche, sentenza nr. 16/2017).

Dall’esame della disciplina derivante dal RD 24 maggio 1932, n. 624 e l. 24 marzo 1942, nr. 315, risulterebbe poi da considerare la natura di ente strumentale dello Stato, propria dell’UNIRE, in relazione all’attività di vigilanza sulle corse dei cavalli, in ragione della quale il provvedimento sanzionatorio irrogato in tale funzione risulta perseguire finalità di interesse generale (TAR Bolzano, sentenza nr. 186/2011). Da qui, la diversità tra le Federazioni Sportive, tra cui la FISE, che confluiscono nel CONI e l’UNIRE; l’equitazione, sorretta dalla FISE, sarebbe disciplina anche sportiva diversa dall’ippica, che è oggetto di competenze dirette del MIPAAF (dopo la trasformazione dell’UNIRE nell’ASSI e poi la confluenza delle relative competenze in capo alla gestione diretta del Ministero); non troverebbe pertanto applicazione all’Ippica la previsione di cui all’art. 3, comma 1, del DL 220/2003, conv. in legge 280/03 che regola la cognizione delle controversie sportive nell’ambito delle associazioni federate nel CONI.

Ic) Osserva il Collegio che le disposizioni che regolano la c.d. “pregiudiziale sportiva” e la connessa limitazione della giurisdizione del giudice amministrativo presuppongono una nozione di “ordinamento sportivo” che non consente di includervi – come prospetta l’avvocatura – anche le sanzioni erogate direttamente dal MIPAAF nell’ambito delle proprie prerogative di controllo del settore dell’Ippica, materia in precedenza affidata alle competenze dell’UNIRE e poi dell’ASSI.

Invero, la norma di cui all’art. 2 e 3 del DL 220/03, nel riconoscere l’autonomia dell’ordinamento sportivo, presuppone a disciplina di quest’ultimo l’istituzione e l’organizzazione del CONI, ente con personalità giuridica di diritto pubblico e delle Federazioni sportive nazionali di cui al d.lgs. 242/1999; per effetto dell’adesione a tali organismi, gli associati si assoggettano all’azione dei relativi organi di controllo e di giurisdizione domestica, entro un ambito che lo Stato riconosce e tutela.

Si tratta, in altri termini, di una evidente condizione di pluralità degli ordinamenti o pluralismo istituzionale, nell’ambito della quale il confine tra l’ordinamento giuridico pubblico e quello sportivo è dato non già da una definizione materiale di competenze - dell’uno e dell’altro - ma dalla dimensione propriamente organizzativa ed istituzionale del secondo, che il primo riconosce e tutela, nel presupposto che un ordinamento si sostanzia non solamente nelle norme che produce, ma anche e prima ancora nell’articolazione della struttura che tali norme pone (appropriato è, in questo caso, il richiamo al noto principio affermato da una qualificata dottrina, risalente ma tutt’ora attuale, secondo cui “ogni ordinamento giuridico è un'istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico: l'equazione fra i due concetti è necessaria ed assoluta”).

Del resto, anche sotto il profilo strettamente oggettivo delle attività, non può non riconoscersi il dovuto rilievo alla differenza tra l’ippica – intesa come attività volta in generale alla promozione del cavallo e delle relative attività – e l’equitazione – attività propriamente sportiva che, pur rientrando nella nozione più generale della prima, se ne differenzia sotto il profilo della competizione agonistica.

Deve rammentare il Collegio che la competenza del MIPAAF in ordine alla disciplina dell’ippica trova titolo in una strutturata (e risalente) evoluzione normativa.

Più precisamente, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali è subentrato all’ASSI, che a sua volta, era subentrato all’UNIRE, a norma, rispettivamente, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449 (recante norme circa il riordino dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), ex art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59), e della legge 15 luglio 2011 n. 111, istitutiva dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) quale successore ex lege dell'UNIRE; vengono in rilievo, nel prosieguo, il decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, recante, tra l'altro, la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, e l’art. 23 quater, comma 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (che, nel prevedere la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico - ASSI, ha stabilito che con decreti di natura non regolamentare del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sono ripartite tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzie delle Dogane e dei monopoli le funzioni attribuite ad ASSI dalla normativa vigente nonché le relative risorse umane, finanziarie e strumentali compresi i relativi rapporti giuridici attivi e passivi).

In forza di tali presupposti normativi, è stato poi adottato il decreto interministeriale 31 gennaio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, registrato alla Corte dei Conti il 25 febbraio 2013, reg. 2, fgl. 215, con il quale, tra l'altro, sono state attribuite al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le funzioni già riconosciute all'ex ASSI dalla normativa vigente ( ad eccezione delle competenze relative alla certificazione delle scommesse sulle corse dei cavalli affidate all'Agenzia delle dogane e dei monopoli); con il successivo DPCM 27 febbraio 2013, n. 105, rubricato «Regolamento recante organizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a norma dell'art. 2, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 17 settembre 2013», e l’art. 7, comma 2, del precitato decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sono state regolate le norme e le strutture disciplinari già appartenenti agli enti incorporati, in considerazione delle specifiche caratteristiche tecniche delle modalità di gara.

Nel descritto contesto normativo si radicano competenze specifiche ben più ampie ed estese di quelle relative alle competizioni agonistiche in quanto tali, come il compito di concorrere alla tutela dell'incolumità ed al mantenimento dei cavalli sottoposti a “trattamenti dopanti” (art.2 del d.lgs n.499 del 1999) o anche quello che individua tra le finalità (già dell’)UNIRE la ricerca scientifica nel settore dell'allevamento, dell'allenamento e dell'antidoping, oppure il controllo della regolarità di tutte le attività relative alle corse (art.12 del d.P.R. n.169 del 1998); l'organizzazione delle corse dei cavalli; la programmazione dello sviluppo del settore dell'ippicoltura in tutte le sue componenti tecniche, economiche, sociali, culturali e promozionali; la programmazione tecnica ed economica delle corse e delle altre forme di competizione; la predisposizione “del calendario delle manifestazioni ippiche”; il coordinamento dell'attività degli ippodromi; la determinazione degli stanziamenti relativi ai premi ed alle provvidenze; la promozione di iniziative previdenziali e assistenziali in favore dei fantini, dei guidatori, degli allenatori e degli artieri e così via.

Non è senza rilievo, peraltro, che, in maniera del tutto simmetrica, successivamente all'entrata in vigore d.P.R. 8 aprile 1998 n. 169, recante il regolamento di attuazione dell'art. 3 comma 78 l. 23 dicembre 1996 n. 662 (che, abrogando la precedente riserva all'Unire, ha riservato l'organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli ai ministeri delle finanze e delle risorse agricole, alimentari e forestali, consentendo loro di provvedervi direttamente ovvero a mezzo di enti pubblici, società o allibratori da essi individuati) è stata devoluta alla giurisdizione tributaria la domanda proposta dal titolare di un'agenzia ippica per ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato, a titolo di imposta sulle scommesse relative alle corse dei cavalli (Cassazione civile sez. un. 23 aprile 2009 n. 9672 ), a significare come anche sotto il profilo propriamente tributario viene in rilievo un’attività sostanzialmente amministrativa pienamente riconducibile all’autorità ministeriale in quanto soggetto titolare di competenze di interesse generale.

Essendo il complesso di tali interessi di livello tale da costituire una delle funzioni della riserva statale (sia sul piano dell’organizzazione della funzione, sia su quello, correlato, della gestione delle entrate ad essa connesse), ne consegue che le iniziative disciplinari e sanzionatorie non possono che sussumersi nell’ambito di detta riserva di competenze che presuppone l’esercizio di attività pubblicistiche vere e proprie e la cui cognizione, in caso di controversia, seguirà il normale riparto tra interessi legittimi e diritti soggettivi, con conseguente impossibilità di configurare neppure quella riserva di giurisdizione di tipo arbitrale cui, in subordine, si riferisce l’Avvocatura.

Conclusivamente, va affermato il principio secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate dal MIPAAF a carico di allenatori o fantini o proprietari di cavalli a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dello stesso Ente in relazione all’attività ippica che lo stesso Ministero è tenuto ad organizzare e sulla quale esercita il proprio diretto controllo attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, estranei all’ambito di applicazione del DL 220/03 ed idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza.

II) Nel merito, si osserva quanto segue.

Devono essere anteposte alla trattazione dei motivi di ricorso alcune considerazioni inerenti il rapporto tra il ricorso giurisdizionale ed il gravame domestico di fronte alla commissione di disciplina.

La sanzione disciplinare è assistita da una procedura particolarmente qualificata, all’esito della quale la Commissione di appello può (al pari di quanto avviene nei ricorsi gerarchici) annullare la decisione della Commissione di disciplina ovvero confermarla definitivamente (effetto quest’ultimo che si verifica ovviamente anche ove l’interessato non appelli entro il termine perentorio prescritto; cfr, Consiglio di Stato sez. III 25 settembre 2012 n. 5089 e sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5554, secondo cui l'Autorità investita di un ricorso gerarchico ha il potere-dovere di riesaminare integralmente la fattispecie, facendosi carico sia dei profili di legittimità e sia di quelli merito, sicché il suo provvedimento, anche se confermativo, assorbe e sostituisce quello dell'organo sottordinato).

Una volta esperito l’appello domestico (laddove di fronte alla Commissione di appello vanno dedotti tutti i motivi ritenuti idonei a fondare la pretesa di illegittimità dell’atto avversato), l’impugnazione di fronte al GA della decisione della Commissione di appello, non potrà che avere riguardo alla compiutezza di quest’ultimo atto e dovrà essere coincidente con i medesimi motivi dedotti in sede domestica – pena l’inammissibile violazione del termine decadenziale – con la conseguenza che non potranno essere fatti valere motivi nuovi (cfr. Cons. St. sez. VI, 02/07/2015, n. 3299; Cons. St., sez. V, 15 marzo 2012, n. 1444: in sede di ricorso giurisdizionale proposto contro una decisione adottata a seguito di ricorso gerarchico sono inammissibili i motivi nuovi di ricorso che non siano stati proposti nella predetta sede contenziosa amministrativa; ciò al fine di evitare che la mancata impugnativa di un atto asseritamente illegittimo attraverso il rimedio giustiziale e la sua successiva impugnativa -per saltum- con il rimedio giurisdizionale possa costituire la via attraverso la quale eludere l'onere di impugnare tempestivamente l'atto nell'ordinario termine decadenziale ), ad eccezione, ovviamente, di ragioni attinenti a vizi propri della decisione.

Prima di procedere alla trattazione delle censure, infine, va dato atto alla difesa del ricorrente che, all’esito del più approfondito esame del ricorso nel merito, il tema dell’accertamento dei presupposti delle analisi, relativi all’accreditamento del laboratorio, che era uno degli accertamenti disposti in istruttoria, astrattamente idoneo a consentire una cognizione migliore dei presupposti della sanzione irrogata ed oggetto di impugnazione, non è di immediato rilievo nell’odierno giudizio, non essendo contestato il rilievo della sostanza “desametasone”, ma solo la sua riferibilità a responsabilità del ricorrente.

IIa) Quanto alle censure dedotte, si osserva che con il primo motivo parte ricorrente si duole della mancata comunicazione dell’atto di incolpazione e del conseguente vizio invalidante dell’intero procedimento disciplinare.

L’Amministrazione replica di avere inviato la suddetta documentazione all’indirizzo fornito dallo stesso OMISSIS con l’istanza di autorizzazione all’esercizio dell’attività ippica (vedasi depositi del 6 aprile 2017 e del 16 aprile 2017).

Precisa inoltre l’Avvocatura che la prova dell’avvenuto invio della comunicazione è stata fornita

attraverso i documenti depositati dal Ministero: è stato infatti dimostrato, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, che la comunicazione de qua è stata inviata all’indirizzo mail del sig. OMISSIS (sul punto cfr memorie di controparte per l’udienza pubblica pag. 1: “ma questo è solo la ricevuta di accettazione che la comunicazione data “trattazione” fatta il 18/12715 con la PEC del dicastero aoo.saq@pec.politicheagricole.gov.it e indirizzata a montefranco@dnet.it che è la mail di OMISSIS fu accettata dal sistema”).

La censura si incentra dunque, sostanzialmente, sulla legittimità dell’invio delle comunicazioni a mezzo mail semplice.

Deve premettersi che, con sentenza nr. 2736/2016, alle cui motivazioni è sufficiente rinviare, è stato ritenuto legittimo, sotto plurimi profili, l’impianto regolamentare del RCSP, approvato con DM 16/10/2002, come successivamente modificato e così pubblicato il 13.11.2012 (ai sensi della legge 69/2009).

Va quindi osservato che con determinazione n. 216 del 7 novembre 2012 (prodotta dall’Avvocatura con il deposito del 27 febbraio 2017) il dirigente delegato alla gestione temporanea dell’ASSI (ex lege 135/2012) ha disposto regole sulle comunicazioni e notificazioni “del provvedimento di allontanamento dalle corse del  risultato positivo al controllo antidoping”, uniformando l’art. 3 del regolamento delle corse dell’Ente Nazionale delle Corse al Trotto, l’art. 3 bis del regolamento corse del Jockey Club Italiano, l’art. 10 della Società degli Sleeple-Chases d’Italia ed, infine, l’art. 10 dell’Ente Nazionale del Cavallo Italiano, stabilendo la possibilità di inoltrare le comunicazioni “da parte dell’Ente ai soggetti suddetti (i soggetti sottoposti al regolamento, obbligati a comunicare all’Ente, nei termini stabiliti, tutti i dati e le notizie richieste, anche mediante invio di moduli e formulari a pena di sanzione pecuniaria, commi 1 e 3 della disposizione) al recapito dagli stessi indicato (indirizzo PEC o e-mail) nell’istanza di autorizzazione allo svolgimento di un’attività nel settore, o a quello successivamente comunicato a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento o attraverso strumenti informatici e/o telematici certificati”.

Secondo l’art. 10 del regolamento di controllo delle sostanze proibite (documento prodotto dal ricorrente sub 4 al proprio ricorso), in caso di positività del campione “la riscontrata positività del cavallo ed il conseguenziale periodo di allontanamento, vengono resi noti dall’Amministrazione attraverso la pubblicazione sul sito web e la contemporanea comunicazione al proprietario ed all’allenatore secondo le vigenti modalità” (art. 10, comma 2).

Le vigenti modalità sono quelle riferite, dunque, alle disposizioni uniformate dalla Determinazione nr. 216/2012: la fonte regolamentare (che il ricorrente impugna o della quale chiede comunque la disapplicazione) a giudizio del Collegio, non si pone in contrasto con l’art. 3-bis Codice dell’amministrazione digitale secondo il quale è riconosciuto al cittadino la possibilità indicare un proprio domicilio digitale.

Aderendo sul punto alle tesi difensive dell’Avvocatura, la disposizione indicata possiede il valore di norma di carattere generale che, per facilitare le comunicazioni tra Amministrazioni e cittadini, prevede la facoltà per questi ultimi di indicare il proprio indirizzo pec e, in difetto di indicazione del suddetto indirizzo (cd domicilio digitale), l’uso della posta ordinaria da parte dell’Amministrazione; non è quindi in contrasto con essa la specifica previsione regolamentare che preveda una specifica possibilità di scelta dell’interessato circa le modalità della comunicazione informatica tra l’uso della posta elettronica semplice oppure quella certificata.

Pertanto, una volta scelta, per la comunicazione con l’Ente, una semplice mail (invece che una PEC), l’interessato ne accetta il regime, con la conseguenza che saranno legittime le comunicazioni effettuate tramite tale domicilio.

Non da ultimo, la natura meramente formale della censura dedotta con il primo motivo di ricorso è dimostrata dalla circostanza – debitamente evidenziata dalla difesa dell’Avvocatura – che la Commissione di Disciplina di prima istanza aveva appositamente rinviato l’udienza di trattazione su istanza del difensore del sig. OMISSIS, onde consentire la partecipazione di entrambi al procedimento (cfr su punto decisione Commissione di Disciplina di prima istanza n. 96/16 pag. 1 e 2).

Quanto al secondo capo di censura, con il quale il ricorrente lamenta l’omessa decisione sullo specifico capo dell’appello domestico inerente l’applicazione della recidiva (con riferimento al tema dell’incauta medicazione), si osserva quanto segue.

In primo luogo, assume rilievo la circostanza che il motivo è formulato nei termini di una “omessa pronuncia” sull’eccezione relativa all’erronea applicazione della recidiva, dedotta al punto 9 dell’appello domestico: sotto questo profilo, il ricorso è infondato perché la commissione di appello ha preso in esame il tema della recidiva, fondandola sul rilievo del “quadro complessivo e della storia dello stesso incolpato”, evidenziandosi che “egli è, attualmente destinatario di altri due procedimenti per violazione del RCSP e, come accertato dalla Commissione di Disciplina di Prima Istanza, la quale per tale ragione ha applicato l'aggravante della recidiva, nei tre anni precedenti aveva già subito un’altra condanna per la medesima ragione (dec n 85/14)”.

La decisione contiene dunque una pronuncia chiara sul punto.

In ogni caso, ancora in adesione alle tesi difensive dell’Amministrazione, l’esclusione dalla recidiva dell’incauta medicazione (tema che non sembra aver trovato rispondenza nei motivi dedotti nell’appello domestico, e che quindi già sarebbe inammissibile nell’odierna sede di giudizio) non trova un corrispondente referente normativo (e dunque la relativa tesi è infondata, ciò che consente al Collegio di soprassedere dalla soluzione in rito del gravame).

Infatti, l’art. 11, co. 6 del RCSP dispone che “tutte le sanzioni di cui ai commi precedenti sono raddoppiate se il responsabile nel triennio anteriore sia stato già sanzionato per le violazioni previste dal presente articolo e sono triplicate se nel medesimo periodo sia incorso in predette violazioni per almeno 2 volte”. L’incauta medicazione è un illecito espressamente previsto dall’art. 11 u.c.: “in caso di positività dipendente da incauta medicazione eseguita con colpa lieve, fermo restando il distanziamento totale dall’ordine di arrivo, la commissione di disciplina di prima istanza valutate le circostanze potrà applicare in misura ridotta fino alla metà le sanzioni previste dai precedenti commi o irrogare la sola pena pecuniaria”.

Quanto all’argomento inerente la lamentata violazione art. 11 RCSP, che punisce l’allenatore come tale se non prova che l’evento sia dipeso da fatto a lui non imputabile nemmeno a titolo colposo, si osserva quanto segue.

Secondo l’amministrazione il motivo è inammissibile perché non dedotto in sede domestica ed infondato perché l’interpretazione fornita dal ricorrente sarebbe priva di referente normativo, dato che l’intera disciplina è rivolta sia ai proprietari che agli allenatori; l’art. 266 del regolamento Steeple Chases prevede la sospensione da ogni attività connessa a qualsiasi qualifica rivestita dall’operatore ippico.

Osserva il Collegio che le tesi difensive dell’Amministrazione sono pienamente condivisibili.

L’art. 11, penultimo comma, del RCSP prevede che l’allenatore è ritenuto responsabile per la positività rilevata “in ogni caso” ed “anche per atti commessi da suoi familiari, collaboratori o dipendenti”; ciò, salvo che “non provi che l’evento sia dipeso da fatto a lui non imputabile nemmeno a titolo colposo”.

Si tratta di una norma che introduce una presunzione di responsabilità che determina l’inversione dell’onere della prova, secondo uno schema tipico da responsabilità da risultato o da inadempimento (similare alla disciplina di cui all’art. 1218 del codice civile) funzionale alla costituzione di una posizione di garanzia in capo all’allenatore, che si giustifica, a sua volta, per la particolare status dall’allenatore ai sensi dell’art. 4 del medesimo regolamento (che disciplina i doveri dell’allenatore, al quale incombe l’obbligo di “conoscere tutte le terapie praticate al cavallo anche se stabilito in luogo diverso” da quello della propria attività).

Non può del resto non osservarsi – quanto al rilievo dell’accertamento dell’esistenza di fattori positivi che determino il riscontro di una posizione di responsabilità del ricorrente – la genericità delle dichiarazioni inerenti le modalità di somministrazione del medicinale al cavallo.

A fondamento del ricorso, l’allenatore OMISSIS  produce una certificazione della Clinica Veterinaria dell’Ippodromo di OMISSIS, a firma del veterinario dott. Cornali, nella quale quest’ultimo indica che le ragioni della positività sarebbero da ricondursi all’erronea somministrazione al cavallo di un prodotto (il DEXADRESON FORTE) in luogo del semplice DEXADRESON che avrebbe un tempo di sospensione di sessanta giorni invece che cinque; la stessa relazione afferma che l’allenatore sarebbe stato all’oscuro di tale somministrazione.

Giova sul punto richiamare la decisione sull’appello domestico laddove ha puntualmente evidenziato la “genericità della ricostruzione circa l'errore di somministrazione del farmaco (nessuna credibile indicazione sussiste che il Dexadreson Forte possa permanere nell'organismo di un cavallo per ben 56 giorni)”.

Evidenzia l’Avvocatura che, dalle relazioni istruttorie predisposte dall’ufficio, risulta un modulo di accettazione di ricovero in clinica del cavallo OMISSIS  avvenuto in data 13 settembre 2014 per “rigonfiamento agli arti anteriori e posteriori a carico della regione metacarpo/metatarso falangea senza la presenza di zoppia a cui è seguita la somministrazione di Dexadreson erroneamente nella formula forte”. Successivamente, in data 28 settembre, il cavallo prendeva parte al “Gran Premio OMISSIS (corsa in ostacoli sui 5000 metri, descritta come la più importante e impegnativa corsa italiana in questa specialità). In quella corsa il cavallo non ultimava il percorso, del quale effettuava solo la parte iniziale; evidenzia dunque l’Avvocatura che se fosse corretta la ricostruzione della clinica veterinaria, anche in quella occasione il cavallo sarebbe stato positivo.

Conclusivamente, mentre da un lato la genericità dell’attestazione della clinica veterinaria non consente di escludere il rilievo proprio del riscontro della positività dell’equide al controllo, dall’altro sono rilevate circostanze di fatto che inducono a ritenere inverosimile il prolungato effetto della somministrazione, invocato dalla difesa del ricorrente.

In ogni caso, rimane la circostanza che la stessa dichiarazione della clinica imputa ad un errore la somministrazione del medicinale e la successiva partecipazione del cavallo alla competizione, senza che venga in rilievo in alcun modo la dimostrazione di cause esimenti della responsabilità oggettiva dell’allenatore (il quale potrà quindi rivalersi sulla clinica, laddove ne sussistano presupposti e condizioni).

Da quanto sopra, pertanto, deriva l’infondatezza del gravame che va respinto, anche in relazione alla domanda di risarcimento in dipendenza del rigetto della domanda di annullamento, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Maria Laura Maddalena, Consigliere

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore

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