T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 9257/2017

Pubblicato il 08/08/2017

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), integrato da motivi aggiunti, proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Ricci, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Romeo Romei, 27;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

-della decisione della Commissione di disciplina di appello n. 16776/A/T del 2.12.2015 con la quale è stata confermata al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dalla qualifica di allenatore per mesi sei e la multa di euro 1.500,00 per la positività del cavallo " OMISSIS " alle sostanze stupefacenti "benzoilecgonina e ecgonina metilestrere" il 21.5.2013 presso l'ippodromo OMISSIS;

- dell’atto di incolpazione del 22.10.2013 con la quale la Procura della Disciplina presso il Ministero resistente ha promosso azione disciplinare contro il ricorrente nonché contro ogni altro atto e/o provvedimento ad essi sotteso e presupposto tra cui tutti gli atti della procedura antidoping effettuata sul cavallo " OMISSIS ";

con atto recante motivi aggiunti

per l’annullamento, previa sospensiva,

-della decisione della Commissione di disciplina di Appello presso il Mipaaf come sopra indicata;

- della decisione della Commissione di disciplina di prima istanza n. 155/14 del 24.9.2014, depositata in data 10.10.2014 con la quale è stata riconosciuta la disciplinare responsabilità dell’incolpato per violazione del vigente Regolamento antidoping in occasione della corsa effettuata dal cavallo in questione il 21.5.2013, presso l’Ippodromo OMISSIS;

- l’atto di incolpazione come sopra indicato;

- la relazione del Mipaaf e la nota dell’Unire Lab srl del 9.9.2016.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2017 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente impugna con il ricorso originario la decisione della commissione di disciplina di appello del MIPAAF (nonché quella della Commissione di Prima istanza) con cui è stata riconosciuta la sua responsabilità disciplinare perché il cavallo (OMISSIS), dallo stesso allenato, è stato trovato positivo ad un controllo antidoping per "benzoilecgonina e ecgonina metilestrere" (cocaina).

Il ricorso originario lamenta il vizio di omessa pronuncia per la mancata considerazione, da parte della Commissione di disciplina di appello, della recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sent. 1096/2015) dallo stesso invocata; l’erroneità della motivazione della Commissione circa la questione della necessità di accertare, con analisi quantitativa, il quantitativo di metabolita rinvenuto nel sangue del cavallo, visto che quantitativi al di sotto di 20 nanogrammi sono da ritenersi non rilevanti, come affermato dalla proposta di modifica del Regolamento per il controllo sull’uso di sostanze proibite di cui alla delibera n. 104 del 2009. Tali indicazioni sono anche quelle fornite dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra menzionata.

Deduce, inoltre, la violazione del Regolamento di procedura antidoping (art. 8) perché non risulterebbe agli atti il numero del sigillo del borsone termico nel quale era contenuto il campione di urine del cavallo. Inoltre, il citato articolo 8 del regolamento risulterebbe violato perché doveva essere l’ispettore a collocare materialmente il reperto dentro la borsa termica, mentre nel caso di specie (come risulta dal verbale di prelievo) l’attività in questione è stata svolta dal veterinario.

Ha quindi riprodotto tutti i motivi di impugnazione già dedotti dinanzi alla Commissione di disciplina.

All’udienza camerale del 15.7.2016, il Collegio ha disposto istruttoria, chiedendo in particolare: “una dettagliata e documentata relazione sui fatti di causa con particolare riferimento anche alla applicabilità o meno della delibera n. 104, adottata dal CdA dell’Unire il 16.3.2009, ai fini dell’accertamento della positività della sostanza proibita nonché l’effettiva quantità della stessa accertata all’equide nelle analisi effettuate; nelle more sono sospesi gli effetti del provvedimento impugnato;” (cfr. ord. Coll. N. 3992/2016).

L’amministrazione ha depositato una relazione nella quale ha in primo luogo confermato che per la rilevazione della presenza di cocaina il Ministero richiede ai laboratori di analisi di accertare il superamento della soglia dei 20 nanogrammi, come previsto dalla delibera n. 104 del 2009, ma che a tal fine non occorre effettuare una esame quantitativo della sostanza presente, essendo sufficiente una analisi c.d. “semi-quantitativa” che consente unicamente di accertare il superamento o meno della soglia consentita. In sostanza, la delibera n. 104 del 2009, pur non potendosi ritenere efficace sotto un profilo giuridico formale, svolge comunque una funzione di natura tecnico scientifica, ponendosi in piena sintonia con quanto previsto dagli ESL (European Screen Limits).

Per quanto riguarda, in particolare, il caso di specie il Ministero ha depositato una certificazione del laboratorio UNIRELAB dalla quale – sulla base di un’analisi semi-quantitativa – risulterebbe la presenza della sostanza dopante in misura assai superiore al limite di rilevanza invocato dal ricorrente.

Avverso tali atti, il ricorrente ha proposto motivi aggiunti, deducendo le seguenti doglianze:

1) violazione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e logicità, partecipazione, efficacia, buon andamento e tutela dell’affidamento, in quanto le analisi dovrebbero sempre riportare i quantitativi;

2) violazione dei principi di ragionevolezza, non contraddittorietà e logicità, perché la commissione di disciplina ha sempre affermato che non vi sarebbe un limite soglia sotto il quale non sarebbe riscontrata la presenza della sostanza dopante; inoltre, gli stessi criteri AORC invocati dalla amministrazione non garantirebbero il superamento della soglia limite, ma solo la mera presenza del metabolita;

3) violazione del principio di immediatezza e continuità del procedimento amministrativo, del divieto di aggravamento, in contrasto con l’art. 1, comma 2 della legge n. 241/90, in quanto il Ministero ha prodotto, in esecuzione della ordinanza del TAR, delle analisi recanti i dati di concentrazione della sostanza, asseritamente ottenuti mediante una “analisi semiquantitativa”, effettuata mediante il confronto con un campione di riferimento addizionato ad una concentrazione nota, presente nel campione di prima analisi. Dette analisi sarebbero prive di accreditamento. Inoltre, non sarebbe chiara la metodica con cui sono state effettuate queste ultime analisi, posto che il campione viene eliminato dopo 7 giorni dall’effettuazione del test (avvenuto nel caso in esame nel 2013). Inoltre, queste terze analisi sono state effettuate in assenza di un rappresentante di parte ricorrente. Si è trattato in sostanza di una procedura non ufficiale, non prevista dai protocolli AORC né dalle norme ISO 17025 e neppure approvata da Accredia.

4) contraddittorietà, difetto di motivazione ed illogicità poiché l’attestazione fornita da UNIRELAB in data 3 agosto 2016 è stata emessa in violazione delle norme ACCREDIA in quanto non contiene il riferimento al numero del rapporto di prova modificato o sostituito; non è indicata la modalità di svolgimento di questa analisi né l’ente certificatore.

L’avvocatura dello Stato si è costituita con una memoria ed ha preliminarmente eccepito il difetto assoluto di giurisdizione trattandosi di ordinamento sportivo, nonché il difetto relativo di giurisdizione in favore del giudice ordinario perché nel regolamento è prevista la clausola compromissoria.

Nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza camerale del 10 gennaio 2017, il Collegio ha disposto una seconda istruttoria, chiedendo:

“a) copia dell’atto di appello domestico redatto dalla parte ricorrente, proposto alla Commissione di Disciplina di Appello;

b) documentati chiarimenti in ordine alla normativa di riferimento (che è stata ritenuta applicabile al caso di specie), inclusa quella che disciplina la fissazione dei limiti quantitativi e qualitativi delle sostanze proibite;

c) documentati chiarimenti in ordine all’assunto – e sulla relativa fonte (di natura normativa, convenzionale, pattizia, negoziale e così via), che il laboratorio francese accreditato per le seconde analisi rileva la presenza delle sostanze proibite solo se in quantitativi superiori a 20 ng/ml;

Ritenuto che dovrà essere fornita indicazione delle previsioni in forza delle quali detto laboratorio è vincolato a certificare la presenza della sostanza proibita solo se rilevata in misura maggiore del dato percentuale sopra specificato; dovrà ulteriormente chiarirsi mediante quali tecniche il predetto laboratorio, che sulla base degli atti risulta praticare un metodo di indagine solo qualitativo, è in grado di affermare il riscontro di un valore quantitativo quale quello per cui è causa;”

L’amministrazione ha adempiuto alla seconda istruttoria, depositando la copia dell’atto di appello proposto dal ricorrente e della decisione di prima istanza in data 21 marzo 2017.

E’ stata inoltre depositata una relazione corredata da documenti.

All’udienza del 5 maggio 2017, la causa è stata riservata per la decisione.

I) Va in primo luogo disattesa l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice adito, come già ritenuto da questa Sezione nella sentenza n. 7098 del 16 giugno 2017.

A sostegno dell’eccezione di carenza di giurisdizione, l’Avvocatura deduce che nella fattispecie verrebbero in rilievo questioni interne all’ordinamento sportivo, laddove il risultato delle competizioni agonistiche è determinato da regole tecniche che non possono, per natura, generare posizioni di interesse legittimo o diritto soggettivo, non potendosi qualificare esse in termini di norme di relazione; l’eventuale inosservanza di norme “interne” dell’ordinamento sportivo risulterebbe così del tutto irrilevante nell’ordinamento generale (Cass. SSUU 26.10.1989, nr. 3499).

Secondo l’Amministrazione dovrebbe aversi riguardo all’art. 1, comma 2, del DL 220/03 che regola il riparto di giurisdizione tra l’ordinamento statale e quello sportivo – in tutte le sue articolazioni, inclusa l’ippica – secondo un principio di piena autonomia “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”, nell’ambito delle quali non rientrerebbero le sanzioni di cui si discute nell’odierno giudizio, come sembrerebbe ritenere la giurisprudenza più recente sulla base della considerazione che la norma non distingue gli effetti economici (Consiglio di Stato, 5782/08) e che il legislatore del 2003 non può non aver tenuto presente e considerato la rilevantissima entità di tale contenzioso (CGA Sicilia, n. 1048/07); a conferma di tale orientamento, la giustizia amministrativa (nella già richiamata decisione nr. 5782/08 del Consiglio di Stato) ha trattenuto la giurisdizione in ordine alla (sola) pretesa risarcitoria, che non è esperibile di fronte alla giustizia sportiva (e dunque rischierebbe di cadere in un vuoto di tutela); la sentenza nr. 49/2011 dalla Corte Costituzionale, ha del resto considerato la tutela risarcitoria una forma alternativa alla tutela di annullamento, pienamente effettiva; confermerebbe tale impostazione la introduzione, nel codice del processo amministrativo del 2010, della previsione di cui alla lett. “z” dell’art. 133 sulla giurisdizione esclusiva.

In via subordinata, la giurisdizione andrebbe riconosciuta al giudice ordinario e precisamente il collegio arbitrale previsto dal regolamento del MIPAAF (che giudica irritualmente entro trenta giorni).

A sostegno della giurisdizione, militerebbe l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dell’Ente attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza, affievolendole in posizioni di interesse legittimo (così Cons. Stato, VI, 20 dicembre 1993, n. 996; TAR Lazio, III, 1591 del 14 novembre 2003; TAR Marche, sentenza nr. 16/2017).

Dall’esame della disciplina derivante dal RD 24 maggio 1932, n. 624 e l. 24 marzo 1942, nr. 315, risulterebbe poi da considerare la natura di ente strumentale dello Stato, propria dell’UNIRE, in relazione all’attività di vigilanza sulle corse dei cavalli, in ragione della quale il provvedimento sanzionatorio irrogato in tale funzione risulta perseguire finalità di interesse generale (TAR Bolzano, sentenza nr. 186/2011). Da qui, la diversità tra le Federazioni Sportive, tra cui la FISE, che confluiscono nel CONI e l’UNIRE; l’equitazione, sorretta dalla FISE, sarebbe disciplina anche sportiva diversa dall’ippica, che è oggetto di competenze dirette del MIPAAF (dopo la trasformazione dell’UNIRE nell’ASSI e poi la confluenza delle relative competenze in capo alla gestione diretta del Ministero); non troverebbe pertanto applicazione all’Ippica la previsione di cui all’art. 3, comma 1, del DL 220/2003, conv. in legge 280/03 che regola la cognizione delle controversie sportive nell’ambito delle associazioni federate nel CONI.

Osserva il Collegio che le disposizioni che regolano la c.d. “pregiudiziale sportiva” e la connessa limitazione della giurisdizione del giudice amministrativo presuppongono una nozione di “ordinamento sportivo” che non consente di includervi – come prospetta l’avvocatura – anche le sanzioni erogate direttamente dal MIPAAF nell’ambito delle proprie prerogative di controllo del settore dell’Ippica, materia in precedenza affidata alle competenze dell’UNIRE e poi dell’ASSI.

Invero, la norma di cui all’art. 2 e 3 del DL 220/03, nel riconoscere l’autonomia dell’ordinamento sportivo, presuppone a disciplina di quest’ultimo l’istituzione e l’organizzazione del CONI, ente con personalità giuridica di diritto pubblico e delle Federazioni sportive nazionali di cui al d.lgs. 242/1999; per effetto dell’adesione a tali organismi, gli associati si assoggettano all’azione dei relativi organi di controllo e di giurisdizione domestica, entro un ambito che lo Stato riconosce e tutela.

Si tratta, in altri termini, di una evidente condizione di pluralità degli ordinamenti o pluralismo istituzionale, nell’ambito della quale il confine tra l’ordinamento giuridico pubblico e quello sportivo è dato non già da una definizione materiale di competenze - dell’uno e dell’altro - ma dalla dimensione propriamente organizzativa ed istituzionale del secondo, che il primo riconosce e tutela, nel presupposto che un ordinamento si sostanzia non solamente nelle norme che produce, ma anche e prima ancora nell’articolazione della struttura che tali norme pone (appropriato è, in questo caso, il richiamo al noto principio affermato da una qualificata dottrina, risalente ma tutt’ora attuale, secondo cui “ogni ordinamento giuridico è un'istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico: l'equazione fra i due concetti è necessaria ed assoluta”).

Del resto, anche sotto il profilo strettamente oggettivo delle attività, non può non riconoscersi il dovuto rilievo alla differenza tra l’ippica – intesa come attività volta in generale alla promozione del cavallo e delle relative attività – e l’equitazione – attività propriamente sportiva che, pur rientrando nella nozione più generale della prima, se ne differenzia sotto il profilo della competizione agonistica.

Deve quindi rammentare il Collegio che la competenza del MIPAAF in ordine alla disciplina dell’ippica trova titolo in una strutturata (e risalente) evoluzione normativa.

Più precisamente, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali è subentrato all’ASSI, che a sua volta, era subentrato all’UNIRE, a norma, rispettivamente, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449 (recante norme circa il riordino dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), ex art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59), e della legge 15 luglio 2011 n. 111, istitutiva dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) quale successore ex lege dell'UNIRE; vengono in rilievo, nel prosieguo, il decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, recante, tra l'altro, la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, e l’art. 23 quater, comma 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (che, nel prevedere la soppressione dell’ASSI , ne ha ripartito le funzioni tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzie delle Dogane e dei monopoli).

In forza di tali presupposti normativi è stato poi adottato il decreto interministeriale 31 gennaio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, registrato alla Corte dei Conti il 25 febbraio 2013, reg. 2, fgl. 215, con il quale, tra l'altro, sono state attribuite al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le funzioni già riconosciute all'ex ASSI dalla normativa vigente ( ad eccezione delle competenze relative alla certificazione delle scommesse sulle corse dei cavalli affidate all'Agenzia delle dogane e dei monopoli); con il successivo DPCM 27 febbraio 2013, n. 105, rubricato «Regolamento recante organizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a norma dell'art. 2, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 17 settembre 2013», e l’art. 7, comma 2, del precitato decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sono state regolate le norme e le strutture disciplinari già appartenenti agli enti incorporati, in considerazione delle specifiche caratteristiche tecniche delle modalità di gara.

Nel descritto contesto normativo si radicano competenze specifiche ben più ampie ed estese di quelle relative alle competizioni agonistiche in quanto tali, come il compito di concorrere alla tutela dell'incolumità ed al mantenimento dei cavalli sottoposti a “trattamenti dopanti” (art.2 del d.lgs n.499 del 1999) o anche quello che individua tra le finalità (già dell’) UNIRE la ricerca scientifica nel settore dell'allevamento, dell'allenamento e dell'antidoping, oppure il controllo della regolarità di tutte le attività relative alle corse (art.12 del d.P.R. n.169 del 1998); l'organizzazione delle corse dei cavalli; la programmazione dello sviluppo del settore dell'ippicoltura in tutte le sue componenti tecniche, economiche, sociali, culturali e promozionali; la programmazione tecnica ed economica delle corse e delle altre forme di competizione; la predisposizione “del calendario delle manifestazioni ippiche”; il coordinamento dell'attività degli ippodromi; la determinazione degli stanziamenti relativi ai premi ed alle provvidenze; la promozione di iniziative previdenziali e assistenziali in favore dei fantini, dei guidatori, degli allenatori e degli artieri e così via.

Non è senza rilievo, infine, che, in maniera del tutto simmetrica, successivamente all'entrata in vigore d.P.R. 8 aprile 1998 n. 169, recante il regolamento di attuazione dell'art. 3 comma 78 l. 23 dicembre 1996 n. 662 (che, abrogando la precedente riserva all'Unire, ha affidato le competenze per l'organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli ai ministeri delle finanze e delle risorse agricole, alimentari e forestali, sia pur consentendo loro di provvedervi direttamente ovvero a mezzo di enti pubblici, società o allibratori da essi individuati) è stata devoluta alla giurisdizione tributaria la domanda proposta dal titolare di un'agenzia ippica per ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato a titolo di imposta sulle scommesse relative alle corse dei cavalli (cfr. Cassazione civile sez. un. 23 aprile 2009 n. 9672 ), a significare come anche sotto il profilo tributario viene in rilievo un’attività sostanzialmente amministrativa pienamente riconducibile all’autorità ministeriale in quanto soggetto titolare di competenze di interesse generale.

Essendo il complesso di tali interessi di livello tale da costituire una delle funzioni della riserva statale (sia sul piano dell’organizzazione della funzione, sia su quello, correlato, della gestione delle entrate ad essa connesse), ne consegue che le iniziative disciplinari e sanzionatorie non possono che sussumersi nell’ambito di detta riserva di competenze che presuppone l’esercizio di attività pubblicistiche vere e proprie e la cui cognizione, in caso di controversia, seguirà il normale riparto tra interessi legittimi e diritti soggettivi, con conseguente impossibilità di configurare neppure quella riserva di giurisdizione di tipo arbitrale cui, in subordine, si riferisce l’Avvocatura.

Conclusivamente, va affermato il principio secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate dal MIPAAF a carico di allenatori o fantini o proprietari di cavalli a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dello stesso Ente in relazione all’attività ippica che lo stesso Ministero è tenuto ad organizzare e sulla quale esercita il proprio diretto controllo attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, estranei all’ambito di applicazione del DL 220/03 ed idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza.

II) Nel merito, si osserva quanto segue.

Devono essere anteposte alla trattazione dei motivi di ricorso alcune considerazioni inerenti il rapporto tra il ricorso giurisdizionale ed il gravame domestico di fronte alla commissione di disciplina.

La sanzione disciplinare è assistita da una procedura particolarmente qualificata, all’esito della quale la Commissione di appello può (al pari di quanto avviene nei ricorsi gerarchici) annullare la decisione della Commissione di disciplina ovvero confermarla definitivamente (effetto quest’ultimo che si verifica ovviamente anche ove l’interessato non appelli entro il termine perentorio prescritto; cfr, Consiglio di Stato sez. III 25 settembre 2012 n. 5089 e sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5554, secondo cui l'Autorità investita di un ricorso gerarchico ha il potere-dovere di riesaminare integralmente la fattispecie, facendosi carico sia dei profili di legittimità e sia di quelli merito, sicché il suo provvedimento, anche se confermativo, assorbe e sostituisce quello dell'organo sottordinato).

Una volta esperito l’appello domestico (laddove di fronte alla Commissione di appello vanno dedotti tutti i motivi ritenuti idonei a fondare la pretesa di illegittimità dell’atto avversato), l’impugnazione di fronte al GA della decisione della Commissione di appello, non potrà che avere riguardo alla compiutezza di quest’ultimo atto e dovrà essere coincidente con i medesimi motivi dedotti in sede domestica – pena l’inammissibile violazione del termine decadenziale rispetto alla sanzione – con la conseguenza che non potranno essere fatti valere motivi nuovi (cfr. Cons. St. sez. VI, 02/07/2015, n. 3299; Cons. St., sez. V, 15 marzo 2012, n. 1444: in sede di ricorso giurisdizionale proposto contro una decisione adottata a seguito di ricorso gerarchico sono inammissibili i motivi nuovi di ricorso che non siano stati proposti nella predetta sede contenziosa amministrativa; ciò al fine di evitare che la mancata impugnativa di un atto asseritamente illegittimo attraverso il rimedio giustiziale e la sua successiva impugnativa -per saltum- con il rimedio giurisdizionale possa costituire la via attraverso la quale eludere l'onere di impugnare tempestivamente l'atto nell'ordinario termine decadenziale ), ad eccezione, ovviamente, di ragioni attinenti a vizi propri della decisione.

Alla luce di tali considerazioni vanno in primo luogo dichiarate inammissibili, in quanto non presenti nell’atto di appello, le doglianze di cui al sesto e settimo motivo del ricorso originario concernenti la violazione del Regolamento di procedura antidoping (art. 8) perché non risulterebbe agli atti il numero del sigillo del borsone termico nel quale era contenuto il campione di urine del cavallo. Inoltre, il citato articolo 8 del regolamento risulterebbe violato perché doveva essere l’ispettore a collocare materialmente il reperto dentro la borsa termica, mentre nel caso di specie (come risulta dal verbale di prelievo) l’attività in questione sarebbe stata svolta dal veterinario.

Le suddette censure sono comunque anche infondate nel merito.

In primo luogo, infatti, dall’esame degli atti prodotti in giudizio non si evince alcuna anomalia nei sigilli in quanto il campione B risultava contenuto in una borsa più piccola, in plastica, recante il numero di sigillo 4314779, posta all’interno del borsone recante sigillo 2102914. In sostanza, come ha spiegato la difesa erariale e come si evince anche dalla lettura del verbale di apertura delle seconde analisi (all. 8 della produzione di parte ricorrente), vi erano semplicemente due sigilli: uno per il borsone termico e l’altra per ogni singolo campione, contenuto in una borsa di plastica.

Risulta inoltre dal verbale di prelievo antidoping (all. 2 della produzione dell’Avvocatura erariale) la firma non solo del veterinario ma anche dell’ispettore antidoping.

Venendo dunque alle ulteriori censure svolte nel ricorso originario, osserva il Collegio che l’amministrazione nelle relazioni depositate ha chiarito che il limite dei 20 nanogrammi per millilitro per la rilevazione della positività alla cocaina viene rispettato dai laboratori che effettuano le analisi per il controllo antidoping accreditati in Italia.

E ciò in primo luogo in applicazione dei criteri internazionali di rilevazione degli screen limits (ILS) i quali prevedono anch’essi il limite del 20 nanogrammi/ml per la benzoilecgonina.

Inoltre, in applicazione delle indicazioni contenute nella delibera n. 104/2009, invocata dal ricorrente nelle sue difese, la quale, pur non avendo portata precettiva (in quanto essa non è stata mai approvata dal MIPAAF) è comunque rilevante come parametro tecnico-scientifico e corrisponde alle indicazioni fornite dal Ministero all’UNIRELAB.

Risulta pertanto che l’amministrazione si sia uniformata alle indicazioni che il Consiglio di Stato aveva fornito nella sentenza n. 1096/2015, menzionata dal ricorrente, nel primo motivo di ricorso, secondo la quale la delibera n. 104/2009 deve ritenersi un parametro di valutazione tecnico scientifica, tale da escludere l’effetto dopante per concentrazioni inferiori alla soglia di 20 ng/ml d sostanza.

La circostanza, attestata dagli uffici ministeriali nella relazione in atti e risultante dall’esame delle analisi di UNIRELAB (cfr. all. 8 della produzione di parte ricorrente), che la positività riscontrata corrisponda al superamento della soglia di 20 ng/ml, consente di ritenere superata la censura di cui al primo motivo di ricorso di omessa pronuncia sulla circostanza da parte della Commissione di disciplina di appello, dovendosi respingere nel merito la censura in esame. Va inoltre per le stesse ragioni respinta la censura di cui al quinto motivo di ricorso, avente sostanzialmente identico contenuto.

Per identiche ragioni va respinto anche il secondo motivo del ricorso originario, con il quale parte ricorrente lamenta proprio l’asserito mancato rispetto del limite dei 20 ng/ml.

La questione a questo punto deve essere esaminata con riferimento alle metodiche utilizzate per effettuare tale rilevazione. E’ su questo profilo che si appunta il terzo motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente lamenta che non sia stata fatta una analisi quantitativa ma sia solo stata riscontrata la presenza del metabolita in questione.

Sostiene in sostanza parte ricorrente che solo tramite l’effettuazione di un’analisi quantitativa i laboratori avrebbero potuto certificare il superamento della soglia dei 20 nanogrammi/ml.

Tale prospettazione non può essere accolta.

Come rilevato dalla difesa del ministero resistente e dalla relazione prodotta, la procedura per il controllo antidoping prevede che le analisi debbano essere effettuate con il metodo qualitativo per tutte le sostanze, tranne quelle di cui all’allegato 2 del RCSP, per le quali è previsto che si debba effettivamente verificare l’esatta quantificazione della sostanza.

Al fine di consentire il rispetto degli ISL (international screening limits) ed ESL: (european screening limits) ossia dei limiti di concentrazione, il cui non superamento, determina una dichiarazione di negatività del campione pur in presenza del principio attivo i laboratori di analisi autorizzati e accreditati effettuano una analisi cd SEMIQUANTITATIVA. Tali limiti solo rilevanti per le sostanze di cui all’allegato 1 del Regolamento, in quanto dette sostanze, di tipo farmacologico, possono anche essere usate a fini medici e possono quindi essere lecitamente presenti in quantitativi minimi.

Con riferimento a molecole di tipo non propriamente farmacologico (tra cui, ad esempio, la Benzoilecgonina BZE) ma rispetto alle quali risultano evidenze scientifiche circa gli effetti dopanti, sono stati introdotti analoghi limiti, gli HSL (Harmonized screening limits), essendosi ravvisata talvolta la possibilità di un inquinamento ambientale o comunque di una presenza talmente marginale della sostanza tale da non determinare alcun effetto dopante.

Per la cocaina in particolare (Benzoilecgonina BZE) tale limite a livello internazionale è costituito dalla soglia dei 20 ng/ml).

In tutti questi casi, i laboratori devono effettuare un’analisi denominata semiquantitativa che consiste esclusivamente nel rilevare il superamento del livello al di sopra della quale è stabilito che la sostanza abbia effetti “dopanti”, senza alcuna necessità di verificarne la quantità esatta.

La procedura prevede che sia effettuato un confronto con un campione di riferimento addizionato ad una concentrazione nota.

Il Dossier analisi del campione A del cavallo OMISSIS, in atti (all. 8), mostra come si siano svolta le prime analisi.

In primo luogo è stata fatta un’analisi di urina bianca negativa; poi l’analisi dell’urina del campione; poi l’analisi di un bianco di sistema; infine l’analisi del campione di riferimento addizionata con Benzoilecgonina. Si è proceduto quindi all’esame dei cromatogrammi. Il confronto tra i cromatogrammi relativi al campione di urina del cavallo in esame e quelli relativi al campione di riferimento addizionato della quantità limite della sostanza da analizzare (Benzoilecgonina BZE ) ha consentito di verificare il superamento della soglia di concentrazione ammessa.

Si tratta di dati analitici conformi a criteri di identificazione AORC, che il laboratorio UNIRELAB rispetta.

Le seconde analisi si sono svolte presso il laboratorio antidoping di UNIRELAB sito in Settimo Milanese. Esse hanno riportato esito positivo.

Il dossier di analisi del campione B (cfr. all. 8 al ricorso), relativo alle seconde analisi svolte dal laboratorio di Settimo Milanese mostra che il criterio utilizzato è lo stesso delle prime analisi e cioè: “l’Analogia dell’analita con le sostanze di riferimento”.

Nella nota, in calce al referto di analisi, si specifica: “le liste di riferimento descrivono la minima capacità analitica richiesta per stabilire la presenza di sostanze proibite (..)”. Segue poi il riferimento al rispetto dei criteri AORC (Accreditation and Operating Criteria for Horseracing Laboratories).

Deve dunque ritenersi che pur in mancanza di un’analisi quantitativa il metodo utilizzato consenta di verificare il superamento del limite di rilevanza per la presenza della sostanza dopante, nel rispetto degli standard internazionale fatti propri e rispettati dai laboratori di analisi che seguono i criteri AORC, quale è sicuramente UNIRELAB.

La censura deve pertanto essere respinta.

Per identiche ragioni va respinta anche la doglianza di cui al quarto motivo di ricorso con cui parte ricorrente lamenta la mancanza di analisi quantitative anche in occasione delle seconde analisi.

Come si è visto, infatti, tanto in sede di prime analisi che di seconde analisi si è fatto uso della metodica dell’analisi semiquantitativa, che consente di verificare il superamento della soglia limite di rilevanza dopante della sostanza.

In conclusione il ricorso originario va respinto.

Il ricorso per motivi aggiunti ha ad oggetto l’impugnativa della relazione resa dalla amministrazione in esito alla ordinanza istruttoria di questo TAR e la nota UNIRELAB ad essa allegata recante una determinazione quantitativa della sostanza rinvenuta nel campione esaminato.

Ed infatti l’amministrazione, al fine di adempiere alle richieste istruttoria del tribunale ha depositato una nota di UNIRELAB in data 3.8.2016 recante indicazioni di quantificazione della sostanza in esame, indicazioni che sono state elaborate attraverso un’analisi di tipo semiquantitativo, “tramite il confronto con un campione di riferimento addizionato ad una concentrazione nota”. Da dette analisi è emersa la presenza della Benzoilecgonina BZE in midura di 90 ng/ml nel campione A e 140ng/ml nel campione B.

L’avvocatura dello Stato ha spiegato che tale ultima analisi è stata svolta ex post, non essendo più disponibile alcun campione di urina, semplicemente confrontando i cromatogrammi presenti in atti con quelli di un campione di riferimento di urina bianca addizionato di quantità note di sostanza.

Si tratta di una sorta di analisi semiquantitativa più precisa perché volta ad individuare, sempre in maniera induttiva e comparativa, la quantità di sostanza presente.

Con riferimento alla metodologia e le condizioni in cui sono state effettuate tali analisi, parte ricorrente ha svolto varie censure di natura procedimentale e sostanziale nel ricorso per motivi aggiunti.

Ritiene tuttavia il Collegio che dette censure possano ritenersi tutte improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse alla luce della reiezione del ricorso originario per le ragioni che si sono sopra dette.

Infatti, una volta che la sanzione confermata dalla Commissione di disciplina di appello è stata ritenuta da questo Tribunale fondata su analisi idonee a comprovare il superamento della soglia dei 20ng/ml invocata da parte ricorrente, nessun interesse può vantare la parte all’annullamento di una successiva nota di UNIRELAB recante una quantificazione della sostanza (effettuata peraltro con metodo induttivo e comparativo), posto che di tale accertamento non è stato fatto uso nel procedimento né esso è stato ritenuto rilevante da questo Collegio ai fini di stabilire la validità e correttezza delle prime e seconde analisi effettuate.

Il ricorso per motivi aggiunti pertanto va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Le spese possono essere compensate attesa la complessità e parziale novità delle questioni.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, integrato da motivi aggiunti, così provvede:

Respinge il ricorso originario;

Dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso per motivi aggiunti;

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 5 maggio 2017, 6 giugno 2017, con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere

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