CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 154/2021

Pubblicato il 05/01/2021

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Masala, Stefano Mattii, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto come in atti;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Masala, Stefano Mattii, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la revocazione

quanto ai ricorsi n. 2006 del 2018 e n. 5169 del 2019:

della sentenza -OMISSIS- del 21 novembre 2018 della Sezione Terza di questo Consiglio di Stato, resa tra le parti, concernente la sospensione della qualifica di allenatore nei confronti di -OMISSIS-.

Visti i ricorsi in revocazione e i relativi allegati;

Visto gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. n. 137/2020;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2020 il Cons. Stefania Santoleri; quanto alla presenza delle parti si fa rinvio al verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. - Con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. Terza, n. -OMISSIS-, è stato respinto l’appello avverso la sentenza del TAR Lazio n. -OMISSIS- che aveva ritenuto legittima la decisione -OMISSIS- della Commissione di disciplina in sede di appello del M.I.P.A.A.F. Dip. P.Q.A.I. VII – Corse e Manifestazioni ippiche, con cui era stata confermata la sanzione disciplinare, già irrogata al Sig. -OMISSIS- con decisione -OMISSIS- della Commissione di primo grado, della sospensione dalla qualifica di allenatore per 12 mesi e della multa di € 3000, per la positività del prelievo, eseguito il -OMISSIS- sul cavallo -OMISSIS-, da lui allenato, alla sostanza stupefacente “BENZOILECGONINA” (BZE).

Nel giudizio dinanzi al TAR il ricorrente aveva sostenuto che il laboratorio francese che aveva eseguito le seconde analisi, su sua espressa richiesta, non aveva verificato il superamento della soglia di rilevanza di 20 ng/ml, stabilita con delibera 104 adottata dal Consiglio di Amministrazione dell’Unire in data 16/3/09: il ricorrente aveva sottolineato, infatti, che il laboratorio francese aveva eseguito unicamente l’analisi qualitativa, e non un’analisi quantitativa come da lui richiesto, sostenendo che solo con questo tipo di analisi si sarebbe potuto accertare se la concentrazione della sostanza vietata (bencoilecgonina) fosse stata superiore al valore limite di 20 ng/ml.

Il TAR aveva disposto un’ordinanza istruttoria chiedendo chiarimenti all’Amministrazione.

Dopo aver esaminato la relazione dell’Amministrazione il TAR aveva respinto l’istanza cautelare.

L’ordinanza del TAR era stata confermata in appello, ma – in seguito alla proposizione dell’istanza di revoca ex art. 58 c.p.a. – questa Sezione, con ordinanza n. -OMISSIS-, aveva revocato la precedente ordinanza di rigetto ed aveva accolto l’istanza cautelare sul presupposto che il laboratorio francese non aveva trasmesso la valutazione quantitativa della bencoilecgonina e che, in assenza di tale valutazione, non sarebbe stato possibile affermare con certezza il superamento del valore soglia da parte del metabolita.

2. - Come già anticipato, con la sentenza n. -OMISSIS- il TAR aveva respinto il ricorso; in sede di appello avverso tale sentenza l’appellante aveva dedotto plurime doglianze che possono così riassumersi:

1) “illogicità manifesta; travisamento dei fatti; erroneità nel percorso logico giuridico della parte motiva”;

2) errori di presupposto e nel ritenere sufficiente l’analisi semiquantitiva per accertare il superamento della concentrazione di 20 ng/ml per cocaina e suoi metaboliti;

3) errore di fatto nel ritenere che le I e II analisi fossero semiquantitative laddove, invece, si trattava di analisi solo qualitative;

4) violazione dell’art. 1 della legge 241/90 come modificata dalla legge 15/05, difetto di imparzialità dell’azione amministrativa:

5) mancato accoglimento della domanda risarcitoria.

Questa Sezione, con la sentenza revocanda -OMISSIS-/2018, ha rigettato le doglianze proposte.

3. - Con due ricorsi per revocazione (aventi identico contenuto), depositati - il primo - all’interno del fascicolo di causa RG 2006/2018 (relativo al giudizio di appello), ed il secondo in via autonoma nel fascicolo RG 5169/2019 (relativo al solo giudizio di revocazione), il ricorrente ha chiesto la revocazione della sentenza -OMISSIS-/2018 articolando cinque motivi di impugnazione.

3.1 - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che, in data 13/11/2020, ha depositato (nel fascicolo RG 5169/2019) una memoria a sostegno delle proprie tesi difensive.

3.2 - Il ricorrente ha depositato, in data 23/11/2020, una memoria di replica contestando la prospettazione difensiva dell’Amministrazione.

4. - All’udienza pubblica del 15 dicembre 2020, i due ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

5. - I ricorsi per revocazione RG 2006/2018 e RG 5169/2019, che vanno riuniti ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a., in quanto proposti avverso la stessa sentenza, sono inammissibili.

6. - Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio revocatorio ex art. 395 n. 4 c.p.c. sostenendo che la sentenza revocanda non avrebbe deciso il terzo motivo di appello con il quale era stato censurato che il TAR, per errore di percezione, non aveva colto che le prime e seconde analisi non erano state neanche semiquantitative, ma esclusivamente qualitative, e che pertanto non avrebbero stimato la concentrazione della benzoilecgonina rinvenuta sull’urina equina, circostanza essenziale per l’applicazione della sanzione, in quanto la sostanza è vietata solo se supera la concentrazione di 20ng/ml (valore soglia).

Nel giudizio di appello il Sig. -OMISSIS- aveva sottolineato che anche le analisi del laboratorio francese avevano accertato la presenza di benzoilecgonina nelle urine, ma non avevano stimato la sua concentrazione, e che, quindi, avrebbero dovuto ritenersi irrilevanti dal punto di vista disciplinare.

6.1 - Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto che nella sentenza revocanda questa Sezione, pur avendo compreso la terza doglianza, non l’avrebbe esaminata, essendosi limitata a statuire che “il valore riscontrato superava di più di tre volte il limite dei 20ng/ml”.

7. - Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio ex art. 395 n. 4 c.p.c, sostenendo che la sentenza sarebbe caduta in errore di percezione per aver utilizzato il dato dei 70ng/ml per decidere, sebbene tale dato di fatto non sarebbe esistito, in quanto:

- le prime analisi non avrebbero misurato la concentrazione della sostanza vietata;

- tale misurazione sarebbe stata effettuata da -OMISSIS- durante il processo di primo grado il 3 agosto 2016 senza contraddittorio;

- erroneamente nella sentenza revocanda sarebbe stato assegnato tale dato quantitativo alle prime analisi del 2014, confermato dalle seconde analisi;

- il dato relativo alla concentrazione del metabolita non sarebbe stato utilizzato dal TAR per la propria decisione: tale statuizione non sarebbe stata appellata e, quindi, questa Sezione non avrebbe potuto utilizzare tale elemento.

7.1 - Le due doglianze, che possono essere esaminate unitamente in quanto strettamente connesse, sono inammissibili.

L'articolo 106 c.p.a. dispone che "salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile".

L'articolo 395 c.p.c. prevede, tra i casi di revocazione, l'ipotesi in cui ( n. 4) "la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare".

Sicchè la "svista" che consente la proposizione del ricorso per revocazione, tendenzialmente eccezionale anche in caso di cd. revocazione ordinaria (cfr. Cass. n. 1957/83), è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dalla omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale.

L'errore di fatto revocatorio deve, infatti, cadere su atti o documenti processuali (Consiglio di Stato, A.P., 22 gennaio 1997, n. 3 ; sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499; sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607 ; sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1145); non sussiste vizio revocatorio se la lamentata erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice (Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343).

Costituiscono, infatti, vizi logici e, dunque, errori di diritto quelli consistenti nella erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione ( Cons. stato, sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4811; sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599).

7.2 - Detti principi sono stati riaffermati dall’Adunanza Plenaria n. 5 del 24.1.2014, secondo cui l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 106 cod. proc. amm., deve essere caratterizzato:

a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) dall'essere stato un elemento decisivo della sentenza da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

L'errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

In materia, questo Consiglio di Stato ( sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503) ha avuto modo di affermare, con considerazioni che si intendono ribadite nella presente sede, che l'istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, ribadendosi, ancora una volta, che l'errore di fatto revocatorio deve cadere su atti o documenti processuali (Consiglio di Stato, A.P., 22 gennaio 1997, n. 3 ; sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499; sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607 ; sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1145) e che non sussiste vizio revocatorio se la lamentata erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice (Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343).

7.2 – Nel caso di specie le censure sono state oggetto di puntuale valutazione da parte del giudice nei due gradi di giudizio; non ricorre, infatti, alcun abbaglio dei sensi, ma, semplicemente, in entrambi i gradi non è stata condivisa la prospettazione della parte ricorrente.

In particolare, nella sentenza di appello della quale è stata chiesta la revocazione, la Sezione ha ritenuto l’applicabilità della delibera del CdA dell’UNIRE del 16/3/2009; la procedura per il controllo antidoping prevede che le analisi debbano essere effettuate con il metodo qualitativo per tutte le sostanze (presenza/assenza) tranne quelle di cui all’allegato 2 del RCSP, tra cui non rientra la sostanza in questione; la positività delle prime analisi (che presuppone il superamento della soglia limite) è stata confermata dalle seconde: la Sezione ha quindi precisato che “il compito del laboratorio francese non era affatto quello di accertare la generica presenza di benzoilecgonina ma di verificare se il risultato di positività del primo accertamento trovasse conferma”; “il centro francese ha concluso le analisi di controllo sul secondo campione – derivante da un unico prelievo – con un giudizio di positività, sull’evidente ed indiscutibile presupposto che la quantità di metabolita rinvenuto nel secondo test fosse quantitativamente superiore al limite europeo giuridicamente rilevante ai fini del doping”; “Se così non fosse stato il risultato delle seconde analisi del laboratorio francese sarebbe infatti stato “negativo”; conseguentemente “la mancata indicazione del quantitativo di benzoilecgonina era giuridicamente irrilevante”; ha quindi ritenuto che “la pretesa del ricorrente che, in sede di seconda analisi, fosse effettuata l’analisi quantitativa, appare senz’altro infondata”.

Ne consegue che la questione introdotta con i primi due motivi di revocazione è stata esaminata e respinta dalla Sezione, con conseguente inammissibilità delle doglianze.

7.3 - A ciò occorre aggiungere che gli aspetti relativi all’asserita violazione del giudicato, a seguito della valutazione della concentrazione del metabolita nella misura di 70ng/ml, – ove fossero fondati –, potrebbero al più costituire errori di diritto, ma non certamente errori di fatto, con conseguente inammissibilità anche di tale profilo di doglianza.

8. - Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 395 n. 5 c.p.c., sostenendo la contrarietà della sentenza ad altra avente efficacia di giudicato tra le parti: secondo il ricorrente, infatti, la decisione revocanda sarebbe contraria alla sentenza di primo grado che aveva escluso che nel procedimento fosse stata accertata la quantità di metabolita rinvenuta nell’urina del cavallo -OMISSIS-.

Secondo il ricorrente, quindi, la Sezione non avrebbe potuto prendere in considerazione il dato relativo alla concentrazione della sostanza BZE nella misura di 70ng/ml, tenuto conto che il giudice di primo grado non aveva preso in considerazione tale dato, assunto al di fuori del procedimento amministrativo e in assenza di contraddittorio.

8.1 - Anche tale doglianza è inammissibile.

Possono qui richiamarsi i principi espressi dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nella decisione del 6 aprile 2017 n. 1 secondo cui il rimedio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 5 c.p.c. presuppone la sussistenza cumulativa dei seguenti presupposti:

(a) il contrasto della sentenza revocanda con un’altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata sostanziale;

(b) la mancata pronuncia sulla relativa eccezione da parte del giudice della sentenza revocanda.

8.2 - Il primo presupposto postula che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi su cui si sia espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima

Infatti, perché una sentenza possa considerarsi contraria ad un precedente giudicato, occorre che le decisioni a confronto risultino fra loro incompatibili in quanto dirette a tutelare beni ed interessi di identico contenuto, nei confronti delle stesse parti, con riferimento ad identici elementi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) confluiti nel decisum. (per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 31 luglio 2008, n. 3816, e l’ivi richiamata giurisprudenza amministrativa e civile)

Inoltre, il contrasto, quale incompatibilità tra due pronunce decisorie che accertino e/o conformino in modo tra di loro antitetico (in tutto o in parte) una stessa situazione giuridica soggettiva, non può che manifestarsi in relazione a sentenze aventi un contenuto decisorio di merito, suscettibili di acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale (art. 2909 cod. civ.), per cui non è configurabile in relazione a sentenze (o ad altri provvedimenti giudiziali a queste assimilabili) a mero contenuto processuale.

8.3 - Il secondo presupposto richiede che il precedente giudicato formatosi sulle sentenze, con le quali la sentenza revocanda si assume essere in contrasto, sia rimasto del tutto estraneo al thema decidendum su cui si sia pronunciata la sentenza revocanda.

Essendo, inoltre, la sussistenza della cosa giudicata esterna rilevabile d’ufficio dal giudice (v., ex plurimis, Con. Stato, Sez. III, 11 febbraio 2015, n. 725; Cass. Civ., 27 luglio 2016, n. 15627; id., 6 giugno 2011, n. 12159), il rimedio della revocazione per contrasto con un precedente giudicato è sperimentabile non per il semplice fatto che non sia stata sollevata in proposito un’eccezione, ma perché la circostanza del mancato rilievo dell’eccezione sia accompagnata da una situazione processuale che non abbia consentito al giudice di rilevarne d’ufficio l’esistenza, ossia dalla mancata allegazione (e produzione) in giudizio della sentenza passata in giudicato prima della pubblicazione della sentenza revocanda, con la quale quest’ultima si assume essere in contrasto. Ne deriva che il mancato rilievo dell’eccezione giustifica la proposizione della revocazione soltanto se la sentenza, assistita dall’autorità della cosa giudicata, sia stata pronunciata in altro separato giudizio, mentre, se la cosa giudicata promana da una sentenza pronunciata nello stesso giudizio, è garantita la rilevabilità anche d’ufficio (facendo i provvedimenti del giudice parte del fascicolo d’ufficio, ai sensi dell’art. 5, comma 3, allegato 2, cod. proc. amm.), sicché anche in tali casi l’eventuale violazione della cosa giudicata (al pari dell’ipotesi in cui l’interessato abbia eccepito il giudicato esterno, ma l’eccezione sia stata erroneamente respinta) si risolve in un error in iudicando (o, a seconda dei punti di vista, in un error in procedendo) sottratto al rimedio della revocazione.

8.4 - Deve escludersi la sussistenza dei presupposti richiesti per la proposizione della revocazione ex art. 395, n. 5), cod. proc. civ., nei confronti della originaria sentenza di cognizione: difetta infatti in radice il presupposto del contrasto tra giudicati che non può che riguardare giudicati tra loro “esterni” e non certo sentenze rese all’interno di un processo, funzionalmente unitario.

Ne consegue che il terzo motivo, diretto a sostenere il conflitto tra giudicati tra la sentenza di primo e secondo grado deve ritenersi inammissibile.

9. - Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c. derivante dall’erronea applicazione del regolamento in relazione alla qualificazione delle seconde analisi: la doglianza è inammissibile ed infondata in quanto, ove pure fosse stato mal interpretato il regolamento, tale vizio dovrebbe qualificarsi come errore di diritto e non di fatto; in ogni caso tale vizio neppure sussiste, perché la Sezione ha ben chiarito la natura confermativa delle seconde analisi.

10. - Quanto alla domanda risarcitoria, il mancato superamento della fase rescindente determina la perdurante efficacia della sentenza di questa Sezione -OMISSIS-/2018 di rigetto del ricorso di primo grado e, quindi, comporta il rigetto della domanda risarcitoria.

11. - In conclusione, per i suesposti motivi, i ricorsi per revocazione già riuniti, vanno dichiarati inammissibili.

12. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi per revocazione nn. 2006/2018 e 5169/2019 come in epigrafe proposti, li riunisce e li dichiara inammissibili.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi € 4.000,00 oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2020 con l'intervento dei magistrati:

Michele Corradino, Presidente

Giulio Veltri, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore

Raffaello Sestini, Consigliere

 

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