CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 302/2012

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto dalla Federazione Italiana Tennis, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Clarizia e Ciro Pellegrino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Il signor OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Esposito, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lattanzio, 66;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

Comitato Olimpico Nazionale Italiano - Coni, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Angeletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli, 2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III TER n. 37668/2010, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di OMISSIS;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2011 il Cons. Roberto Garofoli e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Ciro Pellegrino, Esposito e Angeletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza n. 37668 del 2010 il T.A.R. Lazio ha accolto il ricorso n. 1289 del 2010 proposto dall’odierno appellato avverso :

• la decisione della Corte federale della F.I.T. n. 25/09 del 3 dicembre 2009, con la quale sono state inflitte la sanzione pecuniaria di € 10.000,00 e la sanzione inibitiva di un anno e sei mesi “a ricoprire cariche federali e a svolgere l’attività di tecnico” per l’asserita commissione dell’illecito sportivo di cui agli artt. 1 e 7 del regolamento di giustizia della Federazione, considerato “aggravato” (ai sensi dell’art. 41 bis, n. 3, lett. l), dal fatto che ricoprisse la carica di “tecnico federale” al momento della sua commissione;

• il Regolamento dei tecnici FIT, nella parte in cui preclude, a chi non è tesserato, di insegnare presso i circoli sportivi.

Nel dettaglio, il sig. OMISSIS, tecnico del giocatore OMISSIS (componente della squadra italiana nell’incontro di Coppa Davis svoltosi in Croazia dall’11 al 13 aprile del 2008) e poi dimessosi da tesserato e da tecnico della Federazione il 6 novembre 2008, è stato sottoposto a procedimento disciplinare per talune affermazioni considerate offensive, che avrebbe espresso nei riguardi del presidente della Federazione.

Egli ha, quindi, impugnato la decisione con cui la Corte federale della F.I.T. gli ha inflitto la sanzione pecuniaria di € 10.000,00 e la sanzione inibitiva di un anno e sei mesi “a ricoprire cariche federali e a svolgere l’attività di tecnico” ed ha anche impugnato il Regolamento dei tecnici nella parte in cui ha previsto che:

a) possono insegnare presso i circoli sportivi affiliati solamente i tecnici iscritti all’albo o negli elenchi tenuti dalla F.I.T. (art. 2);

b) ai suddetti circoli sportivi è vietato “rigorosamente” di utilizzare tecnici non qualificati dalla F.I.T. sia per corsi collettivi che per lezioni individuali e di consentire sui propri impianti l’insegnamento che il regolamento vieta, con la comminatoria, in caso di violazione di dette prescrizioni, di sanzioni disciplinari a carico sia del circolo sportivo che dei suoi dirigenti (art. 3);

c) i tecnici non possono prestare la loro collaborazione o riceverla da persone che non siano in possesso di una qualifica rivestita dalla F.I.T. (art. 40).

Con la sentenza impugnata, il primo giudice -disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposto avverso la decisione disciplinare e di inammissibilità e irricevibilità della proposta impugnazione del Regolamento dei tecnici FIT- ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato gli atti suindicati.

Con la stessa sentenza, il giudice di primo grado ha, invece, disatteso la domanda risarcitoria proposta dal signor OMISSIS.

Avverso la sentenza, l’appellante ha proposto il gravame in esame, deducendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento.

La sentenza non è stata, invece, impugnata dal signor OMISSIS quanto al capo recante la reiezione della domanda risarcitoria.

All’udienza del 2 dicembre 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello va accolto per le ragioni di seguito illustrate.

2. Ritiene il Collegio di dover accogliere, limitatamente al ricorso proposto in primo grado avverso la sanzione disciplinare, il primo motivo di appello con cui la Federazione ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione, dedotta ma disattesa in primo grado.

2.1. L’art. 1, d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con l. 17 ottobre 2003, n. 280, dispone, al comma 2, che “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.

La disposizione disciplina il delicato rapporto tra l’ordinamento statale e uno dei più significativi ordinamenti autonomi che con il primo vengono a contatto, garantendo due diverse esigenze costituzionalmente rilevanti:

• da un lato, quella dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, cui ampia tutela è riconosciuta dagli artt. 2 e 18 della Costituzione;

• dall’altro, quella a che non sia intaccata la pienezza della tutela delle situazioni giuridiche soggettive che, sebbene connesse con quell’ordinamento, siano rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica.

Da un lato, quindi, l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 220 del 2003 ha inteso rispettare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, dall’altro, espressamente ha precisato che l’autonomia in questione non sussiste allorché siano coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica.

In applicazione dei suddetti principi, il successivo art. 2 dello stesso citato decreto legge dispone che “è riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.

Ai sensi del successivo art. 3, “esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamentosportivo ai sensi dell'articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo”.

Come è stato chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49, gli articoli riportati prevedono tre forme di tutela:

• una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario;

• una seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2, non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all’ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste, secondo uno schema proprio della cosiddetta “giustizia associativa”;

• una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) – demandati al giudice ordinario – , per altro verso non rientra tra le materie che, ai sensi dell’art. 2, d.l. n. 220 del 2003, sono riservate all’esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva.

2.2. La stessa Corte costituzionale -nel dichiarare non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b) e, in parte qua, comma 2, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la decisione di controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo (questione sollevata con ordinanza del Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 11 febbraio 2010, n. 241)- ha posto in rilievo che la mancata praticabilità della tutela impugnatoria non toglie che le situazioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo siano adeguatamente tutelabili innanzi al giudice amministrativo mediante la tutela risarcitoria.

Nel condividere l’impostazione ricostruttiva elaborata da Cons. St., sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5782, la Corte Costituzionale ha interpretato l’art. 1, d.l. n. 220 del 2003 in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che - laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale - la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere.

Il giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della “giustizia sportiva”, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.

La Corte costituzionale ha dunque rilevato che la mancanza di un giudizio di annullamento non comporta la compromissione del principio di effettività della tutela, previsto dall’art. 24 Cost., essendo comunque consentita una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.

2.3. Alla stregua dell’illustrato percorso ricostruttivo seguito dalla Corte Costituzionale, ritiene il Collegio, in accoglimento del primo motivo di appello, che l’impugnazione della sanzione disciplinare inflitta al signor OMISSIS non possa essere conosciuta dal giudice amministrativo, nella cui sfera di giurisdizione rientra la sola domanda di tipo risarcitorio.

Nel caso di specie, tuttavia, la domanda risarcitoria non può essere esaminata in questo grado del giudizio, non essendo stato proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza n. 37668 del 2010 recante la sua reiezione.

2.4. Il Collegio non condivide, del resto, l’assunto, sostenuto dal giudice di primo grado, secondo cui la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo andrebbe doverosamente desunta dalla circostanza per cui l’appellato, essendosi dimesso in data 6 novembre 2008 da tesserato e da tecnico della Federazione, non sarebbe più considerabile come soggetto ‘appartenente all’ordinamento sportivo’ e non potrebbe quindi adire gli organi della giustizia sportiva.

Tale conclusione non persuade il Collegio.

Come lo stesso T.A.R. ha sostenuto nell’esaminare i profili sostanziali della vicenda contenziosa, in specie quello relativo alla sottoponibilità a procedimento disciplinare di un tecnico che non fa più parte dell’ordinamento sportivo perché già dimessosi, i momenti ai quali occorre fare riferimento sono quello in cui il fatto contestato all’interessato si è verificato e quello in cui vi è la relativa contestazione con l’inizio del procedimento disciplinare (momenti, nel caso in esame, precedenti alle dimissioni), poiché l’esercizio del potere sanzionatorio trova i suoi presupposti su tali circostanze (non potendosi comunque ammettere che le dimissioni siano rassegnate al fine precipuo di impedire o interrompere il procedimento disciplinare).

Ebbene, il principio -enunciato dal giudice di primo grado e condiviso dal Collegio- per cui resta sanzionabile in via disciplinare il soggetto che, appartenendo all’ordinamento sportivo al momento del fatto, si dimette prima che il procedimento disciplinare sia concluso, non può non assumere rilievo nella soluzione del profilo processuale della giurisdizione, dovendo la stessa radicarsi avendo riguardo alla sola natura (“disciplinare”) del provvedimento in contestazione, non già certo tenendo conto dello status del ricorrente, e della sua appartenenza o meno, al momento in cui attiva lo strumento rimediale, all’ordinamento sportivo.

In conclusione, l’appellato - a suo tempo titolare della azionabilità del rimedio impugnatorio dinanzi agli organi della giustizia sportiva – ben poteva proporre innanzi al giudice amministrativo la domanda risarcitoria, peraltro respinta dalla appellata sentenza n. 37668 del 2010 con una statuizione non impugnata in via incidentale.

3. Va parimenti accolto l’ottavo motivo dell’appello, con cui si censura la sentenza gravata nella parte in cui, nel pronunciarsi sul ricorso in primo grado proposto avverso il Regolamento dei tecnici FIT, ha disatteso la dedotta eccezione di irricevibilità per tardività dell’impugnazione.

Giova considerare che con il ricorso di primo grado è stato impugnato anche il ‘Regolamento dei tecnici’, nella parte in cui ha previsto che:

a) possono insegnare presso i circoli sportivi affiliati solamente i tecnici iscritti all’albo o negli elenchi tenuti dalla F.I.T. (art. 2);

b) ai suddetti circoli sportivi è vietato “rigorosamente” di utilizzare tecnici non qualificati dalla F.I.T. sia per corsi collettivi che per lezioni individuali e di consentire sui propri impianti l’insegnamento che il regolamento vieta, con la comminatoria, in caso di violazione di dette prescrizioni, di sanzioni disciplinari a carico sia del circolo sportivo che dei suoi dirigenti (art. 3);

c) i tecnici non possono prestare la loro collaborazione o riceverla da persone che non siano in possesso di una qualifica rivestita dalla F.I.T. (art. 40).

Secondo l’assunto dell’odierno appellato, tali previsioni normative sarebbero state introdotte con la deliberazione adottata in data 16 gennaio 2010, e quindi immediatamente dopo la decisione della Corte di giustizia.

In realtà, come sostenuto dall’appellante, si tratta di previsioni vigenti già a far data dal 1992, in quanto approvate dal CONI con la delibera del Presidente del 10 giugno 1992.

Il Collegio ritiene dunque tardivo il ricorso di primo grado, nella parte in cui ha contestato le sopra indicate disposizioni regolamentari, atteso che – in considerazione della loro immediata portata precettiva e della individuazione dei comportamenti vietati, senza bisogno di atti applicativi - il momento a partire dal quale quelle disposizioni hanno rivelato un’attitudine a determinare una lesione attuale degli interessi dell’appellato non può che essere individuato all’atto delle dimissioni, ossia quando, non facendo più parte dell’ordinamento sportivo, egli ha perso la possibilità di insegnare nei circoli sportivi affiliati.

4. Alla stregua delle esposte ragioni va pertanto accolto l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarato in parte inammissibile e in parte irricevibile il ricorso di primo grado.

5. Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara in parte inammissibile e in parte irricevibile il ricorso di primo grado n. 1289 del 2010.

Spese compensate dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Roberto Garofoli, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/01/2012

 

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