CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 381/2019 Pubblicato il 15/01/2019

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio De Arcangelis, Carlo Abbate, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Abbate in Roma, via della Maratona, n. 56;

contro

FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Valori, Paola Maria Angela Vaccaro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Guido Valori in Roma, viale delle Milizie, n. 106;

COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO (C.O.N.I.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto Angeletti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via Giuseppe Pisanelli, n. 2; CAMERA DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO PER LO SPORT DEL C.O.N.I., non costituita in giudizio;

nei confronti

PALLACANESTRO OMISSIS , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma – Sez. III-quater n. 10304 del 2012;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Pallacanestro e del Comitato Olimpico Nazionale Italiano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Gracis Alessandro, Giorgio De Arcangelis, Guido Valori e Alberto Angeletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il signor OMISSIS impugnava la sanzione dell’inibizione dallo svolgimento di ogni attività endo-federale per tre anni e quattro mesi, irrogatagli in via definitiva con la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007. Con un primo atto di motivi aggiunti, il ricorrente deduceva ulteriori profili di illegittimità dei provvedimenti impugnati (rilevati a seguito delle intercettazioni telefoniche operate dai NAS di Bologna relativamente al “caso OMISSIS”). Con ulteriori motivi aggiunti chiedeva la condanna, in solido o in via alternativa tra loro, della Federazione Italiana Pallacanestro e del C.O.N.I., al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti per effetto dell’illegittimità attività provvedimentale della Federazione e del Comitato olimpico.

1.1.‒ Con ordinanza n. 241 del giorno 11 febbraio 2010, il T.a.r. del Lazio sollevava questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost., dell’art. 2, comma 1, lettera b), e, comma 2, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo.

1.2.‒ Con sentenza 11 febbraio 2011, n. 49, la Corte Costituzionale dichiarava non fondata la questione di legittimità costituzionale.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 10304 del 2012, dichiarava il giudizio estinto in ragione della tardività della domanda di fissazione d’udienza depositata il 29 luglio 2011, mentre invece avrebbe dovuto essere presentata entro il termine di novanta giorni ‒ dimidiato a quarantacinque giorni, in ragione del rito, ai sensi dell’art. 119, comma 2, c.p.a. ‒ a decorrere dalla comunicazione dell’ufficio di segreteria dell’avvenuta restituzione del fascicolo di causa da parte della Corte costituzionale (avvenuta in data 18 febbraio 2011, con raccomandata ricevuta dai legali del ricorrente il successivo 24 febbraio 2011).

Il giudice di prime cure aggiungeva che ‒ ove pure si fosse potuto prescindere da questo profilo di carattere assorbente ‒ l’atto introduttivo ed il primo atto di motivi aggiunti sarebbero fuoriusciti dalla giurisdizione del giudice statale, mentre il diritto al risarcimento del danno sarebbe risultato irrimediabilmente prescritto (ciò in quanto la sanzione era stata irrogata definitivamente con decisione del 18 maggio 2007, mentre il secondo atto di motivi aggiunti era stato notificato solo il 19 ottobre 2012).

3.‒ Avverso la predetta sentenza il signor OMISSIS ha proposto appello, affermando che la statuizione di estinzione del giudizio sarebbe erronea. La domanda di fissazione di udienza non avrebbe dovuto ritenersi tardiva, per i seguenti motivi:

- l’art. 80, comma 1, del c.p.a. non avrebbe potuto applicarsi in quanto il processo era stato sospeso in data anteriore all’entrata in vigore del nuovo codice;

- trattandosi di un giudizio iniziato nel 2007, avrebbe dovuto applicarsi il pregresso termine semestrale di cui all’art. 297 c.p.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta dal comma 12 dell’art. 46 della legge n. 69 del 2009) nella sua interezza, posto che l’art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971 prevedeva la dimidiazione dei termini solo per i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti e tale non era la Federazione Italiana Pallacanestro;

- in ogni caso, il termine di cui all’art. 80, primo comma, del c.p.a., avrebbe dovuto intendersi come meramente ordinatorio, salva la possibilità di dichiarare la perenzione ai sensi dell’art. 81 del c.p.a., qualora nel corso di un anno (o di 6 mesi nel caso di ritenuta dimidiazione) non fosse stato compiuto alcun atto di procedura.

Su queste basi, conclude l’appellante, il processo dovrebbe regredire avanti al giudice di prime cure, ai sensi dell’art. 105, comma 1, del c.p.a.

Le ulteriori considerazioni svolte in sentenza, in relazione alla carenza di giurisdizione e alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno, per quanto ritenute ininfluenti sul dispositivo, vengono anch’esse contestate in via prudenziale.

4.‒ Si sono costituiti in giudizio il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e la Federazione Italiana Pallacanestro, chiedendo che il gravame sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.

5.‒ All’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018, la causa è stata discussa e decisa.

DIRITTO

1.‒ In limine litis, il Collegio osserva che le statuizioni che fanno seguito alla declaratoria di estinzione sono state impropriamente inserite nella motivazione della sentenza impugnata.

La doppia motivazione ‒ con tale espressione intendendosi la giustificazione dell’infondatezza di una domanda o di un’eccezione, che segua alla chiusura in rito del processo per una questione impediente (il difetto di giurisdizione e competenza, la decadenza, et similia), oppure il rilievo di una questione pregiudiziale di rito logicamente successiva ad quella già accolta ‒ costituisce un fattore di confusione e diseconomia processuale. Si tratta, infatti, di una motivazione superflua (spesso peraltro formulata in via approssimativa), perché relativa ad un capo di domanda sul quale il giudice si è già spogliato della potestas iudicandi, e quindi neppure espressiva della funzione giurisdizionale. In tale ipotesi, la parte soccombente non ha né l’onere né l’interesse ad impugnare la parte della pronuncia che confuta la fondatezza delle ragioni poste a base della domanda. La formulazione, davanti al Consiglio di Stato, di motivi proposti al riguardo, ne determina l’inammissibilità. L’effetto indiretto di dissuasione dell’impugnazione ‒ perseguito dal giudice di prime cure con questa prassi ‒ appare del tutto ipotetico e sproporzionato rispetto ai sicuri svantaggi tecnico-processuali.

2.‒ Ciò posto, ritiene il Collegio che il giudice di prime cure ha correttamente ricostruito il quadro giuridico rilevante.

2.1.‒ Il giudizio in esame, incardinato nel 2007, è stato sospeso con ordinanza n. 241 del giorno 11 febbraio 2010. L’incidente di costituzionalità è stato definito con la sentenza della Corte n. 49 del 2011, determinandosi così la cessazione della causa di sospensione. Il giudizio quiescente andava proseguito nelle forme e nei termini di cui all’art. 80 c.p.a. ‒ entrato in vigore nelle more della sospensione ‒ secondo cui «[in] caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa di sospensione».

Contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, la disciplina transitoria di cui all’art. 2 dell’allegato 3 al c.p.a. ‒ secondo cui «[p]er i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del Codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti» ‒ non esclude affatto l’applicazione dell’art. 80 c.p.a. all’odierno giudizio, in quanto essa si limita a far salva l’applicazione delle pregresse norme soltanto “ai termini” in corso. Nel caso in esame, il termine per la prosecuzione del giudizio non era in corso al momento dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, essendo iniziato a decorrere solo al momento della comunicazione, da parte della segreteria del T.a.r., in data 18 febbraio 2011 (pervenuta presso il domicilio del ricorrente il 24 febbraio 2011), della cessazione della causa della sospensione. Lo stesso deposito della sentenza della Corte Costituzionale del giorno 11 febbraio 2011 si colloca in data successiva all’entrata in vigore del nuovo codice di rito (16 settembre 2010).

2.2.‒ Correttamente dunque il giudice di prime cure ha concluso nel senso che, stante la dimidiazione del termine processuale prevista dall’art. 119 c.p.a., il giudizio andava proseguito mediante istanza di fissazione di udienza da depositarsi nel termine di 45 giorni decorrenti dal 24 febbraio 2011.

3.‒ Posto che non vi è alcun ostacolo all’applicazione dell’art. 80 c.p.a., occorre tuttavia registrare alcune incertezze giurisprudenziali circa la sua portata precettiva.

3.1.‒ Secondo una pronuncia del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato sez. IV, 25 agosto 2015, n.3985), l’istanza di fissazione dell’udienza di seguito alla sospensione del processo amministrativo, ai sensi dell’art. 80 c.p.a., deve essere sì presentata entro novanta giorni, ma detto termine non è previsto come perentorio. Detta mancata indicazione del termine qual perentorio, tanto più a fronte di una contraria indicazione di perentorietà del termine contemplato nel successivo terzo comma relativamente alla prosecuzione del processo interrotto, militerebbe per la sua ordinatorietà. La sentenza si premura di precisare che, pure argomentando in questi termini, non si rischierebbe la permanente pendenza sine die di processi già sospesi e non tempestivamente riassunti, perché l’ordinamento processuale amministrativo comunque prevedrebbe istituti, quali la perenzione ordinaria (art. 81 c.p.a.), soggetti a stringenti termini, atti a determinare comunque la estinzione dei processi per i quali non venga posto in essere alcun atto di procedura.

3.2.‒ Sennonché, altre pronunce del Consiglio di Stato A cui il Collegio intende dare continuità ‒ sono giunte a risultati ermeneutici di segno opposto.

Va in primo luogo richiamata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, in occasione dell’ordinanza 15 ottobre 2014 n. 28 (la quale ha ammesso nel giudizio amministrativo la possibilità di “sospensione impropria”, in pendenza di questioni di legittimità costituzionale), ha osservato: «rimane inteso che il termine per la prosecuzione del giudizio sospeso è quello innovativamente sancito dall’art. 80, co. 1, c.p.a. per tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo (90 giorni …)»; aggiungendo che «deve ritenersi ragionevole, ai fini della tempestiva prosecuzione del processo sospeso per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice, che il termine decorra dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta ufficiale ‒ che integra un idoneo sistema di pubblicità legale per la conoscenza delle sorti del processo costituzionale ‒ e non dalla notificazione operata dal soggetto interessato alle controparti a fini sollecitatori, in quanto tale meccanismo, rimesso alla mera volontà delle parti, non è compatibile con il principio di ragionevole durata del processo essendo suscettibile di provocare una quiescenza sine die del processo (cfr. Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2013, n. 7580; Cons. St., ordinanza Sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3926)». Ebbene, la statuizione dell’Adunanza Plenaria, proprio per il fatto di essere motivata con la necessità di evitare, in aderenza al principio di ragionevole durata del processo, una condizione di quiescenza sine die del giudizio, presuppone difatti logicamente la perentorietà del termine in discussione, mentre non sarebbe conciliabile con una valenza solo ordinatoria del medesimo.

Ancora più chiaramente il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con la sentenza n. 47 del 2018, nel confermare il carattere perentorio del termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., ha rilevato quanto segue: «Vero è, inoltre, che l’art. 152 cod. proc. civ. detta il noto principio per cui “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”; e altrettanto vero è che l’art. 80, comma 1, del C.P.A. non qualifica espressamente come perentorio il termine dettato per la prosecuzione del giudizio sospeso, diversamente da quanto fa il comma 3 dello stesso articolo per il termine di riassunzione di quello interrotto. Nondimeno, a monte, l’art. 35, comma 2, dello stesso C.P.A. dispone che “Il giudice dichiara estinto il giudizio … se, nei casi previsti dal presente codice, non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato dal giudice”, con il che viene espressamente fissata già una volta per tutte la perentorietà dei termini legali di prosecuzione o riassunzione del giudizio recati dallo stesso Codice. La natura perentoria del termine in discussione si manifesta essenziale, del resto, affinché l’art. 80, comma 1, possa soddisfare la propria trasparente ratio. La stessa natura trova, infine, un pieno riscontro anche nella disciplina del processo civile (art. 297, comma 1, cod. proc. civ.), al quale ineriscono esigenze di “ragionevole durata” non maggiori di quelle ravvisabili rispetto al giudizio amministrativo».

Successivamente, anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 3381 del 2018 ha dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 35 del c.p.a. un giudizio già sospeso in quanto non proseguito nel termine di cui all’art.80 c.p.a.

3.3.‒ La presa di posizione da ultimo manifestatasi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato appare del tutto condivisibile, sol che si pensi alla evidente irrazionalità e contraddittorietà di un sistema processuale che preveda meccanismi di riattivazione di un processo quiescente, diversi a seconda che si tratti di sospensione o interruzione (la natura dell’incidente di costituzionalità o di pregiudizialità europea dovrebbe semmai giustificare una dinamica più stringente rispetto alle cause che determinano l’interruzione del giudizio, le quali sovente impongono di ripristinare un contraddittorio venuto a mancare, a cagione di eventi quali ad esempio la morte, la perdita di capacità, il fallimento). L’applicazione a questi fini dell’istituto della perenzione sarebbe poi soluzione ermeneutica in palese contrasto con l’obiettivo della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, del c.p.a.).

3.4.‒ Trattandosi di un punto di diritto in cui si registra una evoluzione del dibattito giurisprudenziale prossimo alla stabilizzazione ‒ e non un contrasto giurisprudenziale attualmente esistente nell’ambito delle sezioni semplici del Consiglio di Stato ‒ non ricorre l’obbligo (ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a.) di rimetterne l’esame all’adunanza plenaria.

3.5.‒ In ogni caso, come correttamente affermato dal giudice di prime cure, l’esito del giudizio non muterebbe neanche ove si ritenesse applicabile la pregressa disciplina dettata dall’art. 297 c.p.c., sia nella formulazione ante modifica introdotta dal comma 12 dell’art. 46, l. 18 giugno 2009, n. 69 (sei mesi dimidiati a tre) che, a maggior ragione, nella formulazione successiva alla novella del 2009 (tre mesi). Poiché il giudizio dinanzi al T.a.r. è stato incardinato con ricorso notificato il 9 luglio 2007, avrebbe comunque trovato applicazione l’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 220 del 2003, convertito dalla legge n. 280 del 2003, secondo cui: «[d]avanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e si applicano i commi 2 e seguenti dell’articolo 23-bis della stessa legge». Ebbene, il rito previsto dalla disposizione richiamata prescriveva che «[i] termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso».

4.‒ Nonostante la tardiva presentazione della istanza di fissazione di udienza, il giudizio non può essere dichiarato estinto. Ai sensi dell’art. 37 c.p.a., sussistono infatti i presupposti ‒ rilevabili anche d’ufficio ‒ per la rimessione in termini dell’appellante per errore scusabile, in presenza di oggettive ragioni di incertezza ermeneutica registratesi nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime processuale, come testimoniato dalle oscillazioni del dibattito giurisdizionale di cui si è dato atto.

4.1.‒ Deve conseguentemente essere disposta la necessaria rimessione al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., davanti al quale il procedimento andrà riassunto secondo le vigenti disposizioni processuali.

5.‒ Le spese di lite possono essere compensate per entrambi i gradi di giudizio, attese le ragioni che hanno imposto la definizione in rito del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), in accoglimento degli appelli, come in epigrafe proposti, dichiara la nullità della sentenza impugnata e rimette la causa al primo giudice. Spese compensate dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Bernhard Lageder, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

 

 

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