CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 422/2014

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto dal signor OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Manzi, Gian Paolo Sardos Albertini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

contro

Federazione Italiana Tennis Tavolo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giancarlo Guarino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Nibby, 7;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III ter n. 1938/2006, resa tra le parti, concernente divieto di ricoprire incarichi federali per dodici mesi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2013 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato Mazzeo, per delega dell’avvocato Manzi, e l’avvocato Guarino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La commissione nazionale disciplinare della Federazione italiana tennis tavolo (FITET):

- con la delibera n. 1 del 1994, ha irrogato all’appellante la sanzione dell’inibizione a ricoprire incarichi federali per dodici mesi, in relazione alla stipula – da parte sua – di una convenzione con il Comune di Verona e alla sua assenza a due convocazioni fissate per ascoltarlo;

- con la delibera n. 16 del 1996, ha inibito l’appellante a rappresentare la società sportiva s.r.l. Verona table tennis association per dodici mesi, in relazione a sue espressioni considerate lesive della reputazione di persone e di organismi operanti nell’ambito federale;

- con la delibera n. 10 del 1997, ha radiato il ricorrente dalla Federazione, per violazione dell’art. 54, comma 2, e dell’art. 52, comma 2, dello statuto federale, in tema di obbligo di lealtà, probità e rettitudine sportiva, poiché egli – anziché rivolgersi alle autorità ‘federali’ competenti per la soluzione di qualsiasi controversia connessa all’attività sportiva nell’ambito della Federazione – ha presentato alcuni esposti alle procure della Repubblica di Padova, Genova e Modena, volti a promuovere indagini sul rispetto della normativa sulla sicurezza degli impianti sportivi.

2. Con il ricorso n. 5714 del 1998 (proposto al TAR per il Lazio e notificato il 2 maggio 1998), l’interessato ha impugnato tali delibere, chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 21 della Costituzione, violazione di legge ed eccesso di potere.

Con l’ordinanza n. 732 del 1998, il TAR ha accolto la domanda cautelare dell’interessato ed ha sospeso l’efficacia della delibera n. 10 del 1997, dopo aver considerato “sanabile l’errore commesso…, consistente nell’intempestiva notifica del ricorso, atteso nel provvedimento n. 10/97 non erano stati specificamente indicati i termini per l’impugnazione e l’organo giurisdizionale competente”.

Questa ordinanza è stata confermata da questa Sezione del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 1219 del 1998.

Con la sentenza n. 1245 del 2005, il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso, quanto alla impugnazione delle delibere n. 1 del 1994 e n. 16 del 1996, ed ha disposto incombenti istruttori per la decisione delle censure rivolte avverso la delibera n. 10 del 1997, che ha disposto la radiazione.

Dopo aver acquisito la documentazione richiesta, con la sentenza n. 1938 del 2006 il TAR ha dichiarato irricevibile il ricorso per tardività, escludendo la sussistenza di un errore scusabile.

3. Con l’appello in esame, l’interessato ha impugnato la sentenza n. 1938 del 2006 ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia dichiarato ricevibile e sia accolto, perché fondato.

La Federazione appellata si è costituita in giudizio, chiedendo che l’appello sia respinto.

La Sezione, con l’ordinanza n. 5000 del 25 settembre 2007, ha respinto la domanda cautelare, proposta in via incidentale dall’appellante.

In prossimità dell’udienza di discussione, l’appellante e la Federazione appellata hanno depositato distinte memore difensive, con cui hanno illustrato le questioni controverse ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni.

5. Per il loro carattere preliminare, vanno esaminate le eccezioni formulate dalla Federazione appellata.

5.1. Con una eccezione formulata per la prima volta nella memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione, la Federazione ha chiesto che sia dichiarato il “difetto assoluto di giurisdizione del giudice statale”.

La Federazione al riguardo ha richiamato le disposizioni contenute nel d.l. n. 220 del 2003, convertito con modificazioni nella legge n. 280 del 2003.

Osserva la Sezione che tale eccezione è inammissibile sotto un duplice profilo.

In primo luogo, essa non contiene deduzioni giuridiche rilevanti nel presente giudizio, nel quale l’atto impugnato è stato emesso nel 1997: anche in base al principio della perpetuatio iurisdictionis, poco importa nel presente giudizio quale sia stata la portata dello ius superveniens rispetto alla controversia in esame.

In secondo luogo, la sentenza impugnata – emanata sul presupposto della natura autoritativa dell’atto impugnato e della conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa di legittimità - non è stata oggetto di impugnazione incidentale, sicché sul punto si è formato il giudicato interno.

5.2. L’appellata, con la memoria di costituzione, ha chiesto che l’appello sia dichiarato tardivo, perché la sentenza appellata è stata depositata in data 14 marzo 2006, mentre l’appello è stato notificato al difensore della Federazione il 2 maggio 2007, oltre il termine annuale (integrato di 46 giorni per la sospensione feriale), scaduto il 30 aprile 2007.

Osserva al riguardo il Collegio che:

- l’appellante ha dapprima cercato di notificare il gravame in data 21 aprile 2007 (presso il difensore della Federazione nel domicilio eletto in primo grado (e correttamente indicato nella sentenza appellata, ma la notifica non è andata a buon fine perché il medesimo difensore ha modificato il recapito del suo studio) e poi ha notificato l’atto d’appello presso il nuovo studio del difensore, il 2 maggio 2007;

- per due distinte ragioni non è condivisibile la tesi dell’appellata, secondo cui decorso l’anno la notifica andava effettuata presso la parte ‘personalmente’ e non presso il suo difensore (ai sensi dell’art. 330 c.p.c.), sia perché non si è trattato di notificare una impugnazione straordinaria dopo il decorso dell’anno ma di perfezionare una notifica posta in essere nel corso dell’anno, sia perché è stato il comportamento del difensore dell’appellata a rendere necessaria la rinnovazione della notifica (previo accertamento del suo nuovo recapito);

- con la seconda notifica, l’appellante ha anticipato la rinnovazione che sarebbe stata ordinata dalla Sezione, in conseguenza della imputabilità all’appellata del mancato perfezionamento della prima;

- con la costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 156 c.p.c. l’appellata ha reso irrilevante ogni questione riguardante la necessità o meno della notifica dell’appello presso la sede dell’ente e non – come è avvenuto - presso il suo difensore che aveva modificato il proprio recapito.

5.3. L’appellata ha altresì eccepito l’acquiescenza dell’appellante alle statuizioni contenute nella precedente sentenza del TAR n. 1245 del 2005, che ha dichiarato inammissibili le censure rivolte avverso le due delibere n. 1 del 1994 e n. 16 del 1996: ad avviso della Federazione, tale acquiescenza precluderebbe la proposizione dell’appello avverso la successiva sentenza n. 1938 del 2006, che ha dichiarato irricevibile le censure proposte avverso la delibera di radiazione n. 10 del 1997.

Tale eccezione è infondata e va respinta, poiché il decisum di cui alla sentenza n. 1245 del 2005 ha riguardato esclusivamente i primi due provvedimenti, mentre la sentenza n. 1938 del 2006 ha riguardato un diverso decisum, concernente la delibera di radiazione, per la cui impugnazione l’appellante ha rappresentato uno specifico interesse a ricorrere per la natura dell’atto inerente al suo status, ed ha altresì formulato specifiche considerazioni con cui, proprio per la natura dell’atto e per le questioni giuridiche coinvolte, ha chiesto che in questa sede sia ravvisata la scusabilità dell’errore e la conseguente remissione in termini.

Pertanto, non derivando alcuna preclusione dalla mancata impugnazione della sentenza concernente i due atti originari, l’appellante in questa sede ben può insistere nell’accoglimento delle sue censure rivolte contro l’atto di radiazione.

6. Superate le questioni preliminari, ritiene la Sezione che sia fondato il primo motivo d’appello, con cui l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, sia considerato tempestivo il ricorso di primo grado, nella parte rivolta contro la delibera n. 10 del 1997, che ha disposto la radiazione.

6.1. Va premesso che:

- per la Corte Costituzionale (v. la sentenza n. 86 del 1998, che ha richiamato il proprio precedente n. 311 del 1994), l’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990 contiene un principio di carattere generale la cui violazione “impedisce il verificarsi di preclusioni”, perché, diversamente opinando, “si vanificherebbe, in sostanza, oltre alla portata precettiva dell'art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990, l'esigenza di effettiva tutela del cittadino nei confronti degli atti della pubblica amministrazione”;

- per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, la mancata indicazione nell’atto amministrativo lesivo del termine e della autorità cui è possibile ricorrere non determina l’illegittimità del medesimo atto per violazione dell’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990, né comporta la mancata applicazione del principio per il quale il termine per ricorrere comincia a decorrere da quando il suo destinatario ne abbia piena conoscenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 1996, n. 434; Sez. VI, 26 luglio 2000, n. 4158; Sez. VI, 14 gennaio 2002, n. 149), salva la possibilità di rilevare i presupposti per la rimessione in termini.

Osserva al riguardo il Collegio che proprio l’istituto dell’errore scusabile (attualmente disciplinato dall’art. 37 del codice del processo amministrativo, nel quale è stata sostanzialmente trasfusa la disciplina previgente) consente al giudice amministrativo di rilevare, a seconda dei casi, la tempestività del ricorso al suo esame, quando l’autorità emanante non abbia rispettato l’art. 3, comma 4, e il ricorrente non abbia proposto il ricorso entro il termine di impugnazione decorrente dalla conoscenza dell’atto lesivo.

6.2. Nel caso di specie, alla data di emanazione della delibera n. 10 del 1997 ed anche a quella di proposizione del ricorso di primo grado, erano oggetto di dibattiti e di oscillazioni giurisprudenziali le questioni concernenti la tutela spettante nei confronti degli atti disciplinari emessi dalle Federazioni sportive, nonché le questioni riguardanti le conseguenze della violazione dell’obbligo dei tesserati di ricorrere agli organi della giustizia sportiva, discutendosi della possibilità stessa di chiedere tutela ad un giudice (in base ai criteri generali di riparto).

Come è noto, su tali questioni si sono pronunciate le giurisdizioni superiori della Corte di Cassazione (cfr. Sez. Un., 12 maggio 1979, n. 2725) e del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050, in relazione ad un quadro normativo – sui rapporti intercorrenti tra il CONI e le Federazioni sportive - risalente alla legge 16 febbraio 1942, n. 426, ed inciso dapprima dalla legge 23 marzo 1981, n. 91, e dal decreto legislativo n. 242 del 1999, di riordino del CONI, e – anche con specifico riferimento alla tutela giurisdizionale spettante agli interessati – dal decreto legge n. 229 del 2003, convertito con modificazioni nella legge 17 ottobre 2003, n. 280.

Con riferimento al quadro normativo riferibile alle disposizioni delle leggi n. 426 del 1942 e n. 91 del 1981, la giurisprudenza – risolvendo complessi dubbi interpretativi - aveva operato alcune distinzioni per gli atti emessi dalle Federazioni sportive, di volta in volta accertando se essi fossero stati emessi quali associazioni privatistiche ovvero quali organi del CONI per la realizzazione dei fini istituzionali di tale amministrazione pubblica.

Con particolare riferimento alla impugnazione delle sanzioni disciplinari, vi erano poi ulteriori questioni riguardanti la rilevanza o meno del c.d. vincolo di giustizia, per il quale non poteva essere chiesta tutela giurisdizionale per le questioni da sottoporre all’esame degli organi delle Federazioni sportive medesime.

Pur essendovi vari e opposti orientamenti (anche di giudici civili: cfr. Cass. Sez. I, 9 aprile 1993, n. 4351), la giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lazio, Sez. III, 24 settembre 1998, n. 2394) aveva osservato che – pur dovendosi riconoscere l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale – il c.d. vincolo sportivo non poteva vanificare la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi (indefettibile in base agli artt. 24, 100, 103 e 113 Cost.), configurabili in presenza di atti formalmente e sostanzialmente amministrativi.

Solo con la riforma disposta con il decreto legge n. 220 del 2003, e con la relativa legge di conversione n. 280 del 2003, il quadro normativo è stato notevolmente chiarito e stabilizzato (pur se alcune delicate questioni, per le controversie sulle domande risarcitorie, sono state oggetto di ulteriori orientamenti della Corte Costituzionale e di questo Consiglio).

6.3. Stando così le cose, il Collegio ritiene che sussistano i presupposti per ravvisare la scusabilità dell’errore e per disporre la rimessione in termini con riferimento alla originaria impugnazione della delibera n. 10 del 1997 che ha disposto la radiazione, poiché:

- l’atto impugnato non conteneva le indicazioni previste dall’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990, malgrado ad esso vada riconosciuta natura formalmente e sostanzialmente amministrativa;

- al momento della proposizione del ricorso di primo grado vi erano discussioni e oscillazioni giurisprudenziali sia sulla sussistenza o meno della tutela giurisdizionale della posizione soggettiva coinvolta, sia sulla sussistenza o meno della giurisdizione amministrativa;

- la Federazione appellata – nel disporre la sanzione perché l’interessato aveva presentato esposti alla Autorità giudiziaria – aveva in sostanza negato che egli potesse avvalersi delle Istituzioni della Repubblica per far accertare il rispetto delle leggi, sicché risulta del tutto giustificabile il comportamento processuale dell’appellante, che ha impugnato innanzi al TAR la delibera di radiazione quando la giurisprudenza ha invece affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa e l’irrilevanza del c.d. vincolo di giustizia, posto a base della radiazione.

7. Vanno dunque esaminati i motivi di primo grado, non esaminati dal TAR e riproposti dall’appellante in questa sede.

7.1. In punto di fatto, è pacifico che la delibera n. 10 del 1997 è stata emessa perché l’appellante – che alla data del 6 gennaio 1997 “non era legittimato ad agire per conto della Verona Table Tennis Association in quanto gli era stata comminata la sanzione dell’inibizione” - ha presentato esposti a distinte procure della Repubblica, in data 1° ottobre 1996, 3 ottobre 1996 e 6 gennaio 1997, volti a promuovere indagini sul rispetto delle norme sulla sicurezza degli impianti sportivi, da adibire a sede di competizioni e di tornei per l’attività ufficiale agonistica rivolta ai minori.

La radiazione è stata disposta dalla Federazione, in applicazione degli artt. 54, comma 2, e 52, comma 2, dello statuto federale, essendovi ravvisata la violazione del c.d. vincolo sportivo e dell’obbligo di lealtà, probità e rettitudine sportiva.

7.2. L’appellante ha dedotto che la contestata delibera è stata emessa in violazione dell’art. 21 della Costituzione e dell’art. 333 del codice di procedura penale (sulla “denuncia da parte di privati”), nonché con vari profili di eccesso di potere per travisamento dei fatti e falsità dei presupposti, perché anche alla data del 6 gennaio 1997 egli ben poteva segnalare alla autorità giudiziaria, come cittadino, fatti attinenti alla tutela della incolumità pubblica.

7.3. Ritiene la Sezione che tali censure siano fondate e vadano accolte.

Non rileva in questa sede affermare quale sia l’incidenza della indefettibilità della tutela giurisdizionale rispetto al potere di sanzionare un tesserato per aver violato il c.d. vincolo sportivo, poiché – nella specie – tale vincolo, contrariamente a quanto rilevato nella delibera n. 10 del 1997, non rileva affatto.

L’art. 54, comma 2, dello statuto federale si è riferito all’obbligo di rivolgersi alle autorità federali per la soluzione di qualsiasi ‘controversia’, dunque quando si intenda chiedere tutela, per la lesione di una propria posizione giuridica individuale, per la definizione della quale occorre un atto motivato, di accoglimento o meno della pretesa.

La radiazione è stata disposta, invece, perché l’appellante ha presentato gli esposti alla autorità giudiziaria, volti a rappresentare le situazioni riferibili agli impianti sportivi di volta in volta utilizzati dalla Federazione.

L’art. 333, comma 1, del codice di procedura penale dispone che “ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia”.

L’appellante ha ben potuto presentare gli esposti, quale persona che ha inteso informare l’autorità giudiziaria di fatti attinenti alla tutela della incolumità pubblica.

La Federazione avrebbe potuto sanzionare il comportamento dell’appellante, qualora egli avesse prospettato i fatti in modo distorto o comunque obiettivamente offensivo: nulla di tutto questo è stato però contestato all’interessato, che è stato sanzionato per il solo fatto che, nell’esercizio di un suo diritto-dovere civico, ha ritenuto di informare di alcuni fatti l’autorità giudiziaria.

Tranne ovviamente i casi in cui l’esposto o la denuncia diano luogo – per le relative dichiarazioni – alla sussistenza di un illecito, nessuno può essere punito per aver preso contatti con l’autorità giudiziaria, chiedendo la verifica del rispetto della normativa di settore.

Le opinioni espresse nell’esposto o nella denuncia, a loro volta, se espresse correttamente, rientrano nell’ambito delle guarentigie previste dall’art. 21 della Costituzione.

Per giustificare l’atto impugnato di radiazione, neppure rileva la circostanza che alla data del 6 gennaio 1997 – di presentazione di uno dei tre esposti – all’appellante fosse stato inibito il rappresentare la società sportiva, perché tale inibizione di certo non ha potuto impedire l’esercizio della facoltà consentita a chiunque, ai sensi del sopra richiamato art. 333 del codice di procedura penale.

8. Per le ragioni che precedono, in riforma della sentenza n. 1938 del 2006, il ricorso di primo grado va dichiarato tempestivo e va accolto per la parte in cui ha impugnato la delibera n. 10 del 1997, che va dunque annullata.

La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio segue, come di regola, la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello n. 3694 del 2007 e, in riforma della sentenza del TAR del Lazio n. 1938 del 2006, accoglie in parte il ricorso di primo grado n. 5714 del 1998 ed annulla la decisione n. 10 del 19997, emessa dalla Federazione appellata.

Condanna l’appellata al pagamento di euro 5.000 (quattromila), oltre accessori di legge, in favore dell’appellante, per spese ed onorari dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere, Estensore

Silvia La Guardia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/01/2014

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