CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 880/2019
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Piccinini, Marco Giustiniani, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Bocca di Leone, 78;
contro
Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Michel Martone, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia, 11;
F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Panama, 58;
Collegio di garanzia dello sport presso il CONI, Procura federale F.I.G.C., Corte federale d’appello presso la F.I.G.C, Tribunale federale nazionale presso la F.I.G.C., Lega Italiana Calcio Professionistico, Lega Nazionale Dilettanti, Dipartimento interregionale presso la Lega Nazionale Dilettanti, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Procura generale dello sport presso il CONI, OMISSIS s.r.l., OMISSIS s.r.l., OMISSIS s.r.l., Domenico Capitani, Ercole Di Nicola, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 03375/2017, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI);
Visto l’appello incidentale della F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2018 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Corbyons, in sostituzione dell’avv. Marco Giustiniani, e Luigi Medugno, anche in sostituzione dell’avv. Michel Martone;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
L’odierno appellante OMISSIS impugnava al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, formulando domande demolitorie e risarcitorie, gli atti del procedimento svoltosi nell’ambito dei tre gradi della giustizia sportiva concluso con la sua condanna, nella qualità di agente di calciatori, alla sanzione disciplinare dell’inibizione dall’attività per quattro anni e sei mesi e al pagamento dell’ammenda di € 70.000, come da decisione n. 17/2015 della Corte federale d’appello presso la F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, confermata dalla decisione n. 58/2015 del Collegio di garanzia dello sport presso il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), che gli ha imputato di aver posto in essere, in concorso con altri soggetti, atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato della gara di Coppa Italia di Lega Pro del 2014 (OMISSIS - OMISSIS), in relazione a fatti appartenenti al fenomeno del c.d. “calcio-scommesse”.
Con sentenza 10 marzo 2017, n. 3375, l’adito Tribunale (sezione prima ter), nella resistenza del CONI e della F.I.G.C., respingeva il ricorso.
La sentenza qui appellata, in particolare:
- prescindeva dall’esame dell’eccezione di difetto di giurisdizione sulla domanda di annullamento di entrambe le parti resistenti, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui, ai sensi del d.-l. 19 agosto 2003, n. 220, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, la cognizione di tutte le questioni attinenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive è riservata al giudice sportivo, restando il giudice amministrativo competente a conoscerle solo in via incidentale e indiretta, al fine esclusivo di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione, nonché rilevando l’infondatezza nel merito del ricorso;
- riteneva inammissibile, sulla base delle stesse considerazioni, e in considerazione della sua irrilevanza nella fattispecie, la questione di costituzionalità delle predette norme proposta dal ricorrente;
- procedeva all’esame in via incidentale del provvedimento disciplinare alla luce delle doglianze del ricorso quale presupposto per la valutazione della domanda di risarcimento dei danni. In tale ambito: riteneva non illegittima la dichiarazione da parte del Collegio di garanzia dello sport dell’inammissibilità del ricorso del OMISSIS contro la pronuncia della Corte federale d’appello, perché rivolto a criticare nel merito la pronuncia, e, segnatamente, a ottenere una più favorevole valutazione del materiale probatorio acquisito, laddove, ai sensi dell’art. 54 del Codice di giustizia sportiva del CONI, le decisioni della Corte possono essere impugnate solo per questioni di diritto; rilevava che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non era dubbio che il Collegio di garanzia dello sport si fosse pronunziato sull’inammissibilità e non sull’infondatezza sulle censure da lui proposte; riteneva irrilevante la mancata considerazione delle conclusioni della Procura, da cui l’organo giudicante ben poteva discostarsi; evidenziava l’adeguatezza del vaglio istruttorio effettuato sul materiale probatorio posto a sostegno della contestazione disciplinare;
- respingeva la domanda risarcitoria, non avendo riscontrato profili di illegittimità rilevanti a fini risarcitori a carico delle sanzioni irrogate.
Avverso detta sentenza il OMISSIS ha proposto appello, deducendo:
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e dei principi affermati dalla Corte di giustizia EU in tema di impugnabilità dei provvedimenti disciplinari, errata applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 49/2011, error in iudicando su tali profili: una nuova e differente valutazione da parte del giudice amministrativo - che ha invece omesso di pronunziare sulla questione - dei provvedimenti sanzionatori per cui è causa, ai fini del loro annullamento, anche previa rimessione al giudice delle leggi delle questioni di costituzionalità dell’art. 2, commi 1, lett. b), e 2 del d.-l. n. 220 del 2003 sollevate dall’interessato, non avrebbe potuto ritenersi preclusa dalla pronunzia della Corte costituzionale n. 49 del 2011, come erroneamente sostenuto dal giudice di primo grado, in quanto, in tesi, attuativa di valori di rango costituzionale diversi da quelli considerati nella pronunzia del 2011, quali i diritti inviolabili dell’uomo e il diritto di difesa in giudizio, richiamati anche da statuizioni della Corte di giustizia UE e della Corte EDU e incisi dalle sanzioni per cui è causa con effetti non ristorabili dalla possibilità di una tutela meramente risarcitoria;
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del Codice di giustizia sportiva del CONI, violazione e falsa applicazione dei principi relativi al sindacato di legittimità, violazione e falsa applicazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo, eccesso di potere per manifesta illogicità, difetto di istruttoria, travisamento ed errata valutazione dei fatti, error in iudicando e omessa motivazione su tutti i suddetti profili: la sentenza gravata, nel ritenere corretta la declaratoria di inammissibilità del gravame proposto dall’interessato innanzi al Collegio di garanzia dello sport, sarebbe incorsa in vari vizi, consistenti nella lettura formalistica e restrittiva del sindacato di legittimità di cui all’art. 54 del Codice di giustizia sportiva del CONI, nella non corretta interpretazione dei motivi addotti nel relativo ricorso (afferenti non a questioni di merito bensì alla mera qualificazione giuridica di fatti e all’assenza di motivazione della sentenza della Corte federale di appello), nella insufficiente motivazione relativa ai motivi di impugnazione della decisione del Collegio;
III) Violazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241 (difetto di motivazione), eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 54 C.G.S. CONI, violazione e falsa applicazione dell’art. 27, secondo comma, Cost., error in iudicando su tutti i menzionati profili; omissione di pronunzia e, in subordine, error in iudicando su tali profili: il giudice di primo grado, nell’ambito della disamina del secondo motivo di ricorso, avrebbe omesso di valutare che la sentenza del Tribunale federale aveva concluso per la non configurabilità dell’illecito sportivo a carico del OMISSIS, e ciò con valutazioni che la Corte federale d’appello, nel raggiungere l’opposto convincimento, non avrebbe confutato, vizio di cui non si sarebbe avveduto il Collegio di garanzia dello sport nel confermare tale convincimento. Il giudice di primo grado avrebbe omesso di valutare anche la manifesta illogicità della configurazione dell’illecito sportivo per cui è causa (relativo sia all’esito che al punteggio della predetta partita) senza l’accertamento di un coinvolgimento dei calciatori, nella specie non ipotizzato;
IV) Omessa pronunzia sul dedotto vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, error in iudicando sui suddetti profili: la sentenza sarebbe erronea anche laddove ha respinto, con motivazione tautologica, la censura di omessa considerazione delle conclusioni della Procura generale favorevoli all’interessato, di cui avrebbe dovuto, invece, apprezzare la significatività, tenuto conto della rilevanza dell’organo nell’ambito del considerato ordinamento di settore e della singolarità di una simile posizione da parte della Procura stessa;
V) Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 7, commi 1 e 2, e 6, C.G.S. F.I.G.C., violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, C.G.S. F.I.G.C., eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto dei presupposti, violazione e falsa applicazione dei principi in materia di formazione della prova e in materia di presunzioni, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241 del 1990 (difetto di motivazione) e omessa e insufficiente motivazione su tutti i punti decisivi della controversia, eccesso di potere per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, eccesso di potere per travisamento ed errata valutazione dei fatti, error in iudicando su tali profili e riproposizione dei profili non esaminati del quarto, quinto e sesto motivo di ricorso: le scarne considerazioni dedicate dalla sentenza appellata a giustificazione della correttezza della decisione della Corte federale d’appello sarebbero del tutto inidonee a superare i molteplici rilievi proposti dall’interessato in ordine alla totale carenza nella fattispecie degli elementi di prova della presenza di quella condotta materiale concreta e inequivocabile, nonché potenzialmente idonea al compimento dell’illecito contestato, di cui all’art. 7 del Codice di giustizia sportiva della F.I.G.C.. In particolare, il procedimento si sarebbe fondato pressoché esclusivamente su intercettazioni telefoniche acquisite in fase di indagini preliminari di un coevo procedimento penale, non sottoposte al vaglio critico necessario per imprimere certezza agli elementi in tal modo acquisiti, e su presunzioni prive dei connotati di gravità, precisione e concordanza, ciò che avrebbe dovuto far concludere per l’assenza di qualsiasi indizio di reità in merito all’addebito ascritto in capo all’appellante, il quale, peraltro, non era mai precedentemente incorso in violazioni disciplinari.
L’appellante ha indi domandato la riforma della sentenza gravata, e, per l’effetto, l’accoglimento delle domande demolitorie proposte in primo grado, previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia delle spiegate questioni pregiudiziali relative all’art. 2, comma 1, lett. b), e comma 2, d.-l. n. 220 del 2003, nonché di quelle risarcitorie, che ha rinnovato nei confronti delle parti resistenti.
Costituitasi in giudizio, la F.I.G.C. ha proposto ricorso incidentale, lamentando che la sentenza appellata, pur riconoscendo il consolidato orientamento giurisprudenziale che non consente l’esperibilità dell’azione di annullamento contro le sanzioni disciplinari irrogate dagli organi della giustizia sportiva, ha omesso di dichiarare expressis verbis l’inammissibilità per difetto di giurisdizione delle domande demolitorie formulate dall’appellante. La F.I.G.C. ha inoltre confutato la fondatezza della domanda risarcitoria, concludendo per la riforma della sentenza appellata nella parte in cui non ha dichiarato l’inammissibilità della domanda demolitoria e per la reiezione della domanda risarcitoria.
Il CONI si è costituito in resistenza senza formulare specifiche difese.
L’appellante e la F.I.G.C. hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
In tale ambito, l’appellante, insistendo per l’accoglimento dell’appello, ha fatto constare che con la sopravvenuta ordinanza 11 ottobre 2017, n. 10171, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione I-ter, ha sollevato alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), e comma 2, in parte qua, d.-l. n. 220 del 2003, così come interpretati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2011, per contrasto con gli artt. 24, 103 e 133 Cost., sotto il profilo della sottrazione al giudice amministrativo della cognizione della domanda caducatoria avverso le sanzioni disciplinari irrogate dagli organi della giustizia sportiva, con incidenza sui principi di pienezza ed effettività della domanda giudiziale. E ha rilevato come detta remissione abbia posto nel nulla le statuizioni con cui lo stesso primo giudice, nella sentenza appellata, non ha conferito rilevanza all’identica questione sollevata dall’interessato, concludendo per la sospensione dell’odierno giudizio in attesa della pronunzia della Corte costituzionale o, in alternativa, per la proposizione da parte dell’adito giudice di appello di analoga questione dinnanzi alla Corte costituzionale.
Con ordinanza 3 aprile 2018, n. 2042, questa V Sezione ha disposto l’acquisizione, a carico della F.I.G.C., di una dettagliata relazione circa i fatti oggetto di controversia. L’incombente è stato adempiuto dall’onerata come da deposito del 27 settembre 2018.
Le parti hanno depositato ulteriori memorie difensive.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’8 novembre 2018.
DIRITTO
1. L’atto di appello in esame richiede l’accertamento preliminare dell’ambito di competenza del giudice amministrativo nelle materie che la legge assegna alla giustizia sportiva.
1.1. La materia è disciplinata dal d.-l. 19 agosto 2003, n. 220, “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, convertito dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, che dispone all’art. 1: “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale” e che “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
Per quanto riguarda l’ambito statuale, di spettanza del giudice amministrativo, il successivo art. 3 (Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria), nella formulazione qui applicabile ratione temporis, stabilisce: “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.
La detta disposizione è correlata all’art. 133, comma 1, lett. z), Cod. proc. amm., che prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”.
Il sistema si chiude con la definizione dell’ambito esclusivo del giudice sportivo di cui all’art. 2 del citato d.-l. n. 220 del 2003, che, al comma 1, riserva “... all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive;” prevedendo poi al comma 2 che “Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo”.
1.2. Sul tema di rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statuale, la giurisprudenza amministrativa ha rilevato che “l’art. 1 d.-l. n. 220 del 2003 definisce l’ambito di autonomia del primo: ma, essendo comunque quello sportivo un ordinamento infra-statuale, la norma comporta che le sue peculiarità non possono sacrificare le posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale, perché inviolabili o comunque meritevoli di tutela rafforzata in quanto non disponibili. Si fonda così la clausola residuale di salvaguardia in favore della giurisdizione esclusiva amministrativa: cui compete, se del caso ed entro determinati limiti, il sindacato sull’operato, che è di rilievo pubblicistico, della giustizia sportiva” (Cons. Stato, V, 22 giugno 2017, n. 3065).
La stessa norma, ancora, “disciplina il delicato rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo garantendo due diverse esigenze costituzionalmente rilevanti: da un lato, l’autonomia dell’ordinamento sportivo (artt. 2 e 18 Cost.), dall’altro, ‘quella a che non sia intaccata la pienezza della tutela delle situazioni giuridiche soggettive che, sebbene connesse con quell’ordinamento, siano rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica’ (Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2012, n. 302). In altri termini, la predetta disposizione ‘ha inteso rispettare l’autonomia dell’ordinamento sportivo’, precisando ‘che l'autonomia in questione non sussiste allorché siano coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica’ (Cons. Stato, n. 302 del 2012, cit.)” (Cons. Stato, VI, 20 novembre 2013, n. 5514).
In ultima analisi, le disposizioni in parola, come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49, prevedono tre forme di tutela giustiziale: i) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), di cognizione del giudice ordinario; ii) una seconda, relativa alle questioni aventi a oggetto le materie di cui all’art. 2, non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all’ordinamento sportivo, in quanto non idonee a far sorgere posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento generale, ma solo per quello settoriale; iii) una terza, tendenzialmente residuale e di giurisdizione del giudice amministrativo “esauriti i gradi della giustizia sportiva”.
In altri termini, le forme di tutela di spettanza del giudice amministrativo in giurisdizione esclusiva attengono a quanto, a tenore degli artt. 1, 2 e 3 d.-l. n. 220 del 2003, non è riservato all’autonomia dell’ordinamento sportivo perché sono coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico generale. Ma in concreto può esserne investito, ai sensi dell’art. 3, solo una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva (Cons. Stato, VI, 14 novembre 2011, n. 6010).
1.3. La fattispecie in esame rientra nell’ambito applicativo di quest’ultima specie di tutela, atteso che la proposizione del ricorso giurisdizionale amministrativo che ha dato luogo alla sentenza appellata è sopraggiunta all’esercizio delle attribuzioni disciplinari della giustizia sportiva nei tre gradi previsti.
2. Possono ora essere affrontate le questioni pregiudiziali – a carattere speculare - con cui l’appellante principale lamenta che l’appellata sentenza (diversamente da quanto valutato in una controversia successiva con l’ordinanza citata in fatto), non abbia convenuto con le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), e comma 2 del d.-l. n. 220 del 2003, poste dal suo ricorso al fine di ottenere, anche previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale, l’annullamento della sanzione disciplinare irrogatagli nell’ambito della giustizia sportiva, mentre l’appellante incidentale F.I.G.C. osserva che la stessa sentenza, pur aderendo al consolidato indirizzo giurisprudenziale illustrato, non abbia dichiarato la carenza di giurisdizione amministrativa sulla domanda demolitoria.
2.1. Quanto alla questione posta dall’appellante, va rilevato che la Corte costituzionale, con la ridetta sentenza 11 febbraio 2011, n. 49, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), e 2, d.-l. n. 220 del 2003 nella parte in cui riserva al giudice sportivo la competenza definitiva sulle controversie riguardanti sanzioni disciplinari non tecniche inflitte ai soggetti operanti nell’ordinamento sportivo, anche se i loro effetti, come pure segnalato dal medesimo, superano l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti e interessi legittimi, in riferimento agli art. 24, 103 e 113 Cost., così sottraendole alla cognizione di legittimità del giudice amministrativo, che resta competente a conoscere, in via incidentale e indiretta, solo della domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Ciò sulla scorta del bene della tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, e nella contestuale presenza della possibilità di chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante per l’ordinamento statale di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno.
In particolare, per la sentenza costituzionale “... qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto ‘diritto vivente’ del giudice che, secondo la suddetta legge, ha la giurisdizione esclusiva in materia, è riconosciuta la tutela risarcitoria … forma di tutela, per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione esclusiva)”, rispetto alla quale “non può certo affermarsi che la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l'ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall'art. 24 Cost. Nell’ambito di quella forma di tutela che può essere definita come residuale viene, quindi, individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia, una diversificata modalità di tutela giurisdizionale”.
La consolidata giurisprudenza amministrativa ha condiviso la medesima linea interpretativa della c.d. “pregiudiziale sportiva” delle controversie risarcitorie, le quali possono essere avviate solo dopo “esauriti i gradi della giustizia sportiva”, come prevede l’art. 3 del d.-l. 220 del 2003 (Cons. Stato, VI, 24 gennaio 2012, n. 302; 24 settembre 2012, n. 5065; 27 novembre 2012, n. 5998; 31 maggio 2013, n. 3002, che richiama Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782; Cons. Stato, VI, 20 giugno 2013, n. 3368).
In questo schema, come osservato di recente (Cons. Stato, V, n. 3065 del 2017, cit.), rileva che, anche se la tutela finisce per essere solo per equivalente monetario, il rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa configura un modello progressivo a giurisdizione condizionata, dove coesistono successivi livelli giustiziali, che si susseguono in ragione di oggetto e natura, più o meno specialistica, delle competenze dell’organo giudicante, ancorandosi il sistema del diritto sportivo - cui è correlata la funzione giustiziale - alle premesse e ai caratteri impressi allo sport dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sin dalla fondazione (anche l’art. 1 del d.-l. n. 203 del 2003 evidenzia che l'ordinamento sportivo nazionale è “articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”) e, conseguentemente, dallo Statuto del CONI, ente pubblico esponenziale dell’ordinamento sportivo, che, all’art. 1, comma 2, definisce l’Istituto come “autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive, intese come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell'individuo e parte integrante dell’educazione e della cultura nazionale”.
Ne segue che il perimetro della tutela risarcitoria è rilevante nei termini di una tutela della lesione interna a un ordinario e corretto sviluppo dell’attività sportiva (Cons. Stato, V, 22 agosto 2018, n.5019), in base all’apprezzamento incidentale del giudice amministrativo dei provvedimenti di giustizia sportiva, nel quadro di un equilibrio di sistema che così offre una tutela giudiziale effettiva: e rispetto a questa non è dato ravvisare la lesione delle prerogative costituzionali lamentata dall’appellante principale.
2.2. Consegue che, esclusa anche qui la sussistenza dei presupposti per dubitare della compatibilità con le norme costituzionali ed eurounitarie delle citate disposizioni del d.-l. n. 203 del 2003, la sentenza appellata è indenne dalle sollevate censure d’appello laddove, nel solco della consolidata giurisprudenza citata, ha escluso l’esercizio del potere demolitorio del giudice amministrativo, sollecitato dall’odierno appellante principale, verso la sanzione disciplinare; mentre va riformata nella parte in cui, come rimarcato dall’appellante incidentale, non ha espressamente pronunziato in ordine all’inammissibilità della corrispondente domanda.
3. Nel merito, va così respinto il primo motivo, con il quale l’appellante principale ha lamentato che la sentenza appellata ha omesso di pronunziare sulla domanda di annullamento dei provvedimenti disciplinari per cui è causa, anche previa eventuale rimessione al giudice delle leggi delle spiegate questioni di costituzionalità dell’art. 2, commi 1, lett. b), e 2 del d.-l. 220/2003.
4. Stessa sorte segue il secondo motivo dell’appello principale, che afferma l’erroneità della sentenza gravata nell’aver ritenuto corretta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dall’interessato al Collegio di garanzia dello sport avverso la decisione della Corte federale di appello, in quanto contro l’art. 54 del Codice di giustizia sportiva del CONI, che affida a detto Collegio, organo di ultima istanza della giustizia sportiva, il mero sindacato di legittimità.
In particolare, non appare condivisibile la tesi, qui ancora esposta dell’appellante principale, che le censure proposte in tale ultimo grado attenevano non a questioni di merito bensì alla qualificazione giuridica di fatti e all’assenza di motivazione della sentenza della Corte federale di appello, che il Collegio di garanzia dello sport era competente a conoscere.
Rileva sul punto che, come bene chiarito dalla sentenza appellata, il ricorso in parola tendeva a: lamentare la violazione dell’art. 7, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, inerente l’illecito sportivo consistente nel compimento di atti diretti ad alterare il risultato di una gara, deducendo l’assoluta inidoneità dei passi della motivazione della sentenza della Corte federale d’appello relativi agli elementi di prova raggiunti in quella sede a giustificare l’applicazione alla fattispecie della predetta norma; contestare le circostanze di fatto poste alla base della decisione, al fine di dimostrare la sua estraneità a proposte alterative della gara; contestare l’erroneo uso di presunzioni e di indizi privi del carattere di gravità, precisione e concordanza, sempre confutando le circostanze richiamate dalla Corte a sostegno della commissione dell’illecito sportivo.
Si trattava, quindi, di un ricorso volto a ottenere un nuovo sindacato di merito attraverso una rinnovata interpretazione del materiale istruttorio acquisito nel giudizio, e non a denunziare errori di impostazione giuridica (che sembrano piuttosto da escludersi venendo in rilievo fondamentalmente il solo art. 7 C.G.S. sopra citato), oppure di motivazione insufficiente o illogica (che, senza necessità di dilungarsi sul tema, ricorre quando la motivazione manchi del tutto ovvero si estrinsechi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi o fra loro logicamente inconciliabili o comunque perplesse e obiettivamente incomprensibili, fattispecie che l’interessato non risulta aver richiamato), propri del sindacato di legittimità per il quale è competente il Collegio di garanzia dello sport.
Bene ha fatto, pertanto, la sentenza appellata a escludere la conformità del gravame di cui trattasi all’art. 54 del Codice di giustizia sportiva, che limita il ricorso al Collegio di garanzia dello sport alla violazione di norme di diritto e all’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in analogia con quanto stabilito dall’art. 360 Cod. proc. civ..
5. Il terzo e il quarto motivo dell’appello principale possono essere congiuntamente esaminati.
Con il terzo motivo si sostiene che l’appellata sentenza non si sia avveduta che la sentenza di prima istanza del Tribunale federale aveva concluso per la non configurabilità dell’illecito sportivo in capo all’appellante; che la Corte federale d’appello ha raggiunto l’opposto convincimento senza confutare le relative argomentazioni; che il Collegio di garanzia dello sport non ha rilevato tale vizio.
Con il quarto motivo si sostiene che la sentenza sarebbe erronea anche laddove ha respinto la censura di omessa considerazione delle conclusioni della Procura generale favorevoli all’interessato, di cui avrebbe dovuto, invece, apprezzare la significatività, tenuto conto della rilevanza dell’Organo nell’ambito del considerato ordinamento di settore e della singolarità di una simile posizione da parte della Procura stessa.
Entrambe le doglianze non sono fondate, concretizzandosi in critiche di merito alle statuizioni della giustizia sportiva sfavorevoli al ricorrente, nell’ottica, perseguita dal ricorso, di pervenire al loro sovvertimento, che non può in questa sede trovare adesione sia in quanto, come detto, inammissibile, sia perché, come meglio in seguito, non è dato ravvisare nella contestazione disciplinare per cui è causa elementi di illogicità.
Tanto anche in riferimento al rilievo, segnalato dal motivo in esame, per cui l’illecito sportivo in parola (relativo sia all’esito che al punteggio della partita alterata) non sarebbe configurabile senza l’accertamento del coinvolgimento dei calciatori, nella specie non ipotizzato. Basti segnalare, al riguardo, la giurisprudenza per cui la figura dell’illecito sportivo in ambito disciplinare “è circoscritta alla sola sfera soggettiva nella misura in cui viene accordata rilevanza giuridica soltanto alla proiezione soggettiva dell’atto finalizzato ad incidere sul risultato della gara, mentre non assumono alcun rilievo gli elementi della idoneità ed univocità degli atti, propri dell’art. 56 c.p.” (Cass. pen., III, 21 luglio 2015, n. 31623).
6. Con l’ultimo motivo di appello si sostiene che le scarne considerazioni dedicate dalla sentenza appellata a giustificazione della correttezza della decisione della Corte federale d’appello sarebbero inidonee a superare i molteplici rilievi proposti dall’interessato in ordine alla carenza nella fattispecie degli elementi di prova della presenza di quella condotta materiale concreta e inequivocabile, nonché potenzialmente idonea al compimento dell’illecito contestato, di cui all’art. 7 del Codice di giustizia sportiva della F.I.G.C., come delineata dalla giustizia sportiva.
In particolare, il procedimento per cui è causa si sarebbe fondato pressoché esclusivamente su intercettazioni telefoniche acquisite in fase di indagini preliminari di un coevo procedimento penale, non sottoposte al vaglio critico necessario per imprimere certezza agli elementi in tal modo acquisiti, e su presunzioni prive dei connotati di gravità, precisione e concordanza, ciò che avrebbe dovuto far concludere per l’assenza di qualsiasi indizio di reità in merito all’addebito ascritto in capo all’appellante, il quale, peraltro, non è mai precedentemente incorso in violazioni disciplinari.
6.1. La censura, che va esaminata anche alla luce delle acquisizioni istruttorie disposte da questa V Sezione con ordinanza 3 aprile 2018, n. 2042, cui ha fatto seguito il deposito del 27 settembre 2018, da parte della F.I.G.C., di una dettagliata relazione circa lo svolgimento dei fatti oggetto di controversia, si rivela infondata.
La relazione attesta che gli elementi costitutivi dell’addebito sono stati tratti dal contenuto e dal tenore delle varie comunicazioni a mezzo telefono intercorse tra l’appellante e gli altri soggetti cui l’illecito sportivo è stato contestato e da un incontro, documentato da riprese video, avvenuto tra gli stessi soggetti e soggetti terzi, previo riscontro della loro coerenza e significatività in rapporto all’illecito disciplinare.
Le conclusioni desunte dall’esame delle intercettazioni telefoniche e ambientali hanno poi trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai soggetti interessati dall’indagine sportiva e penale, le quali, pur se improntate all’obiettivo di evitare auto-accuse, hanno comunque permesso di rafforzare la consistenza dell’incolpazione inerente l’accordo illecito, tenuto conto sia degli elementi certi e obiettivi da esse emergenti che della contraddittorietà delle ragioni addotte allo scopo di negare la ricorrenza dell’accordo stesso.
Bene dunque l’appellata sentenza ha statuito in ordine alla completezza e all’adeguatezza del vaglio istruttorio effettuato in sede disciplinare, e alla ritenuta assenza nella fattispecie di profili di illegittimità rilevanti a fini risarcitori, escludendo, per converso, la sussistenza dei vizi denunziati con il motivo in esame.
7. In definitiva, alla luce di tutto quanto sopra, l’appello incidentale va accolto, e, per l’effetto, in parziale riforma dell’appellata sentenza, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa in relazione alla domanda demolitoria, mentre va respinto l’appello principale.
8. Le spese di lite in parte seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in parte possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe: accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma dell’appellata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione amministrativa in relazione alla domanda demolitoria; respinge l’appello principale.
Condanna l’appellante principale alla refusione in favore della F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio delle spese di lite, che liquida nella somma pari a € 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00) oltre oneri di legge. Compensate le altre.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 novembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore