T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 2832/2020 Pubblicato il 04/03/2020
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- proposto dal dott. -OMISSIS- già rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Rianna, Gaetano Aita, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Monaco in Roma, via delle Quattro Fontane 161, e, con atto depositato l’11 aprile 2019, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfonso Vuolo, Filomena -OMISSIS-con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Brancaccio in Roma, via OMISSIS 18;
contro
F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Letizia Mazzarelli, Luigi Medugno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Medugno in Roma, via Panama 58;
C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli n. 2;
nei confronti
Procura Federale Figc, Procura Generale dello Sport del Coni non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, n. 51 del 12/07/2017 (con la quale il ricorso del OMISSIS è stato in parte dichiarato inammissibile ed in parte è stato respinto e, per l'effetto, è stata confermata la sanzione di mesi 21 di inibizione, inflitta dalla CFA);
della decisione della Corte Federale d'Appello, pubblicata sul C.U. n. 103/CFA del 9/02/17 (dispositivo) e sul C.U. n. 112/CFA del 17/03/17 (motivazioni), nonché di tutti gli atti presupposti, annessi, connessi, collegati, conseguenti e successivi; e per la condanna della FIGC e del CONI al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio e del C.O.N.I.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il cons. Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, notificato il 4 agosto 2017 e depositato il successivo 11 agosto, il dott. -OMISSIS- già dipendente della Lega Nazionale Dilettanti – FIGC e Presidente del C.R. Campania dal 5/12/2012 al 14/9/2015, impugna la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI n. 51 del 12/07/2017 con la quale è stato in parte dichiarato inammissibile ed in parte è stato respinto il ricorso del dott. OMISSIS avverso la decisione della CFA e confermata la sanzione di mesi 21 di inibizione, irrogata a seguito di cumulo e riunione di tre procedimenti.
Avverso la predetta decisione il ricorrente formula i seguenti motivi di doglianza:
1) violazione degli artt. 2 e 3 l. 280/2003, degli artt. 1 e 30 Statuto FIGC, artt. 12 e 12 bis dello Statuto CONI in riferimento agli artt. 1 bis, 19, 32, 32 ter, 32 quinquies CGS-FIGC ed artt. 7, 10, 21, 36 e 37 NOIF, art. 54 CGS-CONI, art. 24, 103 e 113 Cost.; sviamento, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, motivazione insufficiente, contradditoria ed illogica, difetto di giurisdizione, incompetenza e carenza di legittimazione degli organi di giustizia sportiva, estraneità all’ordinamento sportivo, atteso che il ricorrente, essendo decaduto dalla carica, non per dimissioni, non avrebbe potuto essere sottoposto a distanza di un anno dalla cessazione ad un procedimento disciplinare anche se per fatti inerenti all’adempimento del mandato presidenziale ed in quanto non tesserato. Secondo la difesa del ricorrente il Comitato Regionale Campania è una mera articolazione funzionale della LND e chi lo presiede non riveste la qualifica di “dirigente federale”, come delineata dall’art. 10 NOIF. Il ricorrente inoltre non avrebbe mai firmato la clausola compromissoria di arbitrato irrituale e anche ove lo avesse fatto la sua efficacia sarebbe venuta meno alla data in cui è iniziata l’attività d’indagine;
2) violazione degli artt. 2 e 3 l. 280/2003,degli artt. 34, 34 bis e 38 CGS-FIGC e degli artt. 37, 38 e 54 CGS-CONI, dell’art. 30 dello Statuto Federale, degli artt. 12 e 12 bis Statuto CONI, degli artt. 24, 103, 11 e 113 Cost., sviamento, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, motivazione insufficiente, contradditoria ed illogica, estinzione dell’azione disciplinare, in quanto il procedimento disciplinare si sarebbe concluso oltre il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dal deposito dei ricorsi;
3) violazione dell’art. 1 bis CGS-FIGC, dell’art. 54 CGS-CONI, dell’art. 24 e 111 Cost., sviamento, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, motivazione insufficiente, contradditoria ed illogica (Il fatto non sussiste, non è stato commesso, non costituisce illecito disciplinare – violazione del principio ne bis in idem), in quanto il Collegio di Garanzia non avrebbe motivato sulle censure del ricorrente con particolare riguardo alla riqualificazione giuridica del fatto operata dalla CFA, in luogo del dovuto proscioglimento dall’addebito di cui al capo A, oltre al fatto che per la condotta omissiva il ricorrente era stato già giudicato dal Collegio di Garanzia con la decisione n. 49/2016.
Con riguardo al capo B non vi sarebbe alcuna disposizione che imponga al Comitato di corrispondere (entro un termine temporale) le somme asseritamente spettanti alle Società, che, tra l’altro, neanche le avevano ancora richieste e che erano state mantenute nelle casse della FIGC a tutela di quest’ultima e dei creditori ed in attesa dell’ultimazione della verifica da parte del Responsabile amministrativo preposto, né esso si è appropriato di somme;
4) violazione dell’art. 1 bis CGS-FIGC, 28 e 44 REG. LND, degli artt. 19, 37 3 39 NOIF, dell’art. 54 CGS-CONI, sviamento, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica (Il fatto non sussiste, non è stato commesso, non costituisce illecito disciplinare – violazione del principio ne bis in idem), in quanto il Collegio di Garanzia avrebbe ritenuto il ricorrente responsabile per culpa in vigilando, celandosi dietro l’inammissibilità, per non vagliare le eccezioni mosse dal -OMISSIS-ovvero che all’Ufficio Tesseramenti del Comitato Campania era preposto un responsabile, il dipendente, il dott. Gerardo Gargiulo, che era dunque l’unico soggetto, nell’ambito del Comitato Campania, tenuto a conoscere la posizione di tesseramento dei calciatori. La difesa attorea rileva inoltre che la normativa prescrive che all’atto dell’iscrizione al campionato, la LND ed i Comitati Regionali controllino la sussistenza solo di alcuni requisiti, quali la disponibilità del campo, la mancanza di situazioni debitorie, il versamento della tassa associativa e non anche il tesseramento di un numero minimo di calciatori che può avvenire anche successivamente;
5) violazione dell’art. 1 bis, commi 1 e 6 CGS-FIGC, in riferimento all’art. 19 comma 1 e 3, CGS-FIGC, all’art. 37, comma 4, CGS-FIGC, all’art. 54 CGS-FIGC, all’art. 81 c.p., all’art. 59 e ss. c.p., agli artt. 516,517, 518, 521, 522 c.p.p., all’art. 24 e 111 Cost., sviamento, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica, eccesso di potere per non avere il Collegio di Garanzia rilevato l’illogicità e la contraddittorietà della decisione della CFA nella parte in cui ha rideterminato in 21 mesi rispetto ai 24 iniziali e 6500 euro di ammenda, per tre degli iniziali 6 capi d’imputazione. La CFA, inoltre, avrebbe illegittimamente raddoppiato la sanzione iniziale per l’aggravante già contestata con l’altro deferimento, ed avrebbe altresì male applicato la continuazione, la quale peraltro non dovrebbe potersi applicare alle sanzioni disciplinari dell’ordinamento sportivo.
Il ricorrente chiede inoltre il risarcimento dei danni che si individuerebbero nella perdita di credibilità sociale e di credito presso le Società calcistiche e nell’ambito specifico, nonché dei positivi rapporti con gli Enti Pubblici.
Il 17 agosto 2017 si è costituita la Federazione Italiana Giuoco Calcio ed il 31 agosto 2017 il CONI, entrambi con atto di rito.
Il 7 settembre 2017 ha depositato memoria il Coni che ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito con riguardo alla domanda di annullamento delle sanzioni irrogate al ricorrente e degli atti ritenuti presupposti ed il proprio difetto di legittimazione passiva attesa l’indipendenza del Collegio di Garanzia dello Sport e atteso che la decisione del Collegio di Garanzia “ha lasciato intatto il provvedimento federale, con la conseguenza che l’assetto dei rapporti controversi resta disciplinato dal provvedimento federale tuttora pienamente valido ed efficace”. Il Coni poi resiste anche nel merito.
In pari data deposita memoria la FIGC che eccepisce, anch’essa, il difetto di giurisdizione del Tar con riguardo alla domanda caducatoria e resiste nel merito.
Si costituiscono in giudizio per il ricorrente gli avvocati Alfonso Vuolo e Filomena Pastore.
Seguono memorie di parte ricorrente e di parte resistente con cui si insiste nelle rispettive difese e memorie di replica alla memoria del ricorrente da parte del CONI e della FIGC.
Parte ricorrente insiste per la riunione del ricorso con gli altri ricorsi pendenti.
Alla pubblica udienza del 28 gennaio 2020, sentiti i difensori presenti, il ricorso è stato trattenuto in decisione non ravvisandosi elementi per il rinvio dell’odierno ricorso, attesa l’impugnativa di atti definitivi ed autonomi rispetto agli atti impugnati con gli altri ricorsi pendenti.
DIRITTO
Il ricorso è in parte inammissibile per difetto di giurisdizione e per il resto infondato.
Preliminarmente va esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Coni, formulata da quest’ultimo, in quanto sarebbe legittimato in proprio il Collegio di garanzia dello Sport.
L’eccezione è infondata.
La giurisprudenza condivisa dal Tribunale ha affermato che quest’organo non ha personalità giuridica autonoma e distinta da quella del C.O.N.I. ed emette atti di natura amministrativa e non giurisdizionale, sicché la legittimazione processuale va riconosciuta in capo al C.O.N.I. (CdS V 7165/2018).
Il Collegio di garanzia dello sport risulta essere un organo appartenente all’ente pubblico C.O.N.I. in ragione di quanto disposto nello Statuto di quest’ultimo (atteso che l’art. 12, con cui viene definito nel suo complesso il sistema di giustizia sportiva – al cui vertice è posto il predetto Collegio di garanzia, ex art. 12-bis – è parte integrante del Titolo II, che ne disciplina l’organizzazione interna).
Ora, atteso che le decisioni adottate da parte del Collegio di garanzia dello sport incidono sull’oggetto della controversia, potendo modificare – in funzione nomofilattica – i provvedimenti sanzionatori adottati da parte delle singole Federazioni sportive, ai sensi dell’art. 12-bis comma 3 dello Statuto del Coni, sono proprio dette decisioni a dover essere contestate, se del caso, avanti al giudice amministrativo, con conseguente legittimazione passiva del C.O.N.I. (v. anche CdS V 5046/2018).
L’eccezione va quindi respinta.
Quanto alla domanda caducatoria, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del Tribunale adito.
Il d.-l. 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, all’art. 1 (Principi generali), comma 1, afferma che “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”.
Il successivo comma 2 precisa che “I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
L’art. 2, comma 1 dello stesso d.-l. n. 220 del 2003 riserva all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: “a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” e al comma 2 stabilisce che “Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”.
Il successivo art. 3, titolato “Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”, dispone poi che “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.
Correlativamente, l’art. 133, comma 1, lett. z), Cod. proc. amm. prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”.
Sulla base delle disposizioni sopra riportate, ed in particolare dell’art. 2 del d.l. 220 del 2003, le controversie relative alle sanzioni disciplinari devono ritenersi non conoscibili dagli organi giurisdizionali.
Sulla legittimità della norma de qua, come ricordato anche negli atti delle parti costituite, è intervenuta la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 49 del 2011, ha fatto salva la norma sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa del 2003 tale per cui, nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni disciplinari, ad essere preclusa, innanzi al giudice statale, sarebbe la sola tutela annullatoria, ma non anche quella risarcitoria.
In senso conforme alla sentenza n. 49 del 2011 si è pronunciata più di recente la Corte Costituzionale, risollecitata con l’ordinanza 10171/2017 (vedi sentenza n. 160/2019).
Il giudice amministrativo è competente a conoscere le questioni attinenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive solo in via incidentale e indiretta, al fine esclusivo di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.
La domanda demolitoria va quindi dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione.
Si passa quindi allo scrutinio dei motivi finalizzato all’accertamento della sussistenza dei presupposti per la tutela risarcitoria.
Con il primo motivo il ricorrente sostiene di non essere soggetto alla giurisdizione sportiva in quanto decaduto -OMISSIS-e che essendo il suddetto ente mera articolazione funzionale della LND non avrebbe neanche rivestito la qualifica di dirigente federale ai sensi dell’art. 10 NOIF, né sarebbe stato mai tesserato.
Il motivo è infondato.
L’ambito di applicazione soggettivo del Codice di Giustizia Sportiva include le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale e tale certamente è il Presidente del C.R. Campania, definito dallo stesso ricorrente articolazione funzionale della LND, e come tale tenuto all’osservanza dello Statuto, del Codice e delle Norme Organizzative Interne e dei principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva.
Ai sensi dell’art. 36 delle NOIF, inoltre, sono considerati ad ogni effetto dirigenti federali i dirigenti delle Leghe ed essi sono tesserati dalla FIGC.
Le contestate sanzioni si riferiscono poi ai comportamenti tenuti nel periodo in cui lo stesso rivestiva le funzioni di -OMISSIS- ed era assoggettato agli obblighi per la cui violazione è stato sanzionato.
La successiva cessazione dalla carica non appare rilevante, non estinguendo il potere punitivo degli organi a ciò preposti dell’ordinamento federale.
La giurisprudenza amministrativa ha rilevato in via generale a tale riguardo, benché con riferimento alla fattispecie delle dimissioni, che i momenti ai quali occorre fare riferimento sono quello in cui il fatto contestato all'interessato si è verificato e quello in cui vi è la relativa contestazione con l'inizio del procedimento disciplinare (vedi Cons. Stato, VI, 24 settembre 2012, n. 5065).
Su questo ultimo aspetto, ovvero il momento della contestazione dei fatti, il ricorrente fa presente che essa è avvenuta a distanza di un anno e non in costanza del vincolo associativo: il medesimo è decaduto dalla carica il 14 settembre 2015, mentre le iscrizioni dei procedimenti 288, 811 e 744 sono tutti successivi a tale data.
Il Collegio, meglio specificando il menzionato criterio generale, ritiene che correttamente la circostanza non sia stata considerata dagli organi della giustizia sportiva alla luce dell’art. 1 dei Principi di giustizia sportiva del CONI secondo cui “(s)ono punibili coloro che, anche se non più tesserati, per i fatti commessi in costanza di tesseramento si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali o di altra disposizione loro applicabile”.
Questo Tar, con la sentenza n. 2472/2008 della III sezione, ha affrontato analoga questione partendo dalla analisi dei principi affermati nell'ambito dell'impiego pubblico, nel quale si ammette in via generale l'esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio, nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell'impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto in servizio dal dipendente (Cons. Stato, II Sez., 16 maggio 2001, n. 422; T.A.R. Veneto, II Sez., 22 agosto 2002 n. 4514).
Nel caso dell’ordinamento sportivo l’interesse che le sanzioni disciplinari perseguono permane anche a fronte della decadenza dalla carica rivestita, laddove garantiscono l’effettività delle regole di comportamento scoraggiandone la violazione.
Con un secondo motivo il ricorrente lamenta l’estinzione dell’azione disciplinare per conclusione del procedimento oltre il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dal deposito dei ricorsi.
Il motivo è infondato.
Per il rispetto del termine di 60 giorni occorre avere riguardo, alla luce del testo di cui all’art. 34 bis comma 2, CGS FIGC, alla pubblicazione del dispositivo, mentre il deposito della motivazione è attività successiva alla “pronuncia della decisione”, né è più possibile modificare la decisione dopo la pubblicazione del dispositivo.
Per quanto riguarda il termine di 10 giorni per il deposito della motivazione, fissato nel dispositivo della decisione, non risulta trattarsi di un termine la cui violazione possa determinare l’estinzione del procedimento disciplinare, in quanto interviene a procedimento ormai concluso.
Con il terzo motivo il ricorrente contesta i profili relativi al deferimento del 30 giugno 2016 (Capo A) e al deferimento di cui al Capo B.
Per il Capo A il ricorrente contesta la riqualificazione dell’addebito per mancato versamento alla FIGC degli importi dovuti dal Comitato per le sanzioni irrogate dagli organi della giustizia, che è stato riformulato in termini di omessa adozione di misure preordinate ad evitare irregolarità. A suo avviso il CFA si sarebbe dovuto limitare a proscioglierlo dall’addebito anche perché per la condotta omissiva era stato già giudicato con la decisione n. 49/2016.
Con il ricorso al Collegio di Garanzia il ricorrente ha lamentato un difetto di motivazione insussistente, in quanto, secondo quanto si legge nella decisione del Collegio, “la motivazione esiste, è prodiga di analisi dei fatti e di considerazioni in diritto che la OMISSIS immune da vizi”.
Nessuna incoerenza si riscontra tra la violazione per cui è stato sanzionato dal TFN ovvero “avere omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a dar luogo alla puntuale rimessa alla FIGC delle somme dovute dal Comitato” e avere riscontrato che lo stesso ha omesso di assumere quelle iniziative più idonee ad evitare i mancati riversamenti alla FIGC.
Né da quanto si riporta è dato rilevare la contestazione di un fatto nuovo o diverso da quello di cui alla contestazione della Procura.
Attesa la sua posizione nell’ambito del Comitato era suo onere e dovere vigilare sulla corretta gestione delle rimesse.
Nemmeno si evidenzia un bis in idem, atteso che la decisione n. 49/2016 si riferisce ad altra circostanza.
Quanto alla norma violata si tratta della disposizione di cui all’art. 1 bis del vigente CGS ed i sottesi principi di lealtà, probità e correttezza, per aver omesso di assumere, nello svolgimento dello specifico incarico assunto, le doverose iniziative utili ai fini di una migliore gestione finanziaria o di un maggior controllo delle operazioni relative ai fondi movimentati (e non movimentati) dal Comitato regionale. Omesse iniziative ed insufficienti controlli che hanno peraltro reso possibile proprio il mancato versamento alla FIGC delle somme di cui si è detto e/o, di fatto, hanno comunque agevolato la condotta illegittima dei responsabili amministrativo-finanziari del Comitato.
Con il capo sub B al ricorrente è stato contestato di avere omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a consentire di procedere alla restituzione in favore di n. 5 società affiliate (US OMISSIS srl; A.S.D.US OMISSIS; A.S.G. OMISSIS srl; SS OMISSIS 1919 srl e SSD OMISSIS 1902) degli importi per crediti esigibili da ciascuna delle stesse vantati nei confronti del Comitato, con conseguente compromissione dei diritti patrimoniali, derivanti da quelle somme, propri di queste ultime.
In disparte l’inammissibilità delle censure nel giudizio di legittimità avanti al Collegio di Garanzia, la debenza delle somme da parte del Comitato è incontestata ed essendo state giudicate irrilevanti - con argomentazioni non sindacabili in questa sede poiché esenti da vizi di illogicità o travisamento - le asserite esigenze di sottrazione di tali somme al rischio di esposizione del Comitato a richieste di terzi soggetti creditori, le censure vanno respinte anche nel merito.
Non appare, infatti, né congrua né verosimile la giustificazione addotta dal ricorrente con riguardo al differimento del pagamento dei crediti alle società affiliate, soprattutto alla luce dell’insieme delle irregolarità nella gestione del Comitato caratterizzate per lo più da ritardi nei pagamenti.
Anche per questa incolpazione la norma violata è quella di cui al capo A sopra esaminato.
Non rileva la circostanza, peraltro mai contestata, che il ricorrente non si sia appropriato di somme, non essendo questa la condotta per la quale è stato sanzionato.
Per quanto osservato va respinto anche il quarto motivo di gravame, non essendovi motivo di dubitare della sussistenza di quei doveri di attenta e corretta gestione amministrativo - contabile in capo al -OMISSIS- che ha determinato le criticità di cui alle tre residue incolpazioni per le quali è stata rideterminata la sanzione di 21 mesi di inibizione, con applicazione del vincolo della continuazione.
Le altrui condotte irregolari, alla luce delle argomentazioni degli organi federali, sono state favorite dalla mancanza delle più opportune e doverose iniziative che competevano al -OMISSIS- e se questi non è stato ritenuto responsabile di atti di appropriazione, non per questo deve andare esente da colpe per essere venuto meno a doveri di vigilanza e di iniziativa nell’assicurare una corretta gestione amministrativo-contabile.
La quantificazione della sanzione è oggetto di decisione prettamente discrezionale, sindacabile, per regola di carattere generale, solo se manifestamente illogica. E ciò vale ancora di più per l'ordinamento sportivo, in ragione della sua autonomia.
La sanzione, peraltro, alla luce delle condotte accertate appare scevra dai vizi sindacabili in questa sede.
Si tratta in definitiva della sospensione per 21 mesi da ogni attività nell’ambito dell’ordinamento federale ovvero dello status di tesserato.
Del resto la decisione impugnata, lungi dall’avere adottato una reformatio in pejus, ha ridotto la sanzione di tre mesi ed ha eliminato l’ammenda.
Quanto ai criteri che hanno condotto a detta determinazione, essi non appaiono censurabili sotto il profilo della logicità e proporzionalità ove si parta, come hanno fatto i giudici sportivi, dai 10 mesi per la sanzione base relativa alle incolpazioni sub A e B, poi raddoppiata per le aggravanti e ridotta a 19 mesi per il minore disvalore delle condotte omissive a cui si devono aggiungere i due mesi per la terza incolpazione.
Nessun principio o disposizione, peraltro, impone di applicare alle sanzioni disciplinari dell’ordinamento sportivo le previsioni della continuazione di cui al codice penale, soprattutto con riguardo a decisioni ormai inoppugnabili.
Si tratta, inoltre, di ordinamenti posti su piani diversi e palesemente diverse sono le tipologie di sanzioni a confronto, soprattutto ove si tratta, come nel caso di specie, della sanzione dell’inibizione, il cui valore afflittivo non è paragonabile a quello delle sanzioni del codice penale.
Ciò che prevale è la finalità di tutela dell’ordinamento sportivo da condotte non conformi ai regolamenti rispetto alla finalità punitiva che è propria della “pena”, la cui afflittività impone maggiori cautele nella determinazione in concreto della stessa anche a fronte di condotte definitivamente accertate in distinti giudizi.
Per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto non ravvisandosi i presupposti per il riconoscimento di un danno ingiusto, attesa la legittimità della sanzione irrogata.
La domanda deve, conseguentemente, essere respinta.
In conclusione il ricorso è inammissibile con riguardo alla domanda caducatoria per difetto di giurisdizione e infondato con riguardo alla richiesta condanna al risarcimento del danno.
La particolarità e la relativa novità di alcune delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda di annullamento e rigetta la domanda risarcitoria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Consigliere