T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 12811 DEL 2016

Pubblicato il 23/12/2016

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6550 del 2016, proposto da: OMISSIS  S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Angelo Clarizia C.F. CLRNGL48P06H703Z, Avilio Presutti C.F. PRSVLA61A15H501E, Mario Morelli C.F. MRLMRA59D21G843W, Alberto Fantini C.F. FNTLRT61B25G659A, Giorgio Alù Saffi C.F. LSFGRG70L15H501G e Luca Spaziani C.F. SPZLCU81E12D548E, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Tonucci & Partners in Roma, via Principessa Clotilde, 7;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

- Lega Nazionale Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Libertini C.F. LBRMRA42L24C351V, prof. Giulio Napolitano C.F. NPLGLI69L12H501H, Francesco Anglani C.F. NGLFNC76R25F152O, Bruno Ghirardi C.F. GHRBRN59L17B157P e Ruggero Stincardini C.F. STNRGR56M23G478F, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Boezio, 14; - OMISSIS S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Siragusa C.F. SRGMRA48A01G273D, Marco D'Ostuni C.F. DSTMRC73M14F839B, Matteo Beretta C.F. BRTMTT66H09A794O, Marco Zotta C.F. ZTTMRC79D22H501I e Alessandro Bardanzellu C.F. BRDLSN81M12H501U, con domicilio eletto presso lo studio dei primi due in Roma, piazza di Spagna, 15; - OMISSIS  S.p.a., OMISSIS  S.p.a., OMISSIS  S.r.l., OMISSIS  S.r.l., Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, non costituite in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

- del provvedimento n. 25966 del 19 aprile 2016, notificato a mezzo PEC in data 20.4.2016, adottato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel corso dell'Adunanza del 19.4.2016 a conclusione del procedimento I/790;

- del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 25462 adottato nell'adunanza del 13.5.2015, notificato ad OMISSIS  S.r.l in data 19.5.2015 e pubblicato sul Bollettino dell'Autorità n. 18 del 25.5.2015 nonché del provvedimento di pari data ed anch’esso notificato in data 19.05.2015;

- del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n.0072369, notificato dall'Autorità ad Infront in data 11.12.2015;

nonché ove occorrer possa,

- della comunicazione della nuova data del termine di chiusura della fase di acquisizione degli elementi probatori, prot.n. 0015885 notificata a mezzo PEC il 3.2.2016;

- della "risposta all'istanza di riservatezza" prot.n. 0015533 notificata mezzo PEC il 2.2.2016;

- della Comunicazione prot.n. 0013251, notificata a mezzo PEC il 22.1.2016;

- della Comunicazione prot.n. 0012755;

- della Comunicazione prot.n. 0074278, notificata a mezzo PEC in data 23.12.2015;

- della Comunicazione, prot.n. 0068585, notificata a mezzo PEC in data 20.11.2015;

- del processo verbale di accertamento ispettivo del 19.5.2015 dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

- del Verbale delle operazioni compiute del 19.5.2015 della Guardia di finanza, Nucleo Speciale Tutela dei mercati;

per quanto di ragione, del parere dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni pervenuto all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 15 aprile 2016, non noto nel suo contenuto integrale;

per quanto di ragione e in parte qua, delle Linee Guida adottate dall'Autorità Garante della Concorrenze e del Mercato sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità in applicazione dell'art.15, comma 1, della legge n. 287/90 del 22 ottobre 2014

nonché in ogni caso

di ogni altro atto, presupposto o susseguente, comunque connesso a quello impugnato, ancorché non conosciuto negli estremi e/o nel contenuto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, della Lega Nazionale Professionisti Serie A e di OMISSIS S.r.l., con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 9 novembre 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La vicenda, in sintesi, trae origini dalle modalità con le quali la Lega Nazionale Professionisti Serie A (Lega), quale organizzatrice della competizione, ha proceduto all’assegnazione dei diritti audiovisivi relativi al campionato di calcio “serie A” per le stagioni 2015-18, ai sensi del d.lgs. 9.1.2008, n. 9 (c.d. “Decreto Melandri”).

In sostanza, l’invito a presentare offerte elaborato dalla Lega – passato al vaglio della stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) - prevedeva la suddivisione in cinque “pacchetti”, quali: 1) “pacchetto A”, concernente i diritti per le piattaforme satellitare (DTH), Internet, TV Mobile (DTH), Telefonia mobile e IPTV relativi a otto società sportive considerate di maggior interesse, per un totale di 248 eventi (pari al 65% del totale); 2) “pacchetto B”, concernente i diritti per le piattaforme digitale terrestre (DTT), Internet, TV Mobile (DTH), Telefonia mobile e IPTV relativi ai medesimi eventi del pacchetto A; 3) “pacchetto C”, concernente i diritti accessori (interviste, immagini da spogliatoi e altri) per il pacchetto A o B; 4) “pacchetto D”, concernente l’esclusiva per tutte le piattaforme per i rimanenti 132 eventi (pari al 35%) relativi a una squadra di “maggior seguito” e alle altre di “minore seguito”; 5) “pacchetto E”, concernente tre incontri a scelta tra quelli disputati di domenica alle ore 15.00, da trasmettere tramite piattaforma Internet.

Risultavano quindi pervenute offerte da parte di OMISSIS s.r.l. (Sky), RTI-OMISSIS  s.p.a. (RTI), OMISSIS  S.r.l. (Fox) e Eurosport s.a.s. (Eurosport).

All’esito della loro presa di conoscenza, però, la Lega e il suo “advisor” per la commercializzazione di tali diritti, OMISSIS  s.r.l. (Infront), ritenevano che le aggiudicazioni relative ai pacchetti A e B, pur su offerte superiori alla base d’asta, presentassero due problematiche, quali: la possibilità di aggiudicazione di tali due maggiori “pacchetti” al medesimo operatore - OMISSIS - che aveva effettuato le offerte più alte, in relazione alla possibile individuazione di una “posizione dominante” sotto il profilo della normativa “antitrust”; la possibilità di considerare l’ammissibilità di offerte condizionate, come quella effettuata da RTI (che aveva presentato: un’offerta per il pacchetto A, condizionata alla circostanza di non essere aggiudicataria di quello B, per il pacchetto B, un’offerta incondizionata e una condizionata alla mancata aggiudicazione di quello A, un’offerta per il pacchetto D, condizionata all’aggiudicazione di quello A o quello B).

La Lega, quindi, riteneva di non procedere subito all’assegnazione e di richiedere un parere a un esperto “esterno”, professore universitario, sulla fattispecie. In base a tale parere - che riteneva illegittima l’assegnazione dei pacchetti A e B al medesimo operatore e legittima la proposizione di offerte condizionate - e all’esito di un’assemblea di Lega tenutasi nelle giornate dal 23 al 26 giugno 2014, si dava corso alla definitiva assegnazione, che vedeva il pacchetto A per Sky, i pacchetti B e D per RTI. Risultava, inoltre, che il pacchetto C non era assegnato, perché le offerte erano inferiori al prezzo minimo indicato nell’invito a offrire, e che per il pacchetto E non perveniva alcuna offerta.

Da segnalare che già il 25 giugno 2014 risultava depositata anche all’AGCM una denuncia da parte di un’associazione di consumatori con la segnalazione di ritenuti illeciti anticoncorrenziali sull’assegnazione in corso, che risulterà comunque in seguito archiviata dall’Autorità.

Il 27 giugno 2014 RTI chiedeva alla Lega l’autorizzazione per la concessione in sub-licenza, in tutto o in parte, dei diritti relativi al pacchetto D a Sky. Ne seguiva l’istanza della Lega, ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.lgs. cit., all’AGCM e all’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni (AgCom) per ottenere la necessaria autorizzazione in deroga e tali Autorità, dopo articolata interlocuzione con l’istante, concedevano la deroga richiesta in data 17 luglio 2014 e la Lega trasmetteva l’indicazione alle interessate, specificando che la “sublicenza” si sarebbe dovuta conformare alle modalità prospettate tra le parti e comunicate alle Autorità, senza ulteriori pattuizioni rispetto a quelle previste per il pacchetto D nell’invito a presentare offerte. In seguito ad ulteriori interlocuzioni con le parti a chiarimento, queste regolavano il rapporto in questione conformemente alle prescrizioni imposte nei provvedimenti autorizzativi del luglio 2014, secondo specifica dichiarazione del 24 aprile 2015.

Sulla base di alcune notizie di stampa apparse nel febbraio 2015 aventi ad oggetto il contenuto di alcune conversazioni telefoniche di un presidente di società calcistica di serie A, l’AGCM dava avvio all’istruttoria di un procedimento volto a verificare la sussistenza di una eventuale intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101 TFUE, tra RTI, Sky, Lega e Infront.

Dato corso alla complessa fase istruttoria, acquisito il parere dell’AgCom (peraltro riscontrante elementi positivi dall’esito della gara) e comunicata la CRI, era infine adottato il provvedimento finale all’esito dell’adunanza del 19 aprile 2016.

In esso, dopo ampia illustrazione dello svolgimento della fase di avvio, della descrizione delle parti e delle risultanze istruttorie, dell’indicazione del mercato rilevante, degli elementi acquisiti, della descrizione dei fatti e delle argomentazioni delle parti, l’Autorità deliberava che le condotte prese in esame erano state finalizzate alla spartizione dei diritti audiovisivi per il triennio 2015-18, alterando il confronto concorrenziale in sede di partecipazione alla gara, evitando il dispiegarsi di dinamiche concorrenziali fra gli operatori attivi sul mercato e ostacolando l’ingresso di potenziali nuovi operatori, con conseguente violazione dell’art. 101 TFUE. Era quindi disposta inibitoria per il futuro a porre in essere analoghi comportamenti ed erano applicate le relative sanzioni pecuniarie, il cui calcolo pure era ampiamente illustrato nella motivazione, consistenti in euro 1.944.070,17 per la Lega, euro 9.049.646,64 per Infront, euro 51.419.247,25 per RTI ed euro 4.000.000,00 per Sky, unico soggetto di cui era riconosciuto un ruolo marginale e sostanzialmente difensivo, di cui era pure apprezzato l’apporto collaborativo in fase istruttoria.

Riassumendo le tesi dell’AGCM, fondate essenzialmente su risultanze istruttorie di cui ai verbali delle assemblee di Lega che avevano contraddistinto il periodo dell’assegnazione dei diritti in questione, su alcuni documenti acquisiti, tra cui il testo di “e-mail” tra parti del procedimento e tra queste e terzi, nonché sulle audizioni svolte dagli Uffici con esponenti delle singole società calcistiche, si rileva quanto segue.

In primo luogo l’AGCM ricordava che il c.d. “Decreto Melandri” era stato introdotto in Italia al fine di imporre all’organizzatore della competizione apposita procedura competitiva idonea a garantire ai partecipanti condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione, secondo quanto chiarito in sostanza nel relativo art. 9, comma 4, secondo il quale era previsto il divieto a chiunque di acquisire in esclusiva tutti i pacchetti relativi alle dirette, fermi restando i divieti previsti in materia di formazione di posizioni dominanti, dando luogo così non a un mero presidio della regolarità formale della gara ma alla salvaguardia di esigenze sostanziali di concorrenza, sia statica che dinamica, reale ed effettiva.

Richiamando il succedersi degli eventi, a partire dalla presentazione da parte della Lega delle Linee Guida da lei predisposte, l’Autorità ricordava che, in seguito all’apertura delle buste, il contenuto delle relative offerte era noto a tutti i partecipanti. Da esse, si riscontrava che: per il pacchetto A, OMISSIS aveva effettuato l’offerta più alta (con, a seguire, l’offerta di RTI e quella di Fox appartenente comunque al “gruppo Sky”); per il pacchetto B, risultava che la migliore offerta (in capo a RTI) era condizionata dal fatto che nessun soggetto si fosse aggiudicato il pacchetto precedente (con, a seguire, le offerte di Sky, Fox e RTI “non condizionata” di importo molto minore rispetto a quella condizionata); per il pacchetto D, risultava la miglior offerta sempre in capo a RTI (con, a seguire, quelle di Fox, OMISSIS ed Eurosport).

Ne era seguito quello definito come un “acceso contrasto” tra RTI, OMISSIS e Lega/Infront, ove la prima sosteneva l’illegittimità dell’eventuale aggiudicazione di entrambi i pacchetti A e B a OMISSIS e prospettava soluzioni che la vedevano assegnataria del pacchetto D e, in alternativa, di quelli A o B mentre OMISSIS difendeva la propria posizione ritenendo legittima l’aspirazione all’aggiudicazione di entrambi i pacchetti A e B, con formalizzazione di tale posizione mediante l’invio a Lega e RTI di un atto di “intimazione diffida” in tal senso.

Sussistendo i su ricordati dubbi prospettati, tanto da richiedere uno specifico parere ad un esperto “esterno”, la Lega dava inizio all’assemblea “decisoria” in data 23 giugno 2014 in cui – sosteneva l’AGCM - si iniziava a delineare concretamente una soluzione definita “spartitoria” che non teneva in considerazione le regole previste nelle stesse Linee Guida e nel “bando” perché prescindente dalla graduatoria delle offerte valide ricevute. In particolare, erano richiamate alcune e-mail “interne” a RTI in cui si faceva espresso riferimento alla possibilità di un accordo con OMISSIS quale scenario “alternativo” ad un’ipotesi di contenzioso, con eventuale estensione della trattativa anche ad alcuni diritti per la competizione calcistica europea denominata “Champions League”.

Tali trattative continuavano con il coinvolgimento di Infront, il cui rappresentante contattava telefonicamente l’amministratore delegato di OMISSIS per indicare come la Lega aveva ritenuto di definire le assegnazioni (nel senso poi concretamente realizzatosi), e delle stesse imprese coinvolte, che iniziavano una formale stesura di una scrittura privata che anticipava il ricordato esito finale, con rinuncia da parte di OMISSIS al contenzioso prospettato.

Ne seguiva, quindi, l’ultima giornata di assemblea del 26 giugno 2014 ove si dava luogo al ricordato esito definitivo dell’aggiudicazione e la successiva comunicazione del 30 giugno 2014, con la quale la Lega inviava alle autorità competenti la richiesta di autorizzazione in deroga al divieto di sub-licenza previsto dall’art. 11, comma 6, d.lgs. cit.

L’AGCM specificava anche che era emersa in seguito una difformità tra il contenuto della sub-licenza effettivamente sottoscritta tra RTI e OMISSIS e quanto a suo tempo comunicato alle autorità, laddove risultava la sottoscrizione di un documento in cui le emittenti in questione sollevavano la Lega da eventuali difformità rispetto al contenuto delle autorizzazioni rilasciate da AGCM e AgCom, secondo ulteriori contatti tra le parti svoltesi a partire dalla data del 30 giugno 2014.

Sulla base di tale ricostruzione, quindi, l’AGCM riteneva l’esistenza di comportamenti tesi ad alterare il normale dispiegarsi dei meccanismi competitivi in quanto, a fronte di un iniziale confronto competitivo tra OMISSIS e RTI, manifestatosi anche attraverso campagne mediatiche e iniziative extragiudiziali, le parti avevano dato luogo ad un’alterazione dell’esito della procedura competitiva in questione, dando luogo ad un’intesa restrittiva della concorrenza avente ad oggetto l’illecita ripartizione dei diritti audiovisivi relativi.

Specificava l’AGCM che l’intesa non aveva riguardato la fase dell’individuazione e presentazione delle offerte economiche ma aveva interessato la fase antecedente all’aggiudicazione dei diritti posti “a gara”, attraverso l’alterazione dell’esito naturale della stessa, con sostituzione di una soluzione concordata in luogo dell’esito naturale del confronto competitivo previsto dalla norma. Ciò aveva distorto il funzionamento dei meccanismi competitivi che devono governare l’assegnazione dei diritti di trasmissione audiovisivi, ostacolando sia la concorrenza di nuovi operatori nell’immediato sia la concorrenza “sul merito” e il possibile ingresso di nuovi operatori anche per il futuro e rafforzando il consolidamento delle rispettive posizioni di mercato delle emittenti interessate.

L’AGCM chiariva che tale “intesa” era stata promossa da Lega e Infront, aveva recato vantaggio principalmente a RTI e che la stessa OMISSIS era stata sostanzialmente indotta ad aderire anche per la condotta delle altre parti, con la conseguenza che tale condotta fosse riconducibile comunque a tutte quelle coinvolte nella fase istruttoria.

A tale proposito, l’Autorità specificava che, anche in virtù della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in merito all’interpretazione dell’(allora) art. 81, par. 1, Trattato CE - secondo la quale la sua applicazione non riguarda solo le imprese attive nel mercato interessato dalle restrizioni della concorrenza, a valle o a monte del medesimo, ma tutti i soggetti che falsano la concorrenza nel mercato comune indipendentemente da quello in cui sono attivi - la Lega aveva di fatto vanificato gli obiettivi stabiliti dal “Decreto Melandri”, compromettendo l’integrità dell’assegnazione mediante procedure competitive, eque e non discriminatorie. Ciò perché la Lega ben poteva e doveva agire diversamente, rispettando quanto previsto dalle sue stesse Linee Guida e aggiudicando i pacchetti A e B al miglior offerente (Sky), per poi passare ad una nuova fase della procedura in relazione al pacchetto D che non aveva ricevuto offerte valide sopra la base d’asta. Non risultavano infatti, in base alle Linee Guida e al “bando” nonché all’art. 9, comma 4, d.lgs. cit., divieti di assegnazione dei pacchetti A e B ad un unico operatore. Se pure la Lega avesse ritenuto tale possibilità preclusa, avrebbe comunque dovuto annullare l’intera procedura e indirne una nuova con l’inserimento esplicito di tale divieto, invece di aggiudicare la procedura in violazione delle regole della “lex specialis” e prevedendo nella stessa delibera di assegnazione già il consenso alla “sub-licenza”, non richiesta né richiedibile in quella fase della procedura.

Inoltre la stessa Lega sembrava successivamente consapevole delle possibili criticità riguardanti tale sub-licenza, come evidenziato nel verbale della seduta della “commissione tecnica diritti audiovisivi” del 20 febbraio 2015, cui risultava partecipare anche Infront, tanto da portare alla sottoscrizione della clausola sopra ricordata con cui RTI e OMISSIS “sollevavano” la Lega dalle conseguenze sulle eventuali difformità rispetto al contenuto delle autorizzazioni rilasciate dalle autorità di settore.

Per quanto concerneva Infront, l’AGCM sottolineava gli stretti rapporti contrattuali intercorrenti con la Lega, che evidenziavano come Infront avesse un interesse immediato e diretto circa il raggiungimento di determinati ricavi da parte della Lega stessa e avesse attivamente suggerito la condotta da adottare, sia nell’ambito delle riunioni assembleari del 26 giugno 2014, svolgendo un ruolo di mediazione nelle discussioni fra le squadre di calcio, sia all’esterno, contattando direttamente rappresentanti dei “broadcaster” interessati e delle singole squadre di calcio e dando luogo ad un effettivo ruolo di “leadership” dell’intesa.

Il ruolo di RTI era evidenziato in relazione all’interesse nel sostenere una soluzione di aggiudicazione diversa dall’esito delle offerte formulate il 5 giugno 2014, che avrebbe visto l’assegnazione dei pacchetti A e B a Sky, come rilevato dalla documentazione acquisita in corso di istruttoria consistente in comunicazioni e-mail.

Il ruolo di OMISSIS era riconosciuto nei limiti della contestualizzazione degli eventi, laddove ad un primo atteggiamento “competitivo” era seguito un mutamento della condotta che apriva alla possibilità di accordo, come anche in questo caso rilevato da una e-mail interna a RTI del 24 giugno 2014 ove si faceva riferimento ad una proposta di accordo di Sky. Quest’ultima, pur dando luogo ad un comportamento ispirato dalle condotte poste in essere dalle altre parti del procedimento, non aveva ivi tenuto un atteggiamento meramente “passivo” ma si era attivata concretamente nel ricercare la soluzione alternativa alla naturale aggiudicazione, come poi manifestatasi.

In conclusione, l’AGCM riteneva che le parti avessero quindi dato luogo ad un’intesa restrittiva “per oggetto”, per la quale non era necessaria la prova dell’intento soggettivo, era irrilevante che l’accordo non fosse nell’interesse commerciale di alcuni dei partecipanti, si perseguivano anche altri scopi illeciti, non era necessario dimostrare un effetto diretto sui prezzi agli utenti finali, secondo le conclusioni sul punto da parte della Corte di Giustizia che venivano richiamate.

Si era dato luogo – per l’Autorità - alla ripartizione di “imput” strategici fra i due operatori attivi a livello nazionale nel mercato della “pay tv”, con evidente effetto di preclusione in danno dei concorrenti presenti e potenziali e conseguente restrizione della concorrenza, indipendentemente dall’accertamento degli effetti, tenuto conto anche che la condotta si andava a collocare in un mercato caratterizzato da un assetto oligopolistico altamente concentrato, ove le parti detengono sostanzialmente la totalità del mercato in quanto l’acquisizione di contenuti c.d. “premium” costituisce una delle principali barriere all’entrata in esso.

L’AGCM indicava, comunque, che alcuni effetti si erano oltremodo palesati, in quanto l’intesa aveva di fatto escluso la possibilità per un operatore terzo (Eurosport) di partecipare a reali procedure competitive anche solo per l’assegnazione di un sottoinsieme dei pacchetti, per i quali aveva comunque mostrato interesse concreto con la presentazione di un’offerta o anche solo per la possibilità di partecipare ad una nuova edizione della gara.

Risultavano anche la distorsione della concorrenza dinamica in un orizzonte temporale di medio-lungo termine, per la negativa incisione sulla credibilità delle future gare e sulle aspettative d’ingresso di eventuali nuovi “player” nonché la cristallizzazione delle posizioni di mercato determinate nel triennio precedente, ove le stesse RTI e OMISSIS erano risultate assegnatarie di diritti audiovisivi coincidenti.

Replicando puntualmente alle argomentazioni delle parti, ivi comprese le eccezioni procedurali, l’AGCM concludeva ribadendo le considerazioni sopra evidenziate e ritenendo che il parere di senso sostanzialmente contrario reso dall’AgCom si era soffermato esclusivamente sugli effetti benefici per i consumatori in relazione alla “sub-licenza” di cui al pacchetto D, effetti benefici che ci sarebbero stati, secondo l’AGCM, anche con la naturale modalità di aggiudicazione sopra propugnata.

Nel provvedimento finale erano quindi illustrate anche le modalità con le quali erano state determinate in concreto le sanzioni nei confronti di ciascun soggetto coinvolto.

In esse erano state considerate, sul “valore base” delle vendite: la percentuale del 15% e la c.d. “entry fee” del 20%, per Lega, Infront e RTI, le aggravanti del 15% per Lega e Infront, l’attenuante del 30% per RTI, l’incremento della sanzione per “proporzionalità e deterrenza” del 50% per Infront. Per OMISSIS era invece applicato l’art. 34 delle Linee Guida AGCM che consentiva di derogare dalle stesse, con sanzione finale limitata a euro 4.000.000,00.

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, Infront chiedeva l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento in questione.

Esponendo in sintesi le oltre 123 pagine del ricorso introduttivo – in merito al quale il Collegio richiama, a monito, il contenuto dell’art. 3, comma 2, c.p.a. – si rileva che Infront lamentava quanto segue.

I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14, comma 2, della l.n. 689/1981, dell’art. 97 Cost., dell’art. 1 l. n. 241/1990, dell’art. 6 della CEDU, degli artt. 41 e 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E., dell’art. 111 Cost., dei principi del legittimo affidamento, del ne bis in idem, di buona fede e di leale collaborazione, del Protocollo 7, art. 4 della CEDU. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche e in particolare per manifesta contraddittorietà con precedenti statuizioni dell’Autorità, carenza dei presupposti, difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, irragionevolezza manifeste, iniquità e ingiustizia manifesta.”.

La ricorrente lamentava l’anomalo lasso di tempo intercorso tra gli eventi e il successivo avvio del procedimento sanzionatorio fino all’effettiva erogazione della sanzione, avvenuta dopo 22 mesi dall’asserita commissione dei fatti. Inoltre il procedimento era stato avviato dopo che sui medesimi presupposti l’AGCM si era già pronunciata in due occasioni con propri provvedimenti di contenuto all’evidenza inconciliabile con la successiva apertura di un procedimento sanzionatorio per “illecito concorrenziale”.

Il procedimento aveva tratto inizio da un unico articolo pubblicato su un quotidiano a tiratura nazionale che riportava il testo di alcune telefonate registrate di un presidente di una squadra di calcio che nulla aggiungevano all’ampio risalto dato all’intera vicenda dell’attribuzione dei diritti audiovisivi documentato sin dallo stesso mese di giugno 2014 in ordine a una ipotizzata irregolarità nell’assegnazione.

Risultava in tal modo violato il termine per la contestazione delle violazioni amministrative di cui all’art. 14 l. n. 689/81, applicabile anche ai procedimenti davanti all’AGCM, né risultavano rispettati i canoni generali della ragionevolezza e del giusto procedimento. In realtà, l’AGCM disponeva sin dal 17 luglio 2014 di tutti gli elementi per la valutazione della vicenda ma la contestazione era avvenuta a 300 giorni dall’acquisizione di essi in ordine agli accadimenti del 23-26 giugno 2014. In tale data del luglio 2014, infatti, l’Autorità all’esito di un approfondito procedimento istruttorio aveva valutato i fatti e, nella sua composizione collegiale, in relazione alla comunicazione effettuata dalla Lega il 7 luglio 2014, non aveva riscontrato nulla di anomalo in ordine all’esito della gara e dei criteri seguiti nell’assegnazione dei pacchetti.

Il notevole lasso di tempo utilizzato dall’AGCM per dare avvio al procedimento contrastava, inoltre, con l’interpretazione sostanziale dell’art. 6 CEDU fornita dalla Corte Costituzionale (sentt. nn. 196/10 e 104/14), con l’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali UE, in ordine alla necessità di rispettare un tempo ragionevole per contestare questioni specifiche nei confronti di ogni persona, nonché con i principi del “ne bis in idem” e di “affidamento”.

Il colloquio telefonico che nel 2015 aveva fornito lo spunto all’AGCM per dare il via al procedimento, inoltre, non aggiungeva nulla a quanto già in possesso della stessa Autorità alla data sopraindicata, limitandosi il presidente della squadra di calcio in questione a rivendicare la personale paternità del ritenuto “accordo” senza coinvolgimenti diretti di altri. Gli stessi elementi probatori che l’AGCM riteneva di considerare decisivi, perché acquisiti solo con l’istruttoria, in realtà non provavano alcun accordo ma riguardavano corrispondenza interna delle imprese coinvolte o comunicazioni di compiacimento per l’esito della vicenda, senza alcun coinvolgimento in tale corrispondenza di Infront.

L’AGCM era poi stata costantemente informata dell’esito della procedura, sia in occasione della formazione delle Linee Guida sia in occasione della richiesta di autorizzazione alla “sub-licenza”, pervenendo anche ad archiviare, nel settembre 2014, un esposto presentato da un’associazione di consumatori ritenendo proprio che la sub-licenza permetteva di ottenere una concorrenza “per piattaforma” nella trasmissione degli incontri di calcio, come auspicato nello stesso provvedimento di approvazione delle Linee Guida.

“II. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 TFUE e dell’art. 3 l. n. 241/90. Eccesso di potere tutte le sue forme sintomatiche ed in particolare per carenza assoluta dei presupposti, travisamento dei presupposti di fatto di diritto, difetto di istruttoria, contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza manifeste. Sviamento”.

Infront non poteva essere qualificata come parte dell’intesa.

Dalla ricostruzione operata nella sua motivazione dall’AGCM, emergeva un richiamo a giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (C-194/14, Ac Truehand) che prendeva in considerazione una società di consulenza ma tale precedente non era assimilabile al caso di specie, perché in quella occasione la società ivi considerata si era posta come un vero e proprio soggetto organizzatore di una ripartizione di quote di mercato e prezzi in un determinato settore, fungendo da “catalizzatore” del cartello, quale organizzatore, gestore e controllante del medesimo.

Nel caso in esame, invece, nulla di tutto questo si era realizzato, in quanto risultava che Infront semmai aveva un interesse diametralmente opposto alla realizzazione di un’intesa, come esternato nella stessa assemblea del 26 giugno 2014 ove aveva suggerito di prendere in considerazione la c.d. “assegnazione invertita” (pacchetto A a RTI e B a Sky), che sarebbe stata maggiormente remunerativa per la Lega.

La ricorrente non aveva svolto alcun ruolo di propulsione e coordinamento di una presunta intesa e, fino alla fine del 2014, era anche all’oscuro del contratto di “sub-licenza”, né risultava dimostrata alcuna comunicazione telefonica con responsabili di OMISSIS e quindi non vi era alcun ruolo di “leadership” come ritenuto dall’AGCM.

La sua attività si era limitata, appunto, a quella di “adivisor” e non di “decision maker”, fornendo, su richiesta, chiarimenti tecnici legati alla complessa situazione determinata dalle offerte ricevute, effettuando ricognizioni con riferimento al mercato nell’ottica di monitorare le posizioni dei vari “broadcaster”, peraltro espresse pubblicamente. Mai Infront aveva deciso alcunché sulla fattispecie, essendo riservata tale attività all’assemblea di Lega.

Il coinvolgimento della ricorrente nel promuovere e svolgere la trattativa nei confronti di OMISSIS risultava unicamente da comunicazioni interne di RTI e non trovava riscontro alcuno in elementi probatori ulteriori. Risultava, semmai, da altra e-mail interna a RTI, nella parte non trascritta nel provvedimento impugnato, che Lega e Infront erano ”in stallo” e che la necessità di proseguire una strategia di negoziazione era imputabile unicamente alla stessa RTI.

Gli incontri successivi di Infront con RTI, OMISSIS e rappresentanti delle società sportive erano necessari per supportare la Lega nella definizione del contratto di “sub-licenza” e non per promuovere ed attuare un coordinamento volto alla spartizione del mercato.

I contatti con le società sportive e gli operatori televisivi erano necessari quindi proprio per poter svolgere al meglio la propria attività di “advisory”.

Indimostrata e illogica era poi la conclusione secondo la quale l’intesa posta in essere sarebbe stata finalizzata a cristallizzare le posizioni di mercato determinate nel triennio precedente, escludendo potenziali concorrenti, in quanto la Lega e Infront avevano tutto l’interesse a non escludere potenziali nuovi concorrenti dal mercato.

Né la circostanza per cui la ricorrente assumeva un vantaggio dall’esito favorevole dell’assegnazione dei diritti era rilevante, in quanto la piena libertà nella determinazione dei compensi professionali comportava proprio tale conclusione senza che potesse ritenersi in ipotesi realizzata una partecipazione all’intesa anticoncorrenziale, soprattutto con un ruolo di “leadership”, come invece rilevato dall’AGCM.

III. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 TFUE, del Regolamento n. 1/2003, dell’art. 3 della l. n. 241/90, per insussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza e per difetto di motivazione. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche ed in particolare per carenza assoluta dei presupposti, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza manifeste. Sviamento”.

In relazione alle soluzioni alternative richiamate dall’AGCM per la conclusione della procedura che non sarebbero state seguite dalla Lega, la ricorrente rilevava che la possibilità di riedizione della procedura non era contemplata nell’ipotesi che si era concretamente verificata - contrariamente a quanto ritenuto dall’AGCM - in quanto l’”Invito ad offrire” prevedeva che in caso di pacchetti non assegnati la Lega aveva l’alternativa di scegliere tra una nuova procedura o avviare trattative private, riservandosi di apportare modifiche ai pacchetti medesimi, ovvero di non assegnare alcun pacchetto esclusivo relativo alle dirette, laddove le offerte non permettessero l’aggiudicazione dei pacchetti in questione, circostanze queste non verificatesi in quanto erano state ricevute offerte valide per i pacchetti A, B e D.

Inoltre, lo stesso “Invito” richiamava la circostanza che dovessero restare fermi i divieti previsti in materia di formazione di posizioni dominanti, anche ai sensi dell’art. 9, comma 4, d.lgs. cit., per cui non era di palmare evidenza quanto sostenuto a più riprese dall’AGCM, secondo cui si dovesse senza alcun dubbio assegnare entrambi i pacchetti A e B a OMISSIS o rifare la procedura, dato che la prima ipotesi poteva prospettare una posizione dominante di quest’ultimo operatore mentre la seconda ipotesi non era praticabile, alla luce degli stessi presupposti individuati nella “lex specialis”, fermo restando che nel corso dell’istruttoria erano emersi semmai elementi probatori dai quali rilevare che la stessa OMISSIS aveva intenzione di rafforzare la propria posizione dominante, screditando proprio l’attività della ricorrente con l’ausilio di terzi.

La procedura non poteva essere annullata perché non lo permettevano le disposizioni delle Linee Guida e, in realtà, essa si era svolta regolarmente. I due operatori televisivi avevano acquisito i rispettivi diritti dopo aver presentato offerte valide ai sensi del relativo “Invito”, secondo quanto concluso anche nel parere del professore universitario di cui si era avvalsa la Lega e illustrato da quest’ultima anche nella comunicazione all’AGCM del 7 luglio 2014 in ordine alla richiesta di autorizzazione alla “sub-licenza”.

Tale autorizzazione era stata concessa sia dall’AGCM che dall’AgCom, per quanto di rispettiva competenza, senza fare alcun cenno alla possibilità di un uso strumentale a fini “spartitori” e, anzi, come osservato dalla seconda Autorità, essa, unitamente all’esito della gara, aveva contribuito a produrre effetti positivi per la tutela del pluralismo e per i consumatori finali in termini di minor spesa, rendendo possibile fruire della programmazione degli eventi.

Da ultimo, la ricorrente contestava anche la configurabilità dell’intesa in questione quale intesa “per oggetto”, in relazione alle conclusioni cui è pervenuta la Corte di Giustizia UE.

Non risultavano infatti proposte offerte non competitive, in relazione all’elevata contendibilità dei pacchetti offerti; l’esito della procedura era in prima battuta alquanto complesso, tanto da indurre la Lega a ricorrere ad un parere “esterno” per individuare la soluzione più corretta (ma ciò, evidentemente, a suo esclusivo beneficio e in assenza di qualsivoglia potere decisionale in capo all’advisor Infront); i soli due “players” che avevano effettuato offerte superiori al minimo erano quelli che poi si erano aggiudicati i pacchetti.

Si era quindi sostanzialmente mantenuto il benessere dei consumatori, in termini di prezzi più bassi, in quanto si era garantita la presenza della concorrenza sul mercato, come d’altronde osservato dalla stessa AgCom nel parere reso nel corso del procedimento, immotivatamente disatteso nel suo fondamento nel provvedimento impugnato.

IV. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9 e 10 della l. n. 241/1990, del principio del giusto procedimento di cui all’art. 111 Cost., del principio della parità delle armi, dell’art. 6 CEDU. Eccesso di potere per sviamento. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche ed in particolare per illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto è mancata considerazione di elementi essenziali.”

La ricorrente contestava l’affermazione di cui al provvedimento impugnato, secondo la quale le parti avrebbero ripetutamente avuto accesso agli atti, con conseguente piena integrazione del contraddittorio e del rispetto del c.d. “principio di parità delle armi”, in quanto risultava impedito l’accesso ad una serie di documenti che sarebbero stati in realtà utili ad una piena comprensione e ricostruzione esaustiva degli eventi, che Infront indicava nello specifico come idonei, se conosciuti tempestivamente, a dimostrare la propria estraneità alla condotta sanzionata.

V. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 TFUE, degli artt. 11 e 15 della l. n. 287/1990, degli artt. 3 e 11 l. n. 689/1981, del principio di proporzionalità, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera A), del Regolamento (CE) n. 1/2003 (2006/C 210/02) della Commissione Europea, del principio di proporzionalità e di legalità cui all’art. 1 l. n. 689/1981, dell’art. 25 Cost. e dell’art. 7 CEDU. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche ed in particolare per difetto di istruttoria, perplessità, illogicità, irragionevolezza, carenza dei presupposti, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà, ingiustizia manifesta”.

La ricorrente, in subordine, contestava l’entità della sanzione come inflitta nei suoi confronti, ritenendo che dovesse escludersi in primo luogo la definizione di intesa “molto grave”, tenendo conto del richiamato parere dell’AgCom che valorizzava l’effetto benefico nei confronti dei consumatori in termini di prezzi più bassi dovuti alla presenza di concorrenza sul mercato e al pluralismo dell’offerta.

Inoltre, risultava calcolato in modo erroneo il valore delle vendite dei beni e servizi oggetto dell’infrazione, risultava erroneamente applicata la percentuale del 15% del valore di tali vendite, ritenuta come percentuale “minima”, escludendosi l’esistenza di un profilo di “segretezza” a causa del clamore mediatico che già all’epoca dell’assemblea di Lega la vicenda sull’attribuzione dei diritti audiovisivi aveva avuto.

Da non applicarsi, poi, nei confronti della ricorrente era la c.d. “entry fee”, dato che non poteva assolutamente configurarsi una gravità dell’infrazione, anche in riferimento alla sua durata (eventualmente di soli tre giorni).

Infront non era presente sul mercato rilevante ma aveva subito un trattamento penalizzante anche in relazione all’adeguamento dell’importo base della sanzione, senza che fosse oltre tutto considerato il comportamento, innegabilmente collaborativo, tenuto nell’ambito del procedimento.

Così pure l’ulteriore incremento del 50% della sanzione era illegittimo, in quanto la ricorrente non avrebbe mai potuto commettere il medesimo illecito, non essendo attiva sul mercato di riferimento, e l’importo finale risultava comunque contraddistinto da assoluta carenza di proporzionalità in confronto alle sanzioni comminate alle altre parti e al ruolo da esse riconosciuto da parte della stessa AGCM.

Si costituiva in giudizio l’Autorità intimata, esponendo in memoria presentata in prossimità della camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare le tesi orientate a rilevare l’infondatezza del ricorso.

Si costituivano in giudizio anche la Lega e Sky.

Alla camera di consiglio del 6 luglio 2016, su istanza di parte, la trattazione del gravame era rinviata alla fase di merito.

In prossimità della pubblica udienza del 9 novembre 2016, la ricorrente depositava memorie (anche di replica) ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive, mentre l’AGCM depositava una memoria “unica” relativa anche ai contenziosi instaurati dalle altre parti sanzionate e in decisione alla medesima udienza.

Alla data sopra indicata, quindi, dopo ampia discussione orale, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, rileva che la cornice normativa in cui la vicenda deve essere collocata è essenzialmente quella di cui al d.lgs. 9.1.2008, n. 9 (c.d. “decreto Melandri”), recante “Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse.”.

Il “decreto” in questione – in attuazione della “legge-delega” 19.1.2007, n. 106 – specifica al relativo art. 1 che esso pone “…disposizioni volte a garantire la trasparenza e l'efficienza del mercato dei diritti audiovisivi degli eventi sportivi di campionati, coppe e tornei professionistici a squadre e delle correlate manifestazioni sportive, organizzati a livello nazionale, ed a disciplinare la ripartizione delle risorse economiche e finanziarie assicurate dalla commercializzazione in forma centralizzata di tali diritti, in modo da garantire l'equilibrio competitivo fra i soggetti partecipanti alle competizioni e da destinare una quota di tale risorse a fini di mutualità”.

Sin dalle prime battute, quindi, il legislatore delegato evidenzia di essere attento - sì - alla trasparenza ma anche alla “efficienza” del mercato dei diritti audiovisivi in questione. Ciò appare coerente con quanto già sottolineato dal legislatore delegante all’art. 1, comma 3, lett. h), della l. n. 106/07 cit., ove era prevista una durata non superiore ai tre anni dei contratti aventi ad oggetto lo sfruttamento dei prodotti audiovisivi relativi agli eventi sportivi, “…allo scopo di garantire l'ingresso nel mercato di nuovi operatori e di evitare la creazione di posizioni dominanti”.

In sostanza, le intenzioni del legislatore erano quelle di favorire la trasparenza nelle assegnazioni dei diritti al fine di rendere efficiente il mercato relativo, allargare le opportunità di ingresso nello stesso ed evitare la conferma/creazione di posizioni dominanti.

Sotto tale profilo trova quindi ampia giustificazione il coinvolgimento dell’AGCM, chiamata ai sensi dell’art. 6, comma 6, del decreto legislativo in questione a verificare, per quanto di competenza, la conformità delle Linee Guida ai principi e alle disposizioni ivi dettate, unitamente all’AgCom per quanto di competenza di quell’Autorità.

Tali Linee Guida sono indicate dal legislatore quali disposizioni necessarie “…per la commercializzazione dei diritti audiovisivi recanti regole in materia di offerta e di assegnazione dei diritti audiovisivi medesimi, criteri in materia di formazione dei relativi pacchetti e le ulteriori regole previste dal presente decreto in modo da garantire ai partecipanti alle procedure competitive di cui all'articolo 7 condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione”.

Il “decreto Melandri”, quindi, pone un accento sulla necessità di garantire “in primis” gli stessi partecipanti, anche attraverso l’attenzione verso possibili formazioni di posizioni dominanti – ritiene il Collegio non necessariamente nella forma specifica dell’”abuso” di cui all’art. 102 TFUE – sulle quali è chiamata a vigilare la stessa AGCM avvalendosi degli ampi poteri di cui alla l. n. 287/1990, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. cit.

L’Autorità in questione, poi, unitamente all’AgCom e proprio al fine “…di garantire la concorrenza nel mercato dei diritti audiovisivi”, provvede sulle richieste dell'organizzatore della competizione volte a consentire limitate deroghe ai divieti di cui all'articolo 11, comma 6, secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 1, del decreto.

Tale premessa è stata illustrata dal Collegio per evidenziare che – in tesi – l’intervento di “vigilanza” e di conseguente applicazione dei poteri sanzionatori da parte dell’AGCM in relazione alle procedure di cui al “decreto Melandri” è consentito, ed anzi auspicato, dallo stesso legislatore ma – in ipotesi – tale intervento deve essere finalizzato a verificare se, in concreto, vi siano state situazioni patologiche volte a evitare essenzialmente e principalmente la creazione di posizioni dominanti, secondo la preoccupazione esplicita del legislatore delegante.

Certo, aggiunge il Collegio, il richiamo di ordine generale di cui al ricordato art. 20 non impedisce all’AGCM di verificare la sussistenza di altre forme patologiche “anticoncorrenziali”, come le “intese”, ma ciò pur sempre in un’ottica contestualizzata al mercato di riferimento e ai soggetti in esso coinvolti, siano essi l’organizzatore della competizione, gli operatori della comunicazione e l’utente inteso quale consumatore finale, secondo le relative definizioni di cui all’art. 2 d.lgs. cit.

Ebbene, si rileva che nel caso di specie risulta che l’AGCM abbia “intercettato” l’intera procedura in quattro occasioni - due su impulso “di parte” e due su impulso esterno - ma che solo nell’ultima abbia ravvisato gli estremi per procedere all’avvio del procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato.

Risulta, infatti, che l’AGCM sia stata direttamente coinvolta dalla Lega, dapprima ai sensi dell’art. 6, comma 6, d.lgs. cit. al fine di verificare la conformità delle Linee Guida ai principi dettati dal decreto stesso e, successivamente, dopo l’assegnazione dei pacchetti e la conclusione della relativa procedura, al fine di concedere l’autorizzazione “in deroga” per la sub-licenza sul pacchetto D da RTI a Sky. In entrambi i casi, pur manifestando generiche perplessità, non risulta che l’Autorità abbia riscontrato alcuna violazione dei principi di cui al “decreto Melandri”, alla l. n. 287/90 o al TFUE tale da intervenire nei termini di legge o comunque in un lasso di tempo logico e proporzionato.

Così pure, risulta che l’AGCM sia stata sollecitata a intervenire, nell’esercizio dei suoi poteri generali ex art. 20 d.lgs. cit., da un esposto/denuncia presentato da un’associazione di consumatori a ridosso della conclusione dell’assemblea di Lega del 26 giugno 2014 proprio in ordine alle modalità di assegnazione e che abbia però disposto la relativa archiviazione in quanto “…l’esito finale della procedura…anche in considerazione della sub-licenza per il pacchetto D tra RTI e OMISSIS che comporta la condivisione tra i due operatori di alcuni eventi permette di ottenere una concorrenza ‘per piattaforma’ nella trasmissione degli incontri di calcio, così come da ultimo auspicato dall’Autorità nel Provvedimento di approvazione delle Linee Guida per l’assegnazione dei diritti calcistici delle competizioni organizzate dalla Lega…”. Tale provvedimento, del 5 settembre 2014, seguiva dunque tutti i passi precedenti ed era adottato sulla base di un numero congruo di informazioni sulla procedura.

In particolare, l’esposto dell’associazione di consumatori era chiaro nell’evidenziare che vi era una sostanziale situazione di “stallo”, dovuta proprio all’interpretazione delle modalità di assegnazione dei pacchetti principali, A e B, in relazione alle differenti tesi sostenute dalle parti interessate (OMISSIS che insisteva per l’assegnazione a sé di entrambi e RTI che insisteva sull’impossibilità di assegnarli in esclusiva a un solo operatore). La stessa associazione, al fine di tutelare i consumatori favorendo il contenimento dei prezzi, evidenziava anche che per la prima volta OMISSIS aveva avanzato offerta anche per il c.d. “digitale terrestre” e la relativa aggiudicazione avrebbe dato luogo all’occupazione del settore di mercato più appetibile e al rafforzamento della sua posizione già dominante nel settore “pay tv”.

Il provvedimento AGCM di settembre – come detto – non poteva non tenere conto dell’ulteriore fase istruttoria che aveva preceduto l’autorizzazione “in deroga” concessa nel luglio 2014.

La relativa istanza della Lega del 30 giugno 2014, infatti, aveva evidenziato che la richiesta deroga era finalizzata “…ad introdurre una maggiore flessibilità nello sfruttamento dei diritti che ne sono oggetto, con l’obiettivo di assicurare un sostanziale beneficio per i consumatori atteso che questi risulterebbero facilitati nell’impiego della tecnologia che sono soliti utilizzare per la visione delle gare…”, garantendo una più esaustiva visibilità degli eventi. Ciò – aggiungeva la Lega – al fine peraltro di soddisfare l’auspicio espresso dalla stessa AGCM nella comunicazione del 14 maggio 2014, laddove, con riferimento all’offerta “per prodotto” di una parte dei diritti della competizione, sottolineava che per consentire un “assetto concorrenziale del mercato” era necessario autorizzare espressamente la stipulazione di accordi di ritrasmissione su altre piattaforme, ai sensi dell’art. 11, comma 7, d.lgs. cit. La richiesta sub-licenza era quindi posta per ottenere sul mercato il medesimo effetto di un’offerta su diverse piattaforme e avrebbe ampliato tale effetto garantendo ad ogni modo le condizioni di equilibrio concorrenziale nello sfruttamento dei diritti in questione, tenuto anche conto che, secondo quanto osservato in merito dall’AgCom, il sub-licenziante avrebbe dovuto prevedere prezzi congrui e commisurati all’effettivo valore degli eventi.

Alla richiesta di chiarimenti della stessa AGCM - aventi ad oggetto: 1) l’indicazione dei soggetti offerenti dell’ammontare offerto per ciascuna stagione; 2) il soggetto aggiudicatario di ciascun pacchetto e il relativo ammontare di aggiudicazione; 3) l’indicazione dei criteri seguiti per l’aggiudicazione ove avvenuta, comprese le ragioni per le quali tali criteri non corrispondessero a quelli dell’offerta più alta; 4) l’acquisizione di tutti i verbali relativi alla procedura, 5) il numero di eventi e l’identità delle società sportive relative all’oggetto di sub-licenza; 6) la tipologia di sub-licenza in relazione alla possibilità di trasmissione in esclusiva o meno; 7) l’elenco riassuntivo dei diritti assegnati ad esito della sub-licenza con indicazione degli operatori televisivi che avrebbero trasmesso i singoli eventi sportivi; 8) le motivazioni di dettaglio a sostegno dell’istanza, anche in considerazione della relativa stabilità delle tecnologie DTT e DTH – la Lega replicava illustrando con dati e motivazione le risposte alle singole domande.

Ne conseguiva il ricordato provvedimento del 17 luglio 2014, ove l’AGCM riassumeva gli elementi in suo possesso, tra cui le modalità di assegnazione dei pacchetti A, B e D, rilevando che la sub-licenza comportava ”… la condivisione di una parte di eventi ricompresi nel pacchetto D i quali, pertanto, sarebbero visibili mediante due piattaforme concorrenti, come da ultimo auspicato dall’Autorità nell’ambito dell’approvazione delle Linee Guida 2015/18, con l’effetto di ampliare il bacino potenziale di utenti…” e “…che la sub-licenza aveva ad oggetto un insieme di eventi riguardanti società sportive di minor seguito che costituivano un bacino di utenza relativamente limitato e che era esclusa l’ulteriore sub-licenza di tali diritti; che la condivisione di una parte di eventi ricompresi nel pacchetto D avrebbe avuto l’effetto di rendere fruibili tali contenuti su una pluralità di piattaforme concorrenti”.

E’ vero che il provvedimento si concludeva - peraltro correttamente secondo quanto osservato anche in precedenza dal Collegio - con un’osservazione per la quale la valutazione in questione, e il conseguente accoglimento della richiesta di deroga, non pregiudicavano un intervento dell’Autorità ai sensi della l. n. 287/90 e degli artt. 101 e 102 TFUE ma è indubbio che, al momento della richiamata archiviazione, l’AGCM era in possesso degli specifici elementi, desumibili anche da contributi esterni, relativi alle modalità di assegnazione dei diritti in questione, anche in riferimento alle specifiche posizioni delle parti interessate.

Agli “atti” risultavano, infatti: tutti i verbali relativi alla procedura, i criteri di assegnazione, la conformazione dei pacchetti, le offerte presentate, i nominativi degli aggiudicatari e dei non aggiudicatari, la sussistenza di articoli di stampa nazionale in cui si evidenziavano le contrapposte posizioni di OMISSIS e RTI e si richiamavano anche l’esistenza del parere del professore universitario, i contatti di uno dei due operatori con presidenti delle squadre di calcio, la sussistenza di diffide “incrociate” tra le parti.

Solo in occasione del quarto “contatto” con la procedura, peraltro di alcuni mesi successivo al settembre 2014, l’AGCM riteneva invece di individuare elementi idonei all’avvio di un procedimento per ritenuta violazione dell’art. 101 TFUE.

Ci si dovrebbe aspettare - osserva il Collegio - che tale “contatto” abbia apportato elementi di novità tali da superare quanto in origine, o almeno sino al settembre 2014, conosciuto dall’AGCM per dare luogo all’avvio di una specifica istruttoria “antitrust” per violazione dell’art. 101 TFUE.

In realtà, dal provvedimento impugnato, si rileva che l’Autorità abbia ritenuto di attivare i suoi poteri unicamente sulla base di “alcune notizie di stampa apparse nel mese di febbraio 2015”.

Ebbene, come risulta agli atti, tali “notizie di stampa” altro non erano che un articolo, pure apparso su quotidiano a tiratura nazionale, contenente il contenuto di una registrazione di una comunicazione telefonica tra un noto presidente di una squadra di calcio metropolitana e un altro interlocutore, in cui tale presidente si vantava di aver messo d’accordo RTI e OMISSIS sull’assegnazione dei diritti in questione.

Solo nel maggio del 2015, poi, era assunta la delibera di avvio dell’istruttoria nei confronti delle quattro parti sopra richiamate, sulla base di una ipotesi di intesa non tanto legata all’opera di intermediazione (asseritamente ricondotta unicamente a se stesso) di uno specifico presidente di una squadra di calcio - unico elemento di novità assunto rispetto a qualche mese prima – ma ad una volontà di condizionare ed alterare gli esiti della procedura di assegnazione “con gara” dei diritti audiovisivi in questione.

Nell’elencare le stesse risultanze istruttorie (parte III del provvedimento impugnato), l’AGCM faceva poi riferimento al contesto normativo, all’approvazione delle Linee Guida nell’aprile 2014 e alle successive precisazioni da parte della stessa Autorità richieste alla Lega, allo svolgimento della gara, alla richiesta di autorizzazione in deroga ai sensi dell’art. 11, comma 6, d.lgs. cit. e alla relativa concessione di autorizzazione, tutti elementi, questi, indubbiamente già in possesso dell’AGCM da tempo.

Si noti che nella stessa CRI l’Autorità precisava che la violazione dell’art. 101 TFUE derivava dall’erronea modalità di aggiudicazione dei pacchetti A e B e da un esito della gara “concordato” tra le parti e diverso dalla “naturale” conclusione risultante dalle offerte, al fine di “ripartire” il mercato tra i due operatori “storici”. Così pure, nel provvedimento finale sanzionatorio, l’AGCM riteneva che la promozione dell’”intesa” fosse riconducibile a Infront, quale intermediaria tra Sky, RTI e esponenti di squadre di singole squadre di calcio nonché elaboratrice e suggeritrice della condotta che aveva portato all’esecuzione dell’accordo, senza alcun cenno all’opera invece “autoricondotta” allo specifico presidente, di cui alle notizie di stampa del febbraio 2015.

Ne consegue – ad opinione del Collegio – che assumono spessore, sotto tale profilo, le doglianze della ricorrente esposte nel primo motivo di ricorso, secondo cui l’Autorità aveva superato di gran lunga il termine di cui all’art. 14 l. n. 689/81, il quale prevede ai primi due commi che “La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.

Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento”.

Si rammenta che, in argomento, questa Sezione ha già chiarito di recente (TAR Lazio, Sez. I, 1.4.15, n. 4943) che “…il citato articolo 14, compatibile con il peculiare procedimento in esame, pur con i limiti di adattamento richiamati dall’art. 31 della legge 287/1990, è sicuramente contrario ai principi positivizzati nella legge n. 241/90 e, più in generale, ad una esigenza di efficienza dell’agire amministrativo e di certezza del professionista sottoposto al procedimento, esigenze clamorosamente frustrate dall’opposta ricostruzione prospettata e secondo cui non si applicherebbe né il termine dell’art. 14, né altro termine, del quale non viene infatti individuata la durata”.

Dalla lettura del provvedimento impugnato e in particolare dalle sue motivazioni, si evince che gli argomenti dell’AGCM si fondano su un sostanziale riesame delle circostanze a lei note da tempo e legate a quanto accaduto dall’apertura delle buste fino alla definitiva assegnazione e alla richiesta di sub-licenza, ritenendo che “…a fronte di un inziale confronto competitivo tra OMISSIS e RTI/OMISSIS , manifestatosi anche attraverso campagne mediatiche e iniziative stragiudiziali, tali operatori hanno preso parte ad un accordo con la Lega e Infront che ha di fatto alterato l’esito della procedura competitiva sulla base della quale, conformemente al D.lgs. n. 9/2008 e alle Linee Guida approvate dalle Autorità, dovevano essere assegnati i diritti audiovisivi in questione” (pag. 73, p.i.).

L’intesa non aveva riguardato “…la fase dell’individuazione e presentazione delle offerte economiche per l’acquisizione dei diritti, ma ha comunque interessato la fase antecedente all’aggiudicazione dei diritti a RTI e Sky, alterandone gli esiti grazie anche alla partecipazione del soggetto aggiudicatore (Lega) e del suo advisor (Infront)” (pag. 76 p.i.).

Come si nota, nessun riferimento all’opera di intermediazione del richiamato presidente di squadra di calcio metropolitana è effettuata, tanto che lo stesso procedimento precisa che le trattative avevano “…coinvolto Sky, RTI/OMISSIS , Lega e Infront” e non altri e che l’intesa era stata promossa “da Lega e Infront” – e non da altri intermediari, peraltro mai coinvolti direttamente in fase istruttoria – a vantaggio principalmente di RTI e con l’adesione di OMISSIS indotta anche dalla condotta delle altre parti.

Nessun riferimento decisivo ad elementi acquisiti in seguito alle notizie di stampa del febbraio 2015 è poi riscontrabile nel prosieguo dell’articolata motivazione, ove è in sintesi rilevato che la Lega “ben poteva e doveva agire diversamente, rispettando quanto previsto dalle Linee Guida e dall’invito ad offrire, aggiudicando i pacchetti A e B a chi aveva presentato l’offerta più alta (Sky) e passando ad una nuova fase della procedura per il pacchetto D (che non aveva ricevuto offerte valide sopra la base d’asta)” (pag. 77 p.i.), dando per scontato che non era quindi possibile presentare offerte condizionate (dato che per D un’offerta maggiore del minimo vi era ma era quella, appunto condizionata all’ottenimento di A o B, di RTI).

Sostiene sempre l’ACGM che “Né le Linee Guida né il bando contenevano infatti un divieto di assegnazione dei Pacchetti A e B ad un unico operatore e tale divieto non è previsto dal D.Lgs. n. 9/2008, che, come già detto, si limita a vietare l’acquisizione in esclusiva di tutti i pacchetti relativi alle dirette, mentre i pacchetti A e B non esaurivano le dirette, essendovi anche il pacchetto D. Né si può sostenere che tale divieto discenda direttamente dall’articolo 9, comma 4, del suddetto decreto, poiché quest’ultimo, rinviando alla generale normativa a tutela della concorrenza, va considerato ex post con riferimento all’assetto complessivo dell’aggiudicazione, ivi inclusi eventuali accordi di sub-licenza, nonché alla luce dello specifico contesto economico e di mercato e non può ex ante integrare un divieto di assegnazione dei pacchetti A e B, non previsto dal bando. In ogni caso, qualora la Lega avesse voluto non assegnare i pacchetti A e B ad un unico soggetto avrebbe dovuto inserire tale preclusione nella lettera di invito e, quindi, una volta presentate le offerte, l’unica possibilità di non aggiudicare A e B al soggetto che aveva presentato l’offerta più alta per entrambi i pacchetti (Sky) era quella di annullare la procedura e indirne una nuova con l’inserimento di tale divieto. Quello che la Lega non poteva fare era giudicare in violazione delle regole della lex specialis” (pag. 78 p.i.).

Ebbene, a parte ogni considerazione sul merito di tale ragionamento, il Collegio rileva che le argomentazioni dell’AGCM si sono sostanzialmente dispiegate in una mera analisi giuridica legata a circostanze di fatto a lei ben note almeno dall’acquisizione della documentazione integrativa richiesta in seguito alla domanda di autorizzazione in deroga per la sub-licenza, ma tale operato depone inequivocabilmente nel senso che l’AGCM ha utilizzato un termine palesemente incongruo per procedere alla contestazione (Tar Lazio, n. 4943/15 cit.).

Sulla base di quanto ora evidenziato, appare anche alquanto oscuro quanto ulteriormente concluso dall’AGCM (pag. 79 p.i.), laddove è specificato che “Nel descritto quadro normativo, il presupposto della sub-licenza e di una sua eventuale autorizzazione in deroga è l’assegnazione dei diritti sulla base dell’esito della procedura competitiva cui può seguire l’adozione dello strumento della sub-licenza sempre che esso favorisca effetti pro-competitivi rilevati dalle competenti Autorità ai sensi della richiamata normativa speciale. Al contrario, Lega e Infront non hanno proceduto all’assegnazione e hanno invece ispirato una soluzione spartitoria consentendo che il contratto di sub-licenza rappresentasse uno strumento per realizzare un complessivo disegno spartitorio”.

Se tale è il ragionamento, osserva il Collegio che di tali presupposti l’AGCM era a piena conoscenza al momento del rilascio della sua autorizzazione in deroga e non si comprende la ragione per la quale solo a partire dal febbraio 2015, per un evento del tutto estraneo alle modalità contestate, tali dubbi sulla effettiva funzionalità della sub-licenza in questione si siano palesati, visto che, per quanto sopra riportato, l’Autorità già nel luglio 2014 era in possesso di tutti gli elementi “base” della fattispecie ed era nelle condizioni di effettuare i medesimi ragionamenti e interpretazioni giuridiche sulle modalità applicative delle Linee Guida e dell’invito a offrire, sostenute invece solo nel provvedimento di avvio formale dell’istruttoria procedimentale e illustrate nel provvedimento finale in questa sede impugnato.

E’ infatti poco verosimile ritenere che la volontà di richiedere l’autorizzazione in deroga per la sub-licenza per il pacchetto D non fosse stata conosciuta dalle parti interessate, così come non è chiarito nel provvedimento impugnato sotto quali specifici profili tale sub-licenza non avesse favorito effetti “pro-competitivi” ai sensi della normativa speciale e secondo quanto, peraltro, apertamente affermato sulla fattispecie dall’AgCom per i profili di sua competenza.

Su tale ultimo profilo, il provvedimento impugnato si limita ad affermare che il parere dell’AgCom era comunque limitato agli effetti legati alla tutela del pluralismo e degli utenti di cui alla richiamata sub-licenza per il pacchetto D e che “… La situazione di fatto venutasi a creare a seguito dell’accordo di sub-licenza, sarebbe stata possibile anche se fosse stato rispettato il risultato della gara, che aveva visto prevalere OMISSIS per i pacchetti A e B. Ciò senza escludere anche altri scenari, che avrebbero potuto riguardare la possibilità per i consumatori di beneficiare su più piattaforme di un numero maggiore di eventi, anche di altri tornei calcistici”.

Ebbene, a parte la considerazione che tali “scenari” non erano in alcun modo possibili in base alla situazione reale verificatasi, il Collegio rileva che l’AGCM, non senza profili di contraddittorietà, da un lato afferma come il contratto di sub-licenza rappresentasse uno strumento per realizzare un complessivo disegno spartitorio e, dall’altro, sostiene che la situazione di fatto venutasi a creare a seguito dell’accordo di sub-licenza sarebbe stata possibile anche se fosse stato rispettato il risultato della gara secondo un assegnazione dei pacchetti A e B a Sky.

In sostanza, il perno di tutto il ragionamento sostenuto dall’AGCM è riconducibile ad una condotta sostanzialmente unitaria che avrebbe visto la volontà della Lega e del suo “advisor” di non addivenire ad una soluzione “naturale” della gara (con l’attribuzione di entrambi i pacchetti più “appetibili“, A e B, al medesimo operatore ma a promuovere un accordo spartitorio per il quale la sub-licenza per il pacchetto D era parte integrante e imprescindibile).

Non è dato comprendere, si ripete, come tale ricostruzione possa essere stata operata soltanto a seguito del nuovo elemento acquisito nel febbraio 2015, che faceva cenno, peraltro, unicamente all’opera di un singolo presidente di una squadra di calcio in riferimento ad attività diretta nei confronti dei due operatori ma non anche nei confronti di Lega e Infront, e non poteva essere posta a fondamento di un avvio di una istruttoria di approfondimento per ritenuta violazione dell’art. 101 TFUE entro il termine di cui al richiamato art. 14 a partire dalla piena conoscenza di tutti gli elementi allegati alla domanda di autorizzazione in deroga per la sub-licenza, ritenuta dall’AGCM la vera “chiave di volta” dell’accordo spartitorio come individuato.

Né appare convincente in senso contrario alle conclusioni del Collegio quanto sostenuto dall’Autorità nel provvedimento impugnato (pp.101-102), laddove essa afferma che, in realtà, la violazione delle regole della procedura in sede di assegnazione non assumeva “di per sé” un rilievo “antitrust”, rilievo che era invece emerso solo successivamente in presenza di indizi ed evidenze della sussistenza di un accordo tra le parti che avrebbe sostituito quella che doveva essere una decisione unilaterale della Lega di aggiudicazione dei diritti. Tali “indizi ed evidenze” erano emersi soltanto con gli accertamenti condotti nell’ambito del procedimento avviato nel maggio 2015, dai quali soltanto si sarebbero evidenziate le modalità con cui Lega e Infront avevano ritenuto di risolvere le criticità legate alle modalità di presentazione delle offerte per i pacchetti, si erano acquisiti l’accordo di “sub-licenza” e la copia completa del verbale assembleare, si era venuto a conoscenza che la trattativa per la stipula dell’accordo di sub-licenza aveva preceduto la delibera di assegnazione finale, fermo restando che nella richiesta di autorizzazione in deroga non vi era alcun accenno alla preesistenza di accordi.

Tali tesi sono sostenute anche nelle difese dell’Autorità, che peraltro richiamano la natura non perentoria del termine di cui all’art. 14 e il profilo che vuole l’operatività del suddetto collegata solo all'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita, implicante il riscontro della esistenza e della consistenza della infrazione e dei suoi effetti, e, quindi al presupposto della effettiva e completa conclusione delle attività di accertamento.

Per l’AGCM, solo dal mese di febbraio 2015 essa aveva avuto contezza del fatto che l’assegnazione dei diritti si fosse caratterizzata da profili di illiceità concorrenziale, non essendo riconducibile ad una decisione “unilaterale” della Lega ma a una concertazione che vedeva coinvolte, oltre a quest’ultima, anche il suo advisor nonché i due operatori televisivi.

In realtà, il Collegio rileva che il termine è perentorio una volta accertato il suo presupposto e che quindi l’Autorità è tenuta a notificare la contestazione entro lo stesso, anche in riferimento ai principi generali di cui all’art. 6 CEDU e all’art. 41 della carta Fondamentale dei diritti UE, che costituiscono parametri di riferimento interpretativo ormai imprescindibili.

Non è chiarito, si ribadisce, nel provvedimento impugnato quale specifico profilo desumibile dall’articolo di stampa del febbraio 2015 abbia accresciuto gli elementi già in possesso dell’Autorità a conclusione della fase di autorizzazione della sub-licenza, facendo riferimento l’intercettazione telefonica in questione solo ad un’attività personale riconducibile al già richiamato presidente di una squadra di calcio ma non alla Lega quale soggetto collettivo, che esprime le sue determinazioni in argomento attraverso le decisioni di un organo assembleare secondo le maggioranze previste.

E’ chiaro, poi, che una volta avviata una fase istruttoria possano assumersi ulteriori elementi, tramite ispezioni e acquisizioni documentali, idonei in qualche modo a confermare l’impostazione prospettata in sede di avvio del procedimento ma ciò non consente di procrastinare “ad libitum”, secondo decisioni unilaterali dell’Autorità, il periodo che va dalla commissione del fatto all’individuazione dei presupposti per dare inizio al procedimento che dovrebbe portare all’adozione di provvedimenti sanzionatori secondo le potestà dell’organo pronunciante.

Nel caso di specie, come già accennato in precedenza, l’AGCM aveva già da tempo interloquito con la Lega al momento della formalizzazione dell’istanza di sub-licenza, chiedendo ulteriore documentazione e delucidazioni.

In proposito, il Collegio rileva che nella richiesta di informazioni in questione depositata in atti dalla stessa difesa dell’AGCM, risulta che l’Autorità aveva comunicato la necessità che l’istante “…con particolare riferimento alla richiesta di deroga…” fornisse “… Informazioni sull’esatto contenuto degli accordi di sub-licenza previsti e sugli effetti concreti riguardanti le procedure di assegnazione dei diritti di trasmissione”, con ciò confermando di poter ritenere la sussistenza di “accordi” sul punto.

A ciò deve aggiungersi che, dalla documentazione depositata in giudizio dalla ricorrente (doc. 12), si evince che già il 27 giugno 2014 i principali quotidiani a tiratura nazionale facevano chiaro riferimento ad un “accordo dell’ultimo minuto” che coinvolgeva Sky, Mediaset e la Lega, comprendente anche l’assegnazione del pacchetto D a RTI che lo avrebbe “ceduto” a OMISSIS (La Stampa), richiamavano la circostanza per la quale la Lega avrebbe “costretto” i due operatori alla trattativa (Corriere della Sera), vi sarebbe stato un “accordo sui diritti tv” tra gli stessi operatori televisivi (Sole 24 Ore), si era dato luogo a “un’intesa”, “in extremis”, mediante “accordo Sky-Mediaset” (Milano Finanza, Corriere dello Sport), vi era stata una “spartizione Sky-Mediaset” (Il Messaggero) o comunque un “accordo” tra le parti (Il Tempo, Il Giornale).

Come si nota, quindi, lo stesso tenore delle fonti giornalistiche individuate dall’AGCM come idonee a promuovere la sua attenzione nel febbraio 2015 – ove, anzi, la riconducibilità dell’iniziativa era una mera “autopromozione” del presidente interessato – è riscontrabile in misura ben più chiara e massiccia già all’indomani dell’assemblea di Lega del 26 giugno 2014.

Non si comprende, quindi, per quale ragione l’AGCM abbia atteso ulteriori otto mesi e un’unica, aggiuntiva, fonte di stampa per avviare i suoi poteri.

In definitiva, il Collegio ritiene che l’AGCM disponesse sin da luglio 2014 di tutti gli elementi per poter avviare immediatamente un’istruttoria analoga a quella poi partita solo nel febbraio 2015, non avendo aggiunto alcunché l’articolo di stampa apparso nel corso di quest’ultimo mese, con conseguente mancato rispetto del termine per contestare tempestivamente la condotta poi sanzionata.

Se è pur vero che, in tesi, la giurisprudenza ha concluso che il tempo entro cui l’AGCM deve notificare la contestazione ai sensi dell’art. 14 cit. non è collegato al momento della commissione della violazione in sé considerato ma a quello dell’accertamento dell’infrazione (TAR Lazio, Sez. I, 8.10.13, n. 8674 e, in materia di pubblicità ingannevole, Cons. Stato, Sez. VI, 2.7.15, n. 3291), nel caso di specie, tale “tempo” non poteva che iniziare a decorrere da quando l’Autorità aveva avuto sentore della possibile conclusione di “accordi” tra le parti. Tale sentore, se è stato ritenuto concretizzatosi nel febbraio 2015 per un solo articolo di stampa che alla sussistenza di un “accordo” accennava (sia pure nei limiti ricordati), ben poteva essere individuato perlomeno già dal 27 giugno 2014, data in cui risultavano pubblicati i numerosi articoli sulla stampa nazionale a maggior tiratura sopra evidenziati che – analogamente a quello del febbraio 2015 - esplicitamente evidenziavano la sussistenza di un accordo tra le parti contestuale all’aggiudicazione finale dei pacchetti, ivi compresa la soluzione riguardante il pacchetto D.

Ne consegue che nel caso di specie l’AGCM ha utilizzato un termine palesemente incongruo per procedere alla contestazione e all’avvio di una fase istruttoria, con violazione dei principi di legalità e buon andamento che devono sempre comunque contraddistinguere l’operato dell’Autorità nei confronti di tutti i soggetti interessati dal suo operato.

Fermo restando che quanto ora illustrato si riflette sull’illegittimità del provvedimento impugnato, il Collegio rileva che, anche a prescindere da tale aspetto di ordine procedurale, le censure della ricorrente sono condivisibili anche sotto un profilo sostanziale che riguarda il provvedimento impugnato in ordine all’individuazione stessa di una condotta “anticoncorrenziale”, tramite un’intesa restrittiva della concorrenza “per oggetto” ritenuta particolarmente grave.

Tale intesa si sarebbe sostanziata nella ripartizione tra i due operatori principali del mercato delle “pay tv” dei diritti audiovisivi relativi al campionato di Serie A, stravolgendo il corretto svolgimento delle procedure competitive contemplate dal “decreto Melandri” mediante la sostituzione di una soluzione concordata all’esito del confronto competitivo previsto dalla legge, recando in tal modo pregiudizio al dispiegarsi di dinamiche concorrenziali fra gli operatori attivi sul mercato e ostacolando l’ingresso di potenziali nuovi operatori. Inoltre, risultava che nella versione finale del contratto di sub-licenza vi erano difformità con quanto a suo tempo comunicato all’Autorità, dato che, a fronte della condivisione di 22 partite del pacchetto D relative a una squadra di “prima fascia”, sussisteva una clausola che obbligava RTI a non trasmettere 22 (altri) eventi di una squadra del pacchetto B.

L’intesa era stata considerata restrittiva “per oggetto” – per cui non era necessaria la prova dell’intento soggettivo, era irrilevante che l’accordo non fosse nell’interesse commerciale di alcuni dei partecipanti e che tramite esso si perseguivano anche altri scopi leciti, non era necessario dimostrare un effetto diretto sui prezzi agli utenti finali – e quindi per la sua stessa natura dannosa per il buon funzionamento del gioco della concorrenza, essendo caratterizzata da un accordo spartitorio fra i due operatori attivi a livello nazionale e detentori della sostanziale totalità del mercato mediante l’acquisizione di contenuti “premium”, orientato alla ripartizione del mercato di riferimento della “pay tv”, in seguito all’alterazione del risultato della procedura competitiva prevista da una normativa speciale, con conseguente cristallizzazione delle posizioni di mercato determinate nel triennio precedente.

Ebbene, il Collegio rileva che l’articolata tesi dell’AGCM si fonda su due premesse maggiori: l’aggiudicazione “naturale” e non contestabile della procedura competitiva era quella che vedeva i pacchetti A e B in favore di un singolo operatore, con esclusione della possibilità di offerte “condizionate”; le parti coinvolte dovevano astenersi comunque da qualunque confronto su una diversa soluzione allocativa, pur in presenza di una situazione di incertezza interpretativa che si era formata dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte.

Irrilevanti erano considerate le seguenti circostanze: la indiscussa presentazione di offerte competitive solo da parte dei due suddetti operatori, che la possibilità di indire una nuova gara era una mera “facoltà” per la Lega, che non risultava dimostrato come l’assetto conclusivo fosse stato penalizzante per i consumatori.

Sulla base di tali considerazioni, il Collegio rileva che nella vicenda in questione si può individuare – usando un gergo “colloquiale” – un “prima” e un “dopo”. In una fase iniziale, infatti, non si riscontrava alcun profilo “anticoncorrenziale”: le Linee Guida erano state approvate dalla stessa AGCM - sia pure con una certa perplessità - la quale evidentemente non riscontrava problematiche in ordine al ventaglio di aggiudicazioni possibili; le offerte presentate erano altamente competitive per quel che riguardava i due operatori principali del mercato, che, anzi, si erano confrontati più apertamente proprio sulle rispettive piattaforme “tradizionali” e avevano – ciascuno per il proprio interesse – insistito a tutelare le contrastanti posizioni all’esito dell’apertura delle buste e conosciute le rispettive posizioni, anche mediante atti di “diffida” e “controdiffida”, prospettando evidentemente un lungo contenzioso dagli esiti incerti.

In tale fase è quindi esclusa ogni volontà, palese o occulta, di pervenire ad accordi spartitori di qualunque tipo.

Il Collegio non può astenersi dall’osservare che se vi fosse stata la volontà di spartirsi il mercato – peraltro definito “oligopolistico” dalla stessa AGCM e occupato dai due operatori principali senza che si manifestassero segnali di effettiva concorrenzialità da parte di operatori terzi (come confermato dalla circostanza per la quale alla procedura in questione avevano partecipato solo altri due gruppi imprenditoriali di cui, uno, “Fox”, riconducibile alla stessa OMISSIS e l’altro, “Eurosport” che aveva effettuato un’offerta inferiore al minimo e per il, solo meno appetibile, pacchetto D) – sarebbe stato più facile per i due operatori formulare offerte solo per le rispettive piattaforme già occupate, non comportando l’invito ad offrire un obbligo di formulare offerte su tutti i pacchetti, anche senza pervenire a posizioni concordate sul punto, peraltro ovviamente vietate in una fase interiore alla gara.

L’intesa anticoncorrenziale si materializza, invece, secondo la ricostruzione dell’AGCM, coinvolgendo non solo i due operatori ma anche Lega e Infront: le quattro parti decidono di stravolgere l’esito “naturale della gara” e, ciascuna per un proprio interesse, pervengono a definire l’accordo spartitorio stigmatizzato dall’Autorità, di cui è parte integrante quello di sub-licenza, peraltro modificato dopo l’autorizzazione concessa ex art. 11, comma 6, d.lgs. n. 9/2008.

Tale ricostruzione al Collegio non appare convincente sotto diversi profili relativi alla disciplina sostanziale “antitrust”.

In primo luogo si osserva che, a fondamento di una fattispecie di “intesa” anticoncorrenziale, prima ancora di ogni approfondimento sulle rispettive posizioni soggettive, non può che individuarsi un interesse comune – non obbligatoriamente coincidente sotto un profilo economico – tra tutte le parti partecipanti. Solo un interesse comune in termini di vantaggio acquisibile all’esito dell’intesa stessa può infatti giustificare il potere sanzionatorio dell’AGCM che, nell’ambito della sua potestà individua una “pena” pecuniaria che si pone come “contrappeso” al vantaggio in questione, così da rendere “non conveniente” il ricorso a tale forma di condizionamento del mercato.

Solo successivamente, se acquisita la certezza del vantaggio “soggettivo” in questione, ci si può soffermare sui risvolti “oggettivi”, individuando una forma di intesa “per oggetto” o “per effetto”, in relazione stessa alla struttura della fattispecie.

Il Collegio ritiene che non può prescindersi da tale aspetto “cronologico”, dovendo l’Autorità preposta verificare sempre in via pregiudiziale quale vantaggio, anche solo ipotetico, avrebbero assunto le parti dal dar luogo alla specifica condotta inquadrata come intesa “anticoncorrenziale” e solo dopo, una volta prospettato con un determinato margine di certezza che tale vantaggio è configurabile, verificare se esso lo sia in forma per c.d. “astratta” (intesa “per oggetto) e terminare l’analisi ovvero continuarla per individuarne la forma per c.d. “concreta” (intesa “per effetto”).

Inoltre, anche nell’ipotesi di intesa restrittiva “per oggetto”, la giurisprudenza ha precisato che “…al fine di valutare se un accordo tra imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere considerato come una ‘restrizione della concorrenza per oggetto’ ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca” (Corte di Giustizia UE, Sez. II, Toshiba, in C-373/14 P nonché ING Pensii, in C‑172/14 ivi richiamata).

Da ciò ne deriva che comunque l’Autorità è sempre chiamata ad un’attività di valutazione del contesto economico e giuridico del mercato di riferimento e degli obiettivi fondanti la condotta sanzionata, nel senso che un’intesa “per oggetto” può qualificarsi tale solo se vi è mercato sufficientemente definito che risulti “bloccato” dall’intesa come congegnata e se gli obiettivi riconducibili al momento della sua posizione in essere siano “de plano” considerabili anticoncorrenziali.

Ebbene, nel caso di specie l’AGCM ha invece direttamente ritenuto la configurazione di un’intesa “per oggetto” ritenendola prevalente su ogni previa considerazione dei ricordati profili, soffermandosi in maniera poco convincente sul comune vantaggio che avrebbe spinto “a monte” le parti (essenzialmente a ridosso della giornata del 26 giugno 2014) a promuovere la condotta poi sanzionata quale “intesa anticoncorrenziale” e sulle ripercussioni di questa sul mercato in quanto tale.

Per quanto riguarda la ricorrente Infront, l’AGCM ha preso a riferimento l’interesse “economico e diretto” circa l’esito dell’assegnazione dei diritti di cui al relativo contratto che prevedeva la clausola “Obbligazione di risultato” (v. nota n. 143 del p.i., pag. 25) con la quale Infront si obbligava a far sì che le fosse corrisposto un ricavato totale determinato o, in caso di mancato raggiungimento di tale esito, a corrispondere essa la differenza.

In questo, però, è individuabile ad opinione del Collegio un mero interesse economico legato all’adempimento dell’obbligazione contrattuale più che un interesse ad una specifica distribuzione di risorse tra operatori determinati, considerato che il contratto in questione era stato sottoscritto ben prima della data di presentazione delle offerte e dell’apertura delle buste, per cui esso era “neutro” rispetto all’identificazione dei partecipanti alla procedura che ben poteva – in ipotesi – vedere molti più operatori concorrere rispetto a quelli effettivamente poi offerenti.

Inoltre, si ravvisa una certa coerenza nella posizione di Infront, la quale – per stessa ammissione dell’AGCM – aveva in diverse occasioni sostenuto la tesi dell’impossibilità di assegnare i pacchetti A e B alla sola OMISSIS e ciò per ragioni plausibili laddove, in una mail (richiamata nel p.i. e) inviata a un presidente di una squadra di calcio di serie A, si evidenziava che “Come segnalato dalle stesse autorità, l’acquisizione di entrambi i pacchetti A e B produrrebbe inevitabilmente il formarsi di una posizione dominante nel mercato…OMISSIS ha da sempre, come riconosciuto dall’AGCM e dall’AgCom una posizione dominante”. Aggiunge Infront nella “mail” in questione che “In ogni caso questa è l’indicazione dell’advisor fermo restando che decide solo ed esclusivamente l’assemblea che è sovrana cui potrai rivolgere le tue osservazioni”.

Ne emerge un quadro che pone Infront come estranea ad influenze decisive sul volere della Lega, cui è rimandata ogni determinazione, e come soggetto che pone una problematica di ordine giuridico non pretestuosa ma da più fonti, anche di una certa autorevolezza, evidenziata (parere del consulente esterno, dichiarazioni in assemblea di esponenti di squadre di calcio).

Inoltre, il resto degli elementi “esogeni” richiamati dall’AGCM non coinvolge direttamente Infront ma riguarda scambi di “mail” tra gli operatori economici o tra questi e soggetti esterni che accomunano peraltro Lega e Infront senza individuare in quest’ultima una precisa volontà di favorire la specifica condotta per propri interessi legati alla “spartizione” di mercato.

A ciò si aggiunga che l’ulteriore elemento esogeno sui cui si fonda l’AGCM, consistente nella circostanza per la quale il rappresentante di Infront avrebbe telefonato nella mattina del 26 giugno 2014 all’amministratore delegato di OMISSIS per comunicare l’esito della vicenda relativa all’assegnazione (pacchetto A a Sky, pacchetti B e D a RTI con disponibilità di quest’ultima a “sub-licenziare” il secondo a OMISSIS ma pur sempre “…ai sensi del Decreto Melandri”, quindi subordinandola all’autorizzazione di AGCM/AgCom), non prova alcuna diretta influenza dell’”advisor” sulla decisione, dato che le testuali parole riportate nel provvedimento impugnato facevano chiaro riferimento a quanto operato “dalla Lega”, senza assumersi alcun merito o vantaggio specifico.

Anche la successiva telefonata richiamata, ove Infront prospetta a OMISSIS la condizione di procedere alla rinuncia al contenzioso affinché la Lega esprima il consenso ad avviare il procedimento di richiesta di sub-licenza, non appare idonea a concretizzare una partecipazione decisiva di Infront a stravolgere l’esito della procedura di assegnazione ma testimonia, semmai, la sua opera di mero raccordo, quale “advisor”, con operatori coinvolti in una complessa situazione di “stallo”, fondata peraltro non su pretestuosi elementi ma su ragioni giuridiche di sostanza.

Che “a posteriori” l’AGCM affermi in merito che in realtà l’assegnazione dei due pacchetti a OMISSIS non avrebbe integrato alcuna formazione di posizione dominante non è argomento idoneo a condizionare il giudizio sulla condotta delle parti, che – come detto - deve essere esaminata esclusivamente nella contestualizzazione degli eventi che, all’epoca, vedeva molti dubbi di fattibilità nell’assegnazione dei pacchetti più appetibili ad un unico operatore di mercato o anche una prevedibile incertezza sugli esiti di una nuova gara, una volta conosciuti gli importi offerti da RTI e OMISSIS nonché da Eurosport (inferiore al minimo e per il solo pacchetto D, meno appettibile e naturalmente collegato e dipendente dalla gestione dei pacchetti A e B), con non impossibile evenienza che anche il pacchetto D (ma non quello E) potesse essere ottenuto da Sky, con evidenti ulteriori perplessità riguardo al rispetto dell’art. 9, comma 4, del “decreto Melandri”, che la stessa AGCM nel procedere all’approvazione della Linee Guida, pur potendo, non aveva contribuito a prospettare e risolvere “ex ante”.

In definitiva, le tesi dell’AGCM (di cui a pagg. 79-80 del p.i.) - secondo cui Infront: a) aveva un interesse immediato e diretto circa il raggiungimento di determinati ricavi da parte della Lega; b) aveva svolto un ruolo di mediazione nelle discussioni fra le squadre e con Sky; c) aveva rappresentato una forza di promozione, organizzazione, propulsione e coordinamento nell’intesa – non appaiono convincenti ai fini dell’irrogazione di una sanzione “antitrust” per le seguenti ragioni.

In relazione al punto sub a), il Collegio richiama quanto sopra anticipato, nel senso che la modalità di pattuizione del compenso riguarda il rapporto contrattuale Lega/Infront e non certo lo specifico risultato derivante dall’assegnazione come effettuata, per cui non è chiarito nel provvedimento impugnato come il compenso in questione abbia costituito la “molla di propulsione” dell’intesa come sanzionata; inoltre, la pattuizione riguardava la Lega e il suo “advisor” e non vi sono elementi da cui l’AGCM abbia rilevato una pattuizione o anche una forma di accordo tra Infront e Sky/RTI per addivenire alla soluzione finale censurata dall’Autorità ovvero dai quali dedurre che Infront aveva un interesse alla permanenza della precedente divisione dei diritti e ad impedire l’ingresso di nuovi operatori con eventuale incremento dei proventi della Lega stessa.

In relazione al punto sub b), non emerge un ruolo di mediazione decisiva nei confronti dei partecipanti all’”intesa”, soprattutto di RTI (di cui sono acquisite solo “mail interne” prive di efficacia probatoria decisiva), fermo restando che risulta espressamente come il rappresentante stesso di Infront affermi in una comunicazione che l’assemblea di Lega è sovrana nella decisione e fermo restando che la possibilità di formare “interfaccia” con alcuni esponenti di squadre di calcio in un momento – da contestualizzare – di estrema incertezza sulla modalità di assegnazione finale appare consona al ruolo di “advisor” proprio della ricorrente, dal cui atteggiamento non emerge alcuna forma di imposizione o pressione sconveniente nei confronti di Sky, RTI, Lega o anche altri esponenti di squadre di calcio.

In relazione al punto sub c), non si riscontrano elementi da cui dedurre che Infront abbia svolto un ruolo di “decision maker” e di promozione/propulsione e coordinamento dell’intesa, dato che essa si è limitata a prospettare alle parti le soluzioni possibili, esprimendo la sua opinione di consulente, senza imporre alcuna decisione in merito e senza dare luogo a una forma di concorso “atipico” nell’illecito quale “collante” dell’intesa, non riscontrandosi alcun profilo di interesse in tal senso.

Da ultimo, per completezza di esame della complessa fattispecie posta alla sua attenzione, il Collegio ritiene anche di soffermarsi sulla questione “nodale” di essa, relativa alla sussistenza o meno di un illecito “antitrust”.

Come sopra evidenziato, l’AGCM ha ritenuto che la condotta delle parti concretizzasse una forma di “intesa per oggetto” in quanto rivolta alla ripartizione del mercato, individuato in quello dei diritti televisivi relativi agli eventi calcistici la cui organizzazione è riconducibile alla Lega.

Ai fini della individuazione di tale forma di illecito, la stessa giurisprudenza riportata dall’AGCM, sia nel provvedimento impugnato sia nelle sue difese, ritiene necessaria un’interpretazione “rigorosa”, nel senso che il rilevato coordinamento deve dare luogo per la sua stessa natura a un grado di dannosità per il buon funzionamento del normale confronto concorrenziale tale da non individuare come necessaria alcuna ulteriore indagine sugli effetti concreti da esso derivanti (Corte CE, C-172/14 cit.).

Deve trattarsi, come sostanzialmente rilevato dalla ricorrente ma anche dalle altre parti coinvolte nel procedimento, di una forma di accordo, sia pure “atipica” e quindi non strettamente legata al c.d. “big ridding” quale programmazione anticipata di risultati di una gara, priva – aggiunge il Collegio – di qualsiasi giustificazione economica diversa, in un contesto di mercato comunque ben definito che vede un certo numero di “competitors” e con caratteristiche idonee a contribuire al dispiegarsi naturale di forme di concorrenza “orizzontale”.

L’intesa “per oggetto”, quindi, deve consistere in una fattispecie rivolta ad impedire l’ordinario confronto concorrenziale “a monte” del mercato, tale da impedire l’ingresso o il permanere in esso di altri operatori anche mediante una semplice allocazione di risorse idonea a condizionare il futuro funzionamento dello stesso.

Nel caso di specie, però, tali caratteristiche non si riescono ad individuare.

Non è verosimilmente contestabile che il mercato dei diritti televisivi della “pay tv”, in vigore ormai da molti anni, sia contraddistinto da una penetrazione pressoché totalitaria di due soli operatori (OMISSIS e RTI/Mediaset per il 96,80%), come indicato nello stesso provvedimento impugnato. Né si rinvengono elementi – e comunque l’AGCM non li richiama se non in via ipotetica e futura – da cui dedurre che tale mercato sia in espansione “soggettiva”, nel senso dell’esistenza di una ragionevole previsione di ingresso di altri operatori, dotati di forza economica comparabile a quella dei due sopra richiamati. La circostanza è confermata in misura ancora più netta, per quanto riguarda il mercato dei diritti calcistici dei campionati di calcio professionistici, dall’andamento della procedura in esame, ove solo due operatori (sempre i medesimi, Sky/Fox e RTI) hanno formulato offerte superiori al minimo prefissato.

Il terzo operatore (Eurosport) che era entrato in competizione, infatti, oltre ad aver effettuato un’offerta inferiore al minimo per il solo pacchetto D – come osservato nel corso del giudizio e non confutato dalle difese dell’Autorità – svolge in realtà attività di “content provider” e non di intermediario di diritti televisivi o di impresa televisiva, quale operatore “wholesale” attivo in un mercato diverso rispetto a quello “retail” della “pay tv” e con rapporti di “partnership” commerciale proprio con OMISSIS e RTI/Mediaset, a cui fornisce canali sia prima che dopo l’espletamento della procedura in questione.

Né emerge che Eurosport potesse trarre alcun sicuro vantaggio, anche in un’ottica concorrenziale “pura”, da un’eventuale riedizione della gara, una volta conosciute le sue potenzialità di offerta di gran lunga inferiori a quelle degli altri due unici “competitors”.

Nel provvedimento impugnato manca, quindi, l’illustrazione di elementi di ragionevole previsione sui quali fondare la convinzione che - in assenza dell’assetto poi concretamente formatosi a seguito dell’attribuzione distinta di A e B con sub-licenza per D ai sensi di legge e con la riedizione della gara – Eurosport (o anche ulteriori operatori) avrebbe(ro) avuto concrete possibilità di entrare nel mercato in questione per competere con efficacia.

Ne consegue che la soluzione orientata all’attribuzione dei due pacchetti principali ad uno solo dei due operatori (peraltro quello “incumbent”, presente da più anni sul mercato, con formazione di consistenti utili), come propugnata, a posteriori, dall’AGCM, non sembrava certo idonea a consentire una svolta “pro-concorrenziale”, pur in disparte ogni considerazione sulla posizione “dominante” o meno che tale operatore avrebbe (ri)acquistato.

E’ mancata, in sostanza, un’accurata analisi del mercato rilevante come concretamente strutturato che è comunque necessaria anche nell’ipotesi di intesa anticoncorrenziale “per oggetto”.

Per tale ragione, l’allocazione delle risorse in questione, anche se collegata ad un accordo per la sub-licenza, ha assunto una funzione “pro-concorrenziale” nella peculiarità del mercato di riferimento, consentendo il confronto concorrenziale tra i due unici operatori esistenti, con conseguenze tangibili anche sul piano dei vantaggi per i consumatori, che non hanno infatti visto un aumento dei prezzi per i rispettivi “abbonamenti”, come dimostrato da tabelle allegate nei contributi procedimentali delle parti. Che vi sia stato un andamento generale in ascesa dei prezzi di abbonamento alla “pay tv” negli ultimi anni, come illustrato in altra tabella dall’AGCM, non è argomento valido a confutare la conclusione ora riportata, in quanto tale andamento dei prezzi riguarda comunque l’intera piattaforma offerta e non i soli diritti audiovisivi calcistici e ben può essere legato all’incremento dei contenuti offerti e alla loro conformazione a una tecnologia migliorativa in continua evoluzione.

Alla luce di quanto illustrato, in definitiva, il Collegio rileva che l’assetto preso in considerazione dall’AGCM:

a) non può definirsi quale “accordo spartitorio”, dato che le parti hanno consentito il perpetuarsi di una concorrenza che altrimenti non ci sarebbe stata;

b) non può rientrare nella fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale “per oggetto”, in quanto non è stata dimostrata una sua dannosità presuntiva per ripartizione di mercato, dato che non era accertata “a priori” la rispettiva quota di tale mercato e la clientela dei consumatori rimaneva pienamente contendibile;

c) la “causa” contrattuale alla base della sub-licenza per il pacchetto D richiesta dalla Lega e autorizzata dall’AGCM era pienamente lecita, in quanto orientata ad evitare contenziosi futuri, “stallo” del mercato e ulteriori inconvenienti per i consumatori, mantenendo la concorrenza effettiva in assenza di nuovi operatori concretamente interessati all’ingresso nel mercato specifico;

d) la soluzione alternativa propugnata a posteriori dall’AGCM non dava certezze in ordine ad un sicuro incremento della concorrenzialità in termini più estesi di quelli poi verificatisi, con altrettanti sicuri benefici per la Lega e i consumatori;

e) l’assetto definitivo appare anche rispettoso della normativa di cui all’art. 1, comma 3, lett. h), l. n. 106/2007 e all’art. 1 d.lgs. n. 9/2008.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e assorbimento degli ulteriori motivi volti a contestare rilievi procedurali e, in via subordinata, la misura della sanzione.

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per intero, attesa l’estrema complessità e la novità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato per quanto riguarda la sanzione irrogata nei confronti della ricorrente.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Ivo Correale, Consigliere, Estensore

Lucia Maria Brancatelli, Referendario

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