T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 4284/2005
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
- Sezione Terza Ter -
composto dai signori magistrati:
Dott. Francesco Corsaro Presidente
Dott. Angelica Dell’Utri Consigliere
Dott. Stefania Santoleri Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. (…), proposto dal FALLIMENTO OMISSIS S.r.l., in persona del curatore Avv. Davide Frigione, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Lorenzo Durano e Roberto Fusco del foro di Brindisi (giusta autorizzazione del giudice delegato Dr. Valentino Lenoci del 24/8/04 e del 2/9/04) ed elettivamente domiciliato presso presso lo studio dell’Avv. Angela Buccico sito in Roma, Via E.Q. Visconti n. 20.
contro
il C.O.N.I. – COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Alberto Angeletti ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, Via Giuseppe Pisanelli n. 2
la F.I.G.C. – FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Gallavotti e Luigi Medugno ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in Roma, Via Po n. 9
la LEGA PROFESSIONISTI SERIE “C” in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Bruno Biscotto e Lucia Scognamiglio ed elettivamente domiciliata presso il loro studio sito in Roma, Via G. Pisanelli n. 40
e nei confronti
del OMISSIS S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., n.c.
del OMISSIS S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., n.c.
per l'annullamento
- delle Norme Organizzative Interne della F.I.G.C. (N.O.I.F.) con particolare riferimento:
- agli artt. 16 e 52 e alle altre disposizioni che prevedono la indisponibilità del titolo sportivo da parte della società di calcio e la sua attribuibilità a terzi da parte della F.I.G.C.
- alle disposizioni che inibiscono alle società di calcio in stato di insolvenza, e perciò dichiarate fallite, di mantenere il titolo sportivo e di poterne disporre nell’interesse della massa dei creditori e a quelle altre disposizioni (artt. 77-90 ter delle N.O.I.F. e CC.UU. n. 162/A e 167/A del 30/4/04 della F.I.G.C.) che condizionano la partecipazione al Campionato al rispetto di parametri economici e al pagamento dei debiti pregressi anche nel caso di stato di insolvenza della società di calcio (con conseguente divieto di pagamento al di fuori della par condicio creditorum)
- dello statuto C.O.N.I. approvato con D.M. 23/6/04, del Regolamento per la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport allegato alla delibera C.O.N.I. n. 1268 del 30/4/04, dell’art. 27 e ss. dello Statuto della F.I.G.C., dell’art. 29 dello Statuto e Regolamento della Lega Professionisti di serie C e del Regolamento ad hoc per le controversie relative all’iscrizione ai campionati di calcio professionistico nella misura in cui dovessero ritenersi obbligatori e preclusivi dell’azione giudiziaria da parte della Curatela Fallimentare innanzi al giudice amministrativo a tutela di posizioni di interesse legittimo;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, con particolare e specifico riferimento alle norme dello Statuto della Lega Nazionale Professionisti di Serie C che dettano le condizioni per l’iscrizione ai Campionati, al Comunicato Ufficiale n. 30/A del Consiglio Federale della F.I.G.C. del 27/7/04 che ha disposto la non ammissione della Società OMISSIS S.r.l. al Campionato di Calcio di Serie C2 e agli ulteriori provvedimenti della F.I.G.C. e della Lega Nazionale Professionisti Serie C che hanno disposto del titolo sportivo della OMISSIS S.r.l. e hanno predisposto il Campionato di Serie C2 per la stagione 2004-2005 senza includervi la squadra del OMISSIS S.r.l. o suoi aventi causa e senza tener conto dell’atto stragiudiziale di intimazione trasmesso dal Curatore in data 19/7/04;
- del provvedimento del Consiglio della F.I.G.C. del 12/8/04 nonché del C.U. n. 78/A (atti impugnati con i motivi aggiunti notificati in data 11-12/11/2004)
per la declaratoria
della titolarità in capo al Fallimento ricorrente del titolo sportivo di partecipazione al Campionato di Serie C2, con conseguente diritto a poterne disporre mediante cessione a terzi, eventualmente in uno al complesso aziendale o ad un ramo di azienda
per la condanna
delle resistenti F.I.G.C. e Lega Nazionale Professionisti di Serie C al risarcimento del danno subito dal Fallimento ricorrente ove per via degli atti impugnati fosse impedito di disporre del titolo sportivo, secondo criteri di liquidazione da fissarsi da parte di Codesto Ecc.mo Tribunale ex art. 25 D.Lgs. n. 80/98
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del C.O.N.I., della F.I.G.C. e della Lega Professionisti Serie “C”;
Visti i motivi aggiunti;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 5 maggio 2005 la Dott.ssa Stefania Santoleri, e uditi, altresì, gli Avv.ti Lorenzo Durano e Roberto Fusco per la parte ricorrente, l’Avv. Alberto Angeletti per il CONI, l’Avv. Luigi Medugno per la FIGC e l’Avv. Maurizio Marino su delega dell’Avv. Bruno Biscotto per la Lega Nazionale Professionisti Serie C.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
ESPOSIZIONE IN FATTO.
La società OMISSIS S.r.l. è stata per anni titolare della principale squadra di calcio della città di OMISSIS e nello scorsa stagione 2003-2004 ha disputato il Campionato di Serie C2 mancando di poco la promozione in serie C1.
La mancata promozione ha determinato lo stato di insolvenza della società, che ha chiesto comunque l’iscrizione al Campionato di serie C2 per la stagione 2004-2005, versando la relativa tassa di iscrizione.
La crisi finanziaria della società ha indotto gli organi a presentare richiesta di fallimento con ricorso del 17/8/04, sul quale il Tribunale di Brindisi si è pronunciato con sentenza dichiarativa di fallimento del 19/8/04 n. 26.
Lo stesso giorno nel quale è stata depositata la sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore fallimentare ha diffidato la F.I.G.C. e la Lega Professionisti di Serie C a non disporre del titolo sportivo della società, bene di maggiore rilevanza della società stessa, a tutela dei diritti dei creditori, e ad iscrivere la OMISSIS nel relativo campionato.
Le istanze del curatore sono state disattese, poiché la lega calcio ha predisposto il campionato di serie C non includendovi il OMISSIS ; il titolo sportivo di eccellenza è stato assegnato, a seguito dell’applicazione del cosiddetto lodo Petrucci, alla Nuova Società F.B. OMISSIS 1912 S.r.l. dietro il versamento in favore della F.I.G.C. della somma di € 300.000,00.
A tutela degli interessi dei creditori, la curatela si è attivata giudizialmente – in seguito ad autorizzazione del giudice delegato – dapprima in sede civile mediante ricorso ex art. 700 c.p.c. (conclusosi con declaratoria di difetto di giurisdizione), e poi in dinanzi al T.A.R. Lazio con il presente ricorso, nel quale ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:
1) Violazione principi generali dell’ordinamento statuale con particolare riferimento agli artt. 2740 e 2741 c.c. ed alla legge fallimentare – Violazione degli artt. 41 e 42 e ss. Cost. – Eccesso di potere per irrazionalità, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento.
Sostiene il fallimento ricorrente che le società sportive sono comuni società commerciali soggette quindi alla medesima disciplina generale valevole per i comuni imprenditori: ne consegue che in applicazione dei principi costituzionali e civili, desumibili rispettivamente dagli artt. 41 e seg. Cost. e 2740 e 2741 c.c., il titolo sportivo – bene patrimoniale della società di calcio – non potrebbe essere sottratto perché costituisce la garanzia patrimoniale per i creditori.
Per le società di calcio professionistico, infatti, il titolo sportivo costituirebbe elemento aziendale strutturale e funzionale per lo svolgimento dell’impresa sportiva.
Le stesse norme federali riconoscerebbero la connessione tra attività aziendale e titolo sportivo, ad esempio con riferimento alla fusione, scissione, conferimento, ovvero dichiarazione di fallimento in corso di campionato.
Le norme sul fallimento mirano alla tutela dei creditori, disponendo che l’intero patrimonio del fallito sia sottoposto ad esecuzione collettiva, per la successiva distribuzione del ricavato nel rispetto delle cause di prelazione.
La tutela dei diritti di credito non potrebbe quindi essere compressa per effetto di norme organizzative interne.
Le norme federali che prevedono la totale soppressione – senza alcun indennizzo – del titolo sportivo alla società sportiva in stato di insolvenza, con conseguente dissolvimento del patrimonio sociale ed azzeramento del suo valore, sarebbero quindi illegittime, come pure illegittima sarebbe la norma federale (art. 16 comma 6 delle N.O.I.F.) che dispone l’immediata revoca del titolo sportivo in caso di fallimento.
La gestione fallimentare, infatti, dovrebbe poter acquisire il patrimonio nella sua interezza, comprensivo dell’avviamento, e cioè del titolo sportivo.
Sarebbe quindi illegittima la norma dell’art. 52 delle N.O.I.F. con le modifiche introdotte dal lodo Petrucci, che ritiene il titolo sportivo insuscettibile di valutazione economica o di cessione, e dall’altro dispone la sua attribuibilità - anche se ridotto alla serie inferiore - ad altra società, dietro pagamento di rilevanti somme a beneficio di solo alcuni creditori e non della società fallita.
Confliggente con l’ordinamento generale sarebbe anche la normativa che impone per la partecipazione al Campionato il rispetto di rigidi parametri finanziari e la copertura di tutti i debiti nei confronti dei tesserati, Federazione altre società e Lega, quando di tratti di società in stato di insolvenza, destinata al fallimento.
Alcun rilievo avrebbe il fatto che il provvedimento di esclusione sarebbe stato disposto prima della dichiarazione di fallimento, perché la pronunzia di fallimento avrebbe soltanto effetto dichiarativo.
Le norme federali che impongono il pagamento di taluni debiti pregressi contrasterebbero quindi con le norme statali.
Pertanto, pur nell’autonomia tra gli ordinamenti, le norme in questione, ponendosi in contrasto con principi fondamentali del nostro ordinamento, in quanto incidono su diritti di credito nei confronti della società fallita, dovrebbero considerarsi illegittime e come tali dovrebbero essere annullate.
2) Inapplicabilità della clausola arbitrale.
Deduce la ricorrente che la clausola compromissoria contenuta nella norma degli statuti del CONI, della FIGC e della Lega nazionale professionisti di serie C (e richiamata nel C.U. 167/A del 30/4/04) sottrarrebbe alla giurisdizione statale soltanto l’ambito tecnico-sportivo e l’ambito dei diritti disponibili: la materia degli interessi legittimi non potrebbe essere oggetto di clausola compromissoria.
Quando si è in presenza di controversie che assumono rilevanza per l’ordinamento generale non sarebbe sussistente il vincolo di giustizia: nella fattispecie le censure proposte dalla curatela a tutela del titolo sportivo, non riguardando la corretta applicazione di norme interne all’ordinamento sportivo, ma investendo direttamente le norme regolamentari e la loro compatibilità con l’ordinamento statale, rientrerebbero nell’ambito di cognizione del giudice amministrativo.
3) Risarcimento del danno.
L’applicazione delle regole confliggenti con l’ordinamento statale avrebbe arrecato danni alla curatela che quindi si sarebbe determinata a richiedere il risarcimento del danno.
In conclusione, la ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso.
Si è costituito in giudizio il CONI che ha eccepito preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva, dichiarandosi del tutto estraneo alla controversia anche con riferimento alle norme statutarie istitutive dalla Camera di Conciliazione ed Arbitrato.
Ha comunque chiesto anche il rigetto del ricorso.
Anche la F.I.G.C. si è costituita in giudizio ed ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità dell’impugnazione, e la sua improcedibilità nella parte relativa all’impugnazione del provvedimento di non ammissione al campionato non essendo stati esauriti i gradi di giustizia interna; ha poi chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Si è costituita infine anche la Lega Professionisti Serie C che ha eccepito anch’essa l’improcedibilità dell’impugnazione per violazione dell’art. 2 comma 2 e dell’art. 3 comma 1 della L. n. 280/03.
Ha poi concluso per il rigetto del ricorso per infondatezza.
In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato memorie nelle quali hanno meglio illustrato le loro tesi difensive.
All’udienza pubblica del 5 maggio 2005, su concorde richiesta delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO.
Con il presente ricorso, la curatela fallimentare della società OMISSIS S.r.l., ha agito in giudizio al fine di ottenere l’annullamento delle norme federali della F.I.G.C. che prevedono l’indisponibilità del titolo sportivo da parte della società e la sua attribuibilità a terzi da parte della stessa Federazione, in quanto dette norme pregiudicherebbero i diritti patrimoniali dei creditori.
Dette norme infatti, si porrebbero in contrasto con i principi propri dell’ordinamento statale che sono alla base della normativa fallimentare, in quanto pregiudicano irrimediabilmente gli interessi della massa dei creditori della società che si vede privata – a seguito della declaratoria del fallimento - del maggior bene societario (il titolo sportivo) che costituisce l’avviamento della società.
Le stesse norme federali che impongono il rispetto di stringenti parametri economici per l’iscrizione al campionato e che impongono il pagamento dei debiti pregressi nel caso di società in stato di insolvenza, determinerebbero effetti pregiudizievoli per la massa dei creditori societari, violando il principio della par condicio creditorum.
Il fallimento, poi, oltre ad impugnare le norme federali che riguardano per l’appunto l’indisponibilità del titolo sportivo, ha impugnato anche l’art. 12 dello statuto del CONI, l’art. 27 e seguenti dello statuto della F.I.G.C. l’art. 29 dello statuto e Regolamento della Lega Nazionale Professionisti di Serie C sul cosiddetto “vincolo di giustizia”: sostiene il fallimento ricorrente che trattandosi di questioni relative alla tutela di interessi legittimi, non sarebbe possibile la sottoposizione ad arbitrato, ammissibile soltanto per questioni relative a diritti soggettivi, e quindi la mancata sottoposizione della controversia alla cognizione della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport, non potrebbe precludere il ricorso alla giustizia amministrativa, anche perché, a seguito della dichiarazione di fallimento, il vincolo derivante dall’accettazione della clausola compromissoria sarebbe destinato a sciogliersi.
Infine, il fallimento ha impugnato anche il provvedimento con il quale è stata deliberata la non ammissione al campionato della squadra del OMISSIS , e gli ulteriori provvedimenti con i quali è stato predisposto il Campionato di Serie C ammettendo altre squadre al posto del OMISSIS, ed il provvedimento – con il quale in applicazione del cosiddetto lodo Petrucci – è stato assegnato il titolo sportivo di classe inferiore alla squadra OMISSIS 1912 S.r.l.
In pratica, il fallimento ha proposto un’impugnazione diretta delle norme federali della F.I.G.C. che dispongono l’indisponibilità del titolo sportivo, (art. 16 e 52 N.O.I.F.); ma ha anche impugnato i provvedimenti adottati dalla Federazione e che hanno decretato la non ammissione al Campionato della squadra (C.U. 30/A del Consiglio Federale della F.I.G.C del 27/7/04) e a causa della sua mancata ammissione hanno deliberato l’organico del campionato di serie C2 per la stagione sportiva 2004-2005 (C.U. n. 78/A del 12/8/04) e hanno assegnato alla società OMISSIS 1912 S.r.l. il titolo sportivo di Eccellenza in applicazione del cosiddetto “lodo Petrucci” (C.U. n. 74/A del 12/8/04).
Poiché nell’impugnazione dei suddetti atti (ed in particolare per l’impugnazione del provvedimento di esclusione dal campionato) non ha provveduto a rispettare le norme interne che impongono il previo esaurimento dei rimedi interni previsti dall’ordinamento sportivo (ed in particolare non ha provveduto ad adire la Camera arbitrale), ha impugnato anche le norme della Federazione e del CONI che disciplinano la materia, sostenendo che non sarebbero preclusive all’azione proposta in via principale.
Ritiene quindi il Collegio di dover preventivamente esaminare nell’ordine:
- se sia ammissibile l’impugnazione diretta delle norme federali, e quali siano i poteri del giudice;
- oppure al contrario, se la cognizione delle norme federali transiti necessariamente attraverso l’impugnazione di atti della federazione che ne facciano applicazione;
- e quindi, di conseguenza, se la cognizione della normativa federale presupponga la rituale impugnazione degli atti applicativi;
- in tal caso, se la normativa impositiva del vincolo di giustizia sia applicabile al caso di specie.
Solo dopo aver risolto le questioni di rito, ritiene il Collegio di poter procedere ad esaminare il merito del ricorso.
Occorre innanzitutto richiamare la norma dell’art. 1 della L. n. 280/03, secondo cui “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale.
I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
Il Legislatore ha poi distinto nell’art.2 della L. n. 280/03 le controversie sottratte in toto alla cognizione dei giudici statali, per le quali opera il vincolo di giustizia e che sono rimesse alla sola cognizione degli organi interni di giustizia sportiva, dalle controversie che investono situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo aventi rilevanza per l’ordinamento statale.
Si tratta di casi in cui vengono adottati dal CONI o dalle Federazioni veri e propri provvedimenti amministrativi lesivi di posizioni giuridiche soggettive e come tali assoggettati alla cognizione degli organi di giustizia statale.
Rientrano pacificamente in questi casi i provvedimenti di ammissione al campionato, e quindi – di conseguenza, i comunicati ufficiali relativi alla vicenda del OMISSIS (esclusione dal campionato, formazione dell’organico del Campionato, assegnazione del titolo sportivo ed ammissione al campionato di Eccellenza del Football OMISSIS 1912 S.r.l.) – ma in questi casi, il Legislatore ha stabilito comunque che il ricorso agli organi di giustizia statale è possibile solo che a condizione che siano esauriti i gradi di giustizia sportiva, essendo fatte salve le clausole compromissorie previste dagli Statuti e dai regolamenti del CONI e delle Federazioni sportive.
Ne consegue che, secondo il disegno delineato dal Legislatore, il principio cardine che regola i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale è quello dell’autonomia, che implica – ovviamente – la separazione tra gli ordinamenti.
Il giudice statale quindi, non può conoscere direttamente le norme interne associative – espressione dell’autonomia negoziale dell’associazione tutelata costituzionalmente -, perché si tratta di norme appartenenti ad un altro ordinamento, separato da quello statale; se fosse consentita l’impugnazione diretta delle norme associative ed il loro annullamento da parte del giudice statale, vi sarebbe infatti una sostanziale sovrapposizione dell’ordinamento nazionale su quello settoriale.
Non a caso il Legislatore ha previsto che il giudice amministrativo possa conoscere soltanto gli atti delle federazioni (che incidano su situazioni giuridiche soggettive dei soggetti destinatari rilevanti per l’ordinamento), escludendo quindi il diretto sindacato sulle norme.
Gli atti in questione, secondo quanto chiarito dalla Cassazione SS.UU 23/4/04 n. 5775, sono espressione dell’attività che le federazioni sportive devono svolgere – secondo quanto dispone la prima parte dell’art. 15 del D.Lgs. 23/7/99 n. 242 - in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI e del CIO; detta attività, infatti, benchè svolta da soggetti qualificati espressamente dalla legge come associazioni di diritto privato, si configura come avente valenza pubblicistica e si estrinseca attraverso l’adozione di provvedimenti amministrativi.
Il fallimento ricorrente, però, nel chiedere l’annullamento delle norme federali che disciplinano l’indisponibilità del titolo sportivo, richiama gli effetti che dette norme presentano nell’ordinamento statale, ricordando che le associazioni sportive sono società commerciali espressione di notevoli, a volta addirittura notevolissimi interessi economici (basti pensare alle squadre di calcio di serie A): ritiene quindi che le norme federali sarebbero di per sé lesive, che non potrebbero derogare ai principi cardine dell’ordinamento statale, e che quindi, nel conflitto tra norme federali e norme statali, queste ultime dovrebbero prevalere.
In realtà, la ricostruzione operata dalla ricorrente, fa implicito riferimento al più generale principio di gerarchia delle fonti, che però non risulta automaticamente applicabile, perché nel caso di specie non si tratta di confrontare fonti diverse appartenenti allo stesso ordinamento, ma piuttosto fonti appartenenti ad ordinamenti diversi, il cui rapporto è regolato sulla base del principio di autonomia.
Occorre poi considerare che nel sistema delineato dal Legislatore relativo al rapporto tra ordinamento settoriale ed ordinamento statale, le norme dell’ordinamento sportivo possono assumere rilevanza solo ove attraverso la loro applicazione siano stati adottati atti lesivi di posizioni giuridiche soggettive.
Pertanto, il giudice non può conoscere e sindacare direttamente le norme federali al fine di accertarne la loro compatibilità con l’ordinamento nazionale, essendogli precluso dal principio di autonomia tra gli ordinamenti, e ribadito dalla espressa previsione contenuta nell’art. 3 della L. n. 280/03 ove si fa espresso riferimento ad atti del CONI o delle federazioni sportive: soltanto qualora sia chiamato a giudicare della legittimità di atti assunti da organi del CONI o da Federazioni Sportive che siano lesivi di interessi legittimi o di diritti di soggetti affiliati (come nel caso di specie) il Tribunale può essere investito della questione relativa alla compatibilità delle norme associative con quelle statali.
Il problema della compatibilità può porsi in astratto in quanto, nel nostro ordinamento, l’autonomia negoziale delle parti – su cui si fonda il potere normativo delle associazioni – trova comunque il limite costituito dal rispetto delle norme inderogabili, con la conseguenza che quando le disposizioni negoziali ledano i principi inderogabili, il giudice nel pronunciarsi sull’atto, finisce in pratica con il sindacare le stesse norme dell’associazione.
In ogni caso, però, resta inteso che il sindacato sulla norma federale presuppone comunque la rituale impugnazione del provvedimento amministrativo che ne abbia fatto applicazione e che sia risultato lesivo degli interessi giuridici del destinatario: ciò comporta che per poter sindacare le norme federali relative al titolo sportivo, il ricorrente deve aver ritualmente impugnato l’atto della federazione applicativo delle norme stesse.
Dette conclusioni sono peraltro conformi al dettato normativo che consente il ricorso agli organi di giustizia amministrativa solo nei confronti di provvedimenti adottati dalle federazioni sportive che siano lesivi di posizioni di diritti o di interessi legittimi.
Ne consegue che non avendo il fallimento proposto soltanto l’impugnazione diretta delle norme federali che disciplinano il titolo sportivo disponendone la sua incedibilità, ma anche di alcuni atti della Federazione che hanno in varia misura disposto del titolo sportivo del OMISSIS , il ricorso non può essere dichiarato automaticamente inammissibile, dovendo il Collegio accertare se possa addivenirsi alla pronuncia richiesta attraverso l’impugnazione degli atti.
Occorre infatti ricordare che il fallimento ha impugnato la non ammissione al Campionato di Serie C2 per la stagione 2004-2005 (C.U. del Consiglio Federale della F.I.G.C. n. 30/A del 27/7/04), atto dal quale è derivata in pratica “la perdita” del titolo sportivo; ha impugnato anche il comunicato con il quale è stato formato l’organico del campionato (nel quale un’altra squadra ha preso il posto che sarebbe spettato al OMISSIS se non fosse stata esclusa) (C.U. n. 78/A del 12/8/04); ed il comunicato con il quale – in applicazione del cosiddetto lodo Petrucci è stato assegnato il titolo sportivo di categoria inferiore alla società OMISSIS 1912 S.r.l. (C.U. 74/A del 12/8/04), titolo che sebbene sia diverso, ciò nonostante deriva comunque dal titolo sportivo posseduto dal OMISSIS , tant’è vero che il presupposto per ricorrere al lodo Petrucci è costituito proprio dalla mancata ammissione al campionato per motivi di ordine finanziario).
Ritiene però il Collegio ai fini della valutazione dell’interesse al ricorso, che entrambi questi due atti (organico del campionato e assegnazione del titolo sportivo di Eccellenza ai sensi del lodo Petrucci), siano derivati dalla non ammissione al campionato e quindi la loro impugnabilità presuppone comunque la rituale impugnazione del provvedimento di esclusione da esso.
E’ del tutto evidente, infatti, che qualora non fosse stato impugnato il provvedimento di esclusione, alcun interesse vi sarebbe per l’impugnazione di questi atti che si presentano come consequenziali all’esclusione.
Ne consegue, quindi, che l’unico atto tra quelli impugnati che consente al Tribunale di pronunciarsi sulla pretesa del fallimento ricorrente, è il provvedimento di esclusione dal campionato, non essendovi un espresso provvedimento di diniego alla richiesta di conservazione del titolo sportivo.
L’impugnazione del provvedimento di esclusione non è rituale perché il fallimento non ha adito la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso il CONI, e l’art. 3 della L. n. 280/03 impone il previo esaurimento dei gradi di giustizia sportiva ai fini della ammissibilità (o meglio procedibilità) del ricorso giurisdizionale.
Conscio dell’esistenza di questo ostacolo alla procedibilità dell’azione, il fallimento ha sostenuto che nel caso di specie il previo ricorso agli organi di giustizia interna non sarebbe stato necessario, non potendo ritenersi operante il vincolo derivante dalle clausole compromissorie.
In presenza di provvedimenti lesivi di interessi legittimi, quali sono quelli delle Federazioni in caso di esclusione dal campionato, le clausole compromissorie non potrebbero ritenersi operanti perché il ricorso all’arbitrato sarebbe possibile soltanto in presenza di diritti soggettivi e non di interessi legittimi (cfr. art. 6 comma 2 L. 205/00).
Qualora le clausole compromissorie fossero impeditive dell’accesso alla giustizia, dovrebbero ritenersi incostituzionali per contrasto con gli artt. 24, 97, 103 e 113 Cost.
Infine, per effetto della dichiarazione di fallimento, sarebbe venuto meno il vincolo costituito dalla sottoscrizione della clausola arbitrale che sarebbe pertanto inopponibile al fallimento.
Il Tribunale, con la recentissima sentenza n. 2571/05, si è occupato della clausola compromissoria contenuta nell’art. 27 dello Statuto della FIGC, in applicazione della quale i soggetti affiliati, una volta esauriti i gradi interni di giustizia federale, debbono sottoporsi al tentativo di conciliazione davanti alla Camera di conciliazione ed arbitrato e, in caso di esito negativo del medesimo, “accettano di risolvere la controversia in via definitiva mediante arbitrato ….. con nomina degli arbitri e svolgimento della procedura sulla base dello Statuto del CONI e del relativo regolamento di attuazione….”.
Detta norma comporta, come è noto che, in applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2 comma 2 e 3 della L. 280/03 che le controversie che investono gli atti del CONI o delle Federazioni sportive non possono trovare ingresso dinanzi al giudice amministrativo se non dopo l’esaurimento dei gradi di giustizia sportiva, con conseguente improcedibilità dell’impugnazione nel caso di ricorso diretto.
Con la suddetta decisione, il Tribunale, dopo aver delineato la decisione della Camera come vero e proprio lodo irrituale (e non come provvedimento amministrativo come ritenuto in precedenza dalla giurisprudenza), ha chiarito che una volta esperita la cosiddetta pregiudiziale sportiva, ove l’esito della decisione arbitrale non sia soddisfacente per la parte, quest’ultima potrà impugnare il provvedimento amministrativo originario adottato dal CONI o dalla federazione, dinanzi al giudice amministrativo.
E ciò perché l’ordinamento sportivo, pur potendo dettare regole proprie che ignorano la disciplina statale, non può impedire l’applicazione di quest’ultima, che dunque prevale in caso di conflitto.
Nondimeno il Tribunale facendo sempre riferimento al principio di autonomia degli ordinamenti, ha poi chiarito che le condizioni di validità ed efficacia dell’arbitrato nell’ordinamento sportivo seguono regole diverse da quelle vigenti nell’ordinamento statale.
La clausola compromissoria che impone al soggetto appartenente all’ordinamento federale di adire la procedura arbitrale discende dal contratto associativo, pertanto non può parlarsi di un arbitrato necessario od imposto, per il semplice motivo che riguarda un ordinamento ad appartenenza volontaria.
Nel sistema così delineato la previsione delle clausole compromissorie non lede in alcun modo i principi costituzionali richiamati dal fallimento ricorrente, perché risulta comunque garantita la piena ed incondizionata tutela dei diritti e degli interessi legittimi.
Il Collegio non ha motivo di discostarsi da detto orientamento, che condivide pienamente.
Ne consegue che, data la diversità dell’ordinamento sportivo e la sua autonomia rispetto a quello statale, non sussistono i limiti ricordati dal ricorrente per la sottoposizione ad arbitrato di controversie involgenti questioni di interesse legittimo, come pure irrilevante deve considerarsi l’intervenuto fallimento giacchè non incide automaticamente sul vincolo associativo, che può essere risolto soltanto attraverso il formale provvedimento di revoca dell’affiliazione adottato dalla federazione ai sensi dell’art. 16 delle N.O.I.F.
Ne consegue che le norme dell’ordinamento sportivo che impongono il previo ricorso alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato risultano applicabili anche al fallimento ricorrente; il mancato previo esaurimento dei gradi di giustizia sportiva nei confronti del provvedimento di esclusione dal campionato di Serie C2 della società OMISSIS rende il ricorso avverso l’esclusione improcedibile ai sensi dell’art. 3 della L. n. 280/03; l’improcedibilità di detta impugnazione comporta l’inammissibilità dell’impugnazione dei provvedimenti consequenziali relativi all’organico del campionato e all’attribuzione del titolo di eccellenza in base al lodo Petrucci, e preclude la disamina delle censure proposte avverso le norme federali che statuiscono l’indisponibilità del titolo sportivo, che come già ricordato, sono sindacabili soltanto attraverso il provvedimento applicativo.
Le spese di lite possono essere compensate tra le parti ricorrendone giusti motivi.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio- Sezione Terza Ter-
così dispone:
dichiara in parte improcedibile ed in parte inammissibile, come precisato in motivazione, il ricorso in epigrafe indicato.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 maggio 2005.