TRIBUNALE DI TERAMO – SEZIONE LAVORO – SENTENZA N. 883/2015 DEL 14/10/2015

 

TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO

GIUDICE DEL LAVORO

Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Daniela Matalucci

All’udienza del 14/10/2015 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Con motivazione contestuale pubblicata mediante lettura in udienza

nella causa promossa da:

(...), rappresentato e difeso dall’Avv. Cristian Santroni del foro di Teramo, elettivamente domiciliato presso e nello studio del medesimo procuratore sito in Colonnella (TE), in Via Roma, 12, in forza di procura agli atti

RICORRENTE

Contro

(...) A. D., in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Gabriele Ceci (C.F. 00771740677), con sede in Colonnella (TE), alla Via XX Settembre, elettivamente domiciliata in Martinsicuro (TE), alla Via Pola n. 55, presso lo studio dell’avv. Tonino Cellini, che la rappresenta e difende in forza di procura agli atti

 

RESISTENTE CONCLUSIONI

Parte ricorrente: riconoscere e qualificare il suddetto rapporto tra il ricorrente e la (...), corrente in Colonnella (TE), in via XX Settembre, come rapporto di lavoro sia esso subordinato o autonomo alla luce dei criteri sopracitati o altri che l’On.le giudicante vorrà ravvisare;

accertare e dichiarare il diritto di credito del Sig. (...) nei confronti della (...) A.D. per le causali di cui in narrativa e per l’effetto condannare la (...) A.D.,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro-tempore,  al pagamento delle cinque mensilità non pagate ovvero di Febbraio, Marzo, Aprile per un importo di euro 1.000,00 al mese oltre i mesi di Dicembre 2008 e Gennaio 2009 per euro 700,00 al mese, per un totale di euro 4.400,00, oltre interessi dalla domanda al saldo, rivalutazione monetaria, spese, diritti e onorari di causa”.

Parte resistente: In via preliminare dichiarare competente a conoscere e decidere la presente controversia il Giudice Ordinario competente per valore;

nel merito, rigettare il ricorso proposto dal sig. (...) perché infondato in fatto e in diritto con ogni consequenziale statuizione di legge.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari della controversia”.

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Con ricorso depositato in data 18.11.2010 (...) evocava in giudizio la (...) A.D., esponendo:
    • che nel mese di luglio 2008 iniziava la sua attività di calciatore nel ruolo di portiere con regolare tesseramento presso la Federazione Nazionale Giuoco Calcio, giocando con la squadra di prima categoria della (...) A.D. le partite del campionato di promozione, proveniente dalla serie D;
    • che la Federazione Italiana Giuoco Calcio autorizzava il trasferimento del calciatore (...) con provvedimento n° 160233 per l’anno 2008/2009;
    • che la squadra effettuava tre allenamenti settimanali dalle ore 19:00 alle ore 21:00 presso il campo sportivo di Colonnella (TE);
    • che settimanalmente, e precisamente ogni domenica, la squadra affrontava la partita di campionato con trasferte, a domeniche alterne, fuori dal territorio di Colonnella;
    • che tra il ricorrente e la polisportiva vi era un accordo verbale per una retribuzione mensile e rimborso di € 1.000,00;
    • che, nonostante la diffida inviata a mezzo raccomandata 12.08.2010, non erano stati ancora pagati i mesi di Febbraio, Marzo, Aprile, Dicembre 2008 e Gennaio 2009 per un totale di € 4.400,00 a titolo di retribuzione e rimborso;
    • che, in effetti, gli allenamenti e le partite settimanali erano durati fino al 17.5.2009 e il tesseramento era durato fino al 30.6.2009, data in cui cessava il rapporto tra il ricorrente e la Polisportiva;
    • che l’esistenza del rapporto sportivo risultava comprovato, oltre che da documenti e da filmati, anche dal documento di iscrizione alla Federazione Italiana Gioco Calcio.

Tanto esposto in fatto e deducendo che il rapporto intercorso tra le parti presentava caratteristiche tali da assimilarlo ad un rapporto di lavoro subordinato o, comunque, autonomo, chiedeva laccoglimento delle conclusioni in epigrafe riportate.

1.2.     Si costituiva in giudizio la parte convenuta contestando le deduzioni avversarie, chiedendone il rigetto ed eccependo in via preliminare il difetto di competenza del Giudice del Lavoro, in favore del Giudice Ordinario. Nel merito deduceva che l’attività sportiva dilettantistica non rientrava nel rapporto di lavoro subordinato, previsto solo per i professionisti”, dalla legge n. 91/1981 sull’ordinamento sportivo, che ai sensi dell’art. 39 dello statuto della lega nazionale dilettanti, era vietato ogni accordo di carattere economico tra la socieed i calciatori non professionisti; che in favore dei calciatori non professionisti” non erano previste e non erano possibili erogazioni di natura retributiva, stante l’incompatibilità tra lavoro e pratica dilettantistica; che già il pregresso regolamento della federazione italiana gioco calcio, stabiliva che lassociazione sportiva non ha fine di lucro e che l’atleta non professionista doveva praticare lo sporto senza trarne profitto materiale; che nel caso di specie era intercorso un accordo verbale di prestazione sportiva autonoma occasionale, con la previsione di emolumenti a discrezione della società, compatibilmente con l’andamento della situazione finanziaria dellassociazione.

1.3.      Così radicatosi il contraddittorio, la causa è stata istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale, terminata la quale, la causa è stata rinvia alla presente udienza per discussione. In sede di discussione il ricorrente ha precisato che per effetto di mero refuso, le mensilità di febbraio, marzo e aprile non erano riferite all’anno 2008, ma a quello 2009, in cui l’accordo era di € 700,00, diminuito a causa delle difficoltà economiche della convenuta.

2.  Il ricorso merita parziale accoglimento.

Va preliminarmente rigettata l’eccezione sollevata dalla resistente circa la asserita incompetenza funzionale del giudice del lavoro, fondata sul presupposto per cui gli emolumenti erogati in favore del ricorrente, avrebbero natura risarcitoria e non retributiva. Valga in primo luogo rilevare l’incertezza della natura risarcitoria della presunta erogazione, non essendo chiaro il titolo ed il fondamento normativo di tale assunta responsabilità risarcitoria.

Rimandando a quanto si dirà più approfonditamente in seguito, se è vero che il rapporto contrattuale tra un atleta e una società sportiva non partecipante a campionati professionistici è escluso dal campo di applicazione della legge n. 91 del 1981 ai sensi dell'art. 10 di tale legge,  c non  impedisce,  tuttavia,  di  considerare  che  anche  nell’ambito  delle  discipline sportive qualificate come dilettantistiche è configurabile un rapporto di lavoro sportivo qualora lattività dell’atleta sia remunerata e le somme allo stesso erogate non siano semplici rimborsi spese (v. Trib. Trento 27.10.2008). In mancanza di una disciplina speciale, come è quella prevista per gli atleti professionisti così qualificati dalla L. n. 91/1981, non possono che operare le regole dell’ordinamento giuslavoristico ordinario, per qualificare e regolamentare il rapporto sportivo intrattenuto tra le parti, sia esso di natura subordinata o parasubordinata.

Il rapporto di collaborazione in questione può, infatti, assumere rilievo quanto meno come prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., con conseguente radicamento della competenza per materia del giudice del lavoro.

Nella specie, non vi è contestazione sul fatto che il ricorrente abbia reso una prestazione di carattere personale, in modo continuativo e con inserimento nell’organizzazione dell’associazione sportiva convenuta.

  1. Ciò premesso e passando al merito della controversia, è opportuna una preliminare ricostruzione sommaria del contesto normativo di riferimento.

Normativa in materia di attività sportiva dilettantistica

La figura del lavoratore sportivo dilettante non forma oggetto di una disciplina giuridica specifica, né nell’ordinamento sportivo, né in quello nazionale.

Difetta, in primo luogo una compiuta definizione della natura dilettantistica della prestazione sportiva, ricavabile solo a contrario rispetto alla definizione legale di “atleta professionista”, risultando del tutto assente il suo inquadramento sotto il profilo del diritto del lavoro, e quindi in merito al profilo genetico del rapporto ed alla sua tutela.

Ciò a differenza di quanto avviene per la figura dello sportivo professionista, che ha trovato nella L. n. 91/1981 una normativa in grado di fissarne la nozione (art. 2) e di tracciarne in modo definitivo la disciplina.

Lart. 2 della L. n. 91/1981 definisce sportivi professionistigli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica”. Secondo quanto previsto dal successivo articolo 3, la prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: 

  1. l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per cche riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.

La qualifica di professionalità di un atleta discende, quindi, non da una specifica qualità dell’atleta o della prestazione sportiva, ma da una serie di atti formali spettanti ad una pluralità di soggetti: il C.O.N.I., le varie Federazioni - a ciascuna delle quali spetta, entro la propria competenza e in osservanza delle direttive del C.O.N.I. in materia di distinzione tra dilettantismo e professionismo, stabilire se dotarsi o meno di un settore professionistico accanto a quello dilettantistico - e, da ultimo, le società sportive che, ai sensi dell’art. 10 di tale legge, per potere validamente assumere atleti professionisti devono avere la forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata. Il tratto distintivo tra lo sport professionistico e quello dilettantistico è quindi rappresentato da un requisito meramente formale: il riconoscimento, ad opera del C.O.N.I., di alcune discipline sportive come professionistiche” e la successiva previsione, da parte delle Federazioni che organizzano tali sport, di categorie professionistiche e dilettantistiche al loro interno.

Ciò premesso, nellambito degli sport dilettantistici è possibile riscontrare l’esistenza di un cospicuo numero di discipline sportive che, pur essendo formalmente praticate a livello dilettantistico, nondimeno conoscono una significativa organizzazione di mezzi e di strutture ed un livello tecnico e professionale degli atleti, che nelle categorie di antagonismo più elevato, ricevono anche delle remunerazioni molto consistenti dal punto di vista economico. Trattasi, in sostanza, di rapporti di lavoro non formalmente” professionistici, ma neanche riconducibili al mero dilettantismo.

Infatti, accanto all'amatore, che si dedica allo sport per il proprio benessere psicofisico, vi sono sportivi che, pur qualificati come dilettanti, percepiscono compensi elevati e la cui prestazione ha certamente il carattere della continuità ed è assoggettata in modo intenso all'eterodirezione della società di appartenenza.

Quindi, una volta acclarato che gli sportivi formalmente dilettanti restano al di fuori della disciplina di cui alla L. n. 91/1981, al fine di individuare la disciplina normativa agli stessi applicabile in ragione delle caratteristiche del caso concreto, non pot, allora, che farsi riferimento agli istituti giuslavoristici ordinari, distinguendo tra sportivi sostanzialmente dilettanti, ossia coloro che svolgono tale attività senza corrispettivo ovvero per puro diletto psico-fisico e sportivi solo formalmente dilettanti, ovvero coloro che, pur ricompensati in vario modo, non possono essere ricondotti, in base alle previsioni dell’art. 2, alla figura del lavoratore professionista.

Al riguardo, è evidente che lautonomia dell'ordinamento sportivo non può precludere all'autorità giudiziaria l'attività di qualificazione. L'impossibilità di accertare la natura subordinata o parasubordinata del rapporto dello sportivo dilettante in presenza degli indici giurisprudenziali non è in alcun modo ipotizzabile, in quanto troverebbe un evidente ostacolo nella giurisprudenza costituzionale in materia di indisponibilità del tipo. Le federazioni sportive non potrebbero precludere attraverso il nomen juris attribuito al rapporto, l'applicazione della disciplina protettiva che il legislatore riconnette allo status di lavoratore subordinato, o la più limitata protezione riconosciuta al lavoratore autonomo.

Nella giurisprudenza della Corte di giustizia, con la notissima sentenza Bosman del 1995, si è affermato il principio che qualunque attività retribuita nel settore sportivo sia configurabile come attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato. Tale circostanza comporta, dunque, che la percezione di compensi, a prescindere alla natura dilettantistica o professionistica dell'attività esercitata, soggiace ai principi comunitari in tema di liberfondamentali. Invero a partire  da  Bosman  si  afferma  un  principio  che  andrà  via  via  consolidandosi  nella giurisprudenza  successiva,  secondo  cui  la  nozione  comunitaria  di  lavoratore  sportivo prescinde dalla qualificazione fornita dai singoli ordinamenti nazionali. In sostanza per la Corte di giustizia è del tutto secondario che si tratti di uno sportivo professionista. Ciò che rileva è che l'attività sia resa sotto la direzione di altri, a fronte della erogazione di una remunerazione, e che sia apprezzabile sotto il profilo quantitativo e, dunque, non marginale o accessoria. Da tanto discende che la qualificazione comunitaria di lavoratore ai fini della libertà di circolazione prescinde da un'eventuale qualificazione operata dal giudice nazionale. L Corte   segu questa   scia   anche   nella   pronuncia    Deliège   (Corte   giustizia UE 11/04/2000, dep.11/04/2000 n. 51), dove ritiene irrilevante la qualificazione di dilettante data dalla federazione nazionale ad un judoka, e ne considera l'attività una prestazione di servizi ai sensi dell'art. 49 del Trattato sulla base del rilievo che si trattava di attività economica, in quanto lo sportivo aveva percepito compensi dal comitato olimpico belga e sulla base di contratti di sponsorizzazione.

Nel caso Kolpak dell’8 maggio 2003 C-438/00 la Corte di Giustizia considera un giocatore di pallamano obbligato «contro il corrispettivo di una retribuzione mensile fissa, a fornire in forma subordinata prestazioni nell'ambito dell'attività di allenamento e degli incontri organizzati dalla sua società e che si tratta, in proposito, della sua principale attività professionale», come uno sportivo professionista.

In conclusiva sintesi, il rapporto di lavoro assume la medesima configurazione giuridica indipendentemente dall’ambito imprenditoriale o meno in cui il lavoratore si trova ad operare. Quindi, se sussiste una prestazione lavorativa in ambito sportivo, questa deve essere inquadrata, regolamentata e gestita sulla base delle norme che regolano il rapporto di lavoro in generale, in mancanza ovviamente di una disciplina ad hoc.

Nel mondo dello sport convivono, quindi, rapporti svolti a titolo gratuito da associati, dirigenti, atleti o semplici simpatizzanti e prestazioni di lavoro (autonomo o subordinato) retribuite, ed è soltanto sulla base di una reale verificazione del caso concreto che sarà necessario verificare la effettiva natura del rapporto di lavoro sportivo instaurato dall’atleta nell’ambito delle associazioni dilettantistiche.

Sotto diversa angolazione, pur essendo ammissibile nell’ordinamento giuridico il ricorso a prestazioni di lavoro gratuite (si veda ad esempio l’attività di volontariato ex legge 266/1991, e cioè l’attività prestata in modo personale, spontanea e gratuita tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà, e dunque, non per l’utilità degli aderenti), è necessario che la gratuità sia oggetto di separata pattuizione scritta, in mancanza della quale operela presunzione di onerosità del lavoro. Essendo la prova della gratuità a carico di chi la invoca (di norma il datore di lavoro), in mancanza di idonea documentazione probatoria, la prestazione dei lavoratori sportivi dilettantistici esame sarà da considerare di lavoro subordinato o parasubordinato, a seconda della reale modulazione del rapporto, con conseguente assoggettamento di essa alla relativa disciplina.

In definitiva, la prestazione sportiva di un calciatore che milita nelle categorie dilettantistiche può, di fatto, presentare gli stessi connotati sostanziali (onerosità e continuità) di quella resa da un calciatore che milita in categorie professionistiche. In tal caso, la prestazione dello sportivo dilettante dovrà essere valutata alla stregua della normativa di diritto comune, dovendosi verificare se il concreto atteggiarsi del rapporto presenti quegli indici rilevatori della ricorrenza del requisito della subordinazione individuati dalla giurisprudenza (modalità e periodicità della retribuzione,  mancata  precedente individuazione di un risultato,  assenza di    rischio    d'impresa    in    capo    al    lavoratore,    stabile    inserimento    del    lavoratore nell'organizzazione imprenditoriale, persistenza nel tempo dell'obbligo giuridico di mettere a disposizione del datore le proprie energie lavorative, vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro). Né possono costituire un limite a tale accertamento, le preclusioni contenute nell’ordinamento sportivo, che non hanno alcuna valenza di norma imperativa.

Subordinazione o parasubordinazione

Fatta tale premessa di ordine generale, nel caso di specie è possibile in primo luogo escludere la gratuità della prestazione sportiva resa dal ricorrente, considerato l’omesso riscontro di qualsiasi pattuizione scritta in tal senso. Peraltro, il riferimento ad un non meglio precisato rimborso spese, dipendente dalla disponibilità economica della Polisportiva, si pone in contrasto con la pattuizione orale di un compenso fisso mensile, a cui la associazione si era obbligata nei confronti del ricorrente, a prescindere da qualsiasi riferimento ad eventuali spese vive sostenute. Inoltre la continuità della erogazione e la identità della somma versata costituiscono ulteriori elementi sintomatici della onerosità della prestazione sportiva.

Dalle prove testimoniali è emerso che il ricorrente ha sempre percepito mensilmente lo stesso importo, prima di € 1.000 mensili per il 2008, poi ridotto ad € 700,00 mensili per l’anno 2009, ciò sino a quando l’associazione ha unilateralmente sospeso l’erogazione del compenso. I testi (...) e (...) (testi particolarmente attendibili, in quanto anch’essi hanno reso analoga prestazione sportiva in favore dell’Associazione resistente) hanno entrambi confermato che tra i calciatori e l’associazione era intervenuto un accordo per il pagamento mensile di una somma per gli otto mesi di durata del campionato (in particolare € 1.000,00 per l’anno 2008, € 700,00 per il 2009): tutti quanti i calciatori avevano un accordo con la (...) per un rimborso spese. Entrambi i testi si riferiscono ad un accordo avente per oggetto un compenso fisso della durata degli otto mesi del campionato, che in maniera atecnica definiscono “rimborso spese.

La circostanza posta a sostegno della memoria difensiva, secondo cui il rimborso spese sarebbe stato erogato dalla Polisportiva solo in caso di disponibilità economica, non potrebbe comunque costituire una limitazione alla pretesa del ricorrente, considerato il carattere meramente potestativo della condizione, come tale nullo ai sensi dellart. 1355 c.c. In realtà, proprio la continuità dell’erogazione del compenso, da corrispondere per gli otto mesi del campionato, rappresenta la prova della vincolatività della prestazione retributiva, costituente la controprestazione sinallagmatica dell’impegno personale assunto dal ricorrente all’inizio del campionato e rispettato sino alla fine dello stesso.

Per quanto riguarda la natura giuridica della prestazione sportiva, incontestato che il ricorrente abbia partecipato regolarmente a tutte le sedute di allenamento ed alle partite del campionato di promozione 2008/2009, risulta più corretto ricondurre il rapporto instaurato tra le parti, nell’ambito della collaborazione coordinata e continuativa atipica (non essendo ricomprese le attività dilettantistiche nell’ambito della disciplina del contratto a progetto, cfr. art. 61 co. 3 D.lgs n. 276/2003). Certamente sussistono i presupposti della:

    • collaborazione,  concretizzatosi  nell’impegno  assunto  dal  ricorrente  di  rendere  la prestazione sportiva;
    • coordinata,   in   quanto   la   prestazione   sportiva   è   inserita nell'organizzazione imprenditoriale ed è resa compatibilmente al calendario programmato delle partite;
    • continuativa,  attesa  la  durata  della  prestazione  sportiva,  la  sua  onerosità  e  la periodicità della retribuzione.

Non si rinvengono, invece, i caratteri della subordinazione, atteso che la prova orale si è focalizzata solo sulla natura onerosa o meno della prestazione sportiva, omettendo di offrire valido riscontro all’elemento caratterizzate e qualificante la subordinazione, ovvero la eterodirezione e, dunque, la sottoposizione del lavoratore alla altrui direttive.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità, a lungo interrogatasi sugli indici di identificazione della fattispecie di lavoro subordinato, è univocamente allineata nel ritenere che l'elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito proprio dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività di impresa (tra le numerose decisioni, V. Cass. 3 aprile 2000 n. 4036; Cass. 9 gennaio 2001 n. 224; Cass. 29 novembre 2002, n. 16697;Cass. 1 marzo 2001, n. 2970, Cass. 15 giugno 2009 n. 13858 e Cass. 19 aprile 2010 n. 9251).

Quindi, l'elemento decisivo per l'esatto inquadramento di una prestazione lavorativa negli schemi della subordinazione è il vincolo della soggezione personale del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore, il quale si risolve, in concreto, nel suo assoggettamento al controllo sull'espletamento delle attività affidate e nella significativa limitazione della sua autonoma funzionale, con osservanza di moduli organizzativi predefiniti e stabile inserimento nell'organizzazione aziendale.

In tale contesto, elementi quali la continuità e l'abitualità della prestazione, l'osservanza di un orario di lavoro, la forma della retribuzione, l'impiego di strumentazione e metodologie di lavoro imposti dall'organizzazione d'impresa, assumono natura sussidiaria e non decisiva nell'identificazione del tipo di rapporto, seppure possono globalmente concorrere alla sua valutazione.

Applicando tali principi al caso di specie, le risultanze della prova orale non hanno offerto valida dimostrazione del carattere della eterodizione, non essendo provato che il ricorrente, ad esempio, era sottoposto al controllo del datore di lavoro o alle sue direttive (diverse dalle istruzioni dell’allenatore), che doveva rispettare l’orario degli allenamenti, salvo essere sottoposto al potere disciplinare, che doveva presentare documentazione medica in caso di assenza, ecc.

Pur essendo stato dimostrato che laccordo sul compenso era di € 1.000,00 per l’anno 2008 e € 700,00 per l’anno 2009, il ricorrente rivendica le mensilità di febbraio, marzo, aprile 2008 (per € 3.000,00) e dicembre 2008 e gennaio 2009 (per € 1.400,00). In sede di discussione orale il ricorrente ha precisato che le mensilità di febbraio, marzo ed aprile si riferiscono all’anno 2009, e non potrebbe essere altrimenti, considerato che per espressa ammissione dello stesso, il rapporto di collaborazione con la resistente era iniziato a luglio 2009. Per l’anno 2009, come riferito dal ricorrente, le parti stabilivano un compenso mensile di € 700,00, quindi per le mensilità di gennaio, febbraio, marzo ed aprile 2009, può essere riconosciuto il minor importo di € 2.800,00.

Per quanto riguarda la mensilità di dicembre 2008, invece, dalla documentazione in atti, emerge un assegno di € 1.000,00 emesso dalla Polisportiva in favore del ricorrente in data 16.12.2008 ed un secondo assegno di € 1.000,00 emesso in data 30.12.2008. In mancanza di diversa imputazione o deduzioni, si deve riconoscere interamente corrisposta la mensilità di dicembre 2008, che dunque non potrà essere riconosciuta. Il ricorrente, infatti, nulla ha dedotto in ricorso in merito alla riferibilità dei due assegni di dicembre 2008 ad eventuali mensilità precedenti, né possono valere le precisazioni rese in sede di discussione, in quanto tardive.

In conclusiva sintesi, spetta, pertanto, al ricorrente la somma di € 2.800,00 per le mensilità di gennaio, febbraio, marzo, aprile 2009, oltre interessi legali e rivalutazione dalla maturazione dei crediti al saldo, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c.

  1. Le spese seguono la soccombenza di parte resistente e si liquidano come da dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014.

P.Q.M.

Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 1880/2010 contrariis reiectis, così provvede:

    • accoglie parzialmente il ricorso e, per l’effetto, dichiara tenuta e condanna parte resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 2.800,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo;
    • condanna parte resistente alla rifusione in favore del ricorrente delle spese processuali, liquidate in € 1.143,00, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Teramo, 14.10.2015

Il Giudice

Dott.ssa Daniela Matalucci

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