TRIBUNALE DI ROMA – SEZIONE CIVILE SENTENZA N. 12086/2015 DEL 01/06/2015

IL TRIBUNALE  DI  ROMA TERZA SEZIONE CIVILE

in persona del Giudice Unico dott. Francesco Mannino ha emesso la seguente

 

S E N T E N Z A

 

nella  causa  iscritta  al  n.... Ruolo  generale  degli  affari  contenziosi  civili dell'anno 2014, avente come

Oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo – Pagamento sanzioni inflitte dalla F.I.G.C.

promossa da:

 

 (...)  , rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura a margine dell’atto di citazione, dagli Avv.ti Luca Miranda del Foro di Cassino e Gabriele Franza del Foro di Roma, elettivamente domiciliato in Roma in Via Cosseria, n. 5, presso e nello studio dell’Avv. Gabriele Franza

Opponente

 

Contro

 F.I.G.C. - FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO, con sede in Roma, alla Via Gregorio Allegri n. 14 (C.F. 05114040586), in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., Dott. Giancarlo Abete, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via G. Montanelli n. 11, presso lo studio dell'Avv. Gianfilippo Saglieni che, con l'Avv. Giancarlo Gentile, la rappresenta e difende per mandato in calce al ricorso monitorio.

Opposta

All’udienza dell’11/11/14 le parti precisavano le conclusioni come da verbale in atti e la causa veniva posta in decisione, con l’assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

SVOLGIMENTO   DEL   PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato,  (...) conveniva innanzi  a questo Tribunale la Federazione Italiana Giuoco Calcio (nel seguito solo FIGC).

L’attore, esponeva:

di svolgere attività professionale di Agente sportivo di calciatori e società, con licenza rilasciata dalla Commissione Agenti della Federazione Italiana Giuoco Calcio nell’ambito delle attività disciplinate dal Regolamento Agenti di Calciatori F.I.G.C., pubblicato con C.U. FIGC in data 8 aprile 2010 e, in precedenza, dal Regolamento Agenti di Calciatori cd. 2001, pubblicato dalla F.I.G.C. con C.U. n. 81/2001;

          • che, a seguito di ricorso monitorio da parte della FIGC il Tribunale Ordinario di Roma, in data 04/12/2013, aveva emesso a suo carico il decreto n. 26410/2013, n. 76081/2013 R.G., con cui gli si ingiungeva il pagamento di € 45.000,00, oltre interessi legali e spese, somma dovuta in ragione delle sanzioni disciplinari pecuniarie, irrogate al (...) con i Comunicati Ufficiali n. 91/CDN del 04/05/2012, n. 95/CDN del 14/05/2012 e n. 36/CDN del 29/10/2012, ad avviso della FIGC passati in giudicato sportivo;
          • che, essendo tale decreto ingiusto ed illegittimo, proponeva opposizione avverso lo stesso, adducendo cinque motivi di opposizione; pertanto, chiedeva che questo Tribunale volesse:
  1. In via pregiudiziale, accertare e dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione ordinaria statale e/o indifferenza delle questioni per l’ordinamento giuridico statale e/o improcedibilità e/o inesistenza e/o inefficacia e/o nullità e/o annullabilità del Decreto Ingiuntivo n. 26410/2013, n. 76081/2013 R.G., emesso dal Tribunale Ordinario di Roma in data 04/12/2013;
  2. Nella denegata ipotesi, in via ulteriormente pregiudiziale, previa sospensione del presente giudizio, formulare istanza di  rinvio pregiudiziale della controversia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE ai fini dell’interpretazione dell’art. 2, co. 1, lett. b) d.l. 220/2003 in relazione all’art. 101 TFUE;
  3. In via ulteriormente pregiudiziale, previa revoca del Decreto Ingiuntivo n. 26410/2013,  n.  76081/2013  R.G.,  emesso  dal  Tribunale  Ordinario  di Roma in data 04/12/2013, accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario;
  4. Nel merito, comunque, revocare il del Decreto Ingiuntivo n. 26410/2013, n. 76081/2013 R.G., emesso dal Tribunale Ordinario di Roma in data 04/12/2013, in quanto illegittimo in fatto e in diritto;
  5. Respingere, in ogni ipotesi, le domande tutte avanzate dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, nonché l’eventuale istanza di provvisoria esecuzione del decreto opposto ex art. 648, 1° comma, c.p.c.;
  6. Con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Ritualmente costituitasi, la Federazione Italiana Giuoco Calcio contestava tutte le eccezioni pregiudiziali e di merito formulata dall’opponente, deducendone la infondatezza in fatto ed in diritto; in particolare, deduceva che era indubbio che la materia disciplinare, ai sensi della legge n. 280/03, fosse devoluta agli organi della giustizia sportiva, ciò in virtù dell’adesione negoziale allo Statuto della Federazione;

    • una volta esauriti i vari gradi della giustizia sportiva, in assenza di spontaneo adempimento da parte del debitore, la Federazione doveva rivolgersi al Tribunale Ordinario, al fine di acquisire un titolo esecutivo volto a tutelare il proprio diritto di credito;
    • le decisioni degli organi della giustizia sportiva non potevano costituire titolo esecutivo, trattandosi di una giustizia di tipo associativo, funzionante secondo gli schemi del diritto privato;
    • le sanzioni adottate dagli organi della giustizia sportiva non avevano alcuna natura pubblicistica, da ciò derivando l’assenza di giurisdizione del giudice amministrativo;
    • la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea della questione afferente l'interpretazione dell'art. 2, I co., lett.

B) del D.L. n. 220/2003, in relazione all'art. 101 T.F.U.E., era priva di fondamento, poiché la normativa dell'ordinamento sportivo e lo stesso Regolamento degli Agenti dei calciatori trovavano legittimazione e fonte primaria nella legge dello Stato;

    • le contestazioni dell'opponente relative al merito della pretesa erano singolari, posto che il (...) aveva accettato la clausola compromissoria trasfusa nel Regolamento Agenti e nello Statuto della

F.I.G.C. e, nell'ambito del procedimento disciplinare promosso a suo carico, aveva inteso avvalersi del patteggiamento ex art.23 del Codice della Giustizia Sportiva;

pertanto, precisando che erano già stati esperiti tutti i rimedi della giustizia sportiva e che le sanzioni erano divenute definitive, chiedeva che questo Tribunale volesse:

  1. rigettare l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 26410/10 (r.g. 76081/13) e, per l’effetto confermare il decreto ingiuntivo opposto e/o comunque condannare il sig. (...) al pagamento dell’importo di Euro 45.000,00 o della maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia;
  2. condannare il sig.  (...) al risarcimento dei danni per lite temeraria nella somma di Euro 10.000,00 o in quella diversa ritenuta di giustizia e comunque al pagamento in favore della F.I.G.C. di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c..
  3. con vittoria di spese competenze ed onorari del presente giudizi.

Questo Giudice non ravvisate le condizioni per la concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, invitava le parti a precisare le conclusioni; all’udienza dell’11/11/14, precisate le conclusioni, la causa era posta in decisione con la concessione dei termini di cui all’art.190 c.p.c..

MOTIVI   DELLA   DECISIONE

A sostegno della sua domanda il (...) ha addotto cinque motivi di opposizione:

    1. in via pregiudiziale, ha eccepito il difetto assoluto di giurisdizione ordinaria statale e/o la indifferenza delle questioni per l’ordinamento giuridico statale e/o la improcedibilità e/o la inesistenza e/o la inefficacia e/o la nullità e/o la annullabilità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto emesso in violazione dell’art. 117, co. 3, cost. e dell’art. 2 d.l. n. 220/2003, secondo l’interpretazione resa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 49/2011;
    2. in via ulteriormente pregiudiziale, nella ipotesi di rigetto della eccezione sopra indicata, ha chiesto il rinvio pregiudiziale della controversia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 t.f.u.e. ai fini dell’interpretazione dell’art. 2, co. 1, lett. b) d.l. 220/2003 in relazione all’art. 101 t.f.u.e.;
    3. in via ulteriormente pregiudiziale, ha eccepito il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario.
    4. nel merito, ha dedotto la inesistenza, ai sensi dell’art. 633 co. 1, n. 1, c.p.c., di una valida prova scritta del diritto fatto valere dalla FIGC;
    5. ulteriormente nel merito, ha dedotto la inesistenza del diritto di credito fatto valere dalla federazione opposta.

Questo Giudice ritiene tali doglianze infondate e che l’opposizione proposta dal (...) debba essere rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto.

Al riguardo, come già argomentato da questo Tribunale in analoghe controversie (cfr. sentenze n.11496/15 rel. Bernardo e n.11736/15 rel. Buonocore), si osserva.

Il (...) ha eccepito il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito, sostenendo che la controversiariguardando la materia delle sanzioni disciplinari sportive - sarebbe devoluta alla cognizione degli organi della giustizia sportiva, in virtù di quanto statuito dall’art. 2 della Legge n. 280/03.

Orbene, giova premettere che la F.I.G.C. è un’associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al CONI (cfr. l’art. 1 del relativo Statuto).

Lo Statuto della F.I.G.C. trova applicazione anche nel caso in esame, atteso cheai sensi dell’art. 12 del Regolamento degli Agenti dei Calciatori - i predetti agenti sono tenuti all’osservanza delle norme statutarie della F.I.G.C..

In particolare, l’art. 30 dello Statuto della F.I.G.C. stabilisce che tutti i soggetti indicati hanno l’obbligo di osservare lo Statuto; al secondo comma prevede, poi, che i predetti soggetti accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dalla FIFA, dalla UEFA, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la F.I.G.C., per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto dallo statuto del CONI, sono devolute su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI.

Lo statuto della Federazione opposta contiene, dunque, una clausola, in base alla quale, tra l’altro, le controversie di carattere disciplinare sono devolute alla cognizione degli organi giustizia sportiva, interni alla Federazione.

Al fine di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato, nel 2003 è stato emanato il D.L. n. 220, convertito con modificazioni nella legge n. 280/03. In particolare, l’art. 2 detta disposizioni in ordine all’autonomia dell’ordinamento sportivo, stabilendo che è riservata all'ordinamento  sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti  rilevanti  sul  piano  disciplinare  e  l'irrogazione  ed applicazione  delle relative sanzioni disciplinari sportive.

L’esame dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito rende necessaria una preliminare ricostruzione del quadro normativo relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giurisdizionale dello Stato e della relativa evoluzione giurisprudenziale.

Al riguardo, si deve richiamare la sentenza n. 5775 del 2004, con cui le Sezioni Unite della Suprema Corterichiamando i precedenti giurisprudenziali in material - hanno    compiutamente    ricostruito    il    quadro    normativo    e giurisprudenziale relativo all’argomento in esame.

In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che la Legge 16 febbraio 1942 n. 426, istitutiva del CONI, configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell'Ente, che partecipavano della natura pubblica di questo. La successiva Legge 23 marzo 1981, n. 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), con l'art. 14, ribadì questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzioni di natura pubblicistica, riconducibili all'esercizio in senso lato delle funzioni proprie del CONI, e funzioni di natura privatistica per le specifiche attività da esse svolte. Quest'ultima funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni, (così, SS. UU. 11 ottobre 2002, n. 14530).

L'art.  6  della  legge  del  1981,  come  novellato  dall'art.  1  del  D.L.  20 settembre 1996, n. 485, convertito nella Legge 18 novembre 1996 n. 586, riconoscendo alle federazioni sportive il potere di stabilire un premio di addestramento e formazione tecnica in favore delle società sportive presso le quali l'atleta si sia formato, ha confermato la natura privatistica dell'attività svolta dalle medesime federazioni in questo settore.

La Legge n. 91 del 1981 è stata sostituita con il Decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, contenente disposizioni sul riordino del CONI. In particolare, l’art. 15 del Decreto legislativo ha recepito l'inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l'attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI (primo comma) -così consentendo l'esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e mediante l'adozione di atti amministrativi - attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal Codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma).

È sopravvenuto il D.L. 19 agosto 2003 n. 220, contenente disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito nella Legge 17 ottobre 2003, n.

Il Decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale dell'ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l'ordinamento dello Stato sono regolati in base al principio di autonomia, "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo" (art. 1 primo comma). La "giustizia sportiva" si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive; quella statale è chiamata, invece, a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.

Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico - sportive, con conseguente riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è stabilito che all'ordinamento sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di quell'ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento  delle  attività  sportive;  b)  i  comportamenti  rilevanti  sul  piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma). In queste materie vige il sistema del c.d. "vincolo sportivo". Le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati, infatti, hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del CONI e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n. 242 del 1999, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma). I casi di rilevanza per l'ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l'ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.

Il primo comma dell'art. 3 del D.L. n. 220/2003, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta "ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'art. 2".

Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia dell'ordinamento sportivo, continua ad essere imperniato sull'onere di adire gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma) e sulla salvezza incondizionata delle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive e di quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del CONI (art. 3, ultima parte).

Come osservato dalle Sezioni Unite, nella pronuncia suindicata, dalla lettura delle enunciate disposizioni è possibile ricavare che, secondo il D.L. n. 220/2003, la tutela fa riferimento alle seguenti quattro situazioni:

Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l'osservanza di norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l'art. 15 del D.Lgs. n. 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell'autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un'area di non rilevanza (o d'indifferenza) per 'ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l'ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all'assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato.

Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono  da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch'esse interne all'ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni v'è la stessa condizione di non rilevanza per l'ordinamento statale, prima indicata.

Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all'interno del sistema dell'ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale.

La terza situazione comprende l'attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI e del CIO, come dispone la prima parte del già citato art. 15. Nel testo del D.L. n. 220 del 2003 anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società di associazioni sportive e di singoli tesserati e l'organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l'ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l'indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l'oggetto delle quali è costituito dall'attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Esaurito, anche in questo caso, l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il problema relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale non ponga una questione di giurisdizione, costituendo invece questione di merito, che deve essere giudicata dal giudice del merito, al pari di quella dell'esistenza in concreto di essa (cfr. SU. 15 giugno 1987, n. 5256). Il principio è stato sviluppato con riferimento alle federazioni sportive ed è stato dichiarato che la censura diretta ad escludere ogni forma di tutela giurisdizionale nei confronti di provvedimenti della F.I.G.C., costituisce questione di merito (cfr. SU. 29 settembre 1997, n. 9550).

Ad analoga conclusione è giunta la Suprema Corte nella successiva pronuncia n. 18919 del 28.9.2005 (rel. Sangiorgio), nella quale ha affermato che il vincolo di giustizia sportiva previsto dallo Statuto della F.I.G.C. integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata sul consenso delle parti che accettano la soggezione agli organi interni di giustizia.

In particolare, poi, la suindicata pronuncia stabilisce altro importante principio, ritenendo che il cd. vincolo di giustizia sportiva (già contenuto negli statuti delle federazioni sportive prima dell’entrata in vigore del D.L. 220/03 convertito nella Legge 280/03), dal 2003 in poi trovi la sua legittimazione anche in una fonte legislativa. Tuttavia, tale legittimazione legislativa non ne ha modificato la natura, che va pur sempre ricondotta alla figura dell’arbitrato irrituale, sostanzialmente consistente in un mandato conferito  congiuntamente dalle parti compromittenti agli arbitri affinchè questi – in virtù di un potere negoziale - definiscano la controversia (cfr. Cass., Sent. n. 11270 del 5 luglio 2012).

Tale orientamento, peraltro, risulta confermato da altre pronunce delle Sezioni Unite che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la questione relativa alle materie rientranti nella competenza degli organi della giustizia sportiva non è questione di giurisdizione, in quanto tali organi non svolgono una funzione giurisdizionale ma intervengono in virtù di una clausola compromissoria e svolgono un’attività negoziale sostitutiva di quella degli stipulanti (cfr. SU Cass. ordinanza n. 6423/08).

Ciò premesso, nel caso in esame, la controversia trae origine da comportamenti posti in essere dall’odierno opponente, rilevanti sul piano disciplinare sportivo.

Ne consegue che – in virtù dell’art. 2, comma 1, del D.L. n. 220/03 convertito nella Legge 280/03 - per l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive vige il sistema del c.d. "vincolo sportivo"; ciò in virtù della cd. clausola del vincolo di giustizia, prevista dall’art. 30 dello Statuto della F.I.G.C..

Tale clausola, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, ha natura di clausola compromissoria di arbitrato irrituale, in base alla quale il potere di irrogare ed applicare le sanzioni disciplinari è attribuito in forza di un atto negoziale di natura privatistica - dalle stesse parti a degli arbitri irrituali, che nel caso di specie sono costituiti dagli organi della giustizia sportiva.

Ne consegue, innanzitutto, che la questione in esame non integra una vera e propria questione di giurisdizione e, pertanto, non è corretto parlare di difetto di giurisdizione del giudice adito, ovvero di difetto “assoluto” di giurisdizione, non controvertendosi in ordine al riparto della cognizione tra organi entrambi aventi un potere giurisdizionale statale.

Così riqualificata la questione (non di giurisdizione ma afferente al merito), devesi altresì osservare che – in base a quanto previsto dalla clausola del vincolo di giustizia e dal citato art. 2, comma 1 del D.L. n. 220/03, convertito nella Legge n. 280/03 - rientrano nella competenza degli organi di giustizia sportiva solo le questioni attinenti alla irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive, e cioè le questioni attinenti alla fase relativa all’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare ed alla comminatoria della relativa sanzione, sempre disciplinata dall’ordinamento sportivo.

Nel caso concreto, invece, la questione non attiene prettamente alla irrogazione ed alla applicazione della sanzione disciplinare, bensì alla fase della sua esecuzione. Infatti, è pacifico che la fase dinanzi agli organi della giustizia sportiva si sia già esaurita, atteso che la sanzione disciplinare oggetto del presente giudizio (consistente in sanzione pecuniaria) è stata già irrogata ed è divenuta definitiva.

Ciò che residua è un credito di natura pecuniaria della Federazione, relativo alla sanzione pecuniaria che è stata irrogata in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva. Infatti, gli organi della giustizia sportiva possono irrogare sia sanzioni che esplicano i loro effetti esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo (ad esempio, nel caso in esame è stata irrogata la sanzione della sospensione della licenza), sia sanzioni che esulano dall’ordinamento sportivo ed incidono su posizioni giuridiche soggettive generalmente tutelate dall’ordinamento statale (ad esempio, nel caso in esame è stata altresì irrogata la sanzione pecuniaria dell’ammenda).

Orbene, mentre nel primo caso l’esecuzione della sanzione potrà ben trovare esplicazione e coattiva esecuzione (in caso di mancata spontanea osservanza) all’interno del medesimo ordinamento sportivo, nell’ambito del quale produce ed esaurisce tutti i suoi effetti, altrettanto non può sostenersi per le sanzioni del secondo tipo. Infatti, l’ordinamento sportivo non possiede gli strumenti per ottenere l’esecuzione coattiva di un credito di natura pecuniaria: strumenti del resto che sono riservati all’autorità giurisdizionale ordinaria. Non a caso, il citato art. 2 , comma 1, del D.L. n. 220/03, convertito nella Legge n. 280/03, limita la cognizione degli organi della giustizia sportiva alle sole questioni relative la irrogazione ed applicazione della sanzione, non estendendola, invece, alla esecuzione della stessa.

Tale impostazione non appare contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2011, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del D.L. n. 220/03, convertito nella Legge 280/03. In particolare, la questione era stata sollevata dal giudice amministrativo, dubitando della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui riservava al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, anche quando i relativi effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su interessi legittimi e diritti soggettivi, tutelati dall’ordinamento statale. Il caso concreto sottoposto alla Corte Costituzionale era diverso da quello oggetto del presente giudizio, in quanto si controverteva in ordine al risarcimento del danno derivante dalla illegittima irrogazione della sanzione disciplinare della inibizione allo svolgimento di attività federale.

Ciò nonostante, la Cortecon la suddetta pronuncia - ha sancito importanti principi, dando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, da tener presente anche nel caso in esame. In particolare, nel ribadire l’autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale (autonomia, peraltro, favorita dal Legislatore), la Corte ha evidenziato che le sanzioni disciplinari irrogate   dalla   Federazione   possono   esaurire    loro   effetti   nell’ambito dell’ordinamento sportivo, oppure manifestare effetti anche nell’ambito dell’ordinamento statale. Orbene, con riferimento al primo gruppo di ipotesi, la Corte afferma che queste sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale e di conseguente assenza di tutela da parte di quest’ultimo ordinamento. Tuttavia, la Corte afferma, altresì, che ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.L. n. 220/03 consegue che, qualora il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, non possa escludersi la possibilità di agire in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali statali.

Ne consegue che, non controvertendosi nella presente sede in ordine alla fase della irrogazione ed applicazione della sanzione (perché questa è già stata irrogata ed applicata dagli organi di giustizia sportiva, con decisione divenuta definitiva), ma controvertendosi in ordine alle conseguenze che tale sanzione esplica su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale ed afferenti a rapporti patrimoniali, non appare sussistente la competenza degli organi suddetti.

Parimenti infondato è il motivo di opposizione, con cui la parte opponente ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, essendo la controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in virtù di quanto statuito dall’art. 3 della legge n. 280/03.

In particolare, la citata disposizione devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'art. 2".

Orbene, con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giova ricordare checon l’importante pronuncia n. 204/2004 - la Corte Costituzionale, nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art. art. 33, commi 1 e 2, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall'art. 7, lettera a), della legge 21 luglio 2000, n. 205, ha affermato il seguente principio: “L'art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe "anche" diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”.

Ne consegue che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle ipotesi di giurisdizione esclusiva porta a ritenere che questa sia sussistente solo ogniqualvolta si sia in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano. Per converso, non potrà ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, neanche quella in via esclusiva, qualora sia del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione- autorità.

Orbene, nel caso in esame, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve escludersi che, nell’attività di irrogazione di sanzioni disciplinari, la FIGC eserciti un potere autoritativo di natura pubblicistica.

Infatti, è vero che le Federazioni sportive, pur avendo personalità di diritto privato, esercitano anche funzioni pubblicistiche. Il D.Lgs. n. 242 del 1999, contenente norme di riordino del CONI, all’art. 15 prevede che le Federazioni possano adottare atti amministrativi in armonia con le deliberazioni del CONI, ad es. in tema di ammissione ed affiliazione delle società sportive alle Federazioni nazionali.

Ne consegue che le questioni concernenti l’attività che le Federazioni svolgono in armonia con le deliberazioni del CONI rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualora sia espressione di un potere provvedimentale ed autoritativo.

Tuttavia, come già sopra evidenziato, il potere di decidere in materia disciplinare attribuito agli organi della giustizia sportiva trova la fonte nella autonomia negoziale delle parti. Gli organi della giustizia sportiva, del resto, decidono in virtù di una clausola negoziale avente natura di clausola di arbitrato irrituale ed osservando le regole del diritto privato. Inoltre, sia le norme violate che la decisione da eseguire trovano la loro fonte in atti di natura negoziale, che sono espressione dell’autonomia privata e non di poteri pubblicistici. A maggior ragione,  poi,  deve  escludersi  l’esercizio  di  poteri  pubblicistici  nell’attività  di recupero del credito derivante dalla irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Non essendovi esercizio di poteri pubblicistici, deve escludersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, neanche in via esclusiva.

Anche alla luce delle considerazioni di ordine generale sopra svolte si ritiene immeritevole di seguito la richiesta di (...) , volta a sollecitare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ex art. 267 del T.F.U.E..

In proposito va, innanzitutto, rammentato che - come anche di recente ribadito dalla Suprema Corte - "il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità" (in tal senso, Cass. Civ., Sezioni Unite, 10 settembre 2013, n. 20701).

Ciò posto, va osservato che, a fondamento della richiesta di cui sopra, (...)  ha richiamato le argomentazioni svolte dal Tribunale di Primo Grado UE, Sez. IV, nella Sentenza n. 193 del 26 gennaio 2005 resa sul tema della conformità alla disciplina in materia di concorrenza delle disposizioni del Regolamento Agenti della FIFA.

Senonché, proprio nella pronuncia richiamata dall'opponente, il Tribunale di Primo Grado UE, nel respingere la "denuncia" alla sua attenzione, ha avuto modo di precisare che "la competenza normativa esercitata, nella quasi totale assenza di regolamentazioni nazionali, dalla FIFA può essere verificata solo nei limiti in cui collide con le regole di concorrenza, rispetto alle quali  si  deve valutare la legittimità della decisione impugnata, senza che le considerazioni sul fondamento giuridico della FIFA ad esercitare un'attività regolamentare, per quanto importanti, possano essere sindacate in questa sede".

Ebbene, nella fattispecie concreta non è dato neppure comprendere quale sia il profilo di possibile contrasto con le regole di concorrenza di cui all'art. 101 del T.F.U.E. delle disposizioni che riservano all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni.

Ad ogni buon conto, non può non considerarsi che l'odierno opponente - che pure sollecita il rinvio pregiudiziale di cui sopra - con l'adesione alla Federazione ha accettato il cennato sistema di "giustizia arbitrale" e successivamente, all'esito della contestazione di illecito disciplinare, si è avvalso, sua sponte, del patteggiamento di cui all’art. 23 del Codice della Giustizia Sportiva.

Come sopra detto, nel presente giudizio la decisione ormai definitiva resa dall'organo di giustizia sportiva viene in considerazione quale atto negoziale di natura privatistica, fondato sulla clausola compromissoria per arbitrato irrituale accettata anche dal (...).

A tal proposito, è opportuno richiamare quanto evidenziato dalla Suprema Corte con riferimento alla disciplina oggetto di doglianza: "Il fondamento dell'autonomia dell'ordinamento sportivo è da rinvenire nella norma costituzionale di cui all'art. 18 cost., concernente la tutela della libertà associativa,  nonché  nell'art.  2  cost.,  relativo  al  riconoscimento  dei  diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo. Il cosiddetto vincolo di giustizia, di natura negoziale, costituisce un momento fondamentale dell'ordinamento sportivo, essendo ontologicamente finalizzato a garantirne l'autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale, autonomia generalmente ritenuta necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte. La natura prevalentemente privatistica delle Federazioni sportive depone nel senso della dimensione privatistica della giustizia sportiva e, quindi, della origine contrattuale e non autoritativa dell'accettazione dei regolamenti federali, quale portato di un atto di adesione spontanea alla comunità sportiva. La rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale si fonda sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia" (Cassazione civile, Sez. I, 28 settembre 2005, n. 18919).

Infine, appaiono infondate anche i motivi di opposizione addotti dal (...) al fine di evidenziare l'insussistenza di adeguata prova del credito azionato in sede monitoria e, comunque, l'infondatezza della pretesa avversaria.

Come prima evidenziato, la pretesa azionata dalla F.I.G.C. si fonda su una decisione, ormai definitiva, resa dalla Commissione disciplinare nazionale in sede di patteggiamento.

Come già accennato, l'art. 30 del vigente Statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio - il quale prevede l'impegno di coloro che operano all'interno della Federazione ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla stessa F.I.G.C., dai suoi organi e soggetti delegati, nelle materie comunque attinenti all'attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico - integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata, come tale, sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia. Siffatto vincolo, cui l'affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse federazioni comporta volontaria adesione, ripete, altresì, la propria legittimità da una fonte legislativa per effetto delle disposizioni del D.L. n. 220 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 280 del 2003, che, all'art. 2, comma 2, prevede l'onere di adire gli organi della giustizia sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell'ordinamento sportivo, che sono, a mente del comma 1 dello stesso art. 2, quelle aventi ad oggetto l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione delle relative sanzioni.

Ciò posto, e precisato, quindi, che la decisione invocata a base del ricorso monitorio è del tutto assimilabile ad un lodo per arbitrato irrituale, va rammentato che con l'arbitrato irrituale le parti affidano ad un terzo la composizione di questioni e controversie con un atto avente valenza negoziale, che le medesime parti si obbligano ad eseguire ed osservare.

Pertanto, la decisione resa dalla Commissione disciplinare nazionale ben vale ad integrare titolo costitutivo del credito azionato dalla F.I.G.C. e del correlato obbligo di pagamento a carico del (...).

Peraltro, alla luce di quanto già esposto, la cognizione del giudice ordinario nell’ambito della controversia in esame è limitata alla fase della esecuzione della sanzione disciplinare, non potendosi per contro sindacare il contenuto del potere disciplinare, esercitato dagli organi della giustizia sportiva. E’ rimesso al giudice ordinario, quindi, il solo accertamento della sussistenza del credito vantato dalla F.I.G.C. e della insussistenza di fatti modificativi od estintivi della pretesa creditoria (che, invero, il (...) non ha neppure allegato).

Infine, merita un chiarimento la statuizione in tema di interessi resa con il provvedimento monitorio opposto.

In proposito va osservato che nel Decreto Ingiuntivo n. 26410/2013 è stato ingiunto il pagamento degli interessi moratori nella misura del tasso legale come richiesti, e cioè a decorrere “dalla scadenza”. Orbene, deve ritenersi che, con il termine scadenza, la parte ricorrente abbia inteso riferirsi al momento in cui la somma è divenuta esigibile. Tale momento va individuato nella data di irrogazione della sanzione da parte degli organi di giustizia sportiva. Infatti, ai sensi dell’art. 23 dello Statuto, il lodo emesso dagli organi suddetti è immediatamente esecutivo.

Per quanto sopra esposto, l’opposizione proposta da (...)  va rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto.

La complessità della controversia, con riferimento alla soluzione della questione di giurisdizione, impedisce di poter ritenere che la parte opponente abbia agito con mala fede o colpa grave. Va, pertanto, rigettata la domanda di pagamento per lite temeraria, proposta dalla F.I.G.C. sia ai sensi del primo comma dell’art. 96 c.p.c., sia ai sensi del terzo comma.

Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico dell’opponente e, tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dal difensore, sulla base dei parametri indicati dal D.M. n.55/14, vanno liquidate in complessivi €5.500, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

 

definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa,

    • rigetta l’opposizione proposta da (...)e, per l'effetto, conferma il Decreto Ingiuntivo n. 26410/2013, n. 76081/2013 R.G., reso dal Tribunale di Roma in data 4 dicembre 2013.
    • rigetta la domanda ex art. 96, commi I e III, c.p.c., proposta dalla F.I.G.C..
    • condanna (...)alla rifusione, in favore della parte opposta, delle spese del presente giudizio, come liquidate in motivazione.

Così deciso, in Roma, il 21 maggio 2015.

Il Giudice

(dott. Francesco Mannino)

 

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