TRIBUNALE DI ROMA –SEZIONE CIVILE – SENTENZA N. 21243/2015 DEL 22/10/2015
Il Tribunale di Roma – Terza Sezione Civile, in persona del dott. Francesco Remo Scerrato, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 18301 Ruolo Generale dell’anno 2014, e trattenuta in decisione all’udienza del 13 aprile 2015, vertente
TRA
(...), elettivamente domiciliato a Roma, via Gregorio VII n° 466, presso lo studio dell’avv.to Giuseppe Salvatore Cossa, che lo rappresenta e difende, anche disgiuntamente dall’avv.to Marisa Marmottini del Foro di Perugia, in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione,
OPPONENTE
E
F.I.G.C. – FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Roma, via Montanelli n° 11, presso lo studio dell’avv.to Gianfilippo Staglieni, da cui era rappresentata e difesa, anche disgiuntamente dall’avv.to Giancarlo Gentile, in forza di procura speciale in calce al ricorso per decreto ingiuntivo,
OPPOSTA
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.
CONCLUSIONI:
per parte opponente (verbale dell’udienza di p.c.): “ … accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione dell’AGO in favore del TAR Lazio e per effetto revocare il d.i. opposto, con vittoria di spese e comunque riportandosi alle conclusioni di cui alla citazione (‘Voglia Il tribunale adito … 1) …; 2) accertare e dichiarare l’inesistenza e/o la nullità assoluta della sanzione e del procedimento disciplinare di cui al comunicato ufficiale F.I.G.C. n° 96/CDN, relativamente alla posizione del dott. (...), per inesistenza e/o nullità del procedimento notificatorio, in quanto l’atto di contestazione dell’addebito è stato indirizzato ad un domicilio nel quale l’opponente non era più residente, con conseguente difetto di contraddittorio e mancata partecipazione dello stesso al procedimento e, per l’effetto, dichiarare che nulla è dovuto dal dott. (...) alla F.I.G.C. in relazione a tale procedimento sanzionatorio; 3) conseguentemente, accertare e dichiarare non dovuta la somma di 50.000,00 euro di cui al comunicato F.I.G.C. n° 96/CDN; 4) accertare e dichiarare prescritta l’azione disciplinare nei confronti del dott. (...) esercitata con l’atto di deferimento emesso dalla Procura Federale F.I.G.C. in data 18/6/12 (comunicato ufficiale n° 45/CDN) e con l’atto di deferimento emesso in data 22/2/12 (comunicato ufficiale n° 96/CDN) e, per l’effetto, dichiarare che nulla è dovuto dal dott. (...) alla F.I.G.C.; 5) ritenuta la propria competenza, accertare e dichiarare l’inesistenza e/o nullità assoluta della sanzione e del procedimento disciplinare di cui al comunicato ufficiale F.I.G.C. n° 45/CDN, relativamente alla posizione del dott. (...), in quanto le fattispecie del conflitto di interesse ascritte all’opponente non erano, all’epoca della loro commissione, considerate punibili e, per l’effetto, dichiarare che nulla è dovuto dal dott. (...) alla F.I.G.C. in relazione a tale procedimento; 6) conseguentemente, revocare il d.i. opposto, in quanto emesso in mancanza dei presupposti di cui agli artt. 633 e ss c.p.c. per le ragioni esposte in narrativa e, per l’effetto, accettare e dichiarare che nulla è dovuto dall’opponente alla F.I.G.C.; 7) in via subordinata ed in denegata ipotesi, ritenuta la propria competenza e tenuto conto delle circostanze fattuali sopra evidenziate, irrogare la sola sanzione della censura o deplorazione, di cui all’art. 17, co. 1, Regolamento Agenti 2007, secondo i criteri di proporzionalità e giustizia; 8) in ogni caso, con condanna di controparte a rifondere all’opponente le spese, funzioni e onorari di procedimento. …’) ed alle memorie autorizzate 29/12/14 e 12/1/15 … ”;
per parte opposta (verbale di p.c.): “… si riporta alle conclusioni già rassegnate, impugna e contesta quelle di controparte in quanto modificate rispetto a quelle dell’atto introduttivo”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificata alla convenuta F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, l’attore (...) proponeva opposizione avverso il d.i. n° 1111/14 dell’11-15/1/14 del Tribunale di Roma (rg. 75668/13), in forza del quale gli era stato ingiunto il pagamento della complessiva somma di 80.000,00 euro, oltre interessi e spese, a titolo di sanzione disciplinare. Al riguardo, l’opponente eccepiva l’illegittimità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto fondato su un titolo nullo e/o inesistente, atteso che la sanzione amministrativa di cui al comunicato ufficiale n° 96/CDN era nulla per inesistenza e/o nullità della notificazione dell’atto di addebito e conseguente difetto di contraddittorio e mancata partecipazione al procedimento sanzionatorio; che inoltre era inesistente e/o nulla anche la sanzione di cui al comunicato ufficiale n° 45/CDN, attesa la non punibilità della fattispecie del ‘conflitto di interessi’, non prevista come fattispecie vietata e sanzionabile all’epoca dei fatti; che gli addebiti contestati dovevano ritenersi estinti per prescrizione; che inoltre il decreto ingiuntivo era stato illegittimamente emesso, attesa l’assenza dei presupposti per l’emissione e la non definitività dei provvedimenti disciplinari posti a fondamento, in quanto appunto non aveva partecipato al relativo giudizio; che pertanto detti provvedimenti potevano pertanto essere oggetto di sindacato da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria; che vi era in ogni caso sproporzione, irragionevolezza ed eccessività delle sanzioni inflitte. Tanto premesso, l’attore, con riserva di chiamare in causa la Compagnia Assicurativa al fine di essere dalla stessa manlevato, concludeva come in epigrafe riportato.
Si costituiva in giudizio la F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio, la quale, contestata la fondatezza delle sollevate eccezioni, concludeva per il rigetto dell’opposizione, con condanna dell’opponente al pagamento delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..
All’udienza di prima comparizione del 25/11/14 era posta d’ufficio la questione del difetto di giurisdizione del giudice adito, con rinvio della causa all’udienza del 27/1/15 e con concessione alle parti di termini per note e contronote sul punto; quindi, rinviata la causa all’udienza del 13/4/15 per la precisazione delle conclusioni e precisate in detta udienza le conclusioni anche nel merito, la causa era trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di repliche (ulteriori 20 giorni): i termini ex artt. 190 e 281 quinquies c.p.c. sono scaduti il 2/7/15.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In punto di rito, quanto alla questione della chiamata in causa di terzo da parte dell’opponente, va ribadita l’adesione alla consolidata giurisprudenza della Cassazione in forza della quale “…..nell'ambito del processo di ingiunzione, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, mantenendo ciascuna la propria posizione naturale e, cioe', il creditore quella di attore e il debitore quella di convenuto, posizione che esplica i suoi effetti non solo nell'ambito dell'onere della prova ma, anche in ordine ai poteri e alle preclusioni in materia processuale, rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti: di conseguenza l'opponente, ove intenda chiamare in causa un terzo, non puo' ne' convenirlo direttamente in giudizio con l'atto di citazione, ne' chiedere il differimento della prima udienza (che ancora non e' fissata), ma ha l'onere di domandare al giudice, nel corso di tale udienza, l'autorizzazione alla chiamata. L'opponente, infatti, deve citare unicamente il soggetto che ha ottenuto il decreto in quanto le parti originariamente non possono essere che colui che ha proposto la domanda di ingiunzione e colui contro il quale la domanda e' proposta (nei sensi suddetti, sentenze 5/3/2002 n, 3156; 27/6/2000 n. 8718). Ne consegue che all'opponente e' preclusa, nella qualita' di convenuto sostanziale, la facolta' di chiedere lo spostamento dell'udienza e deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione ed a pena di decadenza, l'autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa (sentenza 27/1/2003 n. 1185)” (cfr. Cass. 13272/04 in motivazione, in un giudizio davanti al Giudice di pace, ma il principio di diritto è generale).
Dunque l’opponente, interessato alla chiamata di terzo, non può citarlo direttamente in giudizio, ma con lo stesso atto di opposizione deve chiedere al giudice l’autorizzazione alla chiamata, richiesta che poi viene vagliata dal Giudice.
Nel caso di specie non vi è nell’atto di citazione la formale richiesta di chiamata in causa dell’assicurazione, da cui l’opponente intendeva essere manlevato, essendovi invero solo l’inciso “ … con riserva di chiamare in causa la Compagnia Assicurativa al fine di essere manlevato e garantito da ogni richiesta della F.I.G.C.
…” (cfr. citazione a pag. 21); quindi ogni richiesta era -ed è (cfr. comparsa conclusionale)- inammissibile.
L’opposizione è infondata e va pertanto rigettata.
Giova prima di tutto ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell’opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2° comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/05; Cass. 15186/03; Cass. 6663/02); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall’esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 20613/11).
La Federazione opposta, attrice sostanziale, in data 14/11/13 ha depositato ricorso per decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento della somma di 80.000,00 euro da parte di (...), allegando che la F.I.G.C. ai sensi dell’art. 1 dello statuto federale è “associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato avente lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi”; che l’attività degli Agenti dei Calciatori è disciplinata dal relativo Regolamento il quale, all’art. 12, stabilisce che “l’agente è tenuto all’osservanza delle norme federali, statutarie e regolamentari della FIGC, delle Confederazioni e della FIFA”; che il (...), Agente dei Calciatori e come tale soggetto alle norme dell’ordinamento sportivo, a seguito del deferimento del Procuratore Federale, era stato giudicato dalla Commissione Disciplinare Nazionale, la quale gli aveva comminato: a) la sanzione della sospensione della licenza per mesi 2 nonché l’ammenda di 50.000,00 euro (Comunicato Ufficiale n. 96/CDN del 15 maggio 2012) e b) la sanzione della sospensione della licenza per mesi 2 nonché l’ammenda di 30.000,00 euro (Comunicato Ufficiale 45/CDN del 30 novembre 2012); che le suddette decisioni della Commissione Disciplinare Nazionale, non impugnate dall’interessato, erano passate in giudicato; che il (...) non aveva corrisposto quanto dovuto nonostante i ripetuti solleciti, per cui si era reso necessario adire l’Autorità Giudiziaria per l’ingiunzione di pagamento appunto di complessivi 80.000,00 euro, oltre accessori.
Da parte sua l’opponente, che ha dichiarato di aver cessato l’attività di Agente dei Calciatori e di non fare più parte dell’ordinamento sportivo, ha allegato che le sanzioni erano inesistenti e/o nulle, che non vi era la prova scritta del credito ai sensi dell’art. 633 c.p.c., che i provvedimenti posti a base del ricorso per decreto ingiuntivo non erano definitivi e che le sanzioni inflitte, in ogni caso, erano sproporzionate, irragionevoli ed eccessive.
Come detto, è stata posta d’ufficio la questione del difetto di giurisdizione del giudice adito e la difesa dell’opponente ha argomentato, concludendo conferentemente (cfr. conclusioni in epigrafe), che sussisteva la giurisdizione del TAR Lazio con conseguente nullità del decreto ingiuntivo opposto, da revocare in quanto emesso da giudice non competente.
Prima di tutto, si osserva che non rileva che asseritamente l’opponente non sia più tesserato, in quanto sicuramente lo era all’epoca dell’adozione delle sanzioni disciplinari (cfr. memoria conclusionale di replica dell’opponente: “ … per fatto e colpa della F.I.G.C., il Dr. (...), ex Agente dei calciatori, non ha potuto spiegare le proprie difese nell’ambito del procedimento disciplinare, né, conseguentemente, adire gli Organi di Giustizia Sportiva. Talché lo stesso è stato edotto delle sanzioni comminate solo con la notifica del d.i., allorquando aveva cessato l’attività di Agente dei Calciatori, e non faceva più parte dell’ordinamento sportivo …”).
Per quanto riguarda la questione della giurisdizione e dell’eventuale difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, nel manifestare adesione all’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel Tribunale ed in particolare nella Sezione in epigrafe, valgono le seguenti osservazioni.
La FIGC è un’associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al CONI (cfr. l’art. 1 del relativo Statuto) ed in base all’art. 12 del Regolamento degli Agenti dei Calciatori i predetti agenti sono tenuti all’osservanza delle norme statutarie della FIGC.
In particolare, l’art. 30 dello Statuto della FIGC stabilisce che tutti i soggetti indicati hanno l’obbligo di osservare lo Statuto. Poi prevede, al secondo comma, che i predetti soggetti accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dalla FIFA, dalla UEFA, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la FIGC, per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto dallo statuto del CONI, sono devolute su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI.
Lo statuto della Federazione opposta contiene, dunque, una clausola, in base alla quale, tra l’altro, le controversie di carattere disciplinare sono devolute alla cognizione degli organi giustizia sportiva, interni alla Federazione.
Al fine di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato, nel 2003 è stato emanato il D.L. 220/03, convertito con modificazioni nella L. 280/03.
In particolare, l’art. 2 detta disposizioni in ordine all’autonomia dell’ordinamento sportivo, stabilendo che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.
Orbene, l’esame della questione sulla giurisdizione del giudice ordinario adito rende necessaria una preliminare ricostruzione del quadro normativo relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giurisdizionale dello Stato e della relativa evoluzione giurisprudenziale.
Con la sentenza 5775/04 le Sezioni Unite della Cassazione, richiamando i precedenti giurisprudenziali in materia, hanno compiutamente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo all’argomento in esame.
In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che la legge 16 febbraio 1942 n. 426, istitutiva del Coni, configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano della natura pubblica di questo. La successiva legge 23 marzo 1981, n. 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), all’art. 14 aveva ribadito questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzioni di natura pubblicistica, riconducibile all’esercizio in senso lato delle funzioni proprie del Coni, e funzioni di natura privatistica per le specifiche attività da esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni, (così, Cass. SU 14530/02).
L’art. 6 della legge del 1981, come novellato dall’art. 1 del D.L 20 settembre 1996, n. 485, convertito nella legge 18 novembre 1996 n. 586, riconoscendo alle federazioni sportive il potere di stabilire un premio di addestramento e formazione tecnica in favore delle società sportive presso le quali l’atleta si fosse formato, ha confermato la natura privatistica dell’attività svolta dalle medesime federazioni in questo settore.
La legge n. 91 del 1981 è stata sostituita con il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, contenente disposizioni sul riordino del Coni. In particolare, l’art. 15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI (primo comma), così consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma).
È sopravvenuto il decreto legge 19 agosto 2003 n. 220, contenente disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito nella legge 17 ottobre 2003, n. 280. Il decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale dell'ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l’ordinamento dello Stato sono regolati in base al principio di autonomia, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1 primo comma). La ‘giustizia sportiva’ si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive; quella statale è chiamata, invece, a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.
Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico-sportive, con conseguente riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è stabilito che all’ordinamento sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di quell’ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma).
In queste materie vige il sistema del c.d. vincolo sportivo; le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati, infatti, hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Coni e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n. 242 del 1999, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma).
I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.
Il primo comma dell’art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.
Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia dell’ordinamento sportivo, continua ad essere imperniato sull’onere di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma) e sulla salvezza incondizionata delle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive e di quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del CONI (art. 3, ultima parte).
Come osservato dalle Sezioni Unite, nella pronuncia suindicata, dalla lettura delle enunciate disposizioni è possibile ricavare che, secondo il decreto legge n. 202 del 2003, la tutela fa riferimento alle seguenti quattro situazioni.
Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l’osservanza di norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l’art. 15 del decreto legislativo n. 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell’autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell’ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un’area di non rilevanza (o d’indifferenza) per l’ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per ’ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all’assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato.
Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch’esse interne all’ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni vi è la stessa condizione di non rilevanza per l’ordinamento statale, prima indicata.
Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all’interno del sistema dell’ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale.
La terza situazione comprende l’attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI e del CIO, come dispone la prima parte del già citato art. 15. Nel testo del decreto legge n. 220 del 2003 anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società di associazioni sportive e di singoli tesserati e l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l’ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l’indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l’oggetto delle quali è costituito dall’attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Esaurito, anche in questo caso, l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
Alla luce di quanto sopra riportato, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il problema relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale non ponga una questione di giurisdizione, costituendo invece questione di merito, che deve essere giudicata dal giudice del merito, al pari di quella dell’esistenza in concreto di essa (cfr. Cass. SU 5256/87). Il principio è stato sviluppato con riferimento alle federazioni sportive ed è stato dichiarato che la censura diretta ad escludere ogni forma di tutela giurisdizionale, nei confronti di provvedimenti della FIGC, costituisce questione di merito (cfr. Cass. SU 9550/97).
Ad analoga conclusione è giunta la Cassazione nella successiva pronuncia 18919 del 28/9/05, nella quale ha affermato che il vincolo di giustizia sportiva previsto dallo Statuto della FIGC integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata sul consenso delle parti che accettano la soggezione agli organi interni di giustizia.
In particolare, poi, la suindicata pronuncia stabilisce un altro importante principio, ritenendo che il cd. vincolo di giustizia sportiva (già contenuto negli statuti delle federazioni sportive prima dell’entrata in vigore del DL 220/03 convertito nella Legge 280/03), dal 2003 in poi trovi la sua legittimazione anche in una fonte legislativa. Tuttavia, tale legittimazione ex lege non ne ha modificato la natura, che va pur sempre ricondotta alla figura dell’arbitrato irrituale, sostanzialmente consistente in un mandato conferito congiuntamente dalle parti compromittenti agli arbitri affinché questi, in virtù di un potere negoziale, definiscano la controversia (cfr. Cass. 11270/12).
Tale orientamento, peraltro, risulta confermato da altre pronunce delle Sezioni Unite che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la questione relativa alle materie rientranti nella competenza degli organi della giustizia sportiva non è questione di giurisdizione, in quanto tali organi non svolgono una funzione giurisdizionale, ma intervengono in virtù di una clausola compromissoria e svolgono un’attività negoziale sostitutiva di quella degli stipulanti (cfr. Cass. SU ordinanza 6423/08).
Tanto premesso, si osserva che nel caso in esame la controversia trae origine da comportamenti posti in essere dall’odierno opponente, rilevanti sul piano disciplinare sportivo: è pacifico che all’epoca l’attore fosse agente di calciatori e quindi sottoposto alla disciplina della FIGC; quindi, in virtù dell’art. 2, 1° comma, del DL 220/03, convertito nella Legge 280/03, per l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive vige il sistema del c.d. vincolo sportivo, ciò in virtù della cd. clausola del vincolo di giustizia, prevista dall’art. 30 dello Statuto della FIGC.
Tale clausola, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, ha natura di clausola compromissoria di arbitrato irrituale, in base alla quale il potere di irrogare ed applicare le sanzioni disciplinari è attribuito, in forza di un atto negoziale di natura privatistica, dalle stesse parti a degli arbitri irrituali, che nel caso di specie sono costituiti dagli organi della giustizia sportiva.
Alla luce delle superiori osservazioni deriva, innanzitutto, che la questione in esame non integra una vera e propria questione di giurisdizione e che pertanto non è corretto parlare di difetto di giurisdizione del giudice adito ovvero di difetto ‘assoluto’ di giurisdizione, non controvertendosi in ordine al riparto della cognizione tra organi entrambi aventi un potere giurisdizionale statale.
Così riqualificata la questione (non di giurisdizione, ma afferente al merito), si deve altresì osservare che -in base a quanto previsto dalla clausola del vincolo di giustizia e dal citato art. 2, comma 1 del DL 220/03 convertito nella Legge 280/03- rientrano nella competenza degli organi di giustizia sportiva solo le questioni attinenti alla irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive e cioè le questioni attinenti alla fase relativa all’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare ed alla comminatoria della relativa sanzione, sempre disciplinata dall’ordinamento sportivo.
Nel caso di specie è stato allegato nel ricorso monitorio che le sanzioni erano divenute esecutive per mancata impugnazione, mentre al riguardo l’attore, peraltro solo con riferimento alla sanzione di cui al comunicato F.I.G.C. n° 96/CDN, con cui era stata irrogata l’ammenda di 50.000,00 euro, ha eccepito la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento disciplinare, con conseguente lesione del diritto di difesa e nullità della sanzione irrogata.
Per quanto riguarda la questione della violazione procedurale a margine dell’irrogazione della sanzione di cui al comunicato ufficiale F.I.G.C. n° 96/CDN, è peraltro evidente, ammesso e non concesso che effettivamente si possa essere verificata una tale violazione del diritto di difesa per irritualità delle notifiche degli atti introduttivi del giudizio in sede disciplinare, che l’attore sarebbe stato nei termini (art. 38 CGS) per proporre il gravame avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale davanti all’organo di giustizia sportiva di secondo grado, avendo avuto giuridica contezza della sanzione irrogata quanto meno, in base alle sue stesse allegazioni, alla data di notifica del decreto ingiuntivo (30/1/14).
Pertanto la sanzione pecuniaria di 50.000,00 euro deve ritenersi ormai definitiva, in quanto -circostanza neanche allegata e comunque da escludere alla luce del tenore delle difese dell’attore- la stessa non è tempestivamente impugnata davanti agli organi di giustizia sportiva; quindi ormai la controversia non attiene più all’irrogazione ed all’applicazione della sanzione disciplinare, ma alla fase della sua esecuzione.
Passando all’esame della sanzione di cui al comunicato F.I.G.C. n° 45/CDN, è di tutta evidenza che anche in questo caso -ed anzi a maggior ragione in questo caso- la questione non attiene all’irrogazione ed all’applicazione della sanzione disciplinare, ma alla fase della sua esecuzione; infatti, con riferimento a questa sanzione, per stessa ammissione dell’opponente, la fase dinanzi agli organi della giustizia sportiva si è esaurita, atteso che le sanzioni disciplinari irrogate (sospensione ed ammenda di 30.000,00 euro) sono state irrogate dall’organo della giustizia sportiva e non è stata sollevata alcuna contestazione in merito alla procedura osservata ed al mancato esperimento dei vari mezzi di impugnazione di natura negoziale, pur previsti dallo Statuto.
Le predette due sanzioni, irrogate con il comunicato F.I.G.C. n° 45/CDN, sono pertanto da ritenersi sicuramente definitive, in quanto non oggetto di alcuna contestazione da parte dell’opponente.
Alla luce delle superiori osservazioni in fatto e in diritto è conseguenziale, limitando in discorso alle sanzioni pecuniarie oggetto del ricorso monitorio, che si è in presenza di un credito di natura pecuniaria della Federazione opposta, relativo appunto alle sanzioni pecuniarie che sono state irrogate -come detto- in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva; infatti, gli organi della giustizia sportiva possono irrogare sia sanzioni che esplicano i loro effetti esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo (ad esempio, in entrambi i casi era stata irrogata la sanzione della sospensione della licenza), sia sanzioni che esulano dall’ordinamento sportivo ed incidono su posizioni giuridiche soggettive generalmente tutelate dall’ordinamento statale (ad esempio, in entrambi i casi era stata irrogata anche la sanzione pecuniaria dell’ammenda).
Orbene, mentre nel primo caso l’esecuzione della sanzione può trovare esplicazione e coattiva esecuzione (in caso di mancata spontanea osservanza e di permanenza del vincolo associativo) all’interno del medesimo ordinamento sportivo, nell’ambito del quale produce ed esaurisce tutti i suoi effetti, altrettanto non può sostenersi per le sanzioni del secondo tipo; infatti, l’ordinamento sportivo non possiede gli strumenti per ottenere l’esecuzione coattiva di un credito di natura pecuniaria: strumenti che sono invero riservati all’autorità giurisdizionale ordinaria.
Del resto, non a caso, il citato art. 2 , comma 1 del D.L. 220/03, convertito nella L. 280/03, limita la cognizione degli organi della giustizia sportiva alle sole questioni relative alla irrogazione ed applicazione della sanzione, non estendendola invece all’esecuzione della stessa.
Tale impostazione non appare contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2011, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 1 del D.L. 220/03, convertito nella L. 280/03. In particolare, la questione era stata sollevata dal giudice amministrativo, dubitando della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui riservava al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, anche quando i relativi effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su interessi legittimi e diritti soggettivi, tutelati dall’ordinamento statale. Il caso concreto sottoposto alla Corte Costituzionale era diverso da quello oggetto del presente giudizio, in quanto si controverteva in ordine al risarcimento del danno derivante dall’illegittima irrogazione della sanzione disciplinare della inibizione allo svolgimento di attività federale.
Ciò nonostante, la Corte ha sancito importanti principi, dando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, da tener presente anche nel caso in esame. In particolare, nel ribadire l’autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale (autonomia peraltro favorita dal legislatore), la Corte ha evidenziato che le sanzioni disciplinari irrogate dalla Federazione possono esaurire i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento sportivo oppure manifestare effetti anche nell’ambito dell’ordinamento statale. Orbene, con riferimento al primo gruppo di ipotesi, la Corte ha affermato che queste sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale e di conseguente assenza di tutela da parte di quest’ultimo ordinamento. Tuttavia, la Corte ha affermato altresì che ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.L. 220/03 consegue che, qualora il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, non possa escludersi la possibilità di agire in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali statali.
Ne consegue che, non controvertendosi nella presente sede in ordine alla fase dell’irrogazione ed applicazione della sanzione -le sanzioni sono state già irrogate ed applicate dagli organi di giustizia sportiva, con decisioni, come detto in precedenza, divenute definitive-, ma controvertendosi in ordine alle conseguenze che tale sanzione esplica su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale ed afferenti a rapporti patrimoniali, non appare sussistente la competenza degli organi suddetti.
Parimenti, non può ritenersi che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in virtù di quanto statuito dall’art. 3 della L. 280/03.
In particolare, la citata disposizione devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.
Orbene, con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giova ricordare che la Corte Costituzionale (sentenza n° 204/04), nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. art. 33, commi 1 e 2, del D.Lgs 80/98, come sostituito dall’art. 7, lettera a), della L. 205/00, ha affermato il seguente principio: “l'art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe "anche" diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”.
Ne consegue che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle ipotesi di giurisdizione esclusiva porta a ritenere che questa sia sussistente solo ogniqualvolta si sia in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano. Per converso, non potrà ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, neanche quella in via esclusiva, qualora sia del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità.
Orbene, nel caso in esame, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve escludersi che nell’attività di irrogazione di sanzioni disciplinari la FIGC eserciti un potere autoritativo di natura pubblicistica.
Al riguardo è ben vero che le Federazioni sportive, pur avendo personalità di diritto privato, esercitano anche funzioni pubblicistiche -il DLgs. 242 del 1999, contenente norme di riordino del Coni, all’art. 15 prevede che le Federazioni possano adottare atti amministrativi in armonia con le deliberazioni del CONI, ad es. in tema di ammissione ed affiliazione delle società sportive alle Federazioni nazionali- e che le questioni concernenti l’attività che le Federazioni svolgono in armonia con le deliberazioni del Coni rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualora sia espressione di un potere provvedimentale ed autoritativo, ma nel caso che qui ci occupa, come già sopra evidenziato, il potere di decidere in materia disciplinare, attribuito agli organi della giustizia sportiva, trova la fonte nella autonomia negoziale delle parti: gli organi della giustizia sportiva, invero, decidono in virtù di una clausola negoziale avente natura di clausola di arbitrato irrituale ed osservando le regole del diritto privato.
Del resto, sia le norme violate che la decisione da eseguire trovano la loro fonte in atti di natura negoziale, che sono espressione dell’autonomia privata e non di poteri pubblicistici. A maggior ragione, poi, deve escludersi l’esercizio di poteri pubblicistici nell’attività di recupero del credito derivante dall’irrogazione di una sanzione pecuniaria.
Non essendovi esercizio di poteri pubblicistici, deve escludersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, neanche in via esclusiva.
Tanto precisato, si può passare all’esame dei singoli motivi di opposizione ed al riguardo valgono le seguenti osservazioni.
In ordine al profilo della pretesa violazione del contraddittorio (irritualità delle notificazione degli atti della procedura disciplinare) a margine della procedura di irrogazione della sanzione di cui al Comunicato ufficiale n° 96/CDN, sanzione conseguentemente da ritenere -a detta dell’opponente- inesistente o nulla (punto I dell’atto di citazione), è sufficiente richiamare quanto detto sulla definitività della sanzione, in difetto di tempestiva impugnazione della stessa davanti agli organi di giustizia sportiva, una volta avuta giuridica contezza, attraverso la notifica del decreto ingiuntivo, dell’irrogazione della sanzione in parola.
Come detto, non rileva la circostanza che al momento della notifica del ricorso l’opponente asseritamente non fosse più associato alla Federazione, in quanto la sanzione traeva pur sempre origine da quel precedente rapporto.
Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, per le contestazioni di merito in ordine alla sanzione di cui al comunicato ufficiale n° 45/CDN, non oggetto di alcuna contestazione in ordine alla procedura osservata e da ritenere incontestabilmente ormai definitivo; quindi è da escludere che questo Giudice possa entrare nel merito della fondatezza dell’addebito e della congruità della sanzione irrogata in relazione alla pretesa applicazione retroattiva di fattispecie sanzionate da successive disposizioni di legge (punti II dell’atto di citazione).
Le superiori considerazioni consentono di non poter esaminare nel merito neanche la doglianza relativa al fatto che pretesamente “gli addebiti contestati con i prefati comunicati n° 45/CDN e n° 96/CDN risultano prescritti secondo l’ordinamento sportivo” (cfr. opposizione: punto III) né tanto meno quella relativa all’eccepita non definitività dei provvedimenti disciplinari posti a base del d.i. (punto IV dell’atto di citazione).
A quest’ultimo riguardo, valgono le superiori considerazioni sull’ormai emersa definitività dell’accertamento svolto in sede di disciplina sportiva e, in ogni caso, della mancata tempestiva impugnazione, davanti agli organi di giustizia sportiva, della sanzione disciplinare per pretesa violazione del contraddittorio.
Con riferimento al primo profilo, si evidenzia che la prescrizione è stata eccepita con riferimento agli ‘addebiti contestati’ -quindi con riferimento al merito della condotta- e non con riferimento alle sanzione irrogate, effetto estintivo, quest’ultimo, in relazione al quale si potrebbe discutere dell’ammissibilità della valutazione da parte del giudice ordinario.
Va infatti ribadito, alla luce di quanto già esposto, che la cognizione del giudice ordinario nell’ambito della controversia in esame è limitata alla fase dell’esecuzione della sanzione disciplinare, non potendosi per contro sindacare il contenuto del potere disciplinare, esercitato dagli organi della giustizia sportiva.
E’ pertanto rimesso al giudice ordinario il solo accertamento della sussistenza del credito vantato dalla FIGC e dell’insussistenza di fatti modificativi od estintivi della pretesa creditoria.
Le stesse considerazioni valgono per l’ulteriore contestazione (punto V dell’atto di citazione) in ordine alla ‘sproporzione, irragionevolezza ed eccessività delle sanzioni inflitte’: si tratterebbe di una indebita valutazione di merito in ambiti attribuiti alla sola giustizia sportiva.
In conclusione non può che evidenziarsi che le sanzioni pecuniarie in questione sono state irrogate in via definita, non essendo stati esperiti i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento sportivo, e che non sono intervenuti fatti modificativi o estintivi attinenti appunto alla fase esecutiva.
Le varie contestazioni dell’opponente attengono ai presupposti ed alle modalità di irrogazione delle sanzioni, ma si tratta di aspetti in relazione ai quali peraltro sussiste la competenza degli organi della giustizia sportiva.
Tali essendo le risultanze di causa e nel confermare adesione all’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel Tribunale, l’opposizione va rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto, che va munito di efficacia esecutiva come per legge.
La complessità della controversia, con riferimento alla soluzione della questione di giurisdizione, impedisce di poter ritenere che la parte opponente abbia agito con mala fede o colpa grave; va pertanto rigettata la domanda di condanna per lite temeraria, proposta dalla FIGC ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c..
Atteso l’esito complessivo del giudizio, le spese di lite vanno compensate per 1/3 mentre il residuo, liquidato in dispositivo, va posto a carico dell’opponente per il grado di soccombenza.Si dà atto che per la liquidazione delle spese deve essere applicato il Decreto Ministero Giustizia n° 55 del 10/3/14 (GU n° 77 del 2/4/14) e che si è tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dal difensore.
Va nuovamente riconosciuto il rimborso forfettario (art. 2, 2° comma, citato DM 55/14).
definitivamente pronunciando:
P.Q.M.
rigetta l’opposizione e conferma integralmente il decreto ingiuntivo opposto n° 1111/14 dell’11-15/1/14 del Tribunale di Roma (rg. 75668/13), che va munito di efficacia esecutiva come per legge;
rigetta la domanda dell’opposta ex art. 96, 3° comma, c.p.c.;
compensa per 1/3 le spese di lite e pone a carico dell’opponente (...), in favore dell’opposta Federazione Italiana Giuoco Calcio - FIGC, il residuo che liquida in 5.196,50 euro per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge.
Così deciso a Roma, il 17/10/15
il Giudice
dott. Francesco Remo Scerrato