TRIBUNALE DI ROMA –SEZIONE CIVILE SENTENZA N. 22382/2017 DEL 29/11/2017
Il Tribunale di Roma – Sedicesima Sezione Civile (ex Terza Sezione Civile),
in persona del dott. Francesco Remo Scerrato, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 65007 Ruolo Generale dell’anno 2015, e trattenuta in decisione all’udienza del 3 luglio 2017, vertente
TRA
(...), elettivamente domiciliato a Roma, via Vigliena n° 2, presso lo studio dell’avv.to Giuseppe Lomonaco, rappresentato e difeso dall’avv.to Luciano Ruggiero Malagnini in forza di procura speciale in calce all’atto di citazione,
OPPONENTE
E
F.I.G.C. – FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Roma, via Montanelli n° 11, presso lo studio dell’avv.to Gianfilippo Staglieni, da cui era rappresentata e difesa, anche disgiuntamente dall’avv.to Giancarlo Gentile, in forza di procura speciale in calce al ricorso per decreto ingiuntivo,
OPPOSTA
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.
CONCLUSIONI:
per parte opponente (atto di citazione, richiamato a verbale all’udienza di p.c.):
“Voglia il Tribunale adito … A. in via pregiudiziale: accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario; B. nel merito: revocare il Decreto Ingiuntivo n. 18783/2015, n. 52472/2015 R.G., emesso dal Tribunale Ordinario di Roma in data 06.08.2015, stante l’intervenuta prescrizione del presunto diritto di credito; C. sempre nel merito, comunque, revocare il Decreto Ingiuntivo n. 18783/2015, n. 52472/2015 R.G., emesso dal Tribunale Ordinario di Roma in data 06.08.2015, in quanto illegittimo in fatto ed in diritto; D. respingere, in ogni ipotesi, le domande tutte avanzate dalla FIGC nonché l’eventuale istanza di provvisoria esecuzione del decreto opposto ex art. 648 c.p.c., per i motivi di cui in narrativa; E. con vittoria di spese e competenze, con attribuzione”;
per parte opposta (comparsa di risposta, richiamata a verbale all’udienza di p.c.): “Voglia il Tribunale adito …, previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, in via principale: 1) rigettare l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 18783/2015 ( r.g. 52472/2015) e, per l’effetto, confermare il decreto ingiuntivo opposto e/o comunque condannare il sig. Alessandro (...) al pagamento dell’importo di euro 100.000,00 o della maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia; 2) condannate il sig. Alessandro (...) al risarcimento die danni per lite temeraria nella somma di euro 15.000,00 o in quella diversa somma ritenuta di giustizia e comunque al pagamento in favore della F.I.G.C. di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c.. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificata alla convenuta F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, l’attore (...) proponeva opposizione avverso il d.i. n° 18783/2015 del 6/8/2015 del Tribunale di Roma (n° 52472/2015 RG), in forza del quale gli era stato ingiunto il pagamento della complessiva somma di 100.000,00 euro, oltre interessi e spese, a titolo di sanzione disciplinare irrogata con il Comunicato Ufficiale n° 101/CDN del 18/6/2012. Al riguardo l’opponente eccepiva l’illegittimità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto sussisteva il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario in favore di quello amministrativo. In subordine, in ordine al merito, allegava che la pretesa era comunque infondata, in quanto era maturata la prescrizione del preteso diritto di credito della federazione, e che in ogni caso la domanda era sprovvista di valida prova scritta, non potendosi infatti considerare tale la documentazione endoassociativa né tanto meno il provvedimento di irrogazione della sanzione, invero neanche mai comunicato.
Tanto premesso, l’attore concludeva come in epigrafe riportato.
Si costituiva in giudizio la F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio, la quale, contestata la fondatezza delle sollevate eccezioni, concludeva per il rigetto dell’opposizione, con condanna dell’opponente al pagamento delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..
All’udienza di prima comparizione del 22/3/2016 era accolta l’istanza ex art. 648 c.p.c..
La causa, istruita solo documentalmente, era trattenuta in decisione all’udienza del 3/7/2017 con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di repliche (ulteriori 20 giorni): i termini ex artt. 190 e 281 quinquies c.p.c., il cui decorso era sospeso nel periodo feriale, sono scaduti il 23/10/2017.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione è infondata e va pertanto rigettata.
Giova prima di tutto ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell’opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2° comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/2003; Cass. 6421/2003), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/2005; Cass. 15186/2003; Cass. 6663/2002); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall’esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 20613/2011).
La Federazione opposta, attrice sostanziale, ha agito in via monitoria, nei confronti dell’odierno opponente, per il pagamento di 100.000,00 euro, allegando, premesso di essere una “associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato avente lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi”, che i calciatori erano tesserati della Federazione in base a quanto stabilito dall’art. 36 delle Norme Organizzative Interne della Federazione ed in quanto tali avevano l’obbligo di osservare lo “statuto e ogni altra norma federale” (art. 30, comma 1 dello Statuto); che l’ingiunto, calciatore tesserato e come tale soggetto all’ordinamento sportivo, a seguito del deferimento del Procuratore Federale era stato giudicato dalla Commissione Disciplinare Nazionale; che, su richiesta dello stesso (...), il quale aveva patteggiato la pena, era stata comminata la sanzione della squalifica per un anno e quattro mesi nonché l’ammenda di 100.000,00 euro, come risultava dal Comunicato Ufficiale n. 101/CDN del 18 giugno 2012; che il predetto non aveva proposto ricorso alla Corte di Giustizia Federale avverso la predetta decisione che, pertanto, era passata in giudicato in quanto non impugnata, né aveva corrisposto quanto dovuto, nonostante i ripetuti solleciti effettuati in data 31/7/2013 e in data 15/1/2014; che pertanto, sussistendo prova scritta del credito esatto in via monitoria, aveva appunto richiesto ed ottenuto l’emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento della predetta somma , oltre accessori.
Da parte sua l’opponente ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore del giudice amministrativo nonché, quanto al merito, l’infondatezza della pretesa, in quanto il credito era prescritto e in ogni caso non provato.
Per quanto riguarda la questione dell’eventuale difetto di giurisdizione dell’adito giudice ordinario, cui in ipotesi farebbe necessariamente seguito la revoca del decreto ingiuntivo opposto, nel ribadire adesione all’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel Tribunale ed in particolare nella Sezione in epigrafe, valgono le seguenti osservazioni.
La FIGC è un’associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al CONI (cfr. l’art. 1 del relativo Statuto) ed anche i calciatori, in quanto tesserati, sono tenuti all’osservanza delle norme statutarie della FIGC.
In particolare, l’art. 30 dello Statuto della FIGC stabilisce che tutti i soggetti indicati hanno l’obbligo di osservare lo Statuto. Poi prevede, al secondo comma, che i predetti soggetti accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dalla FIFA, dalla UEFA, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico.
Le controversie tra I soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la FIGC, per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto dallo statuto del CONI, sono devolute su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI.
Lo statuto della Federazione opposta contiene, dunque, una clausola, in base alla quale, tra l’altro, le controversie di carattere disciplinare sono devolute alla cognizione degli organi giustizia sportiva, interni alla Federazione.
Al fine di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato, nel 2003 è stato emanato il D.L. 220/2003, convertito con modificazioni nella L. 280/2003.
In particolare, l’art. 2 detta disposizioni in ordine all’autonomia dell’ordinamento sportivo, stabilendo che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.
Orbene, l’esame della questione sulla giurisdizione dell’adito giudice ordinario rende necessaria una preliminare ricostruzione del quadro normativo relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giurisdizionale dello Stato e della relativa evoluzione giurisprudenziale.
Con la sentenza 5775/2004 le Sezioni Unite della Cassazione, richiamando i precedenti giurisprudenziali in materia, hanno compiutamente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo all’argomento in esame.
In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che la legge 16 febbraio 1942 n° 426, istitutiva del Coni, configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano della natura pubblica di questo. La successiva legge 23 marzo 1981, n° 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), all’art. 14 aveva ribadito questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzioni di natura pubblicistica, riconducibile all’esercizio in senso lato delle funzioni proprie del Coni, e funzioni di natura privatistica per le specifiche attività da esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni, (così, Cass. SU 14530/2002).
L’art. 6 della legge del 1981, come novellato dall’art. 1 del D.L 20 settembre 1996, n° 485, convertito nella legge 18 novembre 1996 n° 586, riconoscendo alle federazioni sportive il potere di stabilire un premio di addestramento e formazione tecnica in favore delle società sportive presso le quali l’atleta si fosse formato, ha confermato la natura privatistica dell’attività svolta dalle medesime federazioni in questo settore.
La legge n° 91 del 1981 è stata sostituita con il decreto legislativo 23 luglio 1999, n° 242, contenente disposizioni sul riordino del Coni. In particolare, l’art. 15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI (primo comma), così consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma).
È sopravvenuto il decreto legge 19 agosto 2003 n° 220, contenente disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito nella legge 17 ottobre 2003, n° 280. Il decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale dell’ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l’ordinamento dello Stato sono regolati in base al principio di autonomia, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1 primo comma). La ‘giustizia sportiva’ si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, mentre quella ‘statale’ è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.
Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico-sportive, con conseguente riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è stabilito che all’ordinamento sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di quell’ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma).
In queste materie vige il sistema del c.d. vincolo sportivo; le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati, infatti, hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Coni e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n° 242 del 1999, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma).
I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.
Il primo comma dell’art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.
Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia dell’ordinamento sportivo, continua ad essere imperniato sull’onere di adire gli di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma) e sulla salvezza incondizionata delle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive e di quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del CONI (art. 3, ultima parte).
Come osservato dalle Sezioni Unite, nella pronuncia suindicata, dalla lettura delle enunciate disposizioni è possibile ricavare che, secondo il decreto legge n° 202 del 2003, la tutela fa riferimento alle seguenti quattro situazioni.
Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l’osservanza di norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l’art. 15 del decreto legislativo n° 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell’autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell’ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un’area di non rilevanza (o d’indifferenza) per l’ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l’ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all’assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato.
Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch’esse interne all’ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni vi è la stessa condizione di non rilevanza per l’ordinamento statale, prima indicata.
Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all’interno del sistema dell’ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale.
La terza situazione comprende l’attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI e del CIO, come dispone la prima parte del già citato art. 15. Nel testo del decreto legge n° 220 del 2003, anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati e l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l’ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l’indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l’oggetto delle quali è costituito dall’attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti.
Esaurito, anche in questo caso, l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
Alla luce di quanto sopra riportato, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il problema relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale non ponga una questione di giurisdizione, costituendo invece questione di merito, che deve essere giudicata dal giudice del merito, al pari di quella dell’esistenza in concreto di essa (cfr. Cass. SU 5256/1987). Il principio è stato sviluppato con riferimento alle federazioni sportive ed è stato dichiarato che la censura diretta ad escludere ogni forma di tutela giurisdizionale, nei confronti di provvedimenti della FIGC, costituisce questione di merito (cfr. Cass. SU 9550/1997).
Ad analoga conclusione è giunta la Cassazione nella successiva pronuncia n° 18919 del 28/9/2005, nella quale ha affermato che il vincolo di giustizia sportiva previsto dallo Statuto della FIGC integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata sul consenso delle parti che accettano la soggezione agli organi interni di giustizia.
In particolare, poi, la suindicata pronuncia stabilisce un altro importante principio, ritenendo che il cd. vincolo di giustizia sportiva (già contenuto negli statuti delle federazioni sportive prima dell’entrata in vigore del DL 220/2003, convertito dalla Legge 280/2003), dal 2003 in poi trovi la sua legittimazione anche in una fonte legislativa. Tuttavia, tale legittimazione ex lege non ne ha modificato la natura, che va pur sempre ricondotta alla figura dell’arbitrato irrituale, sostanzialmente consistente in un mandato conferito congiuntamente dalle parti compromittenti agli arbitri affinché questi, in virtù di un potere negoziale, definiscano la controversia (cfr. Cass. 11270/2012).
Tale orientamento, peraltro, risulta confermato da altre pronunce delle Sezioni Unite che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la questione relativa alle materie rientranti nella competenza degli organi della giustizia sportiva non è questione di giurisdizione, in quanto tali organi non svolgono una funzione giurisdizionale, ma intervengono in virtù di una clausola compromissoria e svolgono un’attività negoziale sostitutiva di quella degli stipulanti (cfr. Cass. SU ordinanza 6423/2008).
Tanto premesso, si osserva che nel caso in esame la controversia trae origine da comportamenti posti in essere dall’odierno opponente, rilevanti sul piano disciplinare sportivo: è pacifico che all’epoca l’attore fosse calciatore della società (...) F.C. (cfr. doc. 4 del fascicolo monitorio) e pertanto sottoposto alla disciplina della FIGC; quindi, in virtù dell’art. 2, 1° comma, del DL 220/2003, convertito dalla Legge 280/2003, per l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive vige il sistema del c.d. vincolo sportivo, ciò in virtù della cd. clausola del vincolo di giustizia, prevista dall’art. 30 dello Statuto della FIGC.
Tale clausola, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, ha natura di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, in base alla quale il potere di irrogare ed applicare le sanzioni disciplinari è attribuito, in forza di un atto negoziale di natura privatistica, dalle stesse parti a degli arbitri irrituali, che nel caso di specie sono costituiti dagli organi della giustizia sportiva.
Alla luce delle superiori osservazioni deriva, innanzitutto, che la questione in esame non integra una vera e propria questione di giurisdizione e che pertanto non è corretto parlare di difetto di giurisdizione del giudice adito ovvero di difetto ‘assoluto’ di giurisdizione, non controvertendosi in ordine al riparto della cognizione tra organi entrambi aventi un potere giurisdizionale statale.
Così riqualificata la questione (non di giurisdizione, ma afferente al merito), si deve altresì osservare che -in base a quanto previsto dalla clausola del vincolo di giustizia e dal citato art. 2, comma 1 del DL 220/2003 convertito dalla Legge 280/2003- rientrano nella competenza degli organi di giustizia sportiva solo le questioni attinenti all’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive e cioè le questioni attinenti alla fase relativa all’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare ed alla comminatoria della relativa sanzione, sempre disciplinata dall’ordinamento sportivo.
Nel caso di specie è stato allegato nel ricorso monitorio che le sanzioni (squalifica di un anno e quattro mesi ed ammenda di 100.000,00 euro) erano divenute esecutive per mancata impugnazione, mentre al riguardo l’attore ha eccepito, in relazione al profilo della mancanza di prova scritta del credito esatto in via monitoria, la mancata notificazione della decisione pubblicata con C.U. n° 101/CDN del 18/6/2012, con conseguente mancato passaggio in giudicato della sanzione stessa.
Al riguardo, a prescindere da ogni altra considerazione anche in ordine all’applicazione della sanzione su richiesta della parte, è sufficiente osservare che l’opposta ha depositato propria nota del 18/6/2012 con cui veniva comunicato all’opponente, nel domicilio eletto, che la Commissione Disciplinare Nazionale aveva pubblicato in pari data il Comunicato Ufficiale n° 101/CDN e che avverso detta decisione poteva essere proposto ricorso alla Corte di Giustizia Federale (cfr. doc. 6 del fascicolo di merito).
Inoltre, oltre a quanto appena detto e sotto altro angolo visuale, non va dimenticato che l’attore sarebbe stato comunque nei termini (art. 38 CGS) per proporre il gravame avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale davanti all’organo di giustizia sportiva di secondo grado, avendo avuto giuridica contezza della sanzione irrogata quanto meno, in base alle sue stesse allegazioni, alla data di notificazione del decreto ingiuntivo (4/9/2015); infatti, anche a non voler considerare la comunicazione del 18/6/2012 e le lettere stragiudiziali di intimazione di pagamento della sanzione irrogata, in cui era indicato il riferimento alla sanzione pecuniaria riportata su C.U. n° 101/CDN del 18/6/2012, debitamente recapitate all’odierno opponente (cfr. docc. 5 e 6 del fascicolo monitorio nonché doc. 7 del fascicolo di merito), è innegabile che con la lettura del ricorso monitorio e con la predisposizione dell’atto di citazione in opposizione l’attore avesse tutti gli elementi conoscitivi per proporre gravame, se effettivamente fosse stato all’oscuro del procedimento disciplinare e della sanziona applicata: nulla risulta al riguardo.
Pertanto la sanzione pecuniaria di 100.000,00 euro deve ritenersi ormai definitiva, in quanto -circostanza neanche allegata e comunque da escludere alla luce del tenore delle difese dell’attore- la stessa non è tempestivamente impugnata davanti agli organi di giustizia sportiva; quindi ormai la controversia non attiene più all’irrogazione ed all’applicazione della sanzione disciplinare, ma alla fase della sua esecuzione.
Alla luce delle superiori osservazioni in fatto e in diritto è conseguenziale, limitando in discorso alla sanzione pecuniaria oggetto del ricorso monitorio, che si è in presenza di un credito di natura pecuniaria della Federazione opposta, relativo appunto alla sanzione pecuniaria irrogata -come detto- in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva; infatti, gli organi della giustizia sportiva possono irrogare sia sanzioni che esplicano i loro effetti esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo (ad esempio, la ricordata sanzione della squalifica per anni 1 e mesi 4), sia sanzioni che esulano dall’ordinamento sportivo ed incidono su posizioni giuridiche soggettive generalmente tutelate dall’ordinamento statale (ad esempio, appunto la sanzionepecuniaria dell’ammenda).
Orbene, mentre nel primo caso l’esecuzione della sanzione può trovare esplicazione e coattiva esecuzione (in caso di mancata spontanea osservanza e di permanenza del vincolo associativo) all’interno del medesimo ordinamento sportivo, nell’ambito del quale produce ed esaurisce tutti i suoi effetti, altrettanto non può sostenersi per le sanzioni del secondo tipo; infatti l’ordinamento sportivo non possiede gli strumenti per ottenere l’esecuzione coattiva di un credito di natura pecuniaria: strumenti che sono invero riservati all’autorità giurisdizionale ordinaria.
Del resto, non a caso, il citato art. 2 , comma 1 del D.L. 220/2003, convertito dalla L. 280/2003, limita la cognizione degli organi della giustizia sportiva alle sole questioni relative all’irrogazione ed applicazione della sanzione, non estendendola invece all’esecuzione della stessa.
Tale impostazione non appare contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n° 49 del 2011, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 1 del D.L. 220/2003, convertito dalla L. 280/2003. In particolare, la questione era stata sollevata dal giudice amministrativo, dubitando della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui riservava al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, anche quando i relativi effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su interessi legittimi e diritti soggettivi, tutelati dall’ordinamento statale.
Il caso concreto sottoposto alla Corte Costituzionale era diverso da quello oggetto del presente giudizio, in quanto si controverteva in ordine al risarcimento del danno derivante dall’illegittima irrogazione della sanzione disciplinare dell’inibizione allo svolgimento di attività federale.
Ciò nonostante, la Corte ha sancito importanti principi, dando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, da tener presente anche nel caso in esame. In particolare, nel ribadire l’autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale (autonomia peraltro favorita dal legislatore), la Corte ha evidenziato che le sanzioni disciplinari irrogate dalla Federazione possono esaurire i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento sportivo oppure manifestare effetti anche nell’ambito dell’ordinamento statale. Orbene, con riferimento al primo gruppo di ipotesi, la Corte ha affermato che queste sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale e di conseguente assenza di tutela da parte di quest’ultimo ordinamento. Tuttavia la Corte ha, altresì, affermato che ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.L. 220/2003 consegue che, qualora il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, non possa escludersi la possibilità di agire in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali statali.
Ne consegue che, non controvertendosi nella presente sede in ordine alla fase dell’irrogazione ed applicazione della sanzione -le sanzioni sono state già irrogate ed applicate dagli organi di giustizia sportiva, con decisioni, come detto in precedenza, divenute definitive-, ma controvertendosi in ordine alle conseguenze che la (sola) sanzione pecuniaria esplica su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale ed afferenti a rapporti patrimoniali, non appare sussistente la competenza degli organi suddetti.
Parimenti, non può ritenersi che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in virtù di quanto statuito dall’art. 3 della L. 280/2003.
In particolare, la citata disposizione devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.
Orbene, con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giova ricordare che la Corte Costituzionale (sentenza n° 204/2004), nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. art. 33, commi 1 e 2, del D.Lgs 80/1998, come sostituito dall’art. 7, lettera a), della L. 205/2000, ha affermato il seguente principio: “l'art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe "anche" diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”.
Ne consegue che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle ipotesi di giurisdizione esclusiva porta a ritenere che questa sia sussistente solo ogniqualvolta si sia in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano. Per converso, non potrà ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, neanche quella in via esclusiva, qualora sia del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità.
Orbene, nel caso in esame, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve escludersi che nell’attività di irrogazione di sanzioni disciplinari la FIGC eserciti un potere autoritativo di natura pubblicistica.
Al riguardo è ben vero che le Federazioni sportive, pur avendo personalità di diritto privato, esercitano anche funzioni pubblicistiche -il DLgs. 242 del 1999, contenente norme di riordino del Coni, all’art. 15 prevede che le Federazioni possano adottare atti amministrativi in armonia con le deliberazioni del CONI, ad es. in tema di ammissione ed affiliazione delle società sportive alle Federazioni nazionali- e che le questioni concernenti l’attività che le Federazioni svolgono in armonia con le deliberazioni del Coni rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualora sia espressione di un potere provvedimentale ed autoritativo, ma nel caso che qui ci occupa, come già sopra evidenziato, il potere di decidere in materia disciplinare, attribuito agli organi della giustizia sportiva, trova la fonte nella autonomia negoziale delle parti: gli organi della giustizia sportiva, invero, decidono in virtù di una clausola negoziale, avente natura di clausola di arbitrato irrituale ed osservando le regole del diritto privato.
Del resto, sia le norme violate che la decisione da eseguire trovano la loro fonte in atti di natura negoziale, che sono espressione dell’autonomia privata e non di poteri pubblicistici. A maggior ragione, poi, deve escludersi l’esercizio di poteri pubblicistici nell’attività di recupero del credito derivante dall’irrogazione di una sanzione pecuniaria.
Non essendovi esercizio di poteri pubblicistici, deve escludersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, neanche in via esclusiva.
Tanto ribadito, si può passare all’esame dei singoli motivi di opposizione ed al riguardo valgono le seguenti osservazioni.
In ordine alla sollevata eccezione di prescrizione della pretesa creditoria della fondazione opposta, l’opponente, richiamato l’art. 25, comma 3, del Codice di Giustizia Sportiva (“I diritti di natura economica si prescrivono al termine della stagione sportiva successiva a quella in cui sono maturati”) e rilevato che “ … la stagione sportiva inizia il primo luglio e termina il 30 giugno dell’anno successivo …”, ha allegato che “… nella fattispecie de qua, il termine di prescrizione è ampiamente decorso, non avendo la FIGC esercitato il proprio diritto entro il termine del 30 giugno 2013 (stagione successiva a quella in cui è stata adottata la decisione dalla Commissione Disciplinare)…” e che “ … la decisione è del 18 giugno 2012, quindi intervenuta nel corso della stagione sportiva 2011/2012, ed il primo atto interruttivo da parte della FIGC è del 31 luglio 2013, quindi successivo alla stagione sportiva 2012/2013 (cfr. doc. 5 della produzione della FIGC) …”, con la conseguenza che “ … il presunto diritto di credito può ritenersi ampiamente prescritto …” (cfr. atto di citazione).
Si evidenzia al riguardo che la prescrizione è stata pertanto eccepita non con riferimento agli ‘addebiti contestati’ -quindi con riferimento al merito della condotta tenuta e poi sanzionata-, ma con riferimento alla sanzione irrogata ed in questo caso l’effetto estintivo, in quanto relativo alla pretesa creditoria, è oggetto di ammissibile valutazione da parte del giudice ordinario.
Va infatti ribadito, alla luce di quanto già esposto, che la cognizione del giudice ordinario nell’ambito della controversia in esame, sicuramente esclusa per quanto riguarda il sindacato sul contenuto del potere disciplinare, esercitato dagli organi della giustizia sportiva, è invece ammissibile in relazione alla fase dell’esecuzione della sanzione disciplinare; quindi, escluso qualsiasi esame sul contenuto del potere sanzionatorio, è consentito al giudice ordinario l’accertamento della persistenza del credito vantato dalla FIGC e dell’insussistenza di fatti modificativi od estintivi della pretesa creditoria.
Sul punto, anche a voler ritenere applicabile il richiamato art. 25 del CGS al caso dell’irrogazione di sanzioni pecuniarie, si osserva, come evidenziato dall’opposta in comparsa di risposta, che la FIGC ha interrotto la prescrizione con lettera di messa in mora del 13/9/2012, ricevuta il successivo 17/9/2012 (cfr. doc. 7, allegato alla comparsa di risposta: raccomandata 13/9/2012, ricevuta appunto il successivo 17/9/2012 presso il domicilio eletto): si tratta di circostanza peraltro neanche contestata dall’opponente nella sua oggettività storica.
L’eccezione è pertanto infondata.
In comparsa conclusionale l’opponente ha altresì allegato che “ … la somma azionata in sede monitoria deriva da provvedimenti disciplinari emessi all’interno dell’Ordinamento sportivo a seguito di procedimenti oltremodo sommari atti ad elidere le garanzie che l’ordinamento costituzionale riconosce ai presunti trasgressori …” e che “ … Le stesse considerazioni valgono per l’ulteriore contestazione (punto V dell’atto di citazione) in ordine alla ‘sproporzione, irragionevolezza ed eccessività delle sanzioni inflitte’: si tratterebbe di una indebita valutazione di merito in ambiti attribuiti alla sola giustizia sportiva. …”.
Al riguardo, ribadito che va esclusa ogni possibile valutazione di merito da parte del Giudice ordinario, trattandosi di aspetti in relazione ai quali sussiste la competenza degli organi della giustizia sportiva, è sufficiente prendere atto che vi è stato l’esercizio del potere sanzionatorio da parte degli organi sportivi e che la sanzione pecuniaria in questione è stata irrogata in via definita, non essendo stati esperiti i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento sportivo.
Dunque non è possibile esaminare il merito della sanzione, dovendo solo prendere atto del fatto che la stessa è ormai divenuta definitiva e che non sono intervenuti fatti modificativi o estintivi attinenti appunto alla fase esecutiva.
In ordine all’eccezione del difetto di prova scritta è sufficiente richiamare quanto detto sulla definitività della sanzione pecuniaria, in difetto di tempestiva impugnazione della stessa davanti agli organi di giustizia sportiva, una volta che l’opponente aveva avuto giuridica contezza, quanto meno attraverso la notifica del decreto ingiuntivo, dell’irrogazione della sanzione in parola.
Tali essendo le risultanze di causa e nel confermare adesione all’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel Tribunale di Roma, l’opposizione va rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto, già munito di efficacia esecutiva.
La domanda di risarcimento danni ex art. 96/1 c.p.c. va rigettata in mancanza di prova della sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi legittimanti una tale condanna (cfr. Cass. 18169/2004: “La liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata, "ex" art. 96 cod. proc. civ., ancorché possa effettuarsi anche d'ufficio, postula pur sempre la prova gravante sulla parte che chiede il risarcimento sia dell'"an" che del "quantum debeatur", o almeno la concreta desumibilità di detti elementi dagli atti di causa”).
La complessità della controversia non consente di esercitare il potere sanzionatorio discrezionale ex art. 96, 3° comma, c.p.c..
Le spese di lite, liquidate in dispositivo ex DM 55/2014, seguono la soccombenza.
definitivamente pronunciando:
P.Q.M.
- rigetta l’opposizione e conferma integralmente il decreto ingiuntivo opposto n° 18783/2015 del 6/8/2015 del Tribunale di Roma (n° 52472/2015 RG), già munito di efficacia esecutiva
- rigetta la domanda dell’opposta ex art. 96, 1° e 3° comma, c.p.c.;
- condanna l’opponente (...) al pagamento, in favore dell’opposta Federazione Italiana Giuoco Calcio - FIGC, delle spese di lite, che liquida in 5.196,50 euro per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge. Così deciso a Roma, il 20/11/2017
il Giudice dott. Francesco Remo Scerrato