TRIBUNALE DI ROMA –SEZIONE CIVILE SENTENZA N. 6208/2018 DEL 23/03/2018

Il Tribunale di Roma – Sedicesima Sezione Civile (ex Terza Sezione  Civile),  

in persona del dott. Francesco Remo Scerrato, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 20384 Ruolo Generale dell’anno 2016, e trattenuta in decisione all’udienza del 4 dicembre 2017, vertente

TRA

(...), elettivamente domiciliato a Roma, piazza SS Apostoli n° 66, presso lo studio dell’avv.to Ivana Felicetti e dell’avv.to Dora Perillo, da cui è rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, in forza di procura speciale in calce all’atto di citazione,

OPPONENTE

E

F.I.G.C. FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Roma, via G. Montanelli n° 11, presso lo studio dell’avv.to Gianfilippo Staglieni, da cui era rappresentata e difesa, anche disgiuntamente dall’avv.to Giancarlo Gentile, in forza di procura speciale in calce al ricorso per decreto ingiuntivo,

 

OPPOSTA

OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.

CONCLUSIONI:

per parte opponente (atto di citazione, richiamato a verbale all’udienza di p.c.):

“Voglia il Tribunale adito … in via preliminare: accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere devoluta la controversia alla giurisdizione degli organi di giustizia sportiva; in subordine, sempre in via preliminare, accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere devoluta la controversia alla giurisdizione del TAR Lazio; nel merito, previo accertamento della nullità e/o illegittimità della decisione della Commissione Disciplina Nazionale della FIGC nei confronti del sig. (...), accogliere la presente opposizione e, per l’effetto, dichiarare nullo e, comunque, revocare e dichiarare privo di qualsiasi effetto giuridico il decreto ingiuntivo reso dal Tribunale di Roma d.i. n° 861/2016, RG n° 84967/2015 dell’8/1/2016, notificato a mezzo del servizio postale l’1/2/2016, dichiarando, comunque, non dovute le somme richieste in pagamento. Con vittoria di spese e compensi”;

per parte opposta (comparsa di risposta, richiamata a verbale all’udienza di p.c.): “Voglia il Tribunale adito …, previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, in via principale: 1) rigettare l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 861/2016 (r.g. 84967/2015) e, per l’effetto, confermare il decreto ingiuntivo opposto e/o comunque condannare il sig. Fabiano Paolo (...) al pagamento dell’importo di euro 10.000,00 o della maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia; 2) condannate il sig. Alessandro (...) al risarcimento dei danni per lite temeraria nella somma di euro 3.500,00 o in quella diversa somma ritenuta di giustizia e comunque al pagamento in favore della F.I.G.C. di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c.. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, ritualmente notificato alla convenuta F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, l’attore (...)proponeva opposizione avverso il d.i. n° 861/2016 dell’8-13/1/2016 del Tribunale di Roma (n° 84967/2015 RG), in forza del quale gli era stato ingiunto il pagamento della complessiva somma di 10.000,00 euro, oltre interessi e spese, a titolo di sanzione disciplinare pecuniaria irrogatagli con il Comunicato Ufficiale n° 35/CDN del 19/11/2013. Al riguardo l’opponente eccepiva l’illegittimità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto sussisteva il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario in favore della giustizia sportiva o, in subordine, del giudice amministrativo. In subordine, quanto al merito, allegava che la pretesa era comunque infondata, atteso che non era stata fornita prova scritta del preteso credito esatto in via monitoria e che la decisione della Commissione Disciplina Nazionale della FIGC era lacunosa, non congruamente motivata e, quindi, inidonea a provare il credito asseritamente vantato, il tutto come meglio indicato in citazione.

Tanto premesso, l’attore concludeva come in epigrafe riportato. Si costituiva in giudizio la F.I.G.C.Federazione Italiana Giuoco Calcio, la quale, contestata la fondatezza delle sollevate eccezioni, concludeva per il rigetto dell’opposizione, con condanna dell’opponente al pagamento delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.. All’udienza di prima comparizione del 13/9/2016 era accolta l’istanza ex art. 648 c.p.c. e nel corso del giudizio veniva corrisposta dall’opponente la somma di 5.000,00 euro. La causa, istruita solo documentalmente, era trattenuta in decisione all’udienza del 4/12/2017, dopo alcuni rinvii concessi per bonario componimento della controversia, con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di repliche (ulteriori 20 giorni): i termini ex artt. 190 e 281 quinquies c.p.c. sono scaduti il 22/2/2018.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione non è fondata e va rigettata, ma, risultato processualmente emerso il pagamento nel corso del giudizio di parte della somma ingiunta, il decreto ingiuntivo va revocato e l’opponente va condannato al pagamento della somma risultata ancora dovuta.

Giova prima di tutto ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell’opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2° comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/2003; Cass. 6421/2003), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione  di  fatto  esistente  al  momento  della  pronuncia  della  sentenza  (cfr.  Cass. 15026/2005; Cass. 15186/2003; Cass. 6663/2002); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall’esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 20613/2011).

La Federazione opposta, attrice sostanziale, ha agito in via monitoria, nei confronti dell’odierno opponente, dirigente tesserato, per il pagamento di 10.000,00 euro a titolo di ammenda, allegando, premesso di essere una “associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato avente lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi”, che i dirigenti erano tesserati della Federazione in base a quanto stabilito dall’art. 36 delle Norme Organizzative Interne della Federazione ed in quanto tali avevano l’obbligo di osservare lo “statuto e ogni altra norma federale” (art. 30, comma 1 dello Statuto); che l’ingiunto, dirigente tesserato e come tale soggetto all’ordinamento sportivo, a seguito del deferimento del Procuratore Federale era stato giudicato dalla Commissione Disciplinare Nazionale; che al predetto era stata comminata la sanzione dell’inibizione e l’ammenda di 10.000,00 euro, come risultante dal Comunicato Ufficiale n° 35/CDN del 19/11/2013; che il predetto non aveva proposto ricorso alla Corte di Giustizia Federale avverso la predetta decisione che, pertanto, era passata in giudicato in quanto non impugnata, né aveva corrisposto quanto dovuto, nonostante i ripetuti solleciti effettuati; che pertanto, sussistendo prova scritta del credito esatto in via monitoria, aveva appunto richiesto ed ottenuto l’emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento della predetta somma, oltre accessori.

Da parte sua l’opponente ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore della giustizia sportiva e, in subordine, in favore del giudice amministrativo nonché, in ordine al merito, l’infondatezza della pretesa, in quanto la decisione della Commissione Disciplina Nazionale della FIGC, posta a fondamento della sanzione pecuniaria, non costituiva prova scritta ed in ogni caso la decisione era lacunosa e non congruamente motivata, atteso che non erano state indicate le norme che prevedevano l’irrogazione della sanzione e che generica era stata l’elencazione e la descrizione dei fatti imputati e delle violazioni contestate, essendo invero stato contestato genericamente di aver contribuito al decadimento di una società trovata già in una situazione di dissesto economico-finanziario.

Per quanto riguarda la questione dell’eventuale difetto di giurisdizione dell’adito giudice ordinario, cui in ipotesi farebbe necessariamente seguito la revoca del decreto ingiuntivo opposto, nel ribadire adesione all’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel Tribunale ed in particolare nella Sezione in epigrafe, valgono le seguenti osservazioni.

La FIGC è un’associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al CONI (cfr. l’art. 1 del relativo Statuto) e i calciatori e i dirigenti delle squadre di calcio, in quanto tesserati, sono tenuti all’osservanza delle norme statutarie della FIGC.

In particolare, l’art. 30 dello Statuto della FIGC stabilisce che tutti i soggetti indicati hanno l’obbligo di osservare lo Statuto. Poi prevede, al secondo comma, che i predetti soggetti accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dalla FIFA, dalla UEFA, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la FIGC, per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto dallo statuto del CONI, sono devolute su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI.

Lo Statuto della Federazione opposta contiene, dunque, una clausola, in base alla quale, tra l’altro, le controversie di carattere disciplinare sono devolute alla cognizione degli organi giustizia sportiva, interni alla Federazione.

Al fine di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato, nel 2003 è stato emanato il D.L. 220/2003, convertito con modificazioni nella L. 280/2003.

In particolare, l’art. 2 detta disposizioni in ordine all’autonomia dell’ordinamento sportivo, stabilendo che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.

Orbene, l’esame della questione sulla giurisdizione dell’adito giudice ordinario rende necessaria una preliminare ricostruzione del quadro normativo relativo ai rapport tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giurisdizionale dello Stato e della relative evoluzione giurisprudenziale.

Con la sentenza 5775/2004 le Sezioni Unite della Cassazione, richiamando i precedenti giurisprudenziali in materia, hanno compiutamente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo all’argomento in esame.

In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che la legge 16 febbraio 1942 n° 426, istitutiva del Coni, configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano della natura pubblica di questo. La successiva legge 23 marzo 1981, n° 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), all’art. 14 aveva ribadito questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzioni di natura pubblicistica, riconducibile all’esercizio in senso lato delle funzioni proprie del Coni, e funzioni di natura privatistica per le specifiche attività da esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni (cfr. Cass. SU 14530/2002).

L’art. 6 della legge del 1981, come novellato dall’art. 1 del D.L 20 settembre 1996, n° 485, convertito nella legge 18 novembre 1996 n° 586, riconoscendo alle federazioni sportive il potere di stabilire un premio di addestramento e formazione tecnica in favore delle società sportive presso le quali l’atleta si fosse formato, ha confermato la natura privatistica dell’attività svolta dalle medesime federazioni in questo settore.

La legge n° 91 del 1981 è stata sostituita con il decreto legislativo 23 luglio 1999, n° 242, contenente disposizioni sul riordino del Coni. In particolare, l’art. 15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI (primo comma), così consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma).

È sopravvenuto il decreto legge 19 agosto 2003 n° 220, contenente disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito nella legge 17 ottobre 2003, n° 280. Il decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale dell’ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l’ordinamento dello Stato sono regolati in base al principio di autonomia, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1, primo comma). La ‘giustizia sportiva’ si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, mentre quella ‘statale’ è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.

Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico-sportive, con conseguente riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è stabilito che all’ordinamento sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di quell’ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma).

In queste materie vige il sistema del c.d. vincolo sportivo; le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati, infatti, hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Coni e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n° 242 del 1999, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma).

I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.

Il primo comma dell’art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dale Federazioni sportive non riservata agli  organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.

Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia dell’ordinamento sportivo, continua ad essere imperniato sull’onere di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma) e sulla salvezza incondizionata delle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive e di quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del CONI (art. 3, ultima parte).

Come osservato dalle Sezioni Unite, nella pronuncia suindicata, dalla lettura delle enunciate disposizioni è possibile ricavare che, secondo il decreto legge n° 202 del 2003, la tutela fa riferimento alle seguenti quattro situazioni.

Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l’osservanza di norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l’art. 15 del decreto legislativo n° 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell’autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell’ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un’area di  non rilevanza (o d’indifferenza) per l’ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l’ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all’assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto private.

Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch’esse interne all’ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni vi è la stessa condizione di non rilevanza per l’ordinamento statale, prima indicata.

Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all’interno del sistema dell’ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale.

La terza situazione comprende l’attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI e del CIO, come dispone la prima parte del già citato art. 15. Nel testo del decreto legge n° 220 del 2003, anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l’ammissione  e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati e l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l’ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l’indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l’oggetto delle quali è costituito dall’attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti.

Esaurito, anche in questo caso, l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Alla luce di quanto sopra riportato, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il problema relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale non ponga una questione di giurisdizione, costituendo invece questione di merito, che deve essere giudicata dal giudice del merito, al pari di quella dell’esistenza in concreto di essa (cfr. Cass. SU 5256/1987). Il principio è stato sviluppato con riferimento alle federazioni sportive ed è stato dichiarato che la censura diretta ad escludere ogni forma di tutela giurisdizionale, nei confronti di provvedimenti della FIGC, costituisce questione di merito (cfr. Cass. SU 9550/1997).

Ad analoga conclusione è giunta la Cassazione nella successiva pronuncia n° 18919 del 28/9/2005, nella quale ha affermato che il vincolo di giustizia sportiva previsto dallo Statuto della FIGC integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata sul consenso delle parti che accettano la soggezione agli organi interni di giustizia.

In particolare, poi, la suindicata pronuncia stabilisce un altro importante principio, ritenendo che il c.d. vincolo di giustizia sportiva (già contenuto negli statuti delle federazioni sportive prima dell’entrata in vigore del DL 220/2003, convertito dalla Legge  280/2003),  dal  2003  in  poi  trovi  la  sua  legittimazione  anche  in  una  fonte legislativa. Tuttavia, tale legittimazione ex lege non ne ha modificato la natura, che va pur sempre ricondotta alla figura dell’arbitrato irrituale, sostanzialmente consistente in un mandato conferito congiuntamente dalle parti compromittenti agli arbitri affinché questi, in virtù di un potere negoziale, definiscano la controversia (cfr. Cass. 11270/2012).

Tale orientamento, peraltro, risulta confermato da altre pronunce delle Sezioni Unite che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la questione relativa alle materie rientranti nella competenza degli organi della giustizia sportiva non è questione di giurisdizione, in quanto tali organi non svolgono una funzione giurisdizionale, ma intervengono in virtù di una clausola compromissoria e svolgono un’attività negoziale sostitutiva di quella degli stipulanti (cfr. Cass. SU ordinanza 6423/2008).

Tanto premesso, si osserva che nel caso in esame la controversia trae origine da comportamenti posti in essere dall’odierno opponente, rilevanti sul piano disciplinare sportivo: è pacifico che, all’epoca, l’attore era dirigente (membro del CdA ed anche presidente del CdA per un certo periodo) della società Cosenza Calcio 1914 Srl (cfr. doc. 4 del fascicolo monitorio) e che pertanto era sottoposto alla disciplina della FIGC; quindi, in virtù dell’art. 2, 1° comma, del DL 220/2003, convertito nella Legge 280/2003, per l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive vige il sistema del c.d. vincolo sportivo, ciò in virtù della cd. clausola del vincolo di giustizia, prevista dall’art. 30 dello Statuto della FIGC.

Tale clausola, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, ha natura di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, in base alla quale il potere di irrogare ed applicare le sanzioni disciplinari è attribuito, in forza di un atto negoziale di natura privatistica, dalle stesse parti a degli arbitri irrituali, che nel caso di specie sono costituiti dagli organi della giustizia sportiva.

Alla luce delle superiori osservazioni deriva, innanzitutto, che la questione in esame non integra una vera e propria questione di giurisdizione e che pertanto non è corretto parlare di difetto di giurisdizione del giudice adito ovvero di difetto ‘assoluto’ di giurisdizione, non controvertendosi in ordine al riparto della cognizione tra organi entrambi aventi un potere giurisdizionale statale.

Così riqualificata la questione (non di giurisdizione, ma afferente al merito), si deve altresì osservare che -in base a quanto previsto dalla clausola del vincolo di giustizia e dal citato art. 2, comma 1 del DL 220/2003 convertito nella Legge 280/2003- rientrano nella competenza degli organi di giustizia sportiva solo le questioni attinenti all’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive e cioè le questioni attinenti alla fase relativa all’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare ed alla comminatoria della relativa sanzione, sempre disciplinata  dall’ordinamento sportivo.

Nel  caso  di  specie  è  stato  allegato  nel  ricorso  monitorio  che  le  sanzioni (inibizione per anni due ed ammenda di 10.000,00 euro) erano divenute esecutive per mancata impugnazione, mentre al riguardo l’attore nulla ha contestato (art. 115 c.p.c.) né in ordine alla presentazione di eventuale gravame alla Corte di Giustizia Federale né, in ipotesi, in ordine alla mancata notificazione della sanzione, così da non essere ancora decorsi i termini per l’eventuale impugnazione; quindi deve ritenersi processualmente emerso che si sia verificato, in relazione all’ordinamento sportivo, il ‘passaggio in giudicato’ delle sanzioni disciplinari e che pertanto le stesse siano divenute irrevocabili. Pertanto la sanzione pecuniaria di 10.000,00 euro deve ritenersi ormai definitiva, in quanto -circostanza neanche allegata e comunque da escludere alla luce del tenore delle difese dell’attore- la stessa non è stata tempestivamente impugnata davanti agli organi di giustizia sportiva; quindi ormai la controversia non attiene più all’irrogazione ed all’applicazione della sanzione disciplinare (pecuniaria), ma alla fase della sua esecuzione.

Alla luce delle superiori osservazioni in fatto e in diritto è conseguenziale, limitando in discorso alla sanzione pecuniaria oggetto del ricorso monitorio, che si è in presenza di un credito di natura pecuniaria della Federazione opposta, relativo appunto alla sanzione pecuniaria irrogata -come detto- in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva; infatti, gli organi della giustizia sportiva possono irrogare sia sanzioni che esplicano i loro effetti esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo (ad esempio, la ricordata sanzione dell’inibizione per anni due), sia sanzioni che esulano dall’ordinamento sportivo ed incidono su posizioni giuridiche soggettive generalmente tutelate dall’ordinamento statale (ad esempio, appunto la sanzione pecuniaria dell’ammenda).

Orbene, mentre nel primo caso l’esecuzione della sanzione può trovare esplicazione e coattiva esecuzione (in caso di mancata spontanea osservanza e di permanenza del vincolo associativo) all’interno del medesimo ordinamento sportivo, nell’ambito del quale produce ed esaurisce tutti i suoi effetti, altrettanto non può sostenersi per le sanzioni del secondo tipo; infatti l’ordinamento sportivo non possiede gli strumenti per ottenere l’esecuzione coattiva di un credito di natura pecuniaria: strumenti che sono invero riservati all’autorità giurisdizionale ordinaria.

Del resto, non a caso, il citato art. 2 , comma 1 del D.L. 220/2003, convertito nella L. 280/2003, limita la cognizione degli organi della giustizia sportiva alle sole questioni relative all’irrogazione ed applicazione della sanzione, non estendendola invece all’esecuzione della stessa.

Tale impostazione non appare contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n° 49 del 2011, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 1 del D.L. 220/2003, convertito nella L. 280/2003. In particolare, la questione era stata sollevata dal giudice amministrativo, dubitando della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui riservava al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, anche quando i relativi effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su interessi legittimi e diritti soggettivi, tutelati dall’ordinamento statale. Il caso concreto sottoposto alla Corte Costituzionale era diverso da quello oggetto del presente giudizio, in quanto si controverteva in ordine al risarcimento del danno derivante dall’illegittima irrogazione della sanzione disciplinare dell’inibizione allo svolgimento di attività federale.

Ciò nonostante, la Corte ha sancito importanti principi, dando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, da tener presente anche nel caso in esame. In particolare, nel ribadire l’autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale (autonomia peraltro favorita dal legislatore), la Corte ha evidenziato che le sanzioni disciplinari irrogate dalla Federazione possono esaurire i loro  effetti nell’ambito dell’ordinamento sportivo oppure manifestare effetti anche nell’ambito dell’ordinamento statale. Orbene, con riferimento al primo gruppo di ipotesi, la Corte ha affermato che queste sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale e di conseguente assenza di tutela da parte di quest’ultimo ordinamento. Tuttavia la Corte ha, altresì, affermato che ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.L. 220/2003 consegue che, qualora il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, non possa escludersi la possibilità di agire in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali statali.

Ne consegue che, non controvertendosi nella presente sede in ordine alla fase dell’irrogazione ed applicazione della sanzione -le sanzioni sono state già irrogate ed applicate dagli organi di giustizia sportiva, con decisioni, come detto in precedenza, divenute definitive-, ma controvertendosi in ordine alle conseguenze che la (sola) sanzione pecuniaria esplica su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale ed afferenti a rapporti patrimoniali, non appare sussistente la competenza degli organi sportivi suddetti.

Parimenti, non può ritenersi che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in virtù di quanto statuito dall’art. 3 della L. 280/2003.

In particolare, la citata disposizione devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.

Orbene, con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giova ricordare che la Corte Costituzionale (sentenza n° 204/2004), nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. art. 33, commi 1 e 2, del D.Lgs 80/1998, come sostituito dall’art. 7, lettera a), della L. 205/2000, ha affermato il seguente principio:l'art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe "anche" diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei   confronti   della   quale   è   accordata   tutela   al   cittadino   davanti   al   giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”.

Ne consegue che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle ipotesi di giurisdizione esclusiva porta a ritenere che questa sia sussistente solo ogniqualvolta si sia in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano. Per converso, non potrà ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, neanche quella in via esclusiva, qualora sia del tutto assente  ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità.

Orbene, nel caso in esame, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve escludersi che nell’attività di irrogazione di sanzioni disciplinari la FIGC eserciti un potere autoritativo di natura pubblicistica.

Al riguardo è ben vero che le Federazioni sportive, pur avendo personalità di diritto privato, esercitano anche funzioni pubblicistiche -il DLgs. 242 del 1999, contenente norme di riordino del Coni, all’art. 15 prevede che le Federazioni possano adottare atti amministrativi in armonia con le deliberazioni del CONI, ad es. in tema di ammissione ed affiliazione delle società sportive alle Federazioni nazionali- e che le questioni concernenti l’attività che le Federazioni svolgono in armonia con le deliberazioni del Coni rientrano nella giurisdizione esclusiva del  giudice amministrativo, qualora sia espressione di un potere provvedimentale ed autoritativo, ma nel caso che qui ci occupa, come già sopra evidenziato, il potere di decidere in materia disciplinare, attribuito agli organi della giustizia sportiva, trova la fonte nella autonomia negoziale delle parti: gli organi della giustizia sportiva, invero, decidono in virtù di una clausola negoziale, avente natura di clausola di arbitrato irrituale ed osservando le regole del diritto privato.

Del resto, sia le norme violate che la decisione da eseguire trovano la loro fonte in atti di natura negoziale, che sono espressione dell’autonomia privata e non di poteri pubblicistici. A maggior ragione, poi, deve escludersi l’esercizio di poteri pubblicistici nell’attività di recupero del credito derivante dall’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Non essendovi esercizio di poteri pubblicistici, deve escludersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, neanche in via esclusiva.

Tanto ribadito, si può passare all’esame dei singoli motivi di opposizione ed al riguardo valgono le seguenti osservazioni.

L’attore ha eccepito che il provvedimento disciplinare non costituiva  prova scritta e che in ogni caso la decisione era generica, senza indicazione di specifiche norme sanzionatorie, e non motivata.

In ordine all’eccezione del difetto di prova scritta è sufficiente richiamare quanto detto sulla definitività della sanzione pecuniaria, in difetto di tempestiva impugnazione della stessa davanti agli organi di giustizia sportiva: sul punto valgono le superiori osservazioni.

Sulla seconda questione va semplicemente ribadito, alla luce di quanto già esposto, che la cognizione del giudice ordinario nell’ambito della controversia in esame è sicuramente da escludere per quanto riguarda il sindacato sul contenuto del potere disciplinare, esercitato dagli organi della giustizia sportiva, essendo invero il potere del Giudice ordinario necessariamente limitato alla fase dell’esecuzione della sanzione disciplinare; quindi, escluso qualsiasi esame sul contenuto del potere sanzionatorio e sulle modalità di esercizio dello ius puniendi, è consentito al Giudice ordinario solo l’accertamento della persistenza del credito vantato dalla FIGC e dell’insussistenza di fatti modificativi od estintivi della pretesa creditoria.

Pertanto, esclusa ogni possibile valutazione di merito da parte del Giudice ordinario, trattandosi di aspetti in relazione ai quali sussiste la competenza degli organi della giustizia sportiva, è in questa sede sufficiente prendere atto che vi è stato l’esercizio del potere sanzionatorio da parte degli organi sportivi e che la sanzione pecuniaria in questione è stata irrogata in via definita, non essendo stati esperiti i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento sportivo.

Se da un lato non è possibile esaminare il merito della sanzione, dovendo solo prendere atto del fatto che la stessa è ormai divenuta definitiva, è invece possibile - dall’altro- verificare, proprio perché attinenti alla fase meramente esecutiva, se siano o meno intervenuti fatti modificativi o estintivi della pretesa (pecuniaria) sanzionatoria.

Al riguardo è processualmente emerso, essendo stato ammesso anche dalla opposta così da poter considerare la circostanza pacifica fra le parti, che nel corso del giudizio l’opponente ha corrisposto la somma di 5.000,00 euro (cfr. comparsa conclusionale di parte opposta: “ … nelle more del giudizio l’opponente ha corrisposto la somma di Euro 5.000,00 …”).

E’ poi altresì emerso che, nonostante i rinvii concessi, non si è raggiunto un accordo bonario. Non si ha contezza di quando sia stato effettuato detto pagamento, potendosi solo evidenziare che lo stesso è avvenuto dopo la concessione della provvisoria esecutorietà all’udienza del 13/9/2016 (cfr. memoria conclusionale di replica dell’opposta: “ … In questa sede si intende solamente precisare che il sig.   (...)  ha effettuato il pagamento dell’importo di Euro 5.000,00 solo successivamente alla concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto. …”) e verosimilmente prima dell’udienza del 13/11/2017, in occasione della quale il procuratore dell’opposta richiedeva ulteriore rinvio per consentire il definitivo adempimento (cfr. verbale di udienza:l’avv.to SAGLIENI GIANFILIPPO, il quale chiede breve rinvio per consentire il definitivo adempimento da parte dell’opponente.…”).

Analogamente non risulta come sia stato imputato detto pagamento parziale, per cui in sede di esecuzione del presente provvedimento dovrà farsi riferimento all’art. 1194 c.c.; di alcun ausilio è la deduzioni di parte opposta che in comparsa conclusionale, dato atto del pagamento parziale, si è limitata a precisare che “ … la F.I.G.C., insiste nell’accoglimento delle già rassegnate conclusioni, fermo restando che nella eventuale fase esecutiva la scrivente difesa agirà per l’importo di cui al decreto ingiuntivo opposto dedotto di quanto nelle more corrisposto. …”.

Non si è in grado pertanto né di individuare la data esatta del pagamento’esistenza di eventuale consenso del creditore circa l’imputazione del pagamento parziale, così che ogni questione deve necessariamente essere rimessa alla successiva fase esecutiva.

Alla luce delle risultanze di causa, è pertanto necessario revocare il decreto ingiuntivo opposto, in quanto non risulta dovuta l’intera somma esatta in via monitoria, per effetto dell’intervenuto pagamento parziale in corso di causa.

L’opponente va peraltro condannato, in base alle risultanze di causa ed alla luce delle superiori osservazioni in fatto ed in diritto, al pagamento, in favore dell’opposta, della residua somma di 5.000,00 euro, oltre agli interessi moratori di legge dalla messa in mora (11/2/2014: data di ricezione del primo sollecito di pagamento del 27/12/2013, nel fascicolo del monitorio) fino al saldo effettivo e tenuto conto, quanto al calcolo degli interessi, dell’art. 1194 c.c. in relazione al pagamento di 5.000,00 euro in corso di causa.

La possibilità di revoca del decreto ingiuntivo opposto e di contestuale condanna per la differenza è pacifica in giurisprudenza, in quanto sia con il ricorso per decreto ingiuntivo che con la domanda di rigetto dell’opposizione vi è esercizio di un’azione di condanna; quindi non vi sarebbe alcuna extrapetizione neanche a fronte di una mera richiesta di conferma del decreto ingiuntivo opposto e nulla impedisce, in caso di revoca del decreto ingiuntivo per parziale infondatezza della pretesa azionata in via monitoria ovvero per questioni formali attinenti al decreto monitorio, che l’opponente possa essere condannato al pagamento della somma accertata come ancora dovuta alla data della sentenza (cfr. Cass. 28660/2013; Cass. 1954/2009; Cass. 9021/2005; Cass. 24021/2004; Cass.  15186/2003;  Cass.  15339/2000;  Cass.  5074/1999;  Cass.  1656/1998;  Cass. 13027/1995): sul punto si consideri anche la disciplina di cui all’art. 653, 2° comma, c.p.c..

Lo stesso discorso vale nel caso di pagamenti parziali, anche avvenuti nel corso del giudizio, senza che in contrario rilevi appunto l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto estintivo rispetto al momento di emissione del decreto suddetto, atteso che la sentenza di condanna al pagamento del residuo credito si sostituisce all’originario decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 10229/2002: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, ogni pagamento, anche parziale, intervenuto nel corso del relativo giudizio impone la revoca del decreto opposto e l’emissione di sentenza che, sostituendosi al decreto, pronuncia nel merito con eventuale condanna per la parte residua del debito non estinto, ove il diritto del creditore risulti provato”; Cass. 3984/2003: “L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione, sicché, una volta stabilito che -sia pure solo in parte- la pretesa è infondata, il decreto ingiuntivo deve essere revocato, anche se il pagamento già sia stato effettuato dopo l'emissione dell'ingiunzione”; Cass. 16911/2005).

Al riguardo non hanno pertanto ragion d’essere le preoccupazioni di parte opposta, che ha allegato che “ … In questa sede si intende solamente precisare che il sig.  (...) ha effettuato il pagamento dell’importo di Euro 5.000,00 solo successivamente alla concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto. …” e che “ … Di conseguenza tale decreto ingiuntivo, contrariamente a quanto dedotto dall’opponente, deve essere confermato; in caso contrario la scrivente Federazione non avrebbe più titolo per ottenere il pagamento del spese legali liquidate nel decreto ingiuntivo. …” (cfr. memoria conclusionale di replica di parte opposta).

Invero, ribadito che la fase monitoria e quella di opposizione fanno parte di un unico processo e che la regolamentazione del regime delle spese va fatta globalmente in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento, è evidente che, valutando appunto la fondatezza o meno dell’opposizione e la genesi ed il momento degli eccepiti fatti estintivi, si arriva ad una valutazione complessiva e ad una disciplina unitaria del regime delle spese, che prende in considerazione anche la fase del monitorio (cfr. Cass. 8428/2014: Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell'opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto”; Cass. 18125/2017: In tema di spese processuali nel procedimento per decreto ingiuntivo, la fase monitoria e quella di opposizione ex art. 645 c.p.c. fanno parte di un unico processo, nel quale il relativo onere del pagamento delle spese è regolato globalmente in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento, anche nel caso di pagamento della somma ingiunta dopo la notifica del decreto predetto, sicché il creditore opposto, che veda conclusivamente riconosciuto il proprio credito, se legittimamente subisce la revoca integrale del decreto ingiuntivo per effetto del pagamento ottenuto in corso di opposizione, non può tuttavia qualificarsi soccombente ai fini del segmento processuale caratterizzante il giudizio monitorio”).

Per quanto riguarda allora il regime delle spese dell’intera procedura -si rammenta che la procedura (fase monitoria e fase di opposizione) è unica e che il decreto ingiuntivo è stato revocato anche in ordine al capo delle spese- osserva il Giudice che le stesse (tanto della fase monitoria quanto della fase di merito) devono essere interamente poste a carico dell’opponente, in quanto tutte le doglianze (pregiudiziali e di merito) sono risultate infondate ed il decreto ingiuntivo va revocato esclusivamente in conseguenza del pagamento parziale avvenuto in corso di causa.

Si dà atto che per la liquidazione delle spese deve essere applicato il Decreto Ministero Giustizia n° 55 del 10/3/2014 (GU n° 77 del 2/4/2014) sui nuovi parametri forensi.

Si è preso in considerazione il valore dello scaglione ‘5.201-26.000 euro’, tenuto conto della natura e del valore complessivo della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dal difensore e della mancanza di novità nelle questioni trattate: per la fase monitoria va riconosciuta la somma di 730,00 euro per compensi e 145,50 euro per spese, come già liquidato nel decreto ingiuntivo, mentre per la presente opposizione va riconosciuta la somma di 1.618,00 euro per compensi professionali con riferimento ai parametri al minimo e con esclusione della fase ‘istruttoria/trattazione’.

La domanda di risarcimento danni ex art. 96/1 c.p.c. va rigettata in mancanza di prova della sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi legittimanti una tale condanna (cfr. Cass. 18169/2004: “La liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata, "ex" art. 96 cod. proc. civ., ancorché possa effettuarsi anche d'ufficio, postula pur sempre la prova gravante sulla parte che chiede il risarcimento sia dell'"an" che del "quantum debeatur", o almeno la concreta desumibilità di detti elementi dagli atti di causa”).

La complessità della controversia non consente di esercitare il potere sanzionatorio discrezionale ex art. 96, 3° comma, c.p.c..

Per quanto riguarda la successiva fase esecutiva e nel prendere atto di quanto allegato dall’opposta (cfr. memoria conclusionale di replica: “ … In caso di perdurante inadempimento da parte del debitore, sarà, chiaramente, cura di questa difesa agire per il recupero del credito indicato nel decreto ingiuntivo detraendo quanto corrisposto dal debitore), valgono le superiori osservazioni.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando:

  • rigetta l’opposizione a decreto ingiuntivo;
  • preso peraltro atto del pagamento parziale intervenuto in corso di causa, revoca il decreto ingiuntivo opposto n° 861/2016 dell’8-13/1/2016 del Tribunale di Roma (n° 84967/2015 RG);
  • condanna l’opponente (...)al pagamento, in favore dell’opposta F.I.G.C. Federazione Italiana Giuoco Calcio e per il titolo azionato nel ricorso monitorio, della residua somma di 5.000,00 euro, oltre agli interessi moratori di legge dalla messa in mora (11/2/2014) fino al saldo effettivo e tenuto conto, quanto al calcolo degli interessi, dell’art. 1194 c.c. in relazione al pagamento di 5.000,00 euro in corso di causa;
  • rigetta la domanda dell’opposta ex art. 96, 1° e 3° comma, c.p.c.;
  • condanna l’opponente al pagamento, in favore dell’opposta, delle spese di lite, che liquida complessivamente in 2.348,00 euro per compensi professionali e in 145,50 euro per spese, oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge.

Così deciso a Roma, il 15/3/2018

il Giudice dott.

Francesco Remo Scerrato

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