CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE SESTA – SENTENZA DEL 26/07/2021 N. 5346

Pubblicato il 26/07/2021

N. 05546/2021REG.PROV.COLL.

N. 08230/2019 REG.RIC.

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 8230/2019, proposto dalla Federazione italiana giuoco calcio-FIGC, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Damiano Lipani, Giuseppe Morbidelli e Giancarlo Viglione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Vittoria Colonna n. 40 (Studio Catricalà),

contro

– l’Autorità garante della concorrenza e del mercato-AGCM, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e

nei confronti

– dell’Associazione italiana analisti performance di calcio-AIAPC, con sede in Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Annarita D'Ercole, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nonché – di OMISSIS - Studio di Consulenza tributaria, legale e del lavoro e dell’Associazione italiana dei Direttori sportivi-ADISE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sez. I, n. 7177/2019, resa tra le parti e concernente il provvedimento n. 27249, adottato dall'AGCM il 27 giugno 2018 e notificato alla FIGC il successivo 16 luglio, reso a conclusione del procedimento I812 – FIGC (Regolamentazione dell'attività di direttore sportivo, collaboratore della gestione sportiva, osservatore calcistico e match analyst), per cui la FIGC ha posto in essere un'intesa unica, complessa e continuata contraria all'art. 101 TFUE, inerente alla

limitazione all'accesso al mercato dei servizi professionali offerti da Direttori sportivi, Collaboratori della gestione sportiva, Osservatori calcistici e Match Analyst;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità intimata e dell’AIAPC;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 27 maggio 2021 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per

le parti costituite, gli avvocati Francesca Sbrana (in sostituzione di Lipani), Morbidelli, Viglione e D'Ercole in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – Con delibera AGCM n. 26603 del 4 maggio 2017, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato-AGCM avviò, a seguito della segnalazione da parte di un’associazione professionale di consulenza (8 luglio 2015), il procedimento I812 – FIGC/Regolamentazione dell’attività di direttore sportivo, collaboratore della gestione sportiva, osservatore calcistico e Match analist, a carico della Federazione italiana giuoco calcio (FIGC).

Tal procedimento fu avviato perché l’Autorità, indotta dalla citata segnalazione, non ottenne alcun risultato utile dal tentativo di moral suasion intrapreso per ottenere dalla FIGC le modifiche alle disposizioni regolamentari che presentavano varie criticità sotto il profilo antitrust.

Iniziato il procedimento ed a seguito di un’articolata interlocuzione istruttoria con la Federazione, intervenne dapprima la delibera n. 26800 dell’11 ottobre 2017, con la quale l’AGCM respinse gli impegni presentati dalla FIGC ai sensi dell’art. 14-ter della l. 10 ottobre 1990 n. 287. Tanto perché la Federazione, confessando di non condividere la posizione dell’Autorità e al solo fine di superare le criticità rilevate: a) con riguardo alla figura del Direttore Sportivo, ne consentì lo svolgimento dell’attività anche a soggetti non residenti in Italia, ma evidenziò che tal figura rientrava nella categoria degli sportivi professionisti, disciplinata dall’art. 2, I co. della l. 23 marzo 1981 n. 91, che ricomprendeva pure atleti, allenatori, direttori tecnici e preparatori atletici; b) per quanto concerne la figura dell’Osservatore calcistico, rese noto che tal figura era stata rimossa dal Regolamento dei Direttori sportivi-DS, confluendo dunque alla più ampia categoria degli allenatori specializzati in scouting, unitamente alla nuova figura di Match Analyst, i cui corsi di formazione erano facoltativi e organizzati da un’ampia platea di soggetti esterni alla FIGC; c) per la figura di Collaboratore della gestione sportiva, dedusse di aver così voluto regolare tal attività, al fine di qualificare le dovute competenze tecniche, utili all’individuazione dei calciatori e allenatori da consigliare alle società operanti nel settore dilettantistico (cfr. verbale d’audizione del 15 settembre 2016).

Il 20 aprile 2018 è stata quindi inoltrata alla FIGC la comunicazione sulle risultanze istruttorie-CRI, già prefigurando le ragioni dell’intesa restrittiva e l’inadeguatezza dei rimedi nel frattempo assunti dalla Federazione stessa per mitigarne le criticità.

Assunte le rituali difese ed osservazioni della Federazione, l’Autorità ha emanato il provvedimento n. 27249 del 27 giugno 2018, con cui l’Autorità le ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 3.330.659,00 a causa dell’accertata intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 TFUE e, al contempo, le ha ingiunto di comunicare, entro 120 giorni dalla relativa notifica di esso, le misure intraprese per eliminare le restrizioni così accertate. Il provvedimento, in particolare, ha accertato la restrizione numerica all’accesso alle quattro figure professionali de quibus, causata dalle previsioni normative dei Regolamenti FIGC e dei bandi per l’accesso ai corsi di formazione da essa tenuti.

2. – Avverso tal provvedimento, la delibera d’avvio del procedimento de quo, la CRI ed ogni altro atto connesso, la Federazione s’è gravata innanzi al TAR Lazio, col ricorso NRG 11853/2018, onde ottenere l’annullamento di tali atti.

Al riguardo, la FIGC ha colà dedotto in sostanza:

I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101, § 1) del TFUE. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 91/1981. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del DL 19 agosto 2003 n. 220 (conv. modif. dalla l. 17 ottobre 2003 n. 280). Travisamento dei fatti, errore nei presupposti, sviamento, contraddittorietà, violazione del principio di buona amministrazione e proporzionalità – Per la FIGC, fu erroneo il presupposto da cui mosse l’accertamento dell’AGCM, poiché le norme regolamentari per le quattro figure professionali citate erano riconducibili al potere regolamentare riconosciuto alle Federazioni sportive dall’art. 2 della l. 91/1981, come tali sottratte alle norme sulla concorrenza, trattandosi di vicende strettamente collegate all’attività sportiva professionistica vera e propria;

II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101, § 1) TFUE. Travisamento dei fatti ed errore nei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà e illogicità manifesta. Violazione del principio di buona amministrazione - Anche a non considerare le quattro figure oggetto dell’accertamento di detta Autorità come “sportivi professionisti” ai sensi dell’art. 2 della l. 91/1981, le disposizioni regolamentari della FIGC di per sé sole non sarebbero potute costituire un ostacolo alla libera concorrenza, ma, con particolar riguardo a quelle relative al Direttore sportivo, erano orientate a garantire una “selezione qualitativa”, compatibile con i principi antitrust.

III. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101, § 1) TFUE. Eccesso di potere sotto vari profili e violazione del principio di buona amministrazione - La ricostruzione della fattispecie fornita dal provvedimento impugnato fu la risultante d’un evidente travisamento dei fatti esaminati nel citato procedimento sanzionatorio, oltreché del significato delle disposizioni regolamentari in questione, che, ove considerate nel relativo contesto di riferimento, avrebbero svelato la loro coerenza coi principi antitrust;

IV. Inconfigurabilità di un’intesa restrittiva per oggetto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101, § 1) TFUE. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e diritto, difetto di istruttoria e illogicità manifesta - L’AGCM errò nel qualificare l’intesa come restrittiva per oggetto, non tenendo conto degli indici all’uopo recati dalla giurisprudenza per la configurabilità d’una tal fattispecie ed omettendo di valorizzare il contributo dei regolamenti federali allo sviluppo del settore calcistico;

V. Non riconducibilità delle condotte addebitate dall’Autorità ad un’unica infrazione, complessa e continuata. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101, § 1) TFUE. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e illogicità manifesta - Non è possibile neppure configurare nella specie un’intesa unica e complessa, in quanto, pur ammettendo la natura anticoncorrenziale delle condotte della FIGC relativamente ad ogni singola figura oggetto dell’accertamento antitrust, mancherebbe, nel provvedimento, la prova del fatto che tali condotte fossero state tasselli di un unico e complesso disegno anticoncorrenziale, ipotizzato e scientemente voluto dalla Federazione per tutte e ciascuna figura;

VI. In subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 101, § 3) TFUE in ordine alla sussistenza dei requisiti di esenzione - L’Autorità non s’è avveduta dell’esistenza nella specie dei requisiti per l’applicazione dell’esenzione prevista dalla norma citata, in considerazione delle efficienze e dei vantaggi qualitativi derivanti dalla regolamentazione federale contestata, né il provvedimento ha mai considerato in motivazione le ragioni dell’inapplicabilità d’una siffatta esenzione;

VII. In via ulteriormente subordinata, l’illegittimità della sanzione irrogata - Fu in sé illegittima pure la qualificazione della sanzione, in quanto furono malamente individuati dall’AGCM sia la percentuale da applicare al valore delle vendite con riguardo all’asserita gravità dell’infrazione, sia il moltiplicatore dell’importo base dell’ammenda, in ragione della durata dell’illecito (a detta della ricorrente il termine iniziale dell’illecito sarebbe stato il 14 maggio 2010, data delle modifiche al Regolamento sui Direttori Sportivi e quello finale la data di notifica della sanzione antitrust) e, comunque, quest’ultima fu di per sé sproporzionata, se si considera che l’Autorità avrebbe dovuto qualificare le violazioni commesse da FIGC come “non gravi” ai sensi dell’art. 15, co. 1 della l. 287/1990.

L’adito TAR, con sentenza n. 7177 del 24 giugno 2019, ha integralmente respinto la pretesa attorea.

3. – Ha appellato quindi la FIGC, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della gravata sentenza alla luce di quattro gruppi di censure.

Resiste in giudizio l’intimata AGCM, concludendo in modo articolato per il rigetto del presente appello, oltre ad eccepire, circa alcune di esse, la carenza d’interesse alla loro proposizione. S’è costituita nel presente giudizio la controinteressata Associazione italiana Analisti performance di calcio-AIAPC, con sede in Latina, concludendo anch’essa per il rigetto del ricorso in epigrafe.

Alla pubblica udienza del 27 maggio 2021, sentite le parti costituite con collegamento telematico da remoto, il ricorso in esame è assunto in decisione dal Collegio.

4. – Preliminarmente, il Collegio rileva l’inammissibilità delle censure formulate dall’appellante al § 5) della memoria di replica del 14 maggio 2021, circa l’asserita applicabilità dell’art. 101, § 3) del TFUE, poiché nel ricorso in epigrafe non è stato specificamente censurato il capo della sentenza che ha rigettato il VI motivo del ricorso di primo grado.

Trova allora applicazione la ferma giurisprudenza, secondo la quale, nel processo amministrativo ed in base al combinato disposto degli artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., il Collegio giudicante è obbligato a far esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno dei ricorsi in appello e già proposte in primo grado, senza tenere conto di motivi “nuovi” o di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate. Infatti, gli uni e le altre sono intempestive e violano il principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, nonché la natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 31 luglio 2017 n. 3806; id., VI, 17 febbraio 2020 n. 1194).

5. – Col primo motivo di ricorso in appello, la FIGC lamenta l’erroneità della sentenza impugnata, per non aver compreso che le condotte sanzionate in realtà avessero tratto la propria legittimazione proprio dall’art. 2 della l. 91/1981, onde esse erano sottratte al rispetto delle norme antitrust.

Ad avviso della Federazione, in pratica, le quattro figure professionali in esame appartengono alla categoria degli “sportivi professionisti”, indicati nella testé citata norma ex art. 2. E ciò in quanto: a) gli Osservatori calcistici (o sportivi) ed i Match Analyst svolgerebbero un’attività prettamente tecnico-sportiva, che, prima della loro genesi, era svolta dagli allenatori, dovendo esser in grado di conoscere le abilità tecniche di base dei giocatori e di valutarle anche con riferimento alle necessità della squadra nel suo complesso e gli altri conoscere i sistemi di gioco e le tattiche, al fine di meglio individuare quelli più consoni per il gioco della squadra e suggerirli all’allenatore; b) i Direttori sportivi ed i Collaboratori della gestione sportiva (questi ultimi svolgono le mansioni dei primi, ma in ambito dilettantistico), in ragione dell’evoluzione che ne ha interessato le funzioni negli anni più recenti, non svolgerebbero oggi solo attività di compravendita di giocatori (c.d. calciomercato), ma si occuperebbero di profili tecnico-sportivi, essendo richieste, per poter svolgere tali professionalità, conoscenze di natura strettamente calcistica, quali la conoscenza delle tattiche e della tecnica di gioco, anche in vista dell’individuazione dei giocatori da cedere e da acquistare.

La tesi non è fondata, ma occorre sgombrare il campo da un duplice equivoco di fondo nel quale incorre la Federazione appellante.

5.1. – Il primo è un equivoco di fatto: la Federazione confonde, elevandolo a connotato assoluto di tutt’e quattro le professioni, quel minimo di conoscenze tecniche ed atletiche del giuoco del calcio qual essenza esclusivamente sportiva e specifica del settore, come se ciò non servisse per ogni tipo di sport (specialmente a squadre, ma non solo).

Quanto al secondo, la FIGC parte dal convincimento per cui il sol fatto del riconoscimento, diretto o lasciato alla ragionevole discrezionalità della fonte attuativa, delle citate figure professionali da parte dell’art. 2 della l. 91/1981 ed attuata coi regolamenti federali di settore (questi irretiti dal provvedimento sanzionatorio per cui è causa), sarebbe sufficiente ad escludere l’applicabilità alla fattispecie delle norme del TFUE relative alla tutela della concorrenza.

Ma non è così: la giurisprudenza della CGUE, infatti ed a partire dalla decisione Meca-Medina (C-519-04) del 18 luglio 2006, ha stabilito che qualsiasi normativa, anche dal carattere prettamente ed unicamente sportivo, è suscettibile d’ingenerare la violazione delle disposizioni euro-unitarie volte alla tutela della concorrenza. Sicché non può predicarsi un’esenzione generalizzata di alcuni settori dal rispetto della disciplina antitrust, dovendo esser verificato, caso per caso, se le norme che disciplinano una qualsiasi attività «… provengano da un’impresa, se quest’ultima limiti la concorrenza o abusi della sua posizione dominante, e se tale restrizione o tale abuso pregiudichi il commercio tra gli Stati membri…». In caso di risposta affermativa, dette norme non potranno che esser ritenute in contrasto con l’art. 101, § 1) TFUE, in quanto realizzano un’intesa restrittiva della concorrenza vietata dal diritto UE, a prescindere dal fatto che abbiano ad oggetto solo o in parte la regolazione del fenomeno sportivo. Da ciò discende, da un lato, l’inopponibilità dei regolamenti federali alle condotte contestate dall’AGCM ove queste s’inverino in discipline volutamente o nei fatti restrittive della concorrenza. Dall’altro, il rispetto dell’ordinamento giuridico dello sport, pur nella sua natura originaria transnazionale, non vien meno sol perché talune sue regole disciplinino fenomeni un tempo prettamente sportivi e circoscritti alla coadiuzione dei soggetti sportivi e delle loro gare e oggidì fuoriusciti da quell’ambito ancillare all’organizzazione dello sport nazionale per assumere una dimensione generale e propria dei singoli ordinamenti statuali e/o sovranazionali.

In tal caso fenomeni, un tempo indifferenti a questi ultimi ordinamenti perché esclusivi del mondo sportivo o pensati in quel contesto (quasi come evoluzione dalla dimensione agonistica individuale verso l’organizzazione dei soggetti sportivi collettivi), possono esser svolti oggi nel libero mercato come prestazioni di servizi a favore delle imprese che lavorano nell’organizzazione dello sport agonistico (foss’anche dilettante), da parte di chiunque ne possegga le richieste abilità professionali, anche se non abbia coltivato la disciplina sportiva di riferimento, o non si sia formata soltanto nei corsi di preparazione messi in opera dalla FIGC.

5.2. – Sicché le scelte regolatrici dell’appellante FIGC ben possono esser foriere d’una violazione del diritto antitrust, a prescindere dalla riconducibilità o meno delle figure professionali, che ne son oggetto, a destinatari per i quali l’art. 2 della l. 91/1981 previde uno spazio di autonomia normativa in favore delle federazioni sportive nazionali. Ciò non è che una delle possibili declinazioni non dell’autonomia giuridica dello sport in sé, ma del rapporto tra questo e l’ordinamento della Repubblica, come sancito dall’art. 1, co. 2 del DL 220/2003, in forza del quale «… i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo…».

Ferma dunque la necessità di valutare, oggidì e in ogni caso, l’effettiva portata anticoncorrenziale delle condotte in questione, alla luce degli approdi giurisprudenziali della CGUE (che, com’è noto, costituiscono diritto vivente, immediatamente applicabile negli ordinamenti interni degli Stati membri), è ragionevole ritenere (e la semplicità testuale dell’art. 2 della l. 91/1981 lo dimostra) che vi fu un tempo in cui, se non del tutto assimilati in un unico regime, i titolari delle odierne quattro figure professionali, al di là delle denominazioni peculiari esistenti tra le varie Federazioni sportive, poterono pur esser state ritenuti, o almeno alcuni di loro, solo «sportivi professionisti». Anzi, non dura fatica il Collegio, alla luce di quanto detto dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. C. cost., 11 febbraio 2011 n. 49), a ritenere che essi poterono e possano tuttora vantare posizioni soggettive rilevanti anzitutto nell’ordinamento sportivo, prima che in quello generale.

Ciò non toglie che, al di là di tal rilevanza in quello settoriale, nell’ordinamento della Repubblica ed ai sensi dell’art. 2 della legge n. 91, l’unica figura professionale, tra le quattro in esame, al più poté esser stata quella del Direttore Sportivo, ma sol perché tal disposizione indicò, tra gli «sportivi professionisti», i «… direttori tecnico-sportivi…, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica …».

È agevole avvedersi che oggi nessuna delle quattro professioni oggetto della regolamentazione qui contestata dall’AGCM fosse espressamente prevista dalla norma citata tra gli sportivi professionisti. Questa scelta, ben lungi dal porre un’esclusività giuridico-sportiva, servì solo alle Federazioni per regolarne flessibilmente la natura ed i compiti, non certo, e specie dopo l’entrata in vigore dell’art. 1, co. 2 del DL 220/2003, a creare il monopolio federale dei modi d’accesso a tali professioni.

Sicché, per estenderne il campo d’applicazione, in base alla l. 91/1981 (ove si ha una sorta d’unicità tra direttore tecnico e direttore sportivo), alle restanti tre figure, occorrerebbe un’interpretazione analogica dell’intera disposizione o una estensiva della categoria dei “direttori tecnico-sportivi” colà contemplata. Il che è come dire che, tranne i direttori tecnico-sportivi (perlopiù tratti dalla leva degli allenatori di calcio), le restanti tre figure o son sorte in un momento successivo, qual aiuto offerto dalla FIGC al movimento sportivo dilettantistico (ma pure ai tesserati allenatori per avviarli a un primo approccio lavorativo: Collaboratori della gestione sportiva), o riguardano professionisti la cui formazione, un tempo prettamente dedicata al gioco del calcio, è ormai multidisciplinare e non abbisogna più del controllo federale ex ante, essendo una professione accessibile a tutti e spendibile anche in ambiti sportivi differenti. Ma, pur volendo svolgere un’interpretazione siffatta, essa sarebbe impraticabile, anzitutto perché la serena lettura dell’elencazione recata dal ripetuto art. 2 porta a concluderne per il suo carattere tassativo e, per sua natura, insuscettibile d’interpretazione analogica. Ciò fu riconosciuto dal Giudice di legittimità, che pose in luce, da un lato, come il legislatore non avesse affatto impiegato «… espressioni generiche, tali da permettere una classificazione dell’art. 2 in termini di norma aperta…» e, dall’altro, la natura di “legge speciale” della norma in esame, «…che contiene sotto molti versanti numerose e vistose regole, sovente in senso peggiorativo, rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato…» (Cass., sez. lav., 11 aprile 2008 n. 9551).

Sotto un altro profilo, tra le quattro professionalità oggetto del provvedimento dell’AGCM e le figure professionali individuate dall’art. 2 della l. 91/1981, al più una similitudine oggidì v’è tra il Direttore sportivo ed il Collaboratore della gestione sportiva, ma non anche con le altre figure. E, comunque, tutt’e quattro non consistono, direttamente, nell’esercizio di una pratica sportiva, ma, pur presupponendo competenze e conoscenze sportive, si pongono, rispetto a detta pratica vera e propria, come collaterali.

Gli assunti non meritano condivisione. Invero, è evidente la differenza tra l’attività svolta dall’Allenatore e quella svolta dall’Osservatore calcistico e dal Match Analyst, tale da non abbisognare di tante spiegazioni. La prima consiste nella conduzione tecnica della squadra e, pertanto, concerne direttamente l’esercizio della disciplina sportiva, non implicato nella seconda, se non in forma del tutto estemporanea, laddove possa servire a formulare un giudizio equo sulle capacità del giocatore osservato. Ma, se tra le due attività citate vi può esser un minimo contatto tecnico, quella del Match Analyst, è la più lontana dalla professione di Allenatore, tant’è che potrebbe essere svolta, e storicamente ciò è accaduto con risultati degni di ricordo, anche da soggetti che non si siano mai prodigati nell’attività sportiva di riferimento, ma che, tuttavia, detengano conoscenze di base in ordine ai fondamenti del gioco del calcio e soprattutto abbiano spiccate competenze in campo statistico ed algoritmico.

In secondo luogo, pur ad ammettere che il Direttore Sportivo, oggi, abbia maggiori competenze in materia calcistica rispetto alla materia contrattuale, ciò non basta ad assimilarlo ai soggetti individuati dall’art. 2 della Legge n. 91/1981, che si contraddistinguono, tutti, per esercitare la disciplina sportiva di riferimento.

In conclusione, le evidenti differenze che intercorrono tra le figure professionali oggetto d’esame da parte dell’AGCM e quelle indicate all’art. 2 della Legge n. 91/1981, unitamente alla natura di disciplina speciale di quest’ultima, ne precludono qualsivoglia interpretazione analogica o estensiva, tale da ricomprendere nel relativo campo di applicazione anche il Direttore Sportivo, il Collaboratore della Gestione sportiva, l’Osservatore calcistico ed il Match Analyst.

5.3. – Scolorano così le suggestive, ma non dirimenti considerazioni attoree sul ruolo essenziale svolto dal Direttore Sportivo all’interno di una società di calcio.

Non pare al Collegio che l’impugnato provvedimento abbia mai revocato in dubbio tal importanza, giacché essa contestò alla FIGC non già l’irrilevanza o l’inutilità del predetto ruolo, quanto, invece, le modalità del relativo reclutamento. Sicché poco importa che in altri Paesi, di solida tradizione calcistica o meno, le funzioni del DS, come in Inghilterra, siano svolte dall’allenatore, piuttosto che da altri professionisti o dal management della società sportiva, poiché quel che rileva in Italia, Paese membro dell’UE, è la sproporzionata concentrazione dei poteri della FIGC nel reclutamento di detta professionalità e nella ristretto numero di soggetti ammessi. Con riguardo a tali ultimi aspetti, pare al Collegio poco significativo che quella del DS, su richiesta del CONI ed a seguito di conferma da parte della Commissione UE, sia divenuta una professione regolamentata (anche per realizzare «un sistema condiviso di riconoscimento di crediti formativi in chiave europea»), perché ciò non crea né conferma il presupposto dell’esenzione, se il regolatore incappa a sua volta in condotte restrittive all’ingresso nel mercato inerente a tal professione.

Una chiave di lettura dell’evoluzione del sistema e del progressivo allontanamento della figura del DS, in particolare e delle altre tre, in genere, dal significato che l’appellante vuol dare all’art. 2 della l. 91/1981 (che è essenzialmente norma lavoristica), si può rinvenire nel nuovo ordinamento del professionismo sportivo, recato dal D.lgs. 28 febbraio 2021 n. 36 sia pur dal 2022 in poi. L’art. 2 del D.lgs. 36/2021 non solo ha ridefinito le competenze del DS, ma ne ha separato i compiti dal direttore tecnico, un tempo commisti e non ben connotati secondo l’art. 2 della l. 91/1981. Infatti, la nuova disciplina, concentrandosi con dovizia di particolari sulle due figure direttive eminenti nelle società sportive, non ha descritto che lo stato dell’arte professionale di esse, come si sono evolute nel tempo. In particolare, ha delineato l’uno (direttore sportivo), come un vero e proprio manager vocato alla cura dell'assetto organizzativo e amministrativo di una società sportiva, nonché alla gestione dei rapporti con gli atleti, gli allenatori ed altre società ed alla conduzione di trattative con queste ultime il trasferimento di atleti, la stipulazione delle cessioni dei contratti e il tesseramento.

Per tutte queste attività, le cognizioni prettamente sportive son solo strumentali ad un’efficace conduzione dell’impresa calcistica, tant’è che allo stato l’esser, o no, il direttore sportivo tesserato come (o aver egli studiato da) allenatore è cosa ormai non necessaria. Per contro, l’altro (direttore tecnico) è inteso come un manager vocato alla cura specifica del settore tecnico-sportiva di una società sportiva, tant’è che ne sovrintende all’attuazione degli indirizzi tecnici, coordinando le attività degli allenatori, cui è poi affidata la conduzione tecnico-agonistica delle squadre della società stessa. Non v’è rigidezza nella formazione professionale delle due figure, ma è evidente che, se il legislatore ha inteso ben definire le rispettive competenze, per il direttore tecnico lo studio e la conoscenza specifica della disciplina sportiva di riferimento è essenziale, per il direttore sportivo, no e, a quanto pare, tal formazione non è per forza dirimente nemmeno per le restanti due figure non manageriali.

Pertanto, era già non solo nei fatti, prima, cioè, che il D.lgs. 36/2021 l’abbia ora definito apertis verbis, ma soprattutto nella definizione ex art. 2, I co. della l. 91/1981, che lo assoggettò al regime del professionismo sportivo, l’impossibilità giuridica d’intendere le norme regolamentari emanate dalla Federazione ed oggetto dell’accertamento di AGCM come “puramente sportive”, concernenti, cioè, unicamente l’organizzazione e lo svolgimento delle competizioni sportive ed i relativi strumenti. Non nega il Collegio che dal 1981 ad oggi sia cambiata la sensibilità della Federazione e degli operatori sul rispetto della normativa euro-unitaria in materia concorrenziale. Ma, a parte che quest’ultima era comunque già applicabile, secondo gli arresti della CGUE, anche a quelle norme dal carattere soltanto sportivo che, pur in via mediata, fossero in grado di influenzare il libero funzionamento del meccanismo concorrenziale, è certo che nel 2015 tali regolamenti fossero già inopponibili al regime antitrust.

6. – Lamenta poi l’appellante, col secondo mezzo di gravame, che l’impugnata sentenza non abbia considerato come tali regolamenti comunque non furono in contrasto con le norme a tutela della concorrenza, non avendo posto alcuna limitazione numerica, né alcuna restrizione all’accesso alle attività di Direttore sportivo, Collaboratore della gestione sportiva, Osservatore calcistico e Match Analyst, essendosi limitati, solo per la figura professionale del Direttore sportivo, a dettare forme di “selezione qualitativa”, in sé del tutto compatibili coi principi antitrust.

Ad avviso della Federazione, invero:

a) il Collaboratore della gestione sportiva, operando solo nell’ambito del calcio dilettantistico, non eserciterebbe alcun’attività economica e, in ogni caso, la sua presenza nell’organigramma delle società sportive sarebbe meramente facoltativa;

b) anche l’Osservatore calcistico ed il Match Analyst sono professionisti di cui dette società possono avvalersi in via facoltativa e, in ogni caso, per tali professionalità ed in base a ripetute modifiche alle relative fonti regolamentari, è già stata elisa ogni esclusiva in capo alla Federazione per quanto attiene alla qualificazione ed all’esercizio dell’attività, residuando la sola previsione della facoltà in capo al settore tecnico di organizzare corsi ed eventi formativi per coloro che possiedano già la qualifica di allenatore federale e siano iscritti al relativo Albo, fermo restando che la partecipazione a tali attività formative non costituisce requisito per l’esercizio dell’attività;

c) l’attività di Direttore sportivo resta subordinata all’acquisizione della relativa licenza in vista della professionalizzazione di tale figura, conformemente agli indirizzi espressi dal CONI nelle delibere n. 308 del 18 luglio 2017 e n. 216 del 12 giugno 2018, tant’è che la Commissione UE ne ha inserito la figura professionale nell’elenco delle professioni regolamentate in Italia.

3.1. - Anche tale motivo non è meritevole d’accoglimento.

Con ogni evidenza la Federazione non coglie che tali sue considerazioni, materialmente vere, non inficiano il percorso argomentativo che l’Autorità ha svolto nel suo provvedimento. Esse non sono atte né a dimostrare l’assenza dell’effetto anticoncorrenziale nelle condotte contestate, né tampoco ad evidenziare il perseguimento di obiettivi legittimi (ossia, non monopolistici), tale da escludere il contrasto con i principi antitrust. Anzi, sfugge al Collegio perché mai la Federazione abbia insistito fino all’emanazione del provvedimento sanzionatorio a mantenere la regolazione di professionalità di cui, ora, predica la facoltatività, ossia una sostanziale indifferenza verso di esse. E ciò appare ora un’exscusatio non petita, se si considera, oltre a quanto si dirà infra, che il procedimento avviato da AGCM s’incentrò, in particolare, sulle previsioni normative poste nel Regolamento dell’Elenco speciale dei direttori sportivi del 2010 (la versione originaria risale al 1991), come modificato nell’anno 2015, e nel Regolamento del Settore Tecnico, come modificato negli anni 2017 e 2018, nonché sui bandi per l’accesso ai corsi di formazione, attuativi delle predette previsioni.

Invero, il Regolamento federale dell’Elenco speciale dei DS recò la disciplina unitaria per Direttori sportivi, Collaboratori della gestione calcistica e, fino al 2016 (quando la sua normativa fu stralciata e trasposta nel Regolamento del Settore tecnico), degli Osservatori calcistici. Le norme là stabilite subordinarono l’iscrizione all’Elenco speciale ed alle apposite sezioni colà previste al possesso della residenza in Italia (artt. 2 e 11), il rilascio del diploma di abilitazione in esito ai corsi, banditi ed organizzati dal Settore tecnico FIGC per Direttori sportivi e Osservatori calcistici (art. 3, commi 1 e 6), e, per i Collaboratori della gestione calcistica, dal Settore Tecnico e dalla LND - Lega nazionale dilettanti (art. 3, co. 5). Tali norme obbligarono le Società sportive ad «… avvalersi esclusivamente dell’opera delle persone iscritte nell’Elenco Speciale dei Direttori Sportivi…» (art. 8, co. 1), allo stesso tempo sanzionando l’esercizio delle rispettiva attività senza l’iscrizione all’Elenco speciale o, da parte dei non tesserati, senza titolo (art. 4, commi 3 e 4). La condotta contrastante col diritto antitrust risiedette altresì nel contenuto dei bandi per l’abilitazione a Direttore sportivo, a Collaboratore della Gestione sportiva e ad Osservatore calcistico, avendo essi previsto limitazioni numeriche per l’accesso ai relativi corsi ed il possesso della cittadinanza italiana e/o della residenza in Italia (cfr. Bandi citati ai §§ 27, 29, 35 e 137 del provvedimento).

La disciplina della figura professionale dell’Osservatore calcistico fu poi trasfusa nel Regolamento ST, entro il quale era altresì prevista e disciplinata la professionalità del Match Analyst.

6.2. – Ebbene, immune da errori di fatto o di violazioni normative si appalesa, con riguardo alle citate tre figure professionali, il giudizio dell’AGCM che ha rilevato la portata restrittiva della concorrenza nelle disposizioni del Regolamento stesso.

Invero e ricostruita nei predetti termini la fattispecie, l’Autorità ritenne che le norme regolamentari analizzate ed i bandi che, in concreto, ne costituivano l’attuazione, erano idonei a concretare un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101, § 1 TFUE. E ciò «… nella misura in cui contingentano il numero degli operatori che possono ambire a svolgere tali attività per le società calcistiche e precludono a soggetti che non seguono i percorsi federali, non figurano nell’Elenco e non risiedono in Italia e non sono cittadini italiani di operare in un mercato libero …». Si tratta d’un insieme di regole che, «… ostacolando l’accesso di nuovi operatori sul mercato, precludono una maggiore differenziazione dell’offerta e impediscono il pieno operare dei meccanismi concorrenziali…», con l’introduzione di «… un artificioso equilibrio tra domanda e offerta dei servizi professionali in questione…». E tali conclusioni, cui l’Autorità è pervenuta, son frutto di un’istruttoria e son racchiuse in una motivazione che possono ritenersi congrue, logiche e razionali e, soprattutto, non sono affatto scalfite dalle considerazioni dell’appellante.

In primo luogo, priva di rilievo è la constatazione per cui alcune delle quattro figure professionali in questione (quelle di Collaboratore della gestione calcistica, di Osservatore calcistico e di Match analyst) non sarebbero obbligatorie all’interno delle società calcistiche. Questo sarà pur vero, tant’è che le società sportive si rivolgono a liberi professionisti esterni, ma è un concetto che si muove su un piano logico diverso dalle modalità con cui l’Autorità accertò l’illecito antitrust. In altre parole, l’obbligatorietà, o no, della presenza di tali professionalità nelle singole società non incide sulla portata anticoncorrenziale delle norme federali che ne stabilirono il reclutamento, la formazione e la tenuta di albi o elenchi. Resta dunque inalterato il giudizio formulato dall’Autorità circa l’attitudine in sé delle norme stesse a restringere l’accesso al libero mercato, per l’evidente ragione che le loro previsioni concernenti l’obbligo d’iscrizione all’Elenco, il possesso della cittadinanza italiana o della residenza in Italia ed il possesso (per i soli Osservatori Calcistici e Match Analyst) della qualifica di allenatori sbarrano l’ingresso di un’ampia ed indeterminata platea di soggetti che possono fornire tali servizi professionali.

In pratica la Federazione, grazie alla pretesa esenzione di dette norme “sportive” dalla soggezione alle regole anticoncorrenziali, ha stabilito quell’artificioso equilibrio tra domanda ed offerta riscontrato dall’AGCM e contrario ad i principi euro-unitari in materia di libera concorrenza, che, di principio, impongono il più ampio accesso al mercato da parte degli operatori di settore, al fine di accrescere la competitività e la qualità dell’offerta cui attingono i consumatori.

6.3. – Destituito di fondamento è poi l’assunto secondo cui il Collaboratore della gestione calcistica, operando a favore di società dilettantistiche, non eserciterebbe un’attività economica, onde sarebbe ipso facto sottratto all’applicazione delle norme UE in tema di concorrenza.

In proposito, soccorre la nozione funzionale di impresa elaborata dalla CGUE , a mente della quale il carattere dilettantistico di una Società o di un’impresa non è, di per sé solo, tale da escludere che questa eserciti un’attività economica rilevante ai fini dell’applicazione del diritto dell’Unione (cfr. Deliège, 11 aprile 2000, C-51/96 e C-191/97, punto 46; Commissione contro Italia, 16 giugno 1987, C-118/85, punto 7; cfr. anche la sentenza del Tribunale, sez. IV, Piau, 26 gennaio 2995, T-193/02, punto 70). Si deve ritenere attività economica «quella consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato» (Commissione contro Italia, 18 giugno 1998, C-35/96, punto 36), com’è pacificamente quella svolta, spesso a titolo oneroso, dal Collaboratore della gestione calcistica. Fa ciò discende che dilettantistica è solo l’attività agonistica, non già i tipi di lavori o di rapporti messi in campo dalla società sportiva coi soggetti terzi, anche professionisti, per l’organizzazione e la gestione dell’impresa.

Relativamente, invece, alle modifiche normative che hanno coinvolto la disciplina dell’Osservatore calcistico e del Match analyst, solo ad una visione superficiale sembra che esse abbiano tentato di attenuare l’effetto limitativo della concorrenza che connotava il previgente apparato normativo. In realtà, la loro efficacia al riguardo è stata flebile, tant’è che l’Autorità ha mantenuto il suo giudizio sulla persistenza, anche per tale regolamentazione, dell’intesa illecita. Tanto perché dette modifiche, anche dopo il C.U. 21 maggio 2018 n. 45, e, dapprima, col CU n. 78/A/2017, da un lato hanno espressamente previsto la non obbligatorietà delle figure dell’Osservatore calcistico e del Match Analyst, espungendone la relativa menzione anche dall’elenco di cui all’art. 16 del Regolamento ST, dall’altro. Però esse non hanno coinvolto pure le previsioni di cui agli artt. 56 e 57, co. 3 del Regolamento ST, che affidava al Settore Tecnico la definizione della quota di iscrizione all’Elenco, che, quindi, non si poté ritenersi cancellato, come vorrebbe l’appellante. E soprattutto tali modifiche normative non regolarono le sorti di coloro che avessero seguito corsi di formazione estranei al circuito della Federazione, con ciò mostrando di non voler tener conto di tal ipotesi, che avrebbe spezzato per tempo il monopolio federale sull’accesso a ciascuna delle quattro figure professionali in esame.

Le disposizioni regolamentari de quibus hanno invece mantenuto la previsione che subordinava l’accesso alle carriere di Osservatore calcistico e di Match Analyst al possesso della qualifica di Allenatore federale, con ciò imponendo, altresì, l’iscrizione all’Albo tecnico degli allenatori, sicché non v’è stato mai, da parte della Federazione, un atteggiamento atto a scongiurare siffatte rigidezze o ad eliminarle per tempo.

6.4. – Non a diversa conclusione reputa il Collegio di pervenire a fronte della tesi attorea, secondo cui la regolamentazione federale della figura di Direttore sportivo, quindi con la centralizzazione del reclutamento e dei titoli d’accesso, fu vòlta a garantirne un elevato livello di qualificazione professionale mediante anche una selezione rigorosa.

Secondo siffatta tesi, la regolamentazione comunque lasciò aperta la possibilità di far svolgere le funzioni di Direttore sportivo pure al management delle società sportive, purché, secondo gli statuti di queste, i soggetti investiti avessero «… il potere di rappresentare validamente e impegnare la Società nei confronti di terzi…» (art. 8, co. 2 del Regolamento DS). A tal proposito, agli occhi del Collegio è immune da illogicità ed incongruenza il ragionamento seguito dall’Autorità nel censurare tali aspetti regolatori della figura di Direttore sportivo.

Rettamente l’Autorità, da un lato, ha ritenuto troppo restrittiva la normativa de qua e, al contempo, inutilmente sproporzionata rispetto al conclamato obiettivo dell’elevata qualità professionale. Tal risultato di per sé non sarebbe stato assicurato grazie alla mera concentrazione a livello unicamente federale delle attività formative, né dalla previsione di stringenti ed ingiustificati requisiti di accesso (come la residenza in Italia), né da un’astratta limitazione numerica all’accesso ai corsi (se non accompagnata da esigenze o rilevazioni di fabbisogni concreti), trattandosi, piuttosto, di ostacoli al libero accesso al mercato di riferimento.

Dall’altro lato, l’Autorità ha rilevato come la facoltà di deroga prevista dal citato art. 8, co. 2, non fosse stata idonea ad elidere la portata anticoncorrenziale della regola generale e ciò per un duplice ordine di ragioni. La prima: trattandosi, per l’appunto, di un’eccezione, detta facoltà sarebbe finita per avere un’applicazione rara e non generalizzata e, quel ch’è peggio ad nutum, ossia senza che fosse chiaro a quali condizioni essa si sarebbe potuta esercitare. La seconda: la Federazione non si avvede dell’intima contraddizione che la facoltà reca con sé, in quanto, se fosse (come appare dal dato testuale) liberamente esercitabile secondo le ordinarie regole sulla rappresentanza, c’è da chiedersi a che mai sarebbe potuto servire tutto l’apparato messo in opera dalla Federazione al fine di assicurare in modo così rigido una qualificazione professionale tanto rigorosa (e restrittiva delle regole antitrust), quanto vincibile dall’esercizio ad nutum di tal facoltà.

L’iter argomentativo seguito da AGCM risulta, poi, viepiù rafforzato dagli esiti della comparazione operata con la regolamentazione di altre Federazioni del panorama europeo. In esito a tal disamina, è emerso che la disciplina della FIGC costituisce un unicum e, pertanto, anche sotto questo profilo, dimostra la sua inidoneità o, comunque, non necessarietà rispetto all’obiettivo di garantire una selezione qualitativa elevata. Se questo è lo scopo d’un reclutamento rigoroso, allora l’obiettivo ben potrebbe essere assicurato concorrendo con, o lasciando ad altri organismi la facoltà di organizzare corsi di formazione e di attribuire in modo indipendente la relativa qualificazione.

Sicché rispetto a tal obiettivo, s’appalesano certamente distonici tanto la previsione del requisito della residenza italiana, quanto il “numero chiuso” nell’accesso ai corsi, cui consegue, vista l’esclusività della qualificazione di Direttore sportivo rilasciata dalla FIGC, il “numero chiuso” nell’accesso al mercato in questione, l’uno e l’altro di siffatti “numeri” dovendo dipendere non da una decisione restrittiva a priori, bensì dalla capacità e dal merito di ciascun singolo aspirante DS.

7. – Col terzo motivo d’appello, la Federazione contesta la qualificazione dell’intesa come unica, complessa e continuata, assumendo l’insussistenza d’ogni nesso teleologico o di complementarietà tra le condotte contestate.

Sul punto, l’Autorità appellata ha eccepito la carenza dell’interesse attoreo, poiché, a suo dire, l’eventuale accoglimento della censura formulata non apporterebbe alcun vantaggio all’appellante. L’infondatezza della doglianza esime, tuttavia, il Collegio dallo scrutinio dell’eccezione testé citata, in quanto, diversamente da quel che la FIGC anche adesso sostiene, l’Autorità ha riconosciuto la portata anticoncorrenziale di tutte e di ciascuna delle condotte contestate. Dal che la qualificazione dell’intesa come unica, complessa e continuata non è stata così dirimente ai fini dell’individuazione dell’illecito antitrust.

7.1. – In ogni caso, tale qualificazione unitaria è in sé corretta, considerato che, come rettamente ho osservato il TAR, «… le condotte in esame sono state, poi, considerate parte di una unica intesa e non di singole intese frazionate, in quanto accomunate da un obiettivo unitario, quello di ostacolare il libero mercato della prestazione di servizi professionali offerti a titolo oneroso a favore delle società calcistiche…».

La comunanza dell’obiettivo giustifica la qualificazione dell’illecito antitrust come unico, in quanto la trattazione atomistica dei singoli comportamenti avrebbe rischiato di concentrare l’attenzione sui soli dati peculiari di ciascuna professionalità. Ciò avrebbe potuto far perdere di vista l’obiettivo cui essi erano tesi e, di conseguenza, non avrebbe consentito d’apprezzarne a pieno la portata illecita anticoncorrenziale, o no.

E neppure si potrebbe dire che, in fondo, tal obiettivo fosse il portato d’una fonte primaria alquanto scarna nelle definizioni e priva di chiare direttive nei confronti della normazione attuativa. Infatti, è, se non pacifico, autoevidente che i regolamenti federali sulle professionalità di DS, Collaboratore della Gestione sportiva, Osservatore calcistico e Match Analyst fossero tutti accomunati, al di là della fonte specifiche che li indicò e della relativa implementazione, dal perseguimento dello scopo di restringere l’accesso degli aspiranti professionisti al mercato di riferimento.

Il fine fu chiaro e non trova giustificazione (né all’inizio, né al momento in cui l’illecito antitrust fu denunciato, dopo peraltro l’ampio arco di tempo in cui detto sistema fu applicato) nella semplicità della l. 91/1981 o nella malintesa autonomia del governo del fenomeno sportivo. L’appellante FIGC volle mantenere in capo a se stessa l’esclusività del potere di concedere (non d’abilitare) le relative qualificazioni e di organizzare i necessari corsi di formazione. E ciò fin dalle regole sull’accesso ai percorsi di qualificazione, i quali erano peraltro subordinati, per tutti i casi, a requisiti restrittivi di cittadinanza/residenza ed a limiti all’ingresso e del fabbisogno dei professionisti.

Quanto sopra trova ulteriore conferma nella qualificazione dell’illecito contestato alla FIGC qual intesa restrittiva della concorrenza per oggetto, avallata dal TAR e, a quanto consta, non contestata in parte qua nel presente giudizio d’appello. Infatti, la natura di intesa restrittiva per oggetto postula che le singole condotte abbiano il comune obiettivo di limitare, per l’appunto, il libero gioco della concorrenza, onde nelle intese per oggetto il fine è comune, almeno in via presuntiva, a tutte le condotte. In caso contrario, non sarebbe configurabile un’intesa per oggetto, ma un’intesa per effetto, in cui condotte, anche mosse da fini diversi, raggiungono in concreto l’effetto di limitare il libero svolgimento del meccanismo concorrenziale.

7.2. – Appurata dunque la comunanza dell’obiettivo che connota le discipline delle quattro figure professionali di cui trattasi, nel caso di specie sussistono pure gli ulteriori elementi, individuati dalla giurisprudenza invocata da parte appellante, per il riconoscimento di un illecito unico e continuato.

Il Collegio si vuol riferire, in particolare, alla decisione del Tribunale UE, VIII, del 24 marzo 2011 (Alabert Industries NV e al. v. Commissione Europea, T-385/069). In quella sede, il Tribunale affermò anzitutto che «… la nozione di infrazione unica riguarda una situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da una identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate, consapevoli di partecipare all’oggetto comune) (sentenza del Tribunale 8 luglio 2008, causa T53/03, BPB/Commissione, Racc. pag. II1333, punto 257)…». Ebbene, «… ai fini della qualificazione di comportamenti illeciti diversi come infrazione unica e continuata occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori nell’ambito di un piano complessivo diretto ad ottenere un unico obiettivo. A tale riguardo, occorre tenere conto qualsiasi circostanza che possa provare o mettere in dubbio tale nesso quali il periodo di applicazione, il contenuto, incluso il metodo utilizzato e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti illeciti in questione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, cause riunite T101/05 e T111/05, BASF e UCB/CommissioneRacc. pag. II4949, punti 179181)…».

Se si calano tali coordinate ermeneutiche nel caso in esame, si vede anzitutto l’identità oggettiva, riferibile all’obiettivo perseguito, e soggettiva delle condotte contestate alla Federazione, le quali si pongono in un rapporto di complementarietà e contestualità, essendo accomunate, oltreché dal periodo di commissione, anche dal metodo impiegato.

S’è già accennato alla circostanza che le restrizioni all’accesso alle professioni di Direttore sportivo, Collaboratore della gestione calcistica ed Osservatore calcistico erano inizialmente contenute tutte nel Regolamento DS ed erano attuate mediante meccanismi similari, se non addirittura identici. Essi consistettero nella previsione dell’iscrizione all’Elenco speciale, subordinata all’acquisizione di diplomi ottenibili solo in esito alla frequenza di corsi banditi dalla FIGC, il cui accesso era stato subordinato alla titolarità del requisito della residenza in Italia ed era, comunque, limitato nel numero. Né la contestualità delle condotte è scalfita dal fatto che la figura del Match Analyst sia stata introdotta solo successivamente ed in altro testo normativo: per vero, con la definizione di tal ultima figura professionale, la disciplina della professione di Osservatore calcistico fu trasfusa nel Regolamento ST, sebbene in concreto le tecniche di restrizione del mercato impiegate per a tali due figure rimasero sostanzialmente assimilabili a quelle utilizzate per il DS ed il Collaboratore della Gestione calcistica, disciplinati nel diverso Regolamento DS. Le quattro regolazioni furono quindi tutte volte a garantire quell’artificioso equilibrio tra domanda ed offerta, al fine di favorire i soggetti tesserati presso la FIGC, sì da impedire agli altri l’esercizio della relativa attività professionale e garantendo alla stessa Federazione il controllo dell’intero mercato di riferimento.

7.3. – Il carattere continuato dell’infrazione discese, poi, dalla sua protrazione per vari anni (fin dal 2010 almeno), mediante l’adozione del Regolamento DS e la formulazione dei bandi per l’accesso ai corsi di formazione relativi a tutte e quattro le professionalità oggetto dell’accertamento antitrust mediante la previsione del citato requisito della residenza italiana e del numero limitato di posti disponibili (in realtà, calmierati dalla stessa FIGC):

Come si vede, poco importarono alla Federazione le differenze di contenuto tra le quattro figure professionali, avendo essa badato, piuttosto e al di là delle fonti (diverse, però concorrenti allo scopo), a creare un unitario sistema di sbarramenti all’ingresso, tali da riverberarsi in un numero chiuso di aspiranti da immettere nel mercato da essa governato. Sfugge per vero al Collegio la ragione di tal di mantenere tal assetto per così lungo tempo, fin quando, cioè, l’Autorità non dovette intervenire aprendo il procedimento repressivo. È però certo, o almeno altamente plausibile che tal atteggiamento, peraltro non giustificato, come s’è visto, dal mero rinvio dell’art. 2 della l. 91/1981 alla fonte attuativa, s’inverò in una sorta di funzione concessoria da parte della Federazione, quasi essa fosse titolare esclusiva di utilità pubbliche da attribuire in uso particolare ai terzi e non, come è e fu, nella regolazione dei criteri per l’abilitazione degli aspiranti a svolgere le quattro professioni in argomento.

8. – Si duole infine l’appellante, col quarto mezzo di gravame proposto in via subordinata, che il TAR abbia avallato in toto la quantificazione della sanzione, operata dall’Autorità.

E ciò nonostante varie violazioni della normativa di riferimento e, segnatamente, delle Linee Guida approvate con delibera dell’AGCM del 22 ottobre 2014.

L’appellante basa tal censura sulla circostanza che la liquidazione della sanzione così irrogatale abbia preso le mosse dall’illegittima qualificazione dell’infrazione come grave (a sua volta discesa dall’aver l’AGCM ritenuto l’infrazione stessa come unica, complessa e continuata) e dall’illegittima indicazione del dies a quo dell’inizio dell’intesa (ossia, dall’emanazione del Regolamento DS). Entrambi gli argomenti non convincono e vanno respinti.

8.1. – In primo luogo, emerge dal tenore letterale del provvedimento dell’Autorità che la qualifica dell’intesa come grave non è affatto discesa dalla sua considerazione di intesa unica, complessa e continuata, ma ha costituito l’esito della valutazione condotta dall’AGCM su una pluralità di dati ed elementi, tra i quali la natura delle condotte contestate, la posizione rivestita sul mercato da detta Federazione, il contesto d’attuazione dei comportamenti contestati.

In particolare, l’AGCM ha rilevato come l’infrazione si è rivelata idonea a restringere il mercato di riferimento con la riduzione del numero dei potenziali operatori, essendosi registrato, su base annua, uno scarto di circa il 40% tra le domande di ammissione ai corsi e delle nuove iscrizioni ai predetti Elenchi tenuti della Federazione. Detta Autorità ha poi stigmatizzato come l’obbligatorietà della partecipazione alle attività formative predisposte in esclusiva dalla Federazione avesse, di fatto, limitato l’offerta di percorsi di qualificazione alternativi, registrando, anche sotto tal diverso profilo, un’indebita restrizione al libero funzionamento del meccanismo concorrenziale. Infine, la natura grave dell’intesa è stata desunta dal fatto che la Federazione introdusse simili (ma sproporzionate) restrizioni anche per le figure dell’Osservatore calcistico e del Match Analyst, apportando sì talune modifiche alla relativa regolamentazione, ma di carattere meramente formale o marginale, cioè del tutto inidonee a superare le criticità in varia guisa riscontrate dall’Autorità, che, peraltro, rimasero comunque nei relativi bandi di ammissione ai percorsi formativi.

Come si vede, per la sua natura ed anche per le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi, ciascuna di tal condotte fu grave, in quanto atta da sola a creare sbarramenti illecitamente restrittivi all’accesso alla professione ed a mantenere integro il malinteso primato dell’autonomia dello sport, cioè, in realtà, il monopolio federale non soltanto sull’accesso in sé alle professioni, ma soprattutto sui titoli occorrenti per accedere ai percorsi abilitativi. Ecco perché l’Autorità non ha avuto bisogno d’arguire siffatta gravità dal carattere unico e complesso dell’intesa, con conseguente infondatezza della censura così formulata dall’appellante.

8.2. – Parimenti esente da critiche è, per il Collegio e con riguardo al profilo della proporzionalità, l’individuazione della percentuale per determinare l’importo base della sanzione, fissata da AGCM nella misura del 3%.

In proposito, osserva il Collegio che le Linee Guida di riferimento, approvate con delibera AGCM del 22 ottobre 2014, consentono, al § 11), di calcolare l’importo base della sanzione in una misura massima del 30% dell’importo del valore delle vendite, identificato, per le associazioni d’imprese, nel valore complessivo dei contributi associativi (§ 10).

Ebbene, nella specie si tratta d’una Federazione sportiva (peraltro, d’una di quelle poche cui è stato attribuito dal CONI il titolo di Federazione sportiva nazionale-FSN), che riunisce e federa, tutte le società sportive (raggruppandole in Leghe di settore), che esercitano l’attività agonistica del giuoco del calcio. La FIGC va intesa dunque a guisa d’associazione di tali imprese e dei vari professionisti tesserati, onde le si applica il citato § 10) e, in difetto d’una rigorosa prova d’evidente erroneità o di manifesta iniquità della misura —che, è ben noto, costituisce espressione d’una valutazione unitaria complessiva della gravità della condotta (ed esclude un approccio solo aritmetico e meccanicistico: cfr. Cons. St., VI, 12 febbraio 2020 n. 1046)—, la determinazione dell'importo nella misura del 3% appare, pertanto, congrua e proporzionata.

8.3. – Infine, la quantificazione della sanzione operata in tal modo dall’AGCM merita di essere confermata pure con riguardo all’individuazione del tempo (dies a quo e dies ad quem) in cui fu commesso l’illecito antitrust.

Sul punto, lo s’è appena detto, ha rilievo dirimente il fatto che le professioni di DS, Collaboratore della gestione calcistica ed Osservatore calcistico rinvenissero la propria disciplina sostanzialmente unitaria già nel Regolamento DS, come modificato il 14 maggio 2010 (ed ancora il 27 aprile 2015). Sicché quello fu il momento, a partire dal quale, l’Autorità ha, ad avviso del Collegio, correttamente individuato il dies a quo della commissione dell’infrazione. Assume, di converso, portata del tutto marginale la circostanza per cui la figura del Match Analyst sia stata introdotta solamente nell’anno 2016. Infatti, va ben considerata la permanenza già da almeno sei anni della regolamentazione, indebitamente restrittiva della concorrenza, per le altre figure professionali, le quali, prima che fosse introdotta quella di Match Analyst, esaurivano il novero di professioni estranee al Settore Tecnico.

In ordine al dies ad quem, l’AGCM ha invece rilevato che, al tempo d’adozione del provvedimento sanzionatorio, la condotta illecita fosse ancora in atto. Tanto perché, ed in ciò il Collegio concorda, le modifiche adottate sua sponte dalla Federazione non erano risultate né dirimenti, né efficaci a rimuover gli effetti nocivi, relativamente alla disciplina del Match Analyst e dell’Osservatore calcistico. Per contro, la Federazione, pur dopo la fase di moral suasion, aveva continuato pure con riguardo alle altre due figure professionali ad inserire, nei bandi d’ammissione ai rispettivi corsi formativi, clausole restrittive e di contingentamento. Invero e non a caso, nell’avviso d’avvio del procedimento sanzionatorio l’Autorità dovette precisare che pure a quel tempo il quadro regolativo federale sulle quattro figure professionali in esame era risultato idoneo a restringere la concorrenza. Tanto perché le disposizioni in esso contenute «… contingentano il numero di operatori che possono ambire a svolgere tali attività per società ed enti istituzionali calcistici (ad esempio le Leghe) e precludono di offrire i propri servizi a soggetti che non risiedono in Italia o non sono cittadini italiani, non seguono i percorsi federali e non figurano nell’Elenco…».

9. – L’appello va così respinto. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

La complessità della vicenda e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso NRG 8230/2019 in epigrafe), lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 27 maggio 2021, con l'intervento dei magistrati:

Silvestro Maria Russo, Presidente FF, Estensore

Dario Simeoli, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Giovanni Orsini, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere

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