T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 20/09/2021 N. 9850

Pubblicato il 20/09/2021

N. 09850/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00736/2020 REG.RIC.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 736 del 2020, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Luigi Manzi, Giovanni Sala, Giorgio Gargiulo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luigi Manzi in Roma, via F. Confalonieri n. 5;

contro

Comitato Olimpico Nazionale Italiano, rappresentato e difeso dall'avvocato Pierluigi Matera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Federazione Italiana Sport Equestri, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- della decisione n. 89 pubblicata il 12 novembre 2019 del Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite;

- della decisione emessa dalla Corte d’Appello Federale in funzione di Giudice di seconda istanza della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) del 2 luglio 2019;

- della decisione del Tribunale Federale FISE del 28 maggio 2019, che ha irrogato alla signora -OMISSIS-, ed al sig. -OMISSIS- la sanzione della sospensione ex art. 6 lett. d), e), f), per anni tre con l’aggravante di cui all’art. 8, lett. h), Reg. Giust.; al sig. -OMISSIS- la sanzione della sospensione di quattro mesi ex art. 6, lett. e), Reg. Giust.; al -OMISSIS-, nella persona del rappresentante legale p.t. signora -OMISSIS-, la sanzione della sospensione dell’affiliazione ex art. 6, lett. e), Reg. Giust. per un anno.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2021 il dott. Raffaello Scarpato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti impugnano la decisione n. 89 del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI pubblicata in data 12 novembre 2019, la decisione emessa dalla Corte Federale d’Appello della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) in data 2 luglio 2019 in funzione di Giudice di seconda istanza e la decisione del Tribunale Federale FISE del 28 maggio 2019, con la quale è stata irrogata:

- a -OMISSIS- ed a -OMISSIS- la sanzione della sospensione ex art. 6 lett. d), e), f) del Regolamento di Giustizia FISE per anni tre, con l’aggravante di cui all’art. 8, lett. h) del medesimo Regolamento;

- al solo -OMISSIS- anche la sanzione della sospensione di quattro mesi ex art. 6, lett. e) del Regolamento di Giustizia FISE;

- al -OMISSIS-, nella persona del rappresentante legale p.t. -OMISSIS-, la sanzione della sospensione dell’affiliazione ex art. 6, lett. e) del Regolamento di Giustizia FISE per un anno.

Di tali provvedimenti i ricorrenti chiedono l’annullamento, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

In punto di fatto, -OMISSIS- – -OMISSIS- - ha premesso di aver avviato, nell’anno 2014, la gestione del -OMISSIS-, presso il quale è stato impiegato anche -OMISSIS-, in qualità di -OMISSIS-.

A seguito delle segnalazioni di alcuni ex soci del centro ippico, i ricorrenti sono stati deferiti al Tribunale Federale con l’accusa di maltrattamento agli animali e giudicati colpevoli, risultando destinatari della sanzione della sospensione per tre anni (la -OMISSIS-), di tre anni e quattro mesi (il -OMISSIS-) e della sospensione dall’affiliazione per un anno (il -OMISSIS-).

La sanzione è stata confermata nei successivi gradi di giudizio, dinanzi alla Corte Federale d’Appello ed al Collegio di Garanzia dello Sport.

I ricorrenti hanno chiesto l’annullamento dei provvedimenti impugnati deducendo i seguenti motivi di ricorso:

violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione; violazione ed errata interpretazione degli artt. 21, 31, 47, e 48 del Regolamento di Giustizia FISE, degli artt. 2 e 11 del Codice della Giustizia Sportiva (CGS) nonché del combinato disposto degli artt. 156, 157 e 160 c.p.c.;

violazione dell’art. 156 c.p.c. comma 3 e degli artt. 31 e 67 del Regolamento FISE sotto diverso profilo, eccesso di potere per travisamento dei fatti;

eccesso di potere per travisamento dei fatti e irragionevolezza, violazione dell’art. 61 del Codice di Giustizia Sportiva;

violazione degli artt. 21 e 56, comma 6, del regolamento FISE e degli artt. 342 e 366 del c.p.c.;

eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del principio del contraddittorio, violazione degli artt. 21 R.G. FISE e 2 C.G.S.;

violazione degli artt. 6, 7, 8 e 9 del Regolamento di Giustizia FISE, eccesso di potere per sproporzionalità, ingiustizia manifesta ed irragionevolezza e difetto di motivazione.

Inoltre, i ricorrenti persone fisiche hanno formulato richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalla impossibilità di partecipare a competizioni sportive FISE e di svolgere attività addestrativa, otre che dalla lesione dell’immagine e dal discredito derivante dalle decisioni degli Organi della Giustizia sportiva.

Quanto al -OMISSIS-, l’istanza di risarcimento del danno è stata motivata dall’impossibilità di offrire un servizio di addestramento degli equidi per la disciplina olimpica del salto ostacoli e della monta americana avanzata, di impartire lezioni agli allievi delle suddette discipline (segnatamente per quanto concerne il salto ostacoli di altezza superiore a 80 cm.) e di partecipare con i propri soci iscritti alle manifestazioni della FISE.

I ricorrenti hanno dettagliatamente ricostruito la vicenda che ha portato all’irrogazione della sanzione disciplinare impugnata, esponendo che la Procura Federale della FISE aveva aperto l’indagine a seguito di una segnalazione trasmessa dal Presidente del Comitato Regionale Veneto della FISE, emettendo in data 31.10.2018 apposito atto di incolpazione e deferimento dei ricorrenti dinanzi al Tribunale Federale.

In sostanza, ai ricorrenti veniva addebitato di aver posto in essere comportamenti di abuso nei confronti degli equidi, consistenti nel ricorso ad una pratica vietata (cd. iperflessione laterale), nei maltrattamenti perpetrati in danno della cavalla -OMISSIS- (lasciata una notte intera in box legata corta, senza poter bere né mangiare) e nei maltrattamenti inferti alla cavalla -OMISSIS- (forieri di vistose ferite agli arti inferiori).

Tali comportamenti venivano ritenuti violativi del Regolamento Veterinario e dell'articolo 1, lett. a) e b) del Codice di Condotta FESI per il benessere del cavallo, nonché dei principi fondamentali sanciti dagli artt. 5 e 10 dello Statuto Federale, dai Regolamenti di Settore e dalla Normativa Istruttori Federali, con l'aggravante di cui all'articolo 8, lett. h) del Regolamento di Giustizia.

-OMISSIS- veniva altresì deferito per avere impartito lezioni nella disciplina del salto ad ostacoli in assenza della carica federale di istruttore, essendo il medesimo abilitato solo come tecnico di equitazione americana.

Il -OMISSIS-, veniva infine deferito per aver consentito, ad un soggetto privo della carica federale di istruttore, di impartire lezioni di equitazione in una disciplina per la quale non era abilitato e per non aver fatto rispettare le regole basilari di sicurezza (non avendo impedito di far montare a cavallo una minore senza copricapo di protezione).

Tanto premesso, i ricorrenti hanno esposto di aver avuto conoscenza della pendenza del procedimento disciplinare solo a seguito della notifica (in data 04.03.2019), da parte della Cancelleria del Tribunale Federale FISE, dell’avviso di fissazione dell’udienza al 2.04.2019, preceduto da una telefonata con la quale il personale di Cancelleria del Tribunale aveva segnalato l’esito di una prima mancata consegna della pec contenente la notifica all’indirizzo indicato nella scheda del Circolo, chiedendo che fosse fornito l’indirizzo corretto.

A seguito della comunicazione, da parte della -OMISSIS-, dell’indirizzo pec esatto, la notifica veniva ritualmente eseguita.

Non altrettanto avveniva per le notifiche degli atti precedenti all’avviso di fissazione dell’udienza (segnatamente la comunicazione dell’avviso di conclusione delle indagini ed il successivo atto di incolpazione e deferimento), che venivano inviati dalla Procura Federale all’indirizzo pec errato (-OMISSIS-, anziché -OMISSIS-).

In relazione a tale mancata notifica i ricorrenti, lamentando di non aver potuto avvalersi delle garanzie partecipative previste dall’articolo 67 del Regolamento di Giustizia per essere ascoltati ed assumere i mezzi di prova a loro discolpa, con memoria del 19.3.2019, eccepivano la nullità del procedimento disciplinare, chiedendo il rinvio degli atti alla Procura Federale per la rinnovazione della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini e, in subordine, il differimento dell'udienza, oltre a spiegare le proprie difese nel merito.

Il procedimento dinanzi al Tribunale Federale seguiva tuttavia il suo corso e si concludeva con la decisione del 28.05.2019, con la quale l’Organo di giustizia sportiva superava le eccezioni preliminari, evidenziando che l’avviso di conclusione delle indagini e contestuale intenzione di deferimento ex art. 64 R.G. era stato in realtà correttamente notificato dalla Procura Federale all’indirizzo pec comunicato dal Circolo alla Federazione e che in ogni caso la violazione del contraddittorio non avrebbe potuto essere opposta dalla parte che vi aveva dato causa ex art. 157, comma 3, c.p.c..

Nel merito, il Tribunale accoglieva le richieste della Procura Federale, ritenendo provati i fatti contestati ed irrogando ai ricorrenti le sanzioni in questa sede impugnate.

La decisione veniva ribadita nei successivi gradi di giudizio interni all’ordinamento sportivo.

In particolare, la Corte Federale d’Appello FISE, con decisione del 2 luglio 2019, dichiarava il reclamo avverso la decisione del Tribunale Federale in parte inammissibile ed in parte infondato, mentre il Collegio di Garanzia del CONI, con decisione del 12 novembre 2019, respingeva il reclamo avverso la decisione della Corte Federale d’Appello ritenendolo anch’esso in parte inammissibile ed in parte infondato.

Tanto premesso in punto di fatto, con il primo ordine di censure, i ricorrenti lamentano di aver avuto conoscenza della pendenza del procedimento disciplinare solo in data 4 marzo 2019, a seguito della notifica dell’avviso di fissazione della prima udienza, senza aver ricevuto le precedenti notifiche dell’avviso di conclusione delle indagini e dell’atto di incolpazione e deferimento, inviate dalla Segreteria della Procura Federale, ma non consegnate per un errore nell’indicazione dell’indirizzo pec.

A causa della mancata ricezione di tali atti, i ricorrenti deducono di non aver potuto esercitare le facoltà garantite dal Regolamento di Giustizia nella fase procedimentale (essere ascoltati ed assumere mezzi di prova a discolpa), censurando sul punto la motivazione delle decisioni impugnate, che avevano ritenuto il difetto di notifica imputabile alle parti ricorrenti, le quali avevano indicato un indirizzo pec errato all’atto dell’affiliazione e che, in ogni caso, si erano comunque costituite in giudizio, articolando memorie difensive nel merito.

In sostanza, i ricorrenti censurano le decisioni impugnate evidenziando che la Procura Federale, pur essendosi resa conto dell’erroneità dell’indirizzo pec indicato all’atto dell’affiliazione ed avendo ricevuto un riscontro negativo dal sistema informatizzato, concernente la mancata consegna dell’ avviso di conclusione delle indagini e dell’atto di incolpazione e deferimento, non aveva contattato il Centro ippico, ovvero i ricorrenti, per segnalare l’accaduto; in tal senso aveva invece correttamente proceduto il Tribunale Federale, che aveva parimenti riscontrato l’impossibilità di procedere alla notifica dell’avviso di fissazione udienza in ragione dell’erroneità dell’indirizzo pec ed aveva pertanto contattato i ricorrenti, invitandoli a fornire un indirizzo pec corretto, come effettivamente poi avvenuto.

Con il secondo ordine di censure, i ricorrenti deducono che il -OMISSIS- è un semplice tesserato del -OMISSIS- e che pertanto non sarebbe a lui in alcun modo riferibile l’errore nell’indicazione della pec addebitato dagli Organi della giustizia sportiva al -OMISSIS-. Sul punto, i ricorrenti evidenziano che, ai sensi del comma secondo dell’art. 31 del regolamento di Giustizia FISE, gli atti di avvio dei procedimenti disciplinari devono essere comunicati presso la sede dell’Associazione di appartenenza dei soggetti che vi sono sottoposti, la quale deve poi provvedere ad informare il tesserato; ne consegue che nel caso di specie il -OMISSIS- non sarebbe stato avvisato dell’avvio dell’azione disciplinare senza sua colpa.

Con il terzo ordine di motivi, i ricorrenti censurano la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport nella parte in cui l’Organo ha ritenuto incompatibile, rispetto ai vizi lamentati, la richiesta dei ricorrenti di definire nel merito e senza rinvio il giudizio, senza considerare che in realtà i ricorrenti avevano esplicitamente richiesto, in via subordinata, anche l’annullamento delle decisioni con restituzione degli atti alla Procura Federale della FISE, domanda quest’ultima alla quale le parti non avevano rinunciato e sulla quale il Collegio di Garanzia non si era pronunciato.

Con il quarto ordine di censure, i ricorrenti deducono l’erronea declaratoria di inammissibilità di alcuni dei motivi di reclamo dinanzi alla Corte Federale d’Appello e di alcuni dei motivi di ricorso dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, ritenuti dagli Organi della giustizia sportiva in contrasto con i principi del codice del processo civile in relazione all’effetto devolutivo non automatico dell’appello ed alla specificità dei motivi ex art. 342 c.p.c..

Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono che le sanzioni sono state irrogate al termine di un procedimento posto in essere in violazione del diritto di difesa, sulla base di deposizioni che non potevano costituire prova del fatto, sia per l’inattendibilità soggettiva dei dichiaranti, sia perché smentite da altre testimonianze. Peraltro, i ricorrenti deducono la violazione dei principi generali in materia di contraddittorio e specificatamente gli artt. 21 R.G. FISE e 2 C.G.S., non avendo il Tribunale Federale consentito di controinterrogare alcuni dei testi, oltre ad aver impedito l’escussione di altri soggetti a discarico. In conclusione, secondo le deduzioni dei ricorrenti, il tribunale Federale avrebbe posto in essere un’istruttoria carente ed un provvedimento conclusivo viziato da evidente illogicità.

Con il sesto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono che le sanzioni irrogate risultano in ogni caso caratterizzate da un rigore eccessivo ed irragionevole, che non trova giustificazione né nell’istruttoria, nè nel regolamento FISE, senza che gli Organi della giustizia sportiva abbiano tenuto conto della personalità e dei precedenti dei soggetti sanzionati, mai in passato destinatari di provvedimenti disciplinari.

Nel corso del giudizio i ricorrenti hanno depositato documentazione relativa all’oggetto della controversia.

In particolare, in data 25.05.2021 è stato depositato il verbale della Legione Carabinieri Veneto datato 18.07.2020, redatto nel corso delle indagini preliminari relative al procedimento penale aperto a carico di -OMISSIS- e di -OMISSIS- per il reato di maltrattamento di animali, in relazione ai medesimi fatti oggetto del presente gravame.

Con il suddetto verbale la polizia giudiziaria, a seguito delle indagini, ha avanzato una serie di dubbi in relazione alla veridicità ed all’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie dei testimoni escussi nell’ambito del giudizio sportivo di primo grado, escludendo la rilevanza penale dei fatti, ritenuti in ogni caso episodi occasionali e non adeguatamente circostanziati, ovvero non adeguatamente documentati e non segnalati alle autorità competenti.

Di analogo tenore anche la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Verona, datata 21.10.2020, che ha concluso per la non fondatezza della notizia di reato in quanto i fatti contestati non erano stati confermati da un numero rilevante di persone che frequentavano quotidianamente il Centro ippico; inoltre, la Procura della Repubblica ha evidenziato la sussistenza di ragionevoli dubbi in merito alla credibilità delle dichiarazioni accusatorie.

Anche il successivo decreto di archiviazione del GIP presso il Tribunale di Verona, datato 22.01.2021, ha recepito le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero.

Infine, in data 01.06.2021 la difesa dei ricorrenti ha depositato la perizia a firma del dott. Chiappa, tesa a stimare il danno patito da -OMISSIS- a seguito dei provvedimenti sanzionatori impugnati e la perizia a firma del dott. Latorre, riferita al danno patito dal -OMISSIS-, mentre in relazione ai danni patiti dal -OMISSIS- è stata depositata apposita perizia a firma del dott. Sella.

Si è costituito il CONI, eccependo l’inammissibilità della richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati in ragione del difetto di giurisdizione del giudice statale e, in particolare, di quello amministrativo, deducendo peraltro l’inammissibilità della domanda risarcitoria, in quanto generica ed indeterminata.

Nel merito di tale ultima domanda, peraltro, il Comitato olimpico nazionale ha dedotto l’infondatezza delle censure, precisando che la lamentata mancata o inesatta notifica dei provvedimenti della Procura Federale doveva ritenersi imputabile ai ricorrenti.

Sul punto il CONI ha precisato che l’art. 31 del Regolamento di Giustizia FISE e l’art. 11 del Codice della Giustizia Sportiva del CONI prevedono che ogni comunicazione ad affiliati e tesserati da parte della Procura Federale e degli Organi di Giustizia debba avvenire mediante l’utilizzo dello strumento della posta elettronica certificata presso l’indirizzo indicato dallo stesso affiliato sulla scheda di affiliazione o riaffiliazione, erroneamente indicato dai ricorrenti in -OMISSIS-, anziché -OMISSIS-.

Di conseguenza, il Comitato ha ritenuto doverosa e legittima l’applicazione, alla fattispecie oggetto di giudizio, del principio sancito dall’art. 157, comma 3, c.p.c., nella parte in cui si afferma che “la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa”, escludendo peraltro alcun vulnus al diritto di difesa dei ricorrenti, che avevano effettivamente avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa nell’ arco dell’intero giudizio di primo grado.

Non si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Sport Equestri.

All’udienza del 05.07.2021 il ricorso è stato introitato per la decisione.

E’ innanzitutto fondata l’eccezione di parziale difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del CONI.

La cognizione di questo Tribunale non può concernere la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati, ma solo le connesse richieste risarcitorie.

Sul punto, deve ribadirsi il consolidato orientamento giurisprudenziale in base a cui, in tema di sanzioni disciplinari sportive, vi è difetto assoluto di giurisdizione sulle controversie riguardanti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni, riservate, a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, agli organi di giustizia sportiva che le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l'onere di adire ai sensi del D.L. n. 220 del 2003, convertito in L. n. 280 del 2003, anche ove si invochi la tutela in forma specifica della rimozione della sanzione disciplinare, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a., in ordine alla tutela risarcitoria per equivalente, non operando in tal caso alcuna riserva a favore della giustizia sportiva e potendo il giudice amministrativo conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale (cfr., tra molte, Cassazione civile sez. un., 28/12/2020, n.29654).

Al riguardo non può che richiamarsi anche quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 160/2019, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2, (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito con modificazioni con la L. 17 ottobre 2003, n. 280, legittimando la limitazione della tutela giurisdizionale ai soli aspetti risarcitori conseguenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive.

Sul punto, il Giudice delle Leggi ha precisato che, pur essendo esclusa la diretta giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti attraverso i quali sono irrogate le sanzioni disciplinari sportive, rimane ferma la possibilità, per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o interessi legittimi, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. Questa forma di tutela per equivalente, per quanto diversa rispetto a quella di annullamento in via generale assegnata al giudice amministrativo, risulta in ogni caso idonea a corrispondere al vincolo costituzionale di necessaria protezione giurisdizionale dell'interesse legittimo. La scelta legislativa che la esprime è frutto infatti del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. — bilanciamento che lo ha indotto ad escludere la possibilità dell'intervento giurisdizionale maggiormente incidente su tale autonomia, mantenendo invece ferma la tutela per equivalente. Deve poi escludersi il carattere costituzionalmente necessitato della tutela demolitoria degli interessi legittimi, in quanto l'art. 113 Cost., correttamente interpretato, attribuisce al legislatore ordinario un certo spazio di valutazione nel regolare modi ed efficacia della tutela giurisdizionale contro l'atto amministrativo.

Di conseguenza, il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l'esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari — che è a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 22/08/2018, n.5019).

Pertanto, la cognizione di questo Tribunale, esercitata in via incidentale sugli atti degli Organismi dell’Ordinamento sportivo, risulta finalizzata e limitata a statuire sulla domanda risarcitoria formulata dai ricorrenti.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che tale domanda risarcitoria sia parzialmente fondata e vada accolta, entro i seguenti limiti.

L'azione risarcitoria esercitata dai ricorrenti è riconducibile entro lo statuto della responsabilità aquiliana della P.A., estendibile anche agli atti, ai provvedimenti ed ai comportamenti delle Federazioni sportive, che svolgono anche attività di valenza pubblicistica rispetto alla quale non può che essere loro riconosciuta natura pubblica.

Quanto agli Organi di giustizia incardinati presso le Federazioni sportive, questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare che si tratta di organi giustiziali rispetto alle decisioni aventi rilevanza interna per l'ordinamento sportivo, mentre debbono considerarsi partecipare della medesima natura pubblicistica delle Federazioni cui appartengono ogni qualvolta le loro decisioni rivestano rilevanza giuridica esterna per l'ordinamento statale.

Le decisioni degli organi di giustizia federale, dunque, devono considerarsi alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta, seppur in materia disciplinare riservata, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a, d.l. n. 220 cit., all'ordinamento sportivo, vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale, che come tali, non possono sfuggire alla tutela giurisdizionale statale, pena la lesione del fondamentale diritto di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 Cost. (TAR Lazio, Roma, sez. I-ter, sent. nr. 1163/2017).

Pertanto, allorquando la decisione in materia disciplinare giunga a ledere posizione giuridicamente rilevanti per l'ordinamento statale, torna ad espandersi la giurisdizione residuale del giudice amministrativo in materia, innanzi al quale può essere fatta valere, appunto, la pretesa risarcitoria secondo i dettami delle sentenze della Corte Costituzionale n. 49/2011 e n. 160/2019.

Dall'asserita natura amministrativa degli organi delle Federazioni sportive, allorquando l'attività dagli stessi espletata giunga ad investire posizioni giuridiche rilevanti per l'ordinamento statale, discende la sottoposizione della loro responsabilità al paradigma della responsabilità aquiliana della P.A., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito e con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall' art. 2697, comma 1, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento.

Ai fini della configurabilità della responsabilità della P.A., la giurisprudenza è costante nell'affermare che "non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal giudice comunitario, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; il giudice può negarla, invece, quando l'indagine conduca al riconoscimento dell'errore scusabile con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art. 2043 cod. civ.) della Pubblica amministrazione per danno, devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità" (Cons. St., sez. IV, 1° agosto 2016, n. 3464; sez. V, 18 gennaio 2016, n. 125).

La riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta tuttavia, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'Amministrazione - indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso, spettando alla P.A. provare l'assenza di colpa, attraverso la dimostrazione, in ipotesi, della sussistenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 maggio 2016, n. 5967).

Quanto al regime della prova, la giurisprudenza ha chiarito che il rinvio al sistema delle presunzioni semplici, di cui agli artt. 2727 e 2729, c.c., induce a ritenere che l'illegittimità del provvedimento annullato costituisce soltanto uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell'Amministrazione; e in virtù di tale configurazione, qualora si annulli un provvedimento illegittimo, grava su di essa l'onere di provare l'assenza di colpa, mediante la deduzione di circostanze integranti gli estremi dell'errore scusabile (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1356).

Più di recente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha parametrato in maniera ancor più precisa i confini della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione, ascrivendola, ancora una volta, al paradigma della responsabilità extracontrattuale, con tutto ciò che ne consegue in termini di regime giuridico ed onere della prova (Consiglio di Stato, Ad. Plen. nr. 7/2021).

Il Supremo Consesso ha rimarcato la centralità dell’elemento dell’ingiustizia del danno, requisito da dimostrare in giudizio con onere a carico della parte che si assume danneggiata.

L’ingiustizia del danno si correla infatti alla dimensione sostanzialistica dell’interesse leso, per cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può ottenere il risarcimento per equivalente monetario.

In relazione al nesso di causalità materiale, che correla il fatto colposo o doloso con il danno evento, è sufficiente rinviare ai più recenti ed incontestati arresti della Suprema Corte in materia, che ha chiarito, una volta di più, come in tema di responsabilità extracontrattuale la causalità materiale trovi le sue norme di riferimento negli art. 40 e 41 c.p., seguendone il relativo regime giuridico (cfr., per tutte, Cass. nr. 28986/2019).

Quanto agli altri elementi costitutivi della responsabilità da fatto illecito e, in particolare, quanto al danno-conseguenza, non vengono in rilievo profili di carattere pubblicistico, ma si pone la questione di individuare e quantificare i danni derivanti dalla lesione dell’interesse del privato, e dunque di imputare all’evento dannoso causalmente correlato al fatto illecito, sul piano della causalità materiale, i pregiudizi patrimoniali da reintegrare per equivalente monetario, conseguenze dirette e immediate dell’evento sul piano della causalità giuridica, regolata dall’art. 1223 c.c. (cfr., ancora, Cass. nr. 28986/2019) che impone, sotto un profilo probatorio, un giudizio di verosimiglianza, in cui occorre stabilire se il guadagno futuro e solo prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui.

In quest’ambito è sorta, peraltro, la tematica della risarcibilità della chance, considerata ormai dalla giurisprudenza civile e amministrativa una posizione giuridica autonomamente tutelabile, “morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall’elemento causale dell’illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa)”, purché ne sia provata una consistenza probabilistica adeguata.

Posta questa premessa, quanto alla valutazione dei danni occorre fare riferimento all’art. 2056 c.c., che rimette all’equo apprezzamento delle circostanze del caso la valutazione del danno-conseguenza. La liquidazione equitativa assume una centrale rilevanza in tema di quantificazione di danni che si proiettano nel futuro e non sono determinabili con la certezza propria di quelli verificabili sul piano storico.

Alla luce di tali generali, ma necessarie, premesse, venendo al caso di specie, deve innanzitutto rilevarsi che i ricorrenti hanno fornito - entro i seguenti limiti - la prova di tutti gli elementi costituivi dell’illecito aquiliano e, segnatamente, la prova della sussistenza di un danno ingiusto cagionato dalla condotta colposa del danneggiante e delle relative conseguenze pregiudizievoli nella sfera giuridica dei danneggiati.

Il danno ingiusto si concreta nelle illegittime decisioni degli Organi giudicanti della giustizia sportiva e, ancor prima, nell’illegittimo modus operandi della Procura Federale della FISE.

Sul punto, i ricorrenti hanno lamentato la lesione dei diritti di difesa nell’ambito del procedimento disciplinare instaurato d’ufficio dalla Procura Federale FISE, deducendo di non aver mai ricevuto le notifiche degli atti precedenti all’avviso di fissazione dell’udienza (segnatamente la comunicazione dell’avviso di conclusione delle indagini e del successivo atto di incolpazione e deferimento), che venivano inviati dalla Procura Federale all’indirizzo pec errato (-OMISSIS-, anziché -OMISSIS-).

In relazione a tale mancata notifica i ricorrenti, lamentando di non aver potuto avvalersi delle garanzie partecipative previste dall’articolo 67 R.G. per essere ascoltati ed assumere i mezzi di prova a loro discolpa, con memoria del 19.3.2019, hanno eccepito la nullità del procedimento disciplinare, chiedendo il rinvio degli atti alla Procura Federale per la rinnovazione della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini e, in subordine, il differimento dell'udienza, oltre a spiegare le proprie difese nel merito.

Sul punto il Tribunale Federale, con decisione ratificata anche dalla Corte Federale d’Appello e dal Collegio di Garanzia del CONI, ha ritenuto che l’avviso di conclusione delle indagini e contestuale intenzione di deferimento ex art. 64 RG era stato in realtà correttamente notificato dalla Procura Federale all’indirizzo pec comunicato dal Circolo alla Federazione e che in ogni caso la violazione del contraddittorio non avrebbe potuto essere opposta dalla parte che vi aveva dato causa ex art. 157, comma 3, c.p.c..

I ricorrenti hanno dunque censurato le decisioni impugnate evidenziando che la Procura Federale, pur essendosi resa conto dell’erroneità dell’indirizzo pec indicato all’atto dell’affiliazione ed avendo ricevuto un riscontro negativo dal sistema informatizzato, concernente la mancata consegna dell’ avviso di conclusione delle indagini e dell’atto di incolpazione e deferimento, non aveva contattato il Centro, ovvero i ricorrenti, per segnalare l’accaduto; in tal senso aveva invece correttamente proceduto il Tribunale Federale, che aveva parimenti riscontrato l’impossibilità di procedere alla notifica dell’avviso di fissazione udienza in ragione dell’erroneità dell’indirizzo pec ed aveva contattato i ricorrenti, invitandoli a fornire un indirizzo pec corretto, come effettivamente poi avvenuto.

La difesa del CONI ha sul punto invocato l’art. 31 del Regolamento di Giustizia FISE e l’art. 11 del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, i quali prevedono che ogni comunicazione ad affiliati e tesserati da parte della Procura Federale e degli Organi di Giustizia debba avvenire mediante l’utilizzo dello strumento della posta elettronica certificata presso l’indirizzo indicato dallo stesso affiliato sulla scheda di affiliazione o riaffiliazione, con conseguente applicazione, alla fattispecie oggetto di giudizio, del principio sancito dall’art. 157, comma 3, c.p.c., nella parte in cui si afferma che “la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa”, escludendo lesioni del diritto di difesa dei ricorrenti, che avevano peraltro avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa nell’intero giudizio di primo grado.

Così compendiate le posizioni delle parti su tale aspetto della questione, rileva il Collegio come non sia contestato che il Centro Ippico Il Muretto abbia fornito, in fase di affiliazione, un indirizzo pec erroneo, indicando quello di “-OMISSIS-”, anziché quello -OMISSIS-., da ritenersi corretto.

Emerge parimenti dagli atti causa e non è contestato che l’avviso di conclusione delle indagini e l’atto di incolpazione e deferimento siano stati inviati al recapito errato, generando, per il notificante, una ricevuta di mancata ricezione da parte della casella di posta elettronica indicata.

La medesima problematica di ricezione è stata riscontrato dal Tribunale Federale, all’atto della notifica dell’avviso di fissazione udienza, ma è stata superata contattando il Centro ippico ed ottenendo l’indirizzo corretto, al quale sono stati poi effettivamente notificati gli atti successivi.

Occorre dunque innanzitutto stabilire se il comportamento della Procura Federale, che si è resa conto dell’erroneità dell’indirizzo pec a cui sono state effettuate le notifiche degli atti prodromici rispetto al procedimento dinanzi al Tribunale Federale, possa ritenersi corretto ai sensi dell’art. 31 del Regolamento di Giustizia FISE, dell’art. 11 del Codice della Giustizia Sportiva del CONI e dell’art. 157 comma 3 c.p.c..

Il Collegio ritiene di dover fornire al quesito risposta negativa.

L’art. 31 del Regolamento di Giustizia della FISE, ai primi tre commi, così dispone:

“1. Tutti gli atti del procedimento e dei quali non sia stabilita la partecipazione in forme diverse sono comunicati a mezzo di posta elettronica certificata. Il Giudice può invitare le parti a concordare forme semplificate di comunicazione tra le stesse, anche mediante rinuncia ad avvalersi in ogni modo dei difetti di trasmissione, riproduzione o scambio.

2. Gli atti di avvio dei procedimenti disciplinari sono comunicati presso la sede della Società, dell’Associazione o dell’Ente di appartenenza dei soggetti che vi sono sottoposti; in caso di mancata consegna della comunicazione al Tesserato, alla Società, all’Associazione o all’Ente è sanzionabile fino alla revoca dell’affiliazione. In ogni caso, la prima comunicazione può essere fatta in qualunque forma idonea al raggiungimento dello scopo.

3. È onere delle parti di indicare, nel primo atto difensivo, l’indirizzo di posta elettronica certificata presso il quale esse intendono ricevere le comunicazioni; in difetto, le comunicazioni successive alla prima sono depositate presso la Segreteria dell’organo procedente e si hanno per conosciute con tale deposito.”

Parallelamente, l’art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI, ai primi tre commi, così dispone:

“1. Tutti gli atti del procedimento e dei quali non sia stabilita la partecipazione in forme diverse sono comunicati a mezzo di posta elettronica certificata. Le Federazioni prevedono che, all’atto dell’affiliazione o del rinnovo della stessa, l’istante comunichi l’indirizzo di posta elettronica certificata eletto per le comunicazioni. Il Giudice può invitare le parti a concordare forme semplificate di comunicazione tra le stesse, anche mediante rinuncia ad avvalersi in ogni modo dei difetti di trasmissione, riproduzione o scambio.

2. Gli atti di avvio dei procedimenti disciplinari sono comunicati presso la sede della Società, Associazione o Ente di appartenenza dei soggetti che vi sono sottoposti; “in caso di mancata consegna della comunicazione al tesserato, la Società, Associazione o Ente è sanzionabile fino alla revoca dell’affiliazione. In ogni caso, la prima comunicazione può essere fatta in qualunque forma idonea al raggiungimento dello scopo.

3. È onere delle parti di indicare, nel primo atto anche anteriore al deferimento, l’indirizzo di posta elettronica certificata presso il quale esse intendono ricevere le comunicazioni; in difetto, le comunicazioni successive alla prima sono depositate presso la segreteria dell’organo procedente e si hanno per conosciute con tale deposito.”

Dal combinato disposto delle due norme di evince che è fatto obbligo all’affiliato di comunicare, alla Federazione di appartenenza, un indirizzo di posta elettronica certificata eletto per le comunicazioni.

Gli atti di avvio del procedimento disciplinare devono essere inviati, di norma, presso quell’indirizzo; tuttavia, entrambe le disposizioni citate prevedono che, in ogni caso, la prima comunicazione possa essere fatta in qualunque forma idonea al raggiungimento dello scopo, rimanendo comunque onere delle parti quello di indicare, nel primo atto utile, l’indirizzo di posta elettronica certificata presso il quale intendono ricevere le comunicazioni.

Le norme citate vanno peraltro lette in combinato disposto, rispettivamente, con gli articoli 21 del Regolamento di Giustizia della FISE e 2 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI, rubricati “Principi del Processo Sportivo”, che assoggettano il processo sportivo ai principi della parità delle parti, del contraddittorio ed agli altri principi del giusto processo, prevedendo un obbligo di cooperazione tra i giudici e le parti nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinato andamento dell’attività federale.

Infine, quale norma di chiusura, viene previsto che, per quanto non espressamente disciplinato, gli Organi di Giustizia debbano conformare la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, sempre però nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva.

Tali ultime disposizioni, gemmazione del superiore principio di buona fede, che permea senz’altro anche il settore sportivo, impongono un generalizzato obbligo di cooperazione tra gli Organi giustiziali delle Federazioni e gli affiliati, necessario ad un generalizzato buon andamento dell’attività federale nel suo complesso.

Ebbene, ritiene il Collegio che nel caso di specie tale obbligo sia stato disatteso dalla Procura Federale della FISE.

L’Organo di giustizia, infatti, ha avuto contezza del mancato recapito di atti fondamentali per la difesa dei ricorrenti e, ciononostante, non si è attivato per superare la problematica, limitandosi ad invocare il principio di autoresponsabilità dei destinatari i quali, secondo la tesi della Procura Federale, avendo indicato un indirizzo pec non esatto, avrebbero dovuto soggiacere alle ricadute pratiche dell’errore.

La contrarietà del comportamento della Procura emerge anche dal confronto con il modus operandi del Tribunale Federale, Organismo della medesima Federazione FISE, che, al contrario, avvedutosi della problematica, ha contattato la legale rappresentante del Circolo, ottenendo un indirizzo pec esatto al quale ha poi correttamente proceduto ad effettuare le comunicazioni.

Il Tribunale Federale dunque, a differenza della Procura Federale, ha correttamente interpretato le disposizioni del CONI e della FISE citate in premessa, nella parte in cui dispongono che “In ogni caso, la prima comunicazione può essere fatta in qualunque forma idonea al raggiungimento dello scopo”, adoperando per l’appunto un modulo elastico di risoluzione delle problematiche di comunicazione, conforme ai superiori principio di leale collaborazione tra Federazioni ed affiliati.

Che il notificante sia tenuto ad un generale dovere di buona fede e di leale collaborazione è principio oramai acquisito dalla giurisprudenza, la quale ha avuto modo di precisare che l'ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l'ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall'art. 143 c.p.c., deve essere valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell'art. 1147 c.c. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all'acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell'art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata; ne consegue l'adeguatezza delle ricerche svolte in quelle direzioni (uffici anagrafici, ultima residenza conosciuta) in cui è ragionevole ritenere, secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni della cura che ciascuno ha dei propri affari ed interessi, siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, per consentire ai terzi di conoscere l'attuale suo domicilio (residenza o dimora) (Cass. 31 luglio 2017, n. 19012; Cass. 4 giugno 2014, n. 12526).

Ne deriva che, nel caso di specie, la riscontrata mancata ricezione della comunicazione via pec da parte della Procura Federale avrebbe dovuto imporre a tale Organo di attivarsi contattando i ricorrenti e richiedendo di fornire un indirizzo corretto, ovvero di procedere alla notifica in altri modi, non esorbitando tali ulteriori adempimenti dagli ordinari ed esigibili doveri di collaborazione che possono ragionevolmente attribuirsi al notificante in ossequio al superiore principio di buona fede.

Né può essere invocato, a difesa del comportamento della Procura Federale, il principio sancito dall’art. 157, comma 3, c.p.c., nella parte in cui si afferma che “la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa”.

La norma, infatti, in quanto richiamata dal successivo articolo 160 c.p.c., si applica alla nullità degli atti processuali e delle notificazioni, ma non alle ipotesi di inesistenza, che si verifica al contrario quando non viene generata la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica certificata. Sul punto deve infatti rilevarsi che la notifica a mezzo posta elettronica certificata non si esaurisce con l'invio telematico dell'atto, ma si perfeziona con la consegna del plico informatico nella casella di posta elettronica del destinatario, e la prova di tale consegna è costituita dalla ricevuta di avvenuta consegna. La mancata produzione della ricevuta di avvenuta consegna della notifica a mezzo p.e.c. dell’atto, pertanto, impedisce di ritenere perfezionato il procedimento notificatorio, determinando quindi l'inesistenza della notificazione (cfr., sul punto, Cassazione civile, sez. lav., 07.10.2015, n. 20072), non essendo peraltro l’atto pervenuto, comunque, alla conoscenza del destinatario e non risultando pertanto applicabile il principio sostanzialistico espresso dalla Cassazione civile nella nota sentenza a sez. un., 18.4.2016, n. 7665.

A margine, non è superfluo evidenziare che la norma di cui all’art. 157 comma 3 c.p.c. non potrebbe, in ogni caso, essere invocata dalla parte che, essendosi potuta avvedere del mancato perfezionamento della notifica, non si sia ciononostante attivata per sanarla, preferendo trincerarsi dietro una lettura formalistica della norma, contraria al generale canone di buona fede.

Tali conclusioni appaiono al Collegio avvalorate anche dalle conseguenze pregiudizievoli che possono derivare ai soggetti sottoposti al potere disciplinare delle Federazioni.

Si è già fatto cenno, infatti, al peculiare sistema di rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento nazionale, plasmato dal legislatore con la Legge nr. 280/2003 e progressivamente decodificato dalla Corte Costituzionale con le decisioni citate in premessa, che hanno chiarito contenuto e limiti del potere giurisdizionale statale sugli atti delle Federazioni sportive.

Tale assetto di rapporti vede oggi gli Organismi della giustizia sportiva titolari di una potestà sanzionatoria tendenzialmente assoluta, in quanto non contestabile, sotto il profilo caducatorio, dinanzi agli organi giurisdizionali. Si è già rimarcato come tale peculiare sistema di rapporti sia stato giudicato costituzionalmente legittimo con la nota e recente sentenza nr. 160/2019, con la quale la Consulta ha ritenuto che, pur essendo esclusa la diretta giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti attraverso i quali sono irrogate le sanzioni disciplinari sportive, rimane ferma la possibilità, per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o interessi legittimi, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. Questa forma di tutela per equivalente, per quanto diversa rispetto a quella di annullamento in via generale assegnata al giudice amministrativo, risulta in ogni caso idonea a corrispondere al vincolo costituzionale di necessaria protezione giurisdizionale dell'interesse legittimo.

Rimane il fatto che unici arbitri della rispondenza o meno dei comportamenti dei soggetti affiliati rispetto alle regole di comportamento espresse dalle Federazioni rimangono le Federazioni medesime, oltre al CONI, pur se le relative sanzioni comportano notevoli conseguenze anche sul piano dell’ordinamento giuridico statale, a livello sociale, morale ed economico.

In tale quadro, allora, deve pretendersi, in capo agli Organi giustiziali delle Federazioni, la rigorosa applicazione del principio del contraddittorio e la più ampia garanzia del diritto di difesa e di parità delle armi, che devono dirsi violati nella fattispecie oggetto di giudizio.

Non è infatti contestabile che in un procedimento disciplinare la mancata ricezione la comunicazione dell’avviso di conclusione delle indagini e del successivo atto di incolpazione e deferimento siano idonei ad inficiare tutto il successivo iter procedimentale, in quanto l’interessato deve essere messo in condizioni di contraddire fin da subito con l’autorità procedente, al fine di offrire materiale probatorio a discarico fin dalla fase precedente rispetto alla chiusura dell’indagine.

Sul punto, deve infatti rilevarsi che il rispetto del giusto procedimento, delle garanzie processuali e del diritto alla difesa, letti anche alla luce dei principi e della prassi della CEDU e della CGUE, non si esauriscono nel passaggio formale dell'audizione o nell'acquisizione acritica delle deduzioni scritte dell'incolpato, ma devono integrare una completa valutazione delle circostanze e dei fatti alla luce degli apporti partecipativi forniti dal destinatario del provvedimento fin dalla fase delle indagini.

Nel caso di specie, pertanto, la mancata ricezione dei sopra indicati avvisi ha concretamente impedito ai ricorrenti di avvalersi delle garanzie partecipative previste dall’articolo 67 del Regolamento di Giustizia della FISE, per essere ascoltati ed assumere i mezzi di prova a loro discolpa, consistenti peraltro nell’audizione di testimoni a discarico, le cui deposizioni avrebbero potuto orientare diversamente lo svolgimento delle indagini.

Il grave deficit partecipativo che ha contraddistinto la fase delle indagini di competenza della Procura Federale si è propagato alle successive fasi di giudizio, fino alla decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI.

Eppure, con memoria del 19.3.2019 (depositata in data 20.3.2019), i ricorrenti hanno eccepito la nullità del procedimento disciplinare, chiedendo il rinvio degli atti alla Procura Federale per la rinnovazione della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini e, in subordine, il differimento dell'udienza, oltre a spiegare le proprie difese nel merito.

Tuttavia, sul punto, il Tribunale Federale (che pure, come ricordato, aveva ritenuto di dover superare il dato formale dell’indirizzo pec sbagliato, contattando i ricorrenti e ricevendo un indirizzo corretto) non ha ritenuto di dover far regredire il procedimento allo stato delle indagini, rimettendo le parti in termini per esercitare le garanzie partecipative ad esse riservate dal Regolamento di Giustizia FISE, addossando loro le conseguenze dell’errata indicazione dell’indirizzo pec.

Ha errato, parimenti, anche la Corte Federale d’Appello (e dopo il Collegio di Garanzia del CONI) che sul punto ha ritenuto che “la costituzione dei deferiti abbia una efficacia sanante della eventuale nullità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini e dell’atto di incolpazione e deferimento, ai sensi dell’art. 156 c.p.c.. Né può dirsi violato il diritto di difesa a causa della tardiva conoscenza dell’atto di deferimento, in quanto essa appare sconfessata dalla complessa e puntuale articolazione della memoria difensiva di primo grado.”

Al riguardo, si deve rilevare come la costituzione dei deferiti – che, si ribadisce, hanno espressamente chiesto la restituzione degli atti alla Procura per poter usufruire delle garanzie difensive riconosciute dal Regolamento di Giustizia FISE – non possa sanare una notifica inesistente, tale dovendo ritenersi quella dell’avviso di conclusione delle indagini e dell’atto di incolpazione e deferimento.

Peraltro, l’attività difensiva esercitata dai deferiti nel giudizio di primo grado non può in alcun modo sanare il difetto di attività difensiva verificatosi nella fase precedente per fatto imputabile alla Procura Federale.

Sul punto, la Procura avrebbe al più dovuto fornire la prova che l’eventuale partecipazione degli interessati già in fase di indagine non avrebbe potuto influire sulla portata dell’atto di incolpazione e di deferimento, prova non fornita e che, alla luce anche della successiva evoluzione del procedimento penale, appare quantomeno di difficile produzione.

Non può infatti sottacersi come l’escussione dei testimoni indicati dalla difesa dei ricorrenti dinanzi alla polizia giudiziaria delegata alla conduzione delle indagini abbia gettato nuova luce sulla ricostruzione dei fatti, generando dubbi in relazione alla veridicità delle dichiarazioni accusatorie dei testi già escussi nell’ambito del giudizio sportivo di primo grado.

Le violazioni procedurali poste in essere dalla Procura Federale ed erroneamente ritenute sanate dal Tribunale Federale si sono propagate alle decisioni della Corte Federale d’Appello e del Collegio di Garanzia, rendendo illegittima l’applicazione delle sanzioni a carico degli odierni ricorrenti.

L’illegittimità dei provvedimenti sanzionatori, qui accertata ai soli fini incidentali ed al fine di sindacare la domanda risarcitoria, è sintomo della colpa degli Organi giustiziali della Federazione, che trae da tutte le considerazioni che precedono e, in particolare, dalla violazione degli obblighi di collaborazione e buona fede di cui si è detto, ampie conferme.

Deve poi rilevarsi che l’illegittimità dell’azione disciplinare esercitata dalla Procura Federale FISE appare ancor più evidente con riferimento alla posizione del -OMISSIS-, incolpato anche di aver impartito lezioni nella disciplina del salto ad ostacoli in assenza della carica federale di istruttore e, quindi, svolgendo in maniera abusiva la relativa attività, essendo il medesimo abilitato solo come tecnico di equitazione americana.

Sul punto, la difesa del ricorrente ha opportunamente evidenziato che il -OMISSIS- è un semplice tesserato del -OMISSIS- e che, pertanto, non sarebbe a lui in alcun modo imputabile l’errore nell’indicazione della pec addebitato dagli Organi della giustizia sportiva al Circolo Il Muretto; ed infatti ai sensi dell’art. 31 del Regolamento di Giustizia FISE, gli atti di avvio dei procedimenti disciplinari devono essere comunicati presso la sede dell’Associazione di appartenenza dei soggetti che vi sono sottoposti, la quale Associazione provvede, poi, ad informare il tesserato.

Nel caso di specie, pertanto, l’errore nell’indicazione dell’indirizzo pec commesso dal -OMISSIS- non avrebbe potuto in alcun caso ridondare in danno dell’associato -OMISSIS-, al quale, peraltro, l’avviso dell’azione disciplinare non è stato comunicato in altro modo, nonostante il chiaro disposto degli articoli 11 del Codice di giustizia del CONI e 31 del Regolamento di Giustizia FISE, i quali dispongono che la prima comunicazione possa essere fatta in qualunque forma idonea al raggiungimento dello scopo.

Venendo al profilo dei danni risarcibili, deve premettersi che i ricorrenti persone fisiche hanno lamentato di aver patito, a seguito dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, danni derivanti dall’impossibilità di svolgere l’attività di istruzione equestre cd. “olimpica”, avendo la sospensione inciso sulla capacità di addestramento dei cavalli e svalutato la professionalità di chi pratica l’insegnamento dell’equitazione; inoltre, gli stessi hanno chiesto il ristoro dei danni derivanti dall’impossibilità di partecipare alle competizioni organizzate dalla FISE, ove sono in palio montepremi di elevato valore economico.

Per quanto concerne il Circolo ippico Il Muretto, l’ente ha lamentato danni derivanti dall’impossibilità di perseguire compiutamente gli scopi statutari.

Più in particolare, allegando perizia a firma del dott. Chiappa, -OMISSIS- ha chiesto il ristoro dei danni derivanti dall’allontanamento dalle gare per un periodo di tre anni, che ne ha compromesso la competitività sportiva, incidendo sulle performance di gara; inoltre, la ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno all’iter formativo, interrotto nella sua fase iniziale e del danno concernente l’addestramento e la carriera dei cavalli di proprietà, interdetti all’attività agonistica ed esposti ad invecchiamento, non risultando più performanti come in precedenza.

Ancora, la ricorrente ha domandato il risarcimento del danno all’immagine, sia per la carriera di istruttore sportivo che per la professione di veterinaria, ricollegabile alla pubblicazione della sentenza ed alla circolazione della notizia sui social network.

Infine, la ricorrente ha chiesto il ristoro del danno biologico, derivante da disagi psicologici seri, in termini di sofferenza interiore e dequotazione della propria autostima, conseguenti alle offese indirizzatele durante e dopo il procedimento disciplinare.

Il quantum debeatur è stato stimato dal consulente di parte nella somma di € 141.120,00 a titolo di danno patrimoniale (pari al reddito netto annuo di un istruttore di equitazione, maggiorato del 20% in ragione della qualifica di veterinario della ricorrente e moltiplicata per il numero di anni di sospensione e tenuto conto del quadriennio olimpico in ragione della necessità di recupero) e di € 120.000,00 a titolo di danno all'immagine e non patrimoniale.

Venendo alle richieste risarcitorie degli altri ricorrenti, -OMISSIS-, in qualità di -OMISSIS-, ha chiesto il ristoro del danno alla capacità di performance, evidenziando che un allontanamento di 3 anni dalle competizioni, unitamente all’avanzamento naturale dell’età, hanno inciso, compromettendolo, sul mantenimento dell’efficienza fisica, sia in termini di posizione in sella (cd. assetto del cavaliere) sia di sensibilità nella richiesta delle manovre sul cavallo.

In aggiunta, il ricorrente, allegando perizia a firma del dott. La Torre, ha chiesto il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perdita di clientela ed il danno all’immagine derivante dalla pubblicazione della sentenza e dalla velocità con cui questa si è diffusa a livello mediatico sui social network.

Il quantum debeatur è stato stimato dal consulente di parte nella somma di € 93.000,00 a titolo di danno patrimoniale (pari al reddito annuo di un lavoratore agricolo moltiplicato per sei anni, di cui tre a titolo di sospensione ed altri tre per recuperare pienamente le proprie attitudini e capacità) e di € 50.000,00 a titolo di danno all'immagine e non patrimoniale.

Venendo alle richieste risarcitorie del -OMISSIS-, l’Ente ha chiesto il risarcimento dei danni derivanti dall’inibizione della possibilità di esercitare l’attività propria dei circoli affiliati per un anno, pari alla durata della sanzione della sospensione, decorrente dal 28.05.2019.

L’Ente ha allegato la perizia a firma del dott. Sella, che ha evidenziato una diminuzione del numero dei tesserati del Circolo a causa del provvedimento di sospensione, quantificando il danno patrimoniale derivante dalla sospensione, relativamente all’anno 2019, in € 36.419 a titolo di danno emergente, in € 33.016 a titolo di lucro cessante ed in € 237.000,00 a titolo di “danno patrimoniale futuro”.

In relazione alle sopra richiamate richieste risarcitorie, occorre premettere che la sussistenza del nesso causale tra la sanzione della sospensione, a vario titolo comminata alle parti ricorrenti, ed i connessi danni patrimoniali, risulta parzialmente provata, entro i seguenti limiti, sulla base della copiosa documentazione depositata agli atti del giudizio.

-OMISSIS-, in qualità di istruttrice di equitazione di II livello, non ha potuto esercitare l’attività didattica diretta alla preparazione degli atleti alle gare per un periodo di tre anni.

Tale attività risulta, sulla base della documentazione versta in atti, un’effettiva fonte di guadagni, a cui la ricorrente ha dovuto rinunciare a seguito dell’irrogazione della sanzione impugnata e dovrà, pertanto, ricevere un adeguato ristoro per equivalente.

Sul punto, si stima equo adoperare, quale parametro di calcolo del danno subito, il criterio proposto dal consulente di parte, che ha indicato, quale base di calcolo, lo stipendio medio in Italia di un istruttore di equitazione, pari a circa 1.400,00 euro netti al mese.

Tale importo, moltiplicato per 36 mesi, pari al periodo di sospensione disposto dagli Organi di giustizia federale, porta ad un totale di € 50.400,00.

Su tale importo deve essere effettuata una riduzione pari al 25%, in ragione della parziale coincidenza del periodo di durata della sanzione con la situazione emergenziale derivante dalla pandemia da covid-19 ancora in atto, che ha interrotto o, comunque, rallentato, tutte le attività umane, ivi comprese quelle oggetto della presente richiesta risarcitoria.

Pertanto, spetta, a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inibizione dell’attività di insegnamento, la somma complessiva di € 37.800,00.

Non è applicabile la maggiorazione del 20% sull’importo mensile di € 1.400,00 proposta dal perito di parte in ragione della qualifica di medico veterinario della -OMISSIS-, in quanto tale qualifica si rivela in realtà neutra rispetto all’attività addestrativa di istruttore di II livello.

Nemmeno l’estensione temporale al periodo del cd. “quadriennio olimpico” può essere accolta, in quanto la stima del tempo di recupero delle piene capacità didattico-addestrativa costituisce una mera ipotesi di parte, sprovvista di validi e riscontrabili elementi di fatto.

Sono inoltre fondate, entro i seguenti limiti, le richieste risarcitorie riferite al danno da competitività sportiva e da riduzione delle performance agonistiche, in termini di impoverimento della capacità professionale acquisita, sia per la mancata acquisizione di una maggiore capacità professionale.

Se da un lato la sanzione irrogata non incide sulla possibilità della -OMISSIS- di continuare ad allenarsi, mantenendo alte le proprie performance, dall’atro deve rilevarsi che l’attività di istruttore di equitazione culmina un iter complesso e richiede di mantenere determinati requisiti nel tempo; essa è risultata sicuramente compromessa dalla sanzione della sospensione, che ha determinato un arresto nell’evoluzione del percorso di crescita professionale della ricorrente, la quale risultava aver raggiunto da poco il II livello quale istruttore di equitazione.

Il relativo danno può essere quantificato secondo il prudente apprezzamento del giudice e viene stimato nella somma di € 30.000,00, che si ritiene equa in ragione dell’età e del percorso professionale ancora in corso di svolgimento e tenuto conto, altresì, del periodo di durata della sanzione.

Su tale importo deve essere effettuata una riduzione pari al 25%, in ragione della parziale coincidenza del periodo di durata della sanzione con la situazione emergenziale derivante dalla pandemia da covid 19 ancora in atto, per le motivazioni già evidenziate in precedenza.

Pertanto, spetta, a titolo di risarcimento del danno da competitività sportiva e da riduzione delle performance agonistiche, la somma di € 22.500,00.

La richiesta di risarcimento delle ulteriori voci di danno patrimoniale e non patrimoniale invocate dalla ricorrente non è invece fondata, in parte perché manca la prova del nesso di causalità materiale tra l’evento di danno ed il danno conseguenza ed in parte perché i danni lamentati non sono stati adeguatamente provati.

In particolare, non sussiste alcun nesso eziologico apprezzabile tra la sanzione della sospensione ed il danno concernente l’addestramento e la “carriera” dei cavalli di proprietà, che non risultano direttamente colpiti dalla predetta sanzione e, pertanto, non possono dirsi interdetti dall’attività agonistica.

Non ristorabile, in quanto sprovvisto di adeguata prova, è, invece, il danno di immagine lamentato dalla ricorrente, in relazione alla pubblicazione della sentenza ed alla circolazione della notizia sui social network.

Il danno all’immagine, infatti, non può ritenersi sussistente in re ipsa per la semplice emanazione del provvedimento sanzionatorio, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento.

Sul punto è opportuno premettere che in tema di danno all’immagine, la giurisprudenza della Suprema Corte ha di recente avuto modo di chiarire come il danno all'immagine ed alla reputazione, inteso come danno conseguenza deve essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (Cassazione civile , sez. III , 18/02/2020, n. 4005).

Alla mancata prova del danno non può peraltro sopperire la valutazione equitativa dello stesso, considerato che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili, ma che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, fermo restando dunque l'onere della parte di dimostrare l'« an debeatur » del diritto al risarcimento (Cassazione civile sez. lav., 30/10/2020, n.24146).

Ebbene, nel caso di specie, la ricorrente ha lamentato il danno di immagine derivante dall’emanazione delle decisioni impugnate, particolarmente infamanti per un’appassionata di cavalli e medico veterinario, diffusesi velocemente a mezzo dei social network.

In disparte tali affermazioni di principio, la ricorrente non ha però offerto alcun elemento di riscontro da cui poter desumere l’effettiva lesione lamentata.

Non è infatti noto chi, come ed in che misura abbia diffuso la notizia, su quali social media la stessa sia stata veicolata e con quale concreta capacità di propagazione, risultando pertanto preclusa la verifica sulla effettiva diffusione della notizia e sulla sua percepibilità da parte della collettività.

Infine, anche la richiesta di risarcimento del danno biologico derivante da disagi psicologici e del danno morale in termini di sofferenza interiore e dequotazione della propria autostima lamentato dalla ricorrente non è accoglibile, in quanto non adeguatamente provata.

Sul punto, è appena il caso di precisare che danno biologico e danno morale si iscrivono nella categoria unitaria del danno non patrimoniale, la cui risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava, pertanto, l'onere della relativa specifica deduzione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.

Il diritto a conseguire il risarcimento di qualsiasi danno non patrimoniale non può dunque prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del danno medesimo, con onere del richiedente di specificare gli elementi necessari per la sua configurazione, sia con riferimento al tipo di danno configurabile (danno biologico, morale, esistenziale), sia con riferimento ai diversi presupposti rilevanti per ciascuna tipologia di pregiudizio, restando invece esclusa la configurabilità di un danno in re ipsa.

Nel caso di specie, in disparte la generica enunciazione del danno patito, non è stata allegata al ricorso alcuna perizia medica idonea a dimostrare la sussistenza di disturbi accertabili da un punto di vista scientifico, né la ricorrente ha allegato ulteriori elementi di prova a riguardo, né ha chiesto, come pure avrebbe potuto, l’assunzione di prove, anche testimoniali, a dimostrazione del lamentato danno morale.

Venendo alle richieste risarcitorie formulate da -OMISSIS-, questi risulta qualificato in qualità di -OMISSIS- ed ha dimostrato di aver partecipato, dal 2006 al 2014, a numerose competizioni agonistiche, conseguendo nel corso della sua carriera agonistica svariati titoli.

A seguito della sospensione comminata dalla FISE, al ricorrente è stato precluso di esercitare l’attività di preparazione atletica.

Tale attività rappresenta, sulla base della documentazione versata in atti, un’effettiva fonte di guadagni, a cui il ricorrente ha dovuto rinunciare a seguito dell’irrogazione della sanzione impugnata e dovrà, pertanto, ricevere un adeguato ristoro per equivalente.

Sul punto, si stima equo adoperare, quale parametro di calcolo del danno subito, il criterio proposto dal consulente di parte, che ha indicato, quale base di calcolo, lo stipendio mensile netto di un bracciante agricolo, pari a circa 1.250,00 euro netti al mese.

Tale importo, moltiplicato per 40 mesi, pari al periodo di sospensione disposto dagli Organi di giustizia federale, porta ad un totale di € 50.000,00.

Su tale importo deve essere effettuata una riduzione pari al 25%, in ragione della parziale coincidenza del periodo di durata della sanzione con la situazione emergenziale derivante dalla pandemia da covid 19 ancora in atto, che ha interrotto e, comunque rallentato, tutte le attività umane, ivi comprese quelle oggetto della presente richiesta risarcitoria.

Pertanto, spetta, a titolo di risarcimento del danno dall’interdizione dall’ esercizio di attività di preparazione atletica la somma complessiva di € 37.500,00.

Sono inoltre fondate, entro i seguenti limiti, le richieste risarcitorie riferite al danno da competitività sportiva e da riduzione delle performance agonistiche, in termini di impoverimento della capacità professionale acquisita, sia per la mancata acquisizione di una maggiore capacità professionale, sia, ancora, per perdita di ragionevoli aspettative di crescita e di vittoria nelle competizioni sportive cui il ricorrente ha dimostrato di aver costantemente preso parte, con risultati favorevoli.

Anche in questo caso, se da un lato la sanzione irrogata non incide sulla possibilità del -OMISSIS- di continuare ad allenarsi, mantenendo alte le proprie performance, dall’altro deve rilevarsi che il ricorrente ha conseguito il titolo di campione europeo nella disciplina della monta all’americana e che la sanzione irrogata preclude occasioni di crescita professionale e mantenimento delle attitudini agonistiche, in quanto impedisce occasioni di confronto con altri atleti.

Anche nel caso del -OMISSIS-, il relativo danno può essere quantificato secondo il prudente apprezzamento del giudice; esso viene stimato nella somma di € 25.000,00, che si ritiene equa in ragione dell’età, del percorso professionale e tenuto conto, altresì, del periodo di durata della sanzione.

Anche su tale importo deve essere effettuata una riduzione pari al 25%, in ragione della parziale coincidenza del periodo di durata della sanzione con la situazione emergenziale derivante dalla pandemia da covid 19.

Pertanto, spetta, a titolo di risarcimento del danno da competitività sportiva e da riduzione delle performance agonistiche la somma di € 18.750,00.

Con riferimento, infine, alle richieste risarcitorie relative alla lesione dell’immagine e della reputazione del ricorrente, le stesse si rilevano infondate perché non adeguatamente provate, per le medesime considerazioni già effettuate in precedenza in relazione alla posizione della ricorrente -OMISSIS-, alle quali è sufficiente rinviare.

Venendo alle richieste risarcitorie del -OMISSIS-, l’Ente ha chiesto il risarcimento dei danni derivanti dall’inibizione della possibilità di esercitare la propria attività, quale ente affiliato, per un anno, pari alla durata della sanzione della sospensione, decorrente dal 28.05.2019.

L’ente ha allegato la perizia a firma del dott. Sella, che ha evidenziato una diminuzione del numero dei tesserati del Circolo a causa del provvedimento di sospensione, con effetti pregiudizievoli non solo nell’anno 2019, in cui è stata comminata la sanzione, ma anche negli anni a seguire.

In particolare, il consulente ha quantificato il danno patrimoniale derivante dalla sospensione, relativamente all’anno 2019, in € 36.419 a titolo di danno emergente (€ 25.000,00 a titolo di rinuncia al capitale apportato dal socio unico -OMISSIS- più € 11.419,00 a titolo di spese connesse alla causa FISE) ed in € 33.016 a titolo di lucro cessante, desunto dal cd. indice “EBITDA”, ovverosia un indice capace di misurare la capacità di un’azienda di generare cassa.

In aggiunta, il consulente di parte ha quantificato anche un “danno patrimoniale futuro”, inteso come danno relativo agli esercizi finanziari successivi al 2019 per effetto della sospensione dall’affiliazione relativa a tale ultimo anno, determinandolo sulla base di un complesso algoritmo che prende in considerazione il sopra citato indice “EBITDA” ed il criterio delle spese legali per gli anni successivi al 2019 e fino al 2029. All’esito delle attività di calcolo, il consulente ha stimato il danno nella misura di € 237.000,00.

Emerge dalle prove documentali depositata agli atti del giudizio che, per effetto del provvedimento di sospensione, il Centro Ippico abbia dovuto interrompere la propria attività che, al momento dell’emanazione del provvedimento di sospensione, contava nr. 72 tesserati.

Parimenti, dai bilanci dell’Ente, allegati alla perizia depositata agli atti del giudizio, emerge un decremento in termini patrimoniali e finanziari tra il 2018 ed il 2019.

In particolare, appare significativo il decremento del patrimonio netto dell’associazione, passato da € 25.711,00 ad € 16.098,00.

A fronte di tale concreto pregiudizio patito dall’ente, per come da questo dedotto e dimostrato, attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, può dirsi provato il danno conseguenza derivante dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati, spettando al giudice procedere alla sua liquidazione secondo criteri equitativi.

Non possono infatti, essere applicati i medesimi criteri di calcolo del danno proposti dal consulente di parte, in quanto tutte le poste risarcitorie richieste a titolo di danno emergente non risultano riferibili, in maniera diretta ed univoca, all’evento dannoso; mentre l’importo delle spese legali non risulta in alcun modo documentato. Quanto all’importo invocato a titolo di lucro cessante, lo stesso viene desunto dal cd. indice “EBITDA”, ovverosia un indice capace di misurare la capacità di un’azienda di generare cassa; tale indice, tuttavia, non risulta appropriato a misurare la capacità finanziaria di una società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata senza scopo di lucro.

Pertanto, il danno patito dal -OMISSIS- viene equitativamente stimato in € 14.419,00, importo desumibile dalla differenza tra il patrimonio netto relativo all’anno 2018 e quello dell’anno successivo (pari ad € 9.613,00) maggiorato del 50% in considerazione del fatto che il provvedimento di sospensione ha prodotto i propri effetti anche sui primi cinque mesi dell’anno 2020.

Non risultano invece liquidabili, in quanto sprovviste di valide argomentazioni in relazione alla sussistenza del nesso di causalità con l’evento di danno, oltre che sprovviste di adeguato supporto probatorio in termini di quantum debeatur, le ulteriori richieste riferite al cd “danno patrimoniale futuro”, inteso come danno che si manifesterà negli esercizi finanziari successivi al 2019 per effetto della sospensione dall’affiliazione relativa a tale ultimo anno.

Si tratta, all’evidenza, di mere previsioni effettuate dal consulente di parte, che non appaiono fondate su seri e concreti riscontri, ma su algoritmi relativi al calcolo di mere aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, slegate da dati concreti, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene.

Conclusivamente, per tutto quanto sopra esposto, la Federazione Italiana Sport Equestri ed il CONI devono essere condannati, in solido, al risarcimento del danno patrimoniale subito dai ricorrenti nei sotto notati importi:

-€ 14.419,00 in favore del -OMISSIS-;

-€ 60.300,00 in favore di -OMISSIS-;

-€ 56.250,00 in favore di -OMISSIS-.

Su tali importi, dovuti a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, liquidati in sostanza con riferimento all’epoca del fatto, spettano gli interessi legali e la rivalutazione dal giorno dell’illecito, vale a dire dal 28.05.2019, con gli interessi calcolati sulla stessa somma via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

-dichiara il difetto di giurisdizione sulla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati;

-accoglie il ricorso in relazione alla richiesta di risarcimento dei danni e condanna il CONI e la FISE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, al pagamento, in solido:

- in favore del -OMISSIS-, in persona del l.r.p.t., della somma di € 14.419,00, oltre interessi legali e rivalutazione dal 28.05.2019, con gli interessi calcolati sulla somma di euro 14.419,00 via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza;

-in favore di -OMISSIS-, della somma di € 60.300,00, oltre interessi legali e rivalutazione dal 28.05.2019, con gli interessi calcolati sulla somma di euro 60.300,00 via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza;

-in favore di -OMISSIS- della somma di € 56.250,00, oltre interessi legali e rivalutazione dal 28.05.2019, con gli interessi calcolati sulla somma di euro 56.250,00 via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza;

Condanna il CONI e la FISE, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, al pagamento, in solido, delle spese di giudizio in favore delle parti ricorrenti, liquidate nella misura di complessivi € 11.700,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, con l'intervento dei magistrati:

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Francesco Arzillo, Presidente

Daniele Dongiovanni, Consigliere

Raffaello Scarpato, Referendario, Estensore

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