T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 27/07/2021 N. 8980

Pubblicato il 27/07/2021

N. 08980/2021 REG.PROV.COLL.

N. 07375/2018 REG.RIC.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7375 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Fabrizio Cacace, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 25;

contro

Federazione Italiana Sport Equestri, rappresentato e difeso dall'avvocato Gianfranco Tobia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale G. Mazzini 11; C.O.N.I., rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

 

per l'annullamento

e in ogni caso la dichiarazione di illegittimità e la conseguente disapplicazione

- della decisione -OMISSIS-del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI depositata il -OMISSIS-;

- della decisione della Corte Federale d'Appello della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) RG C.A.F. n. -OMISSIS-;

- della delibera del Consiglio Federale della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) n. -OMISSIS-;

- del verbale -OMISSIS- della Commissione Federale di Garanzia della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) del 28.3.2018 non pubblicato;

- dell'art. 61, comma 3 dello Statuto della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) approvato con deliberazione della Giunta Nazionale del CONI n. 84 del 10.3.2015;

- di ogni altro atto presupposto, antecedente, consequenziale o comunque connesso con quelli impugnati;

e per la condanna

delle resistenti al risarcimento dei danni in favore del ricorrente nella misura indicata nel ricorso.

 

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del C.O.N.I. e della Federazione Italiana Sport Equestri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2021 il dott. Raffaello Scarpato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente espone di essere stato deferito, in qualità di tesserato alla Federazione Italiana Sport Equestri (FISE), dinanzi al Tribunale di tale federazione, sulla base di un esposto che gli attribuiva la responsabilità di aver indebitamente sostituito il nominativo di un cavallo, sul relativo passaporto, per venderlo ad altro soggetto, a mezzo della -OMISSIS-, da lui amministrata.

All’esito delle indagini svolte dalla Procura federale, il Tribunale federale ha emanato la decisione -OMISSIS-, con la quale è stata irrogata nei confronti del ricorrente la sanzione della sospensione di giorni trenta da ogni carica o incarico sociale o federale, inclusa la qualifica di istruttore, nonché la sanzione del pagamento dell’ammenda di euro 1.000.00, per non aver prestato la dovuta attenzione circa identità e valore del cavallo venduto, sollevandolo dalle accuse di manomissione/alterazione del passaporto del cavallo.

La Procura federale ha impugnato il provvedimento e la Corte Federale d’Appello ha riformato in pejus la sentenza di primo grado, condannando il ricorrente - oltre alla sanzione già applicata in primo grado - anche a quella della sospensione dell’autorizzazione a montare di cui alla lettera f) dell’articolo 6 R.G. per cinque mesi.

Il ricorrente ha impugnato tale provvedimento dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, che con decisione n. -OMISSIS-ha respinto il ricorso.

Tanto premesso, il ricorrente impugna nel presente giudizio le pronunce della Corte Federale d’Appello FISE e del Collegio di Garanzia dello Sport, chiedendo il risarcimento dei danni patiti per i seguenti motivi:

falsa applicazione dell’art. 61, comma 3, dello Statuto FISE - violazione dell’art. 22, comma 3 del Regolamento di giustizia FISE dell’art. 3 comma 3 del Codice della giustizia sportiva, dell’art. 21 del Regolamento di giustizia FISE, dell’art. 2 del Codice della giustizia sportiva e dell’art. 49, comma 11 dello Statuto FISE - violazione dell’art. 3, comma 3 del Codice della giustizia sportiva e dei principi di indipendenza, terzietà e imparzialità del giudice, codificati negli artt. 101, 104 e 111 Costituzione della Repubblica italiana - falsa applicazione dell’art. 29 Regolamento di giustizia FISE - violazione degli artt. 2, comma 2 del Codice della giustizia sportiva, dell’art. 2, comma 2 dei principi di giustizia sportiva e dell’art. 21, comma 2 del Regolamento di giustizia FISE;

violazione dell’art. 15 dei principi fondamentali degli Statuti delle federazioni sportive nazionali adottati con le deliberazioni del Consiglio nazionale del CONI nn. 1510 e 1511 del 11.6.2014 - violazione del Codice della giustizia sportiva adottato con deliberazione del Consiglio nazionale del CONI n. 1518 del 15.7.2014 e modificato con deliberazione n. 1538 del 9.11.2015 - violazione dei principi di giustizia sportiva adottati con deliberazione del Consiglio nazionale del CONI n. 1519 del 15.7.2014 -violazione dell’art. 1 del Codice della giustizia sportiva - illegittimità dell’art. 61, comma 3, dello Statuto FISE - falsa applicazione dell’art. 22 del Regolamento di giustizia FISE;

violazione dell’art. 22, comma 3 del Regolamento di giustizia FISE dell’art. 3 comma 3 del codice della giustizia sportiva, dell’art. 21 del Regolamento di giustizia FISE, dell’art. 2 del Codice della giustizia sportiva - violazione dell’art. 3, comma 3 del Codice della giustizia sportiva e dei principi di indipendenza, terzietà e imparzialità del giudice codificati negli artt. 101, 104 e 111 Costituzione della Repubblica italiana;

falsa applicazione dell’art. 29 Regolamento di giustizia FISE - violazione degli artt. 2, comma 2 del Codice della giustizia sportiva, dell’art. 2, comma 2 dei principi di giustizia sportiva e dell’art. 21, comma 2 del Regolamento di giustizia FISE;

violazione degli artt. 161 e 159 c.p.c. - inesistenza della sentenza della Corte federale d’appello FISE – actio nullitatis - nullità della sentenza della Corte federale d’appello FISE;

violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del Codice della giustizia del CONI - violazione degli arrt. 113, 115, 116 e 118 c.p.c.. effetti della mancanza di autonomia e indipendenza del collegio giudicante sul processo decisionale che ha condotto all’emissione della sentenza della Corte federale d’appello impugnata - violazione dell’art. 56 del Regolamento di giustizia FISE e dell’art. 112 c.p.c.. difetto di legittimazione passiva;

violazione degli artt. 6 e 7 del Regolamento di giustizia FISE - violazione del principio di proporzionalità - illegittimità della adottata misura della sanzione in ragione della sua palese violazione dei presupposti di fatto e di diritto che la giustificherebbero.

In sostanza, il ricorrente deduce che -OMISSIS-, Presidente del Collegio e relatrice della sentenza della Corte Federale di Appello F.I.S.E. (-OMISSIS-, oltre ad essere tesserata FISE, riveste la carica di proprietaria di cavallo, in contrasto con quanto previsto dall’art. 21 e dall’art. 22, comma 3 del Regolamento di Giustizia FISE, dall’art. 2 e dall’art. 3 comma 3 del Codice della Giustizia Sportiva e dall’art. 49, comma 11 dello Statuto FISE.

Inoltre, il ricorrente deduce l’illegittimità dell’art. 61, comma 3 dello Statuto FISE nella parte in cui la norma consente la nomina di un tesserato ad Organo di giustizia, precisando di non essere stato nella materiale possibilità di ricusare il giudice sportivo, per aver appreso dello status di tesserato della Presidente della Corte Federale d’Appello solo dopo l’emanazione della decisione.

Sotto altro profilo, il ricorrente deduce l’illegittimità del parere reso dalla Commissione federale di garanzia della FISE e la falsa applicazione dell’art. 49, comma 1 dello Statuto FISE e dell’art. 22, comma 3 del Regolamento di giustizia FISE.

Riproponendo le sopra elencate censure, il ricorrente deduce anche la nullità/inesistenza della sentenza della Corte federale d’appello FISE, derivante dall’illegittima composizione del Collegio giudicante e censura le decisioni impugnate deducendo che, nel procedimento dinanzi alla Corte federale d’appello, la Presidente del Collegio, in quanto tesserata, si era lasciata condizionare dalla conoscenza di un testimone chiave (il tesserato-OMISSIS-), tanto da giustificare le contraddizioni nelle quali questo era incorso, considerandolo in ogni caso attendibile; in realtà, secondo le deduzioni del ricorrente, la testimonianza dell’-OMISSIS- era stata smentita da altri testimoni, liquidati come inattendibili sulla base di personali ed opinabili convincimenti del giudicante.

Nel merito, il ricorrente censura la decisione della Corte federale d’Appello evidenziando che, contrariamente a quanto statuito dal giudice sportivo, non è stato possibile dimostrare che l’alterazione del passaporto fosse stata effettuata dal -OMISSIS- e nemmeno che questi se ne fosse avveduto e/o avvalso; la decisione viene peraltro censurata sotto il profilo dell’erroneità della ricostruzione della vicenda in fatto e dell’omissione di alcune circostanze determinanti, oltre che di alcune delle testimonianza rese in corso di procedimento, con ulteriore violazione del principio di proporzionalità della misura sanzionatoria.

Alla luce di tali premesse, il ricorrente chiede, oltre all’annullamento degli atti impugnati, il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima applicazione della sanzione della sospensione dall’autorizzazione a montare per mesi cinque, che ha impedito all’atleta -OMISSIS- di prendere parte a tutti i concorsi che si sono svolti in tale periodo e che, se fossero stati vinti, avrebbero fruttato premi per euro 83.100,00. Di tale importo il ricorrente invoca pertanto il risarcimento, oltre al danno di immagine conseguito all’applicazione della sanzione, stimato in non meno di euro 50.000,00, maggiorato delle spese sostenute per la difesa nei tre gradi della giustizia sportiva (per complessivi € 11.160,08 più € 1.459,12).

Si sono costituiti la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) ed il CONI.

La federazione ha effettuato una diversa ricostruzione della vicenda in punto di fatto, ritenendo piena e sussistente la responsabilità del -OMISSIS-, per aver fornito informazioni inveritiere circa l’identità, la provenienza, le caratteristiche, le prestazioni agonistiche ed il valore di mercato del cavallo compravenduto, del quale il ricorrente aveva alterato il passaporto, traendo così in inganno gli esponenti ed inducendoli ad acquistare l’equide in questione, spacciato per altro esemplare del quale non aveva le caratteristiche né le potenzialità agonistiche promesse, ad un prezzo manifestamente sproporzionato rispetto al suo reale valore di mercato.

La FISE ha peraltro insistito sulla terzietà, imparzialità e validità del Collegio giudicante nel giudizio svoltosi dinanzi alla Corte federale d’appello, non essendovi infatti alcuna norma che impedisca ad un soggetto tesserato FISE, nonché proprietario di cavallo, di essere nominato quale componente degli Organi di giustizia federale; la federazione ha poi evidenziato la legittimità e correttezza del giudizio formulato dalla Corte federale d’Appello, che aveva nel caso di specie correttamente esaminato e valutato le richieste istruttorie, nonché espletato le prove ammesse, in virtù delle quali era emersa una chiara responsabilità del -OMISSIS- per i fatti di cui è causa, con emissione di una decisione congrua e proporzionata, con manifesta infondatezza della pretesa risarcitoria.

Anche il Comitato Olimpico Nazionale ha offerto una differente ricostruzione dei fatti di causa ed ha eccepito, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in relazione alle domande caducatorie formulate in ricorso, l’inammissibilità dei nuovi motivi non dedotti nel giudizio dinanzi agli organi della giurisdizione sportiva e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.

All’udienza del 21.06.2021 il ricorso è stato introitato per la decisione.

E’ innanzitutto fondata l’eccezione di parziale difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del C.O.N.I..

La giurisdizione di questo Tribunale non può concernere la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati, ma solo le connesse richieste risarcitorie.

Sul punto, deve ribadirsi il consolidato orientamento giurisprudenziale in base a cui, in tema di sanzioni disciplinari sportive, vi è difetto assoluto di giurisdizione sulle controversie riguardanti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni, riservate, a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, agli organi di giustizia sportiva che le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l'onere di adire ai sensi del D.L. n. 220 del 2003, convertito in L. n. 280 del 2003, anche ove si invochi la tutela in forma specifica della rimozione della sanzione disciplinare, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a., in ordine alla tutela risarcitoria per equivalente, non operando in tal caso alcuna riserva a favore della giustizia sportiva e potendo il giudice amministrativo conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale (cfr., tra molte, Cassazione civile sez. un., 28/12/2020, n.29654).

Al riguardo non può che richiamarsi anche quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 160/2019, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2, (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito con modificazioni con la L. 17 ottobre 2003, n. 280, legittimando la limitazione della tutela giurisdizionale ai soli aspetti risarcitori conseguenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente sia infondata e vada pertanto respinta.

Sul punto deve premettersi che la pretesa risarcitoria del ricorrente, da ricondurre allo schema generale dell' art. 2043 c.c., soggiace alla applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato, circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito e con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall' art. 2697, comma 1, c.c. , opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento.

Tanto premesso, deve rilevarsi che difetta, nel caso di specie, innanzitutto l’elemento dell’ingiustizia del danno, non risultando provato, altresì, il danno conseguenza lamentato dal ricorrente.

La sanzione irrogata dai competenti organi dell’ordinamento sportivo, infatti, non può considerarsi illegittima né sproporzionata, non potendo inoltre condividersi quanto sostenuto dal ricorrente in relazione alla illegittima composizione del Collegio giudicante.

Sul punto, è sufficiente rilevare che, com’è stato correttamente eccepito dalle parti resistenti, la qualità di tesserato federale o, ben che meno, di proprietario di cavallo, non determina alcuna incompatibilità in capo al giudice sportivo.

Nessuna norma dell’ordinamento sportivo prevede infatti, in maniera diretta o indiretta, l’asserita incompatibilità (cfr., in particolare, gli artt. 61 comma 3, 62, co. 2 dello Statuto della FISE e l’art. 7.4 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, approvato con delibera del C.N. del CONI n. 1523/2014).

Il richiamo, operato dal ricorrente, all’art. 22 del Regolamento Giustizia FISE è poi del tutto inconferente, in quanto la norma concerne i “rapporti di lavoro subordinato o continuativi di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettano l’indipendenza con la Federazione o con i Tesserati, gli Affiliati e gli altri soggetti sottoposti alla sua giurisdizione”, circostanze queste ultime pacificamente non ricorrenti nel caso di specie.

Infine, anche l’asserita violazione dell’art. dell’art. 49, co. 11 dello Statuto federale non sussiste, in quanto la qualifica di “tesserato” non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di rapporti economici del giudice sportivo con le società e associazioni affiliate e con i soggetti sottoposti alla propria giurisdizione.

Per le medesime ragioni sono prive di consistenza le censure di nullità/inesistenza della sentenza impugnata, in relazione all’illegittima composizione del Collegio giudicante.

Parimenti infondate sono le censure dirette a contestare il difetto di pronuncia del Collegio di garanzia dello Sport, in relazione alla declaratoria di inammissibilità del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, ovvero in relazione alla difettosa/incompleta valutazione del materiale probatorio, ovvero delle valutazioni concernenti l’affidabilità dei testimoni ovvero, ancora, sulla misura della sanzione irrogata.

Sul punto, è sufficiente richiamare la disposizione di cui all’ l’art. 54 del Codice della Giustizia del CONI, nella parte in cui dispone che il ricorso al Collegio di Garanzia “è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”.

Rimangono, pertanto, esclusi dalla cognizione del Collegio di Garanzia i motivi attinenti al merito, ovvero, nel caso di specie, all’affidabilità delle deposizioni testimoniali.

Nel caso di specie, i motivi ritenuti inammissibili erano diretti ad una rivalutazione del materiale probatorio, già oggetto dei due gradi di giudizio di merito ed inammissibili dinanzi al Collegio di garanzia.

Infine, quanto alla proporzionalità della sanzione irrogata, appare evidente l’infondatezza della tesi del ricorrente, atteso che - nel caso di specie - la misura della sanzione (cinque mesi) è ben al di sotto del massimo edittale (cinque anni) previsto dalla rispettiva disposizione regolamentare.

Alla luce delle considerazioni che precedono deve concludersi che, pur alla stregua della cognizione in via incidentale e indiretta che questo giudice è autorizzato ad esercitare in relazione alla legittimità della sanzione comminata, la stessa appare esente dalle censure dedotte dal ricorrente e, pertanto, essa non può costituire antecedente causale di un danno ingiusto, né può integrare un comportamento doloso o colposo della federazione o del CONI.

Sotto altro profilo, deve pure rilevarsi l’inconsistenza del ragionamento probabilistico posto a fondamento della richiesta di risarcimento del danno da perdita di chance sostenuto dal ricorrente, che ha richiesto un risarcimento pari ad euro 83.000,00 euro, importo corrispondente ai premi che questi assume di aver perduto a causa della mancata partecipazione (e della mancata vittoria) di un certo numero di concorsi ippici, basandosi su quanto avvenuto negli anni precedenti.

La tesi è priva di pregio, in quanto, come riconosciuto da granitica giurisprudenza sulla serietà della consistenza delle sue possibilità di effettivo conseguimento di un risultato favorevole, ai fini della risarcibilità di una perdita di chance , la relativa tecnica risarcitoria garantisce l'accesso al risarcimento per equivalente solo se la chance abbia effettivamente raggiunto un'apprezzabile consistenza, di solito indicata dalle formule "probabilità seria e concreta" o anche "elevata probabilità" di conseguire il bene della vita sperato; e che in caso di mera "possibilità" vi è solo un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione poiché in pratica nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto (C.d.S., sez. V, 15 novembre 2019, n. 7845; IV, 23 settembre 2019, n. 6319; III, 27 novembre 2017, n. 5559); l'accoglimento della relativa domanda esige, pertanto, che sia stata fornita la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, ma non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass. civ., Sez. I, 13 aprile 2017, n. 9571; Sez. lavoro, 11 ottobre 2017, n. 23862).

Al contrario, nel caso oggetto di giudizio, il ricorrente deduce mere possibilità di vittoria di una serie di competizioni connotate, per loro stessa natura, dalla massima aleatorietà, il che preclude il giudizio in termini di probabilità seria e concreta, ovvero di elevata probabilità di conseguire il bene della vita sperato.

Per queste ragioni il ricorso va conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il difetto di giurisdizione sulla domanda di annullamento degli atti impugnati e respinge le connesse domande risarcitorie.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti delle parti resistenti, liquidandole nella misura di € 2.000,00 per ciascuna parte resistente, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e tutti gli altri soggetti nominati in motivazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Raffaello Scarpato, Referendario, Estensore

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