Decisione C.S.A. – Sezione III: DECISIONE N. 173/CSA del 15 Marzo 2023 (Motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Dilettanti – Divisione Calcio a Cinque, di cui al Com. Uff. n. 667 del 16.02.2023

Impugnazione – istanza: Petrarca Calcio a Cinque s.r.l./SSD L84 s.r.l. 

Massima: Rigettato il reclamo proposto dalla società avverso la decisione del Giudice Sportivo con la quale quest’ultimo, respingendo il ricorso di essa società, ha omologato il risultato conseguito sul campo al termine dell’incontro e condannato la stessa ai sensi dell’art.55 C.G.S. alle spese di € 1.000,00 in favore della controparte e ciò in considerazione di un recente pronunciamento della Corte sulla corretta applicazione dell’art. 42, comma 1, lettera a), N.O.I.F., in ordine alla revoca ex nunc del tesseramento del medesimo calciatore per la proposizione di un identico ricorso manifestamente infondato della società. Infatti il provvedimento di revoca del tesseramento del calciatore in favore della società resistente è stato adottato il 30/12/2022 ed ha effetto dal quinto giorno successivo alla data in cui perviene alla società la comunicazione con la conseguenza che il calciatore ha disputata la gara in precedenza disputata in posizione regolare.…il Giudice Sportivo ha tratto le dovute conseguenze dalla decisione del Tribunale Federale Nazionale – Sez. Tesseramenti, tanto in ordine alla validità del tesseramento, quanto alla qualificazione dello status del calciatore D. (ovviamente in relazione alla gara del 26.11.2022), correttamente applicando il disposto dell’art. 42, comma 1, lett. a), N.O.I.F..E difatti, se è vero che il T.F.N. ha ritenuto viziato ab origine il tesseramento in Italia del D. (cioè sin dal tesseramento in favore dell’Aosta C5 per mancanza del transfert internazionale), <<con effetti invalidanti non solo sul tesseramento, ma anche sul relativo status, da parte del calciatore, di “formato in Italia”>>, tale decisione ha comportato la revoca, ex art. 42 N.O.I.F., del tesseramento in favore della società L84: revoca che, in quanto adottata non già “per violazione alle disposizioni di cui all’art. 40, commi 1, 2 e 3” N.O.I.F., bensì in forza della generale previsione del comma 1, lett. a) della norma medesima, come peraltro espressamente precisato nel provvedimento adottato in data 30.12.2022 dalla Divisione Calcio a Cinque, “ha effetto dal quinto giorno successivo alla data in cui perviene alla società la comunicazione del provvedimento a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento”.Né può validamente sostenersi, come sembra addurre la reclamante, un’artificiosa separazione ed indipendenza dello status del calciatore dalla sua posizione di tesseramento. È sin troppo evidente, difatti, che un calciatore può assumere un determinato status (o qualifica che dir si voglia) solo in presenza di un tesseramento valido ed efficace, con la conseguenza che il travolgimento del secondo comporta automaticamente anche il travolgimento del primo, ma ovviamente con la medesima decorrenza.   Neppure osta, alla decisione correttamente assunta dal Giudice Sportivo, la previsione contenuta nel C.U. n. 1 stagione sportiva 2022/2023 della Divisione Calcio a Cinque, nella parte in cui prevede (pag. 6, lett. “e”, punto “a”) che, per giocatori “formati”, si intendono coloro che “abbiano assunto il primo tesseramento per la FIGC prima del compimento del 18° anno di età, con tesseramento valido non revocato e/o non annullato anteriormente al 30 giugno 2017”, nella misura in cui gli effetti della revoca comunque si sarebbero verificati successivamente a tale data.  Infine, non può sottacersi che, indipendentemente dalla vexata quaestio circa la necessaria sussistenza della responsabilità disciplinare della società, in funzione dell’applicazione della sanzione della perdita della gara, a tutela del generale principio dell’affidamento (espressamente invocato dalla difesa della resistente) e della certezza delle situazioni giuridiche, questa Corte Sportiva ha già avuto modo di affermare ripetutamente, in fattispecie analoghe, che lo status di calciatore dilettante spendibile in ambito federale può ritenersi acquisito, indipendentemente dalle condizioni che lo legittimano, solo dal momento in cui esso viene ufficializzato con il suo inserimento o nel sistema informatico centrale AS 400 oppure, per ulteriori specificazioni (quali, ad es., lo status di “formato”), nei tabulati calciatori delle società curati dalla L.N.D. o dalle Divisioni, con la conseguenza che solo da tale momento quello status diviene efficace ed opponibile erga omnes in ambito federale.  Ciò risponde infatti ad un’esigenza di funzionalità dell’intero sistema, in quanto finalizzata a rendere conosciute o comunque conoscibili a tutte le società che partecipano al medesimo campionato, nonché agli altri soggetti interessati, le posizioni di tesseramento dei singoli calciatori e la regolarità della loro partecipazione alle competizioni (cfr. per tutte, da ultime, decisioni n. 112/CSA/2022- 2023 e n. 259/CSA/2021-2022). Principio che, per vero, sembra ispirare la stessa disposizione di cui all’art. 42 N.O.I.F., laddove prevede appunto, in linea generale, l’efficacia ex nunc della revoca del tesseramento.  È dunque evidente che, mutatis mutandis, il medesimo principio deve trovare applicazione nel caso di specie, ove alla data del 26.11.2022 in cui ebbe a disputarsi la gara in questione, sul tabulato ufficiale della società L84 presso la Divisione Calcio a Cinque, il calciatore … risultava tesserato per la predetta società con la qualifica di “formato” (risultanza peraltro legittima, come si è visto, in assenza di un provvedimento di revoca efficace a quella data). 

Decisione C.S.A. – Sezione III : DECISIONE N. 236/CSA del 01 Aprile 2022 (Motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio a 5, di cui al Com. Uff. n. 1104 del 26.03.2022

Impugnazione – istanza: - SSD Petrarca Calcio a 5 S.r.l./ASD Olimpus Roma

Massima: Confermata la decisione del Giudice Sportivo che ha omologato il risultato della gara e respinto il reclamo della società mirante ad ottenere la vittoria a tavolino per asserita posizione irregolare del calciatore extracomunitario per la carenza del requisito della sua residenza in Italia….La società Petrarca ha proposto un reclamo fondato su asserzioni, non solo del tutto prive di fondamento, ma anche totalmente carenti di qualsivoglia supporto probatorio, limitandosi a reiterare, in sostanza, le doglianze già proposte in primo grado e pretendendo, anzi, di dar luogo ad una sorta di inversione dell’onere della prova in capo alla parte reclamata, peraltro da quest’ultima ampiamente assolto, nonostante non fosse a ciò tenuta. Sia in primo che in secondo grado, infatti, la reclamante si è limitata semplicemente a contestare l’irregolarità e/o la mancanza del requisito della residenza in Italia in capo al calciatore B., omettendo completamente, però, sia di circostanziare, sia di dimostrare una tale asserzione. Tale condotta processuale sarebbe stata già di per sé stessa sufficiente a giustificare la reiezione del ricorso e del successivo reclamo. Ciò nonostante, è la società Olimpus ad aver comunque fornito ampia documentazione a giustificazione della regolarità della posizione del proprio tesserato e, quindi, a riprova dell’infondatezza delle avverse doglianze.  A tal fine, giova rammentare che per il torneo di Coppa Italia Seria A 2021-2022 di Calcio a 5, il Regolamento allegato al Comunicato Ufficiale n. 924/2022, all’art.14.01, stabilisce che “possono partecipare, senza alcuna limitazione di impiego in relazione all'età massima, tutti í calciatori residenti in Italia che siano regolarmente tesserati per la stagione sportiva 2021/2022 alla data del 5 febbraio 2022 ore 19.00, e/o con decorrenza del tesseramento precedente alle ore 19.00 del 5 febbraio 2022, che abbiano compiuto anagraficamente il 15° anno di età, nel rispetto delle condizioni previste all’art.34 comma 3 delle N.O.I.F”.  Al riguardo, questa Corte, rilevata la non perspicua formulazione della citata disposizione, che non consente di comprendere se il requisito della residenza costituisca un presupposto per l’autorizzazione del tesseramento oppure per la partecipazione al torneo e, in questo secondo caso, se debba sussistere solo al momento dell’inizio del torneo stesso o per tutta la sua durata, osserva che, nel caso in esame, un problema interpretativo non si ponga, risultando comunque soddisfatti tutti i predetti requisiti.  Dalla documentazione prodotta dalla società Olimpus, infatti, può evincersi come il calciatore sia attualmente residente in Roma, sin dalla data del 23 novembre 2021, come attestato dalla comunicazione dei competenti Uffici di Roma Capitale di avvio del procedimento di iscrizione nell’Anagrafe della popolazione residente di Roma Capitale.  L’estrazione del certificato di residenza dal sito della ANPRI-Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (effettuata nel caso di specie, come confermato dall’estratto ANPRI prodotto dalla reclamata, con numero di protocollo 834751942, corrispondente a quello risultante nel certificato di residenza), attesta la regolarità e attuale vigenza della residenza stessa. Inoltre, nella ricordata comunicazione di avvio del procedimento di iscrizione anagrafica datata 23 novembre 2021, si precisa che, trascorsi 45 giorni da tale data senza l'emergenza di problematiche ostative al rilascio della residenza, la stessa deve intendersi definitivamente perfezionata per silenzio assenso. Dal momento che i 45 giorni sono decorsi il 7 gennaio 2022, la residenza a Roma del calciatore Borges deve ritenersi definitivamente perfezionata ed acclarata, con decorrenza dal 23 novembre 2021. Risultando tali evidenze documentali già acquisite nel giudizio di primo grado, il gravame ciò nondimeno proposto dinanzi a questa Corte si rivela manifestamente infondato, il che giustifica, non solo il rigetto del reclamo, ma anche la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese in favore dell’altra parte, quantificate in € 500,00.

Decisione C.S.A. – Sezione III : DECISIONE N. 203/CSA del 17 Marzo 2022 (Motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Dilettanti – Divisione Calcio a 5, di cui al Com. Uff. n. 770 del 14.02.2022

Impugnazione – istanza: - Aosta Calcio 511 S.S.D./Città di Sestu SSD ARL

Massima: Confermata la decisione del Giudice sportivo che ha omologato il risultato della gara respingendo il reclamo per posizione irregolare dei calciatori extracomunitari perchè non sarebbero stati inseriti nell’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente….Nel merito, deve rammentarsi che, per il Campionato di Serie A2 di Calcio a 5, il Comunicato ufficiale n. 1/2021 stabilisce che “possono partecipare, senza alcuna limitazione di impiego in relazione all'età massima, tutti í calciatori residenti in Italia che siano regolarmente tesserati per la stagione sportiva 2021/2022 alla data del 5 febbraio 2022, e/o con decorrenza del tesseramento precedente al 6 febbraio 2022, che abbiano compiuto il 15° anno di età”. Per quanto qui interessa, il Tribunale Federale Nazionale, nella decisione n. 33 del 17.2.2022, ha dato atto che: “il calciatore D. O. ha prodotto, all'atto della sottoscrizione del tesseramento, certificato di residenza rilasciato dal Comune di Sestu in data 25.11.2021; il calciatore R. T. R. ha prodotto, all'atto della sottoscrizione del tesseramento, certificato di residenza rilasciato sempre dal Comune di Sestu in data 10.9.2021; e, infine, il calciatore C. da C. Al R. ha prodotto, all'atto della sottoscrizione del tesseramento con la società sportiva "Città di Sestu", certificato di residenza rilasciato dal Comune di Sestu in data 15.7.2019”. Ed ha dichiarato la validità dei tesseramenti, sul rilievo che “non emerga dagli atti alcun elemento probatorio, formale e/o sostanziale, a riscontro dell'affermazione posta in essere dalla società sportiva reclamante, circa la mancanza di residenza in Italia dei calciatori in questione nel giorno della gara, fatta salva la certificazione generica emessa dal Comune di Grignod, apertamente in contrasto con i certificati di residenza, nominativi e specifici, sopra indicati, emessi dall'ufficio anagrafe del Comune di Sestu, ai quali è da riconoscersi senz'altro valore ed efficacia certificatrice fidefacente; nonché in contrasto con la presenza dei tre calciatori tra le file della s.s. Città di Sestu C5, anche nelle gare successive a quella disputata con l'Aosta Calcio 511”. Nel presente giudizio d’appello, la reclamante Aosta Calcio 511 non ha provato che i tre calciatori della Città di Sestu fossero residenti all’estero o, comunque, privi del requisito della residenza in Italia, alla data del 4.12.2021. I tre certificati di residenza nel Comune di Sestu, rilasciati dall’Ufficiale di Anagrafe del Comune di Gignod in data 28.1.2022 e ritualmente prodotti nel presente giudizio, non sono idonei a dimostrare che i calciatori …..fossero privi del requisito anagrafico alla data del 4.12.2021. Viceversa, come detto, sono inammissibili le successive allegazioni documentali trasmesse dalla reclamante in data 1.3.2022.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0058/CFA del 17 Gennaio 2022 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale – sezione disciplinare n. 66 del 02.12.2021

Impugnazione – istanza: ASD CORMAR FUTSAL POLISTENA

Massima: Confermata la decisione del TFN che ha sanzionato la società con punti 3 di penalizzazione ed euro 500,00 di ammenda a titolo di responsabilità oggettiva, per la posizione irregolare del calciatore extracomunitario a ben 12 gare di campionato (all’esito del quale la società è stata promossa nella categoria superiore) per il comportamento del proprio calciatore posto in  violazione degli artt. 4, comma 1, CGS e 40 quinquies, comma 1 punto 1, NOIF per aver taciuto, all’atto del tesseramento per la società, di essere stato tesserato per la Federazione brasiliana e per aver consapevolmente violato la norma sul limite massimo di tesseramenti per calciatori cittadini di Paesi non aderenti alla UE/EEE, essendo a conoscenza del fatto che per la società era già tesserato il calciatore …., extracomunitario proveniente da società estera.

Massima: Il “thema decidendum” ruota intorno al ruolo ed alla natura della responsabilità della società come declinata dagli artt. 6 e 7 CGS, ragion per cui si impone un’analisi di dettaglio delle suddette disposizioni. L’art. 6 del Codice assurge a referente di carattere generale per quanto concerne la responsabilità disciplinare dei sodalizi sportivi scaturente dalla inosservanza dei comportamenti imposti dalla normativa di settore per assicurare la salvaguardia e la conservazione dei valori fondamentali che informano lo sport e la sua pratica. Sotto il profilo soggettivo la norma si impone non solo alle società sportive che militano nei campionati professionistici aventi la forma di società di capitali con finalità lucrative, ma anche le società dilettantistiche ed amatoriali, aventi generalmente la forma di associazioni non riconosciute. 1) Il primo comma, configura la responsabilità c.d. “diretta” della società la quale “risponde direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali”. Essa trova in tutta evidenza fondamento nel rapporto di immedesimazione organica che lega il sodalizio sportivo a (colui o) coloro che, al suo interno, sono investiti del potere di agire in nome di questo. Affinché la responsabilità possa trasmettersi e risalire dal rappresentante al rappresentato non è necessaria alcuna indagine circa l’effettiva utilità per l’ente della condotta antisportiva (che si presume iuris et de iure). Tale ipotesi di responsabilità è stata sempre inquadrata dalla giurisprudenza sportiva come ipotesi di responsabilità oggettiva, salvo quanto si dirà in seguito in ordine all’art. 7 del CGS, sulla scorta del fatto che essa derivava automaticamente e oggettivamente da quella personale dell’autore materiale dell’infrazione, per di più senza che si dessero margini per dimostrare l’assenza di profili di colpa. 2) Le tre ipotesi distribuite nei commi 2, 3 e 4, sono state tradizionalmente attratte al modello della “responsabilità oggettiva” in quanto esponevano il sodalizio a conseguenze sanzionatorie per atti o fatti riferibili a soggetti «interni» o «esterni» alla propria struttura/organizzazione senza però riconoscere rilievo alcuno all’elemento soggettivo. 3) Infine, ai sensi del comma 4, i club calcistici sono tenuti a garantire e, in difetto, a rispondere della violazione delle norme in materia di ordine e sicurezza per fatti accaduti prima, durante e dopo lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti. Tale ipotesi delinea una fattispecie di responsabilità c.d. “presunta”, connotata da una presunzione di tipo relativo, superabile quando risulti o vi sia un ragionevole dubbio che la società non abbia partecipato all’illecito. Premesso questo inquadramento, in relazione al giudizio di che trattasi, appare necessario un approfondimento in ordine all’ipotesi di responsabilità della società ex comma 2 dell’art. 6, CGS. Il ricorso al regime della responsabilità oggettiva (a sostegno della legittimità del quale si invoca anche il principio ubi commoda, ibi et incommoda), nell’ordinamento sportivo muove dall’intenzione di indurre le società a porre in essere tutti quegli accorgimenti che possano essere considerati idonei a prevenire il verificarsi di fatti pregiudizievoli. Si rammenta che anche l’ordinamento civilistico conosce varie fattispecie di affermazione di responsabilità che prescindono dal dolo o dalla colpa, in considerazione del bene protetto o della natura intrinsecamente rischiosa dell’attività imprenditoriale esercitata. Ebbene, nell’ordinamento sportivo tale scelta scaturisce dall’esigenza di proteggere gli scopi fondamentali verso i quali è indirizzato lo sport, così da assicurare il pacifico svolgimento dell’attività sportiva e al tempo stesso garantire la regolarità delle competizioni agonistiche. Non si persegue, dunque, uno scopo punitivo, bensì il giusto equilibrio dei valori che determinano il risultato sportivo; la sanzione disciplinare non è rivolta a colpire soggettivamente la società, ma a mutare oggettivamente una situazione di fatto verificatasi contro e nonostante le regole dell’ordinamento sportivo. A tale proposito, il Collegio di Garanzia dello Sport ha richiamato il “principio di precauzione”, in forza del quale l’esigenza di prevenire pericoli derivanti da illeciti è così forte che “il criterio di imputazione della responsabilità, a carico della società calcistica, è talmente severo e rigoroso da consentire di irrogare sanzioni oltre e al di là di ogni individuazione di colpevolezza” (Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione 8 settembre 2015, n. 42). La responsabilità ex art. 6, commi 2, 3  viene quindi attribuita a seguito dell’accertamento delle condotte soggettive per: violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità (art. 4); dichiarazioni lesive rilasciate da un tesserato (art. 23); violazione del divieto di scommesse (art. 24); inosservanza degli obblighi inerenti alle misure di prevenzione di fatti violenti (art. 25); fatti violenti dei sostenitori (art. 26); comportamenti discriminatori (art. 28); illecito sportivo (art. 30, comma 4); inottemperanza all’obbligo di denuncia in materia d’illecito sportivo (art. 30, comma 7:); violazioni in materia gestionale ed economica (art. 31); violazioni in materia di tesseramento (art. 32). In sostanza, si configura un trasferimento, anche in capo alla società di calcio, della responsabilità soggettiva di tutte le persone che, a vario titolo, agiscono nell’interesse della società, o che comunque svolgono un ruolo rilevante nell’ambito dell’attività sportiva, prescindendo da qualunque valutazione in merito all’antigiuridicità della condotta nonché da qualsivoglia giudizio di colpevolezza in capo alla società. Si osserva che tale modello viene applicato anche a livello internazionale (Cfr. art. 8 del codice disciplinare della FIFA). Affinché la fattispecie risulti integrata, si reputano dunque sufficienti i seguenti elementi: - la sussistenza del fatto previsto e punito dal codice di giustizia sportiva; - la commissione dello stesso da parte dei tesserati, dirigenti, soci, sostenitori, ecc., della società; - l’imputabilità, a titolo di colpa o di dolo, del fatto al suo autore. In sostanza, dunque, quella a carico delle società calcistiche risulta una responsabilità oggettiva assai rigorosa, operante non solo laddove la società abbia, anche inconsapevolmente, tratto un vantaggio dalle condotte illecite altrui, ma altresì in presenza di comportamenti che, al contrario, possano arrecare alla stessa un pregiudizio. Ferma la validità e l’irrinunciabilità del modello della responsabilità oggettiva, nel tempo si è avvertita, anche grazie all’opera della giurisprudenza sportiva, l’esigenza di una sua mitigazione soprattutto sotto il profilo del quantum della sanzione. Una prima apertura è stata individuata nell’introduzione di un sistema di attribuzione della responsabilità basato sui criteri del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il quale attribuisce efficacia esimente all’adozione, da parte delle società, di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati espressamente previsti dal decreto. Il suddetto modello, nato per essere applicato in seno all’ordinamento statale, è stato effettivamente recepito dall’ordinamento sportivo e, più in particolare, da quello calcistico. Tale processo è iniziato con le modifiche dello Statuto federale deliberate il 22 gennaio 2007 dall’Assemblea Straordinaria FIGC, le quali prevedono, all’art. 7, comma 5, che il Consiglio federale, sentite le Leghe interessate, “emani le norme necessarie e vigili affinché le società che partecipano a campionati nazionali adottino modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto”. È seguita poi l’introduzione, all’interno del previgente Codice di Giustizia FIGC, all’art. 13, di una specifica esenzione delle società da responsabilità per comportamenti dei propri tifosi, in base alla quale “La società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione dell’articolo 12 se ricorrono congiuntamente tre delle seguenti circostanze: a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo; b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni; c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti; e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società […]”. Fino a poco tempo fa, dunque, l’adozione di un modello organizzativo virtuoso poteva avere efficacia esimente per le società, ma solo rispetto ai comportamenti posti in essere dai sostenitori, e in presenza congiunta di altre circostanze. In difetto della ricorrenza di tre delle circostanze elencate, se la società avesse dimostrato la sussistenza di “alcune” di esse, la responsabilità avrebbe potuto essere attenuata. Con la recente riforma della giustizia sportiva del calcio, il legislatore ha inteso compiere un passo ulteriore, in ordine al ruolo esimente e attenuante del modello di organizzazione, gestione e controllo, con la sua estensione a tutti i casi di responsabilità delle società previste dal novellato art. 6 del CGS, quindi anche in relazione alle infrazioni sportive commesse da dirigenti, tesserati, soci e non soci cui è riconducibile direttamente o indirettamente il controllo della società, dipendenti o persone comunque addette ai servizi della società. Infatti, dal confronto tra l’art. 4, commi 2 e 3 del soppresso CGS e l’art. 6, commi 2 e 3 del CGS in vigore emerge la soppressione del termine “oggettivamente”. Nello specifico, il nuovo art. 7 del CGS, rubricato “Scriminante o attenuante della responsabilità della società”, prevede che il Giudice Sportivo, al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società, valuti l’adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5 dello Statuto FIGC. In attuazione di tale ultima disposizione, il Consiglio Federale ha di recente approvato delle linee guida (C.U. n. 131/L del 4 ottobre 2019), dettando una serie principi ai quali le società dovranno attenersi nell’adozione di c.d. “Modelli di prevenzione”. Il rispetto delle suddette linee guida consentirà quindi di accertare un’assenza di colpa in capo alle società. Queste ultime dovranno, dunque, provare di aver attivato ed effettivamente, correttamente ed appropriatamente utilizzato un modello organizzativo ed un organismo di vigilanza, controllo e prevenzione tali da consentire da un esame concreto della fattispecie un esimente o attenuazione di responsabilità. Si configura così un sistema basato su una forma di attribuzione della responsabilità meno rigida, ancorata alla c.d. “colpa organizzativa”. In altri termini, il modello, sottoposto al vaglio del giudice, dovrà essere esaminato da quest’ultimo al fine di verificare se vi sia stata un’incapacità della società nel prevenire l’illecito che si è verificato. L’accertamento circa un eventuale deficit organizzativo rispetto ad un “modello di diligenza esigibile” configurerà quella rimproverabilità posta a fondamento della fattispecie sanzionatoria, dovuta all’omissione delle doverose cautele organizzative e gestionali di fronte a circostanze ed eventi prevedibili. Per rifarsi alle categorie civilistiche, parrebbe quindi che si passi da una responsabilità oggettiva in senso stretto o assoluta a quella che si definisce “semi-oggettiva” o “aggravata”, perché a “colpa presunta”. In altri termini, la mancata adozione del modello organizzativo da parte della società, qualifica la sua responsabilità quale oggettiva in senso stretto, mentre laddove viene adottato se ne verifica un suo affievolimento, demandandosi agli organi di giustizia sportiva la verifica in concreto se il modello adottato e le relative cautele prese possano costituire un esimente o un’attenuazione della responsabilità ex art. 7 CGS. Ove tale accertamento risulti negativo, riespande anche in tal caso la responsabilità di tipo oggettivo. Si tratta di un modello di responsabilità (che ha riscontri anche nell’ordinamento civile ex artt. 2047 e 2048 c.c. al pari della responsabilità della PA per atto illegittimo) in cui si presume la sussistenza dell’elemento soggettivo fino a prova contraria fornita dalla società. Si verifica, quindi, un’inversione dell’onere della prova, atteso che non è l’organo inquirente a dover provare la colpa della società, ma è quest’ultima, che per andare esente da responsabilità deve provare l’assenza di colpa. Se la colpa non sussiste, ma la società non riesce a fornire la prova della sua insussistenza, la responsabilità si configura comunque. Si tratta di una forma intermedia di responsabilità, tra quella soggettiva e quella oggettiva, definita anche in dottrina per colpa presunta ovvero semi-oggettiva o aggravata, in forza della quale è sufficiente che la colpa della società sia dimostrata solo attraverso la prova del danno e del nesso eziologico. È opportuno evidenziare, tuttavia, che, con riferimento ai comportamenti dei sostenitori commessi in violazione degli artt. 25 (prevenzione di fatti violenti), 26 (fatti violenti dei sostenitori) e 28 (comportamenti discriminatori), il nuovo codice, all’art. 29, comma 1, prevede che:a) l’adozione del Modello assuma efficacia esimente solo laddove sussista congiuntamente ad almeno altre due tra le seguenti circostanze specificatamente previste dalla norma: “b) la società ha concretamente cooperato con le Forze dell’ordine e le altre Autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori, ponendo in essere gli atti di prevenzione e vigilanza concordati e prescritti dalle norme di settore; c) la società ha concretamente cooperato con le Forze dell’ordine e le altre Autorità competenti per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni, anche mediante l’utilizzo a spese della società di tecnologie di video-sorveglianza; d) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; e) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti”. Il secondo comma prevede, poi, che la responsabilità sia attenuata “se la società prova la sussistenza di una o più circostanze di cui al comma 1”.  A ben vedere, con specifico riguardo alle fattispecie in esame, la nuova disciplina non cambia molto rispetto a quella previgente, dettata dal vecchio art. 13, considerato che l’adozione di un modello di prevenzione può avere efficacia esimente solo se ricorre con altre due circostanze; diversamente, può costituire un’attenuante. Premesso quanto sopra e facendo corretta applicazione dell’art. 6, comma 2, CGS alla fattispecie in esame, non si può non condividere, sia pur con diversa motivazione, la sentenza del TFN. La società reclamante non ha fornito alcun tipo di prova in ordine all’adozione dei citati modelli organizzativi ex art. 7 CGS, necessari, ma non sufficienti per escludere o attenuare la responsabilità. Atteso che, come detto, sarebbe poi stata necessaria una verifica, in concreto, da parte dell’organo giudicante se le precauzioni adottate potevano costituire un esimente ovvero un’attenuante. La responsabilità oggettiva della società sportiva risulta conseguentemente integrata nella ricorrenza dei seguenti elementi: - la sussistenza del fatto previsto e punito dal codice di giustizia sportiva; - la commissione dello stesso da parte dei tesserati, dirigenti, ecc., della società; - l’imputabilità, a titolo di colpa o di dolo, del fatto al suo autore (il calciatore); - la presunzione di ricorrenza del nesso eziologico, quale vincolo di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni del calciatore (ex art. 2049 c.c.); presunzione superabile con la prova che il fatto dannoso commesso dal calciatore non era in rapporto neppure di occasionalità con le mansioni da lui svolte. Infatti, come correttamente osservato dal giudice di I° grado il calciatore ha consentito alla società un indebito vantaggio sportivo rispetto alle altre squadre partecipanti al campionato di serie A2 stagione 2020-2021. In buona sostanza, con il proprio comportamento vietato, il calciatore ha consapevolmente alterato il corretto svolgimento del Campionato di competenza in danno delle altre società ad esso partecipanti conseguendo, al termine dei play-off, la promozione della squadra per cui militava al Campionato di Serie A1”.

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