Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 93/TFN - SD del 07 Febbraio 2022  (motivazioni)

Impugnazione - Deferimento n. 3604 /799pf19-20/GC/blp del 22 settembre 2020 nei confronti della società FCD Novese Calcio Femminile - Reg. Prot. 78/TFN-SD

Massima: Ammenda di euro 1.500,00 alla società a titolo di responsabilità oggettiva, per i comportamenti dell’allenatore della prima squadra contestualmente deferito alla Commissione Disciplinare del Settore Tecnico per aver tenuto, nelle stagioni sportive 2018/2019 e 2019/2020, comportamenti gravemente denigratori e discriminatori per aspetto fisico e orientamenti sessuali, abusando della propria posizione di allenatore della prima squadra, di alcune calciatrici tesserate per la Società, ma non per aver, dall’estate 2019, tenuto comportamenti anomali volti ad instaurare una relazione con una delle calciatrici nonostante il di lei rifiuto; infine, per aver riferito al padre di una calciatrice che non avrebbe ottenuto lo svincolo della figlia in assenza di corresponsione di una somma di denaro alla società…..Per la valutazione di tale responsabilità costituisce riferimento pieno, in punto dei fatti contestati, la decisione, divenuta definitiva, n. 72/2020/2021 R.D. con cui la Corte Federale d’Appello ha deciso il reclamo a suo tempo proposto dal sig. M.F. Infatti, la responsabilità oggettiva in esame discende, ex art. 6, comma 2, CGS, dai comportamenti contestati al ridetto quale tesserato, nel caso con lo status di allenatore della prima squadra. Consegue da ciò che la Società va prosciolta dall’incolpazione derivante dal contenuto della telefonata tra il sig. M.F. e il padre di una calciatrice tesserata per la Società, avendo al riguardo la CFA (pag. 17 della decisione) confermato il proscioglimento pronunciato sul punto dalla Commissione Disciplinare del Settore Tecnico. Per quanto attiene agli altri due capi di incolpazione (in realtà riuniti in uno nel deferimento), la CFA ha affermato la responsabilità del deferito per entrambi. Ritiene, tuttavia, il Tribunale che sia necessario al riguardo operare, sul piano del diritto sportivo, una differente valutazione in ordine ai due fatti contestati. Questo Tribunale, in particolare, ritiene che la responsabilità oggettiva di una Società, in fattispecie quale quella in esame, non possa derivare “meccanicamente” dal riconoscimento di responsabilità disciplinare nei confronti di un proprio tesserato, ma che occorra un quid pluris. Occorre, sempre con riguardo a fattispecie quale quella in esame, che quel comportamento afferisca al ruolo del tesserato all’interno della Società oppure sia stato tenuto nell’ambito proprio della Società, nel senso che ne costituisca esplicazione, oppure che quel ruolo abbia rappresentato causa necessaria o quantomeno occasione necessaria del comportamento ovvero che, sussistendo quel comportamento tenuto nell’esercizio del ruolo come ora delineato, esso si sia risolto in un vantaggio per la Società. Altrimenti, la responsabilità oggettiva finirebbe per avvicinarsi troppo (se non per ricomprendere la) alla responsabilità presunta (riservata alle ipotesi di illecito sportivo) oppure alla responsabilità per fatto altrui (fatti commessi dai tifosi, salve le esimenti previste). Applicando questi principi nel procedimento in decisione, ritiene il Tribunale che la Società deferita vada ritenuta responsabile oggettivamente solo per la prima (parte dell’) incolpazione riguardante i comportamenti gravemente denigratori e discriminatori per aspetto fisico e orientamenti sessuali tenuti nei confronti di alcune calciatrici; mentre vada prosciolta dalla seconda (parte dell’) incolpazione riguardante i comportamenti volti a instaurare una relazione con una calciatrice nonostante il rifiuto opposta dall’atleta. Invero, i comportamenti verso alcune calciatrici per il loro aspetto fisico sono stati tenuti nell’esercizio proprio della funzione di allenatore, sia durante gli allenamenti sia durante le partite, e sono stati riferiti (quanto alle parole, senz’altro sanzionabili per il loro contenuto, riguardanti appunto la fisicità) ad elementi propri della componente atletica delle calciatrici. Altrettanto è a dirsi per i comportamenti e le parole riguardanti i ritenuti orientamenti sessuali di alcune calciatrici, anch’essi tenuti nell’esercizio del ruolo e della funzione di allenatore. Al riguardo, non rileva, in senso esimente od attenuante, la circostanza dedotta dalla difesa che la Società, venuta a conoscenza dei fatti, aveva rimosso il sig. M.F. dal ruolo di allenatore della prima squadra, sia perché una tale iniziativa non incide certamente sulla sussistenza della responsabilità oggettiva (peraltro riguardante comportamenti tenuti prima della rimozione) sia perché non può essere valutata quale attenuante, dovendo semmai quella iniziativa essere ben più radicale. Per contro, gli altri comportamenti, non a caso tenuti prevalentemente durante un viaggio premio in Puglia (sia pure organizzato e offerto dalla Società), nulla hanno a che vedere con il ruolo di allenatore; sono stati tenuti al di fuori del possibile controllo societario; hanno trovato mera (semplice) occasione nel ruolo ricoperto; non hanno comportato alcun vantaggio (anzi, certamente il contrario sul piano dell’immagine) per la Società. Significativa, al riguardo, è la risultanza probatoria della tenuta dei comportamenti forse più significativi durante una serata in un pubblico locale da ballo. Né può, in contrario, rilevare che il sig. M.F. abbia potuto tenere quei comportamenti verso una calciatrice solo perché la aveva conosciuta e frequentata quale allenatore della Società per la quale era tesserata, in quanto ciò, come già accennato, rappresenta una mera occasionalità se non piuttosto una mera casualità. Del resto e non a caso, già l’atto di deferimento aveva contestato l’aggravante dell’abuso di posizione di allenatore della prima squadra della Società alla sola prima incolpazione e la CFA ha pienamente condiviso tale impostazione riconoscendo anch’essa tale aggravante e riservando alla seconda incolpazione l’aggravante dei motivi futili o abbietti; con ciò riconoscendo che i comportamenti di cui alla seconda incolpazione non erano connessi o derivanti dallo status di allenatore della prima squadra della Società.

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