CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE QUINTA – SENTENZA DEL 11/04/2022 N. 2640

Pubblicato il 11/04/2022

N. 02640/2022REG.PROV.COLL.

N. 04832/2021 REG.RIC.

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4832 del 2021, proposto da Curatela del Fallimento dell'Unione Sportiva Città di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giulio Falgares, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Letizia Mazzarelli, Luigi Medugno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo di essi in Roma, via Panama 58; C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Frosinone Calcio S.r.l., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 02275/2021, resa tra le parti, concernente accertamento del diritto della U.S. Città di Palermo S.p.a. ad ottenere il titolo sportivo per l'iscrizione al Campionato di Serie A di calcio.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Federazione Italiana Giuoco Calcio (FGCI) e di C.O.N.I.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2022 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Pinto, in sostituzione dell'Avv. Falgares per delega depositata, Mazzarelli, Medugno e Angeletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Nel giugno 2018 si disputa lo spareggio per la serie A tra Palermo e Frosinone. La gara di andata viene vinta dal Palermo. La gara di ritorno dal Frosinone che si aggiudica lo spareggio per differenza reti. La gara di ritorno (stadio di Frosinone) a detta dell’appellante si svolgerebbe tuttavia in un clima “rovente” per i giocatori del Palermo, i quali non sarebbero riusciti sostanzialmente a giocare, sempre secondo quanto riferito dalla parte appellante, a causa del comportamento scorretto ed antisportivo da parte dei tifosi del Frosinone.

2. Il Palermo chiede l’intervento della giustizia sportiva (chiedendo in particolare la vittoria “a tavolino” ai sensi dell’art. 17 del codice della giustizia sportiva) in quanto taluni comportamenti tenuti da tesserati e sostenitori del club avversario, nel corso del secondo tempo, avrebbero compromesso il regolare svolgimento della gara, condizionandone l’esito sfavorevole per la società ospitata. I ridetti organi di giustizia sportiva, dopo diversi interventi e decisioni nei vari gradi in essa contemplati, riconoscono la rilevanza di taluni comportamenti adottati durante la gara (reiterato lancio di oggetti in campo). La stagione successiva è comunque già iniziata e dunque le rispettive posizioni (Palermo in serie B e Frosinone in serie A) non debbono essere toccate. Le sanzioni saranno in altre parole scontate sulla stagione in corso e senza rimettere in discussione il risultato scaturito sul campo e, dunque, anche gli esiti del suddetto spareggio per accedere alla massima serie. Il Collegio di Garanzia, con decisione n. 56 del 10 settembre 2018, afferma infatti che: “ovviamente le sanzioni da applicare non possono essere infitte su situazioni già cristallizzate, ma debbono essere scontate ed inflitte nella stagione corrente”.

3. A questo punto viene proposto ricorso al TAR, da parte del Palermo, avverso la mancata ammissione al campionato di serie A. Viene in particolare invocato l’accertamento del diritto della U.S. Città di Palermo S.p.a. ad ottenere il titolo sportivo per l’iscrizione al Campionato di Serie A di calcio per la stagione 2018/2019. Il TAR Lazio dichiara tuttavia inammissibile il ricorso in quanto il curatore del Palermo Calcio, nelle more del giudizio sottoposto a fallimento, ha riassunto il giudizio computando i relativi termini a decorrere non dal momento della pubblicazione della sentenza di fallimento ma dal momento in cui il giudizio è stato dichiarato interrotto dallo stesso TAR (art. 43 Legge Fallimentare, come modificato dalla riforma del diritto societario del 2006). In particolare, il Tribunale Amministrativo ha ritenuto che ai sensi dell'art. 43, ultimo comma, del r.d. n. 267/1942, modificato dall'art. 41, comma 1, d.lg. n. 5/2006, l’apertura del fallimento costituirebbe una ipotesi di automatica interruzione del processo che si verifica, ossia, senza la necessità di alcuna dichiarazione o presa d'atto non appena viene dichiarato il fallimento di una delle parti ed il termine per effettuare la riassunzione del processo decorrerebbe per la parte che ne è colpita dal verificarsi dell’evento interruttivo (dichiarazione di fallimento). In questa stessa direzione: “il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all'art. 305 c.p.c., ha decorrenza diversa a seconda che si faccia riferimento alla parte colpita dall'evento interruttivo (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo) ovvero all'altra parte”. Pertanto: “Nel primo caso il termine decorre dalla realizzazione dell'evento; nel secondo dal momento in cui la parte ne viene a conoscenza”. Il TAR ha infine affermato: “Va dunque rilevato che, come ricordato in narrativa, la parte ricorrente non ha notificato l'atto di riassunzione del processo, ovvero l’istanza di fissazione udienza di cui all’art. 80 comma 2 c.p.a., nel termine trimestrale dalla conoscenza dell’evento interruttivo; pertanto, in applicazione delle disposizioni summenzionate il Collegio deve dare atto dell’estinzione del presente giudizio”.

4. La decisione del TAR ha formato oggetto di appello in questa sede, in buona sostanza, per violazione dell’art. 300 c.p.c. e dell’art. 43 del RD n. 267 del 1942 (c.d. Legge Fallimentare). Ed infatti, nella prospettiva della parte appellante: “con particolare riguardo al caso in cui la riassunzione debba essere operata dal curatore fallimentare, ai fini del decorso del termine per la riassunzione non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore fallimentare dell’evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare; conoscenza che deve per l’appunto essere legale” (pag. 17 atto di appello). Con memoria di udienza del 31 gennaio 2022 veniva peraltro invocata la mancata applicazione della disciplina emergenziale, con particolare riguardo alla sospensione dei termini giurisdizionali, di cui al DL n. 18 del 2020 e al DL n. 84 del 2020.

5. Si sono costituiti in giudizio CONI e FGCI (quest’ultima proponendo rituale appello incidentale autonomo) le quali hanno complessivamente – e in estrema sintesi – fatto presente che:

5.1. Sussiste il difetto assoluto di giurisdizione (questione fatta valere, in particolare, mediante appello incidentale autonomo proposto dalla FGCI in quanto tale eccezione non era stata presa in considerazione dal TAR Lazio);

5.2. Non è stata ritualmente coltivata la c.d. “pregiudiziale sportiva” atteso che si sono succedute due ulteriori decisioni del Collegio di Garanzia (n. 17 del 2018 e n. 83 del 2019) non debitamente e ulteriormente gravate dinanzi agli organi della giustizia sportiva e neppure riproposte, ai sensi della legge n. 145 del 2018, dinanzi al TAR;

5.3. In via subordinata, risulta in ogni modo corretta la lettura che ha dato il TAR circa la combinata applicazione dell’art. 300 c.p.c. e dell’art. 43 della Legge Fallimentare.

6. Alla pubblica udienza del 10 marzo 2022 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.

7. Tutto ciò premesso la decisione del TAR, seppur corretta in sé sui termini di riassunzione del giudizio in caso di fallimento, non tiene comunque conto del fatto che andava preliminarmente dichiarato il difetto di giurisdizione. Eccezione questa nuovamente e ritualmente sollevata, con appello incidentale autonomo, dalla FGCI. In questa direzione va dunque rigettata l’eccezione al riguardo formulata dalla appellante principale secondo cui il presente giudizio dovrebbe concentrarsi sulle uniche questioni affrontate dal giudice di primo grado (cfr. memoria in data 31 gennaio 2022). E ciò dal momento che l’appello incidentale, qui tempestivamente proposto ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.a. (appello principale notificato in data 14 maggio 2021; appello incidentale notificato in data 28 maggio 2021) è diretto per l’appunto ad impugnare la sentenza di primo grado nella parte in cui è stata implicitamente affermata la giurisdizione del GA. Questione, quella di giurisdizione, che va dunque pregiudizialmente affrontata rispetto a tutte le altre.

8. Tanto doverosamente premesso il ricorso, seppure formalmente diretto a contestare la mancata ammissione al campionato ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera z-septies), c.p.a. (che di norma riguarda il segmento che si sviluppa tra la fine di una stagione e l’inizio di un’altra e che si concentra sulla contestazione di aspetti amministrativi o finanziari come il “fair play finanziario” nonché le situazioni di irregolarità fiscale e contributiva delle varie società), è piuttosto sostanzialmente diretto a rimettere in discussione gli esiti della gara di ritorno che, nella prospettiva di parte ricorrente, doveva essere aggiudicata “a tavolino” a favore del Palermo stesso.

9. Si tratta in altre parole di rimettere in discussione la correttezza e la regolarità tecnico-sportiva dell’incontro in considerazione. Si vedano al riguardo le deduzioni dell’atto di appello in cui si ribadisce in estrema sintesi che: a) venivano lanciati dagli spalti, con l’ausilio dei raccattapalle e persino di alcuni giocatori, numerosi palloni “con lo scopo realizzato di interrompere il gioco” (pag. 6 atto di appello); b) dopo il secondo gol del Frosinone vi sarebbe stata invasione di campo dei tifosi del Frosinone; c) di conseguenza l’arbitro avrebbe anzitempo e irregolarmente concluso la partita, con ciò danneggiando il Palermo che doveva rimontare lo svantaggio (pag. 7 atto di appello).

10. Il fatto che ciò abbia comportato la mancata ammissione al campionato di serie A costituisce invero mera ed automatica conseguenza (si trattava infatti del decisivo spareggio finale) di un accertamento che ad ogni buon conto riguardava, in senso stretto, la sola osservanza ed applicazione di norme regolamentari dell’ordinamento sportivo: aspetti questi che l’art. 2 del decreto-legge n. 220 del 2003 riserva come noto, in via esclusiva, al solo ordinamento sportivo.

11. Da condividere dunque le conclusioni cui il giudice di primo grado era pervenuto in fase cautelare (ordinanza 27 settembre 2018, n. 5689) allorché aveva correttamente affermato che: “oggetto del ricorso è l’invalidazione del risultato della gara disputata con il Frosinone, conclusasi con la vittoria di quest’ultima squadra, in applicazione del disposto dell’art. 17 del Codice di Giustizia Sportiva … la domanda come sopra proposta attiene alla contestata attribuzione del risultato della partita disputata, per effetto di condotte di disturbo intervenute durante lo svolgimento della stessa che, secondo la prospettazione della ricorrente, avrebbero dovuto comportare, in sede di verifica dei risultati e di controllo del rispetto della disciplina di gioco, l’applicazione della sanzione tecnica della perdita della gara … tale questione va ricondotta nell’ambito della previsione dell’art. 2, lett. a), della legge n. 280/2003, che riserva all’ordinamento sportivo la cognizione delle controversie concernenti l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale, nonché l’esatta valutazione dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni disciplinari sportive … quindi … sulla controversia difetta la giurisdizione del giudice statale, non essendo l’applicazione di tali regole tecniche suscettibile di sindacato giurisdizionale”.

12. Le conclusioni di cui sopra sono suffragate dalle seguenti ulteriori considerazioni, tutte evincibili dalla sola epigrafe dell’appello ove si chiede, in particolare:

a) la applicazione al Frosinone Calcio S.r.l. della sanzione di cui all'art. 17 Codice Giustizia dello Sport (sconfitta c.d. a tavolino) in ragione dei comportamenti tenuti nel corso della gara di ritorno dei play off Serie B disputata il 16 giugno 2018 ed in conformità a quanto statuito dal Collegio di Garanzia dello Sport del CONI con decisione assunta in data 10.8.2018 (motivazioni depositate in data 10.9.2018). Ebbene il richiamato art. 17, rubricato “Sanzioni inerenti alla disputa delle gare”, prevede proprio che: “La società ritenuta responsabile, anche oggettivamente, di fatti o situazioni che abbiano influito sul regolare svolgimento di una gara o che ne abbiano impedito la regolare effettuazione, è punita con la perdita della gara stessa con il punteggio di 0 3;

b) la disapplicazione/annullamento delle motivazioni del Collegio di Garanzia del CONI depositate in data 10.9.2018 (decisione n° 56/2018) nella parte in cui si legge che le sanzioni da applicare al Frosinone Calcio S.r.l. “non possono essere infitte su situazioni già cristallizzate, ma debbono essere scontate ed inflitte nella stagione corrente”

c) più in generale, la erronea applicazione della adeguata sanzione da parte dell'ordinamento sportivo.

A ciò si aggiunga che nella citata memoria difensiva in data 31 gennaio 2022 della stessa parte appellante si specifica proprio che: “la presente azione è stata incoata dall’U.S. Città di Palermo S.p.A. per accertare il diritto ad ottenere il titolo sportivo per l’iscrizione al campionato di Seria A 2018-2019, quale conseguenza dell’irrogazione al Frosinone Calcio s.r.l. della sanzione della sconfitta a tavolino della gara di ritorno dei Play off” (pag. 9 della ridetta memoria).

13. Il contesto in cui si intende muoversi è in altre parole quella dell’indifferente giuridico: ed infatti è il diverso risultato sportivo che si vuole ottenere. Ambito questo tuttavia riservato alla sfera esclusiva della giustizia sportiva.

Ove si accedesse alla tesi di parte appellante, in altre parole, si finirebbe inevitabilmente per sindacare – neppure troppo indirettamente – anche l’esito della gara in questione. Con l’inevitabile conseguenza di rischiare di sindacare “l’esercizio pregresso di funzioni (di altra natura) rientranti nel perimetro delle attività riservate all’autonomia intangibile dell’ordinamento sportivo” (cfr. pag. 6 della memoria FGCI del 25 febbraio 2022),

La reale materia del contendere, pertanto, investe a ben vedere una questione di natura tecnica (riguardante la omologazione del risultato di una gara) senz’altro riconducibile nell’ambito di previsione dell’art. 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 220 del 2003, a norma del quale, come già evidenziato: “è riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto … l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive”.

E la questione della ammissione alla massima serie – si è già in parte anticipato – è solamente un posterius, come correttamente posto in evidenza dalla difesa della FGCI, ossia una conseguenza pressoché automatica dell’anelata invalidazione e dunque ribaltamento (“a tavolino”) del risultato che si è registrato sul campo. In questa stessa direzione va da sé, come ben evidenziato anche dalla difesa del CONI, che i risultati acquisiti sui campi di gioco, determinando la posizione di ciascuna compagine nella classifica finale del Campionato, costituiscono il presupposto per l’acquisizione del titolo sportivo a partecipare ad un determinato Campionato, ma ciò non è in alcun modo sufficiente a ricondurre la controversia nell’ambito di quelle attinenti all’ammissione al Campionato di competenza.

Si verte pertanto su un regime di “totale autonomia” riconosciuto legislativamente per simili tipologie di controversie, quello ossia della omologazione dei risultati strettamente sportivi, come tali coperti da una riserva assoluta di insindacabilità da parte di qualsiasi giudice statale.

Di qui il radicale difetto di giurisdizione del GA.

14. In conclusione l’appello incidentale deve essere accolto, con conseguente improcedibilità di quello principale (ciò dal momento che il ritenuto difetto di giurisdizione fa venire meno ogni interesse alla decisione strettamente relativa agli eventuali vizi della sentenza di primo grado). Pertanto, in riforma della sentenza impugnata il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione del giudice statale.

15. Con compensazione in ogni caso delle spese di lite stante la peculiarità delle esaminate questioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’appello incidentale;

b) dichiara improcedibile l’appello principale;

c) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente FF

Angela Rotondano, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

 

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