TRIBUNALE ORDINARIO DI L’AQUILA Sentenza n. 804/2021 pubbl. il 09/12/2021
TRIBUNALE ORDINARIO DI L’AQUILA
Sezione specializzata in materia d’impresa
IN COMPOSIZIONE COLLEGIALE
composto dai seguenti magistrati riuniti in camera di consiglio:
Dott. Christian Corbi Presidente rel.
Dott. Giovanni Spagnoli Giudice
Dott. Niccolò Guasconi Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 2342 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2018
- procedimento assegnato a questo giudice l’11 febbraio 2019 – rimessa al Collegio per la decisione all’udienza del 9.9.2021, con l’assegnazione dei termini di legge di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito e lo scambio degli scritti difensivi finali, scaduti in data 29.11.2021, vertente
TRA
- OMISSIS - S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata sia a Pescara, Via Conte di Ruvo n. 28, presso lo studio dell’Avv. Giovanni Di Bartolomeo, sia a Pescara, Piazza 1° maggio n. 4, presso lo studio dell’Avv. Marco Sanvitale, che la rappresentano e difendono in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione del 27.1.2017.
Parte attrice
E
DELFINO PESCARA 1936 S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a Napoli, Piazza Bovio n. 22 presso lo studio dell’Avv. Ciro Esposito che la rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di
costituzione di nuovo difensore del 20.1.2021, unitamente all’Avv. Giuliano Milia, quest’ultimo in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione e di risposta del 22.11.2018.
Parte convenuta
OGGETTO: nullità della delibera assunta il 28.10.2015 di approvazione del bilancio di esercizio al 30.6.2015.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
I procuratori delle parti concludevano come da verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 9.9.2021.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, - OMISSIS - S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi l’intestato Tribunale, Delfino Pescara 1936 S.p.A. (di seguito breviter “Delfino”) al fine di sentir accertare e dichiarare: a) la nullità ovvero l’annullabilità della delibera assembleare del 28.10.2015 avente a oggetto l’approvazione del bilancio d’esercizio al 30.6.2015; b) la nullità ovvero l’annullabilità della delibera assembleare del 28.10.2015 avente a oggetto la nomina dei nuovi componenti del Consiglio di amministrazione della convenuta.
A sostegno della domanda principale (nullità della delibera d’impugnazione del bilancio) parte attrice, allegando la violazione dell’art. 2423 c.c. perché il bilancio oggetto della delibera impugnata non sarebbe stato redatto in modo chiaro, veritiero e corretto, si doleva delle seguenti circostanze: a) illegittima iscrizione di inesistenti / inesigibili crediti per imposte anticipate per € 3.358.334,00; b) indebita capitalizzazione, tra le immobilizzazioni immateriali, di costi “pluriennali settore giovanile” per € 2.908.837,00; c) omessa rilevazione del debito verso il “Club Evingado” per almeno € 1.480.000,00; d) previsione di un incongruo fondo svalutazione crediti per € 39.658,00 a fronte di crediti vari pari a € 15.590.110,00; e) pluralità di operazioni in uscita di contante evidenziate con “giroconto emissioni omaggi”, effettuate in violazione della vigente normativa antiriciclaggio, quantomeno in relazione agli importi di valore superiore a € 1.000,00.
A sostegno della domanda di annullabilità della delibera di nomina dei nuovi componenti del CdA, parte attrice ha allegato la presunta sussistenza dell’abuso di
maggioranza che sarebbe consistito: a) in condotte gestorie gravi tali da “estromettere” di fatto di - OMISSIS -, “amministratore espressione della volontà dei soci di minoranza”; b) diniego di accesso alla documentazione della società; c) redazione di un bilancio nullo in quanto non veritiero; d) costituzione di un nuovo CdA che non esprime i rappresentanti dei soci di minoranza.
Si costituiva in giudizio Delfino, contestando la ricostruzione avversaria ed eccependo, in via preliminare di merito, la tardività della domanda ex art. 2377 c.c. e insistendo, nel merito, nel rigetto della domanda attorea.
Il giudizio veniva istruito mediante il deposito e lo scambio delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.
Seguiva l’acquisizione agli atti della relazione dell’Ispettore Dott. - OMISSIS -
- svolta nell’ambito del giudizio svoltosi, ex art. 2409 c.c., tra le medesime parti, dinanzi l’intestato Tribunale e iscritto a ruolo V.G.R.G. n. 1204/17 –, nonché l’ulteriore acquisizione agli atti della C.T.U. svoltasi nel giudizio iscritto a ruolo dinanzi all’intestato Tribunale con R.G. n. 1515/17, tra le medesime parti e relativo all’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di esercizio chiuso al 30.6.2016.
A tal punto, veniva svolta ulteriore C.T.U., al cui relazione è a firma del Dott. - OMISSIS -
Nel corso del processo, Delfino allegava che - OMISSIS - avrebbe subito due pignoramenti delle quote sociali detenute dalla stessa e, per tal via, perso la legittimazione attiva, nonché l’improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 2434 bis c.c.
All’udienza del 9.9.2021, le parti precisavano le rispettive conclusioni e il Giudice, dopo aver assegnato loro i termini di cui all’art. 190 c.p.c., si riservava di riferire al Collegio per la decisione della causa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In punto di fatto, appare opportuno rilevare come il presente giudizio si sia svolto in forza dell’ordinanza n. 12583/18 con cui la S.C. di Cassazione ha deciso il regolamento di competenza promosso dall’attore avverso l’erronea declaratoria di incompetenza – dell’intestato Tribunale in favore degli arbitri – di cui alla sentenza n. 456/17, pubblicata in data 20.7.2017 dal Tribunale di L’Aquila (G.I. Dott. Roberto Ferrari).
1. Le eccezioni preliminari di merito.
Ciò posto, l’art. 276, comma 2, c.p.c., nel prospettare l’ordine di esame delle questioni, impone il vaglio in via prioritaria delle eccezioni pregiudiziali di rito, delle preliminari di merito e quindi di quelle di merito in senso stretto.
1.1. In tale ottica, deve dapprima essere respinta l’eccezione di inammissibilità della domanda in virtù del disposto di cui all’art. 2434 bis c.c.
Al riguardo, le modificazioni dei bilanci relativi ai successivi anni di esercizio, anche ove avessero sanato le irregolarità inficianti i documenti contabili degli anni precedenti, non privano il socio dell’interesse a ottenere la caducazione della delibera di approvazione del bilancio afferente all’anno precedente. E ciò in quanto l’art. 2377, comma 8, c.c. subordina il meccanismo della sanatoria della delibera impugnata all’intervenuta sostituzione della stessa – e non di quella di approvazione del bilancio successivo – con altra e diversa e conforme alla legge (in tal senso, Trib. Torino n. 205/2018).
1.2. Anche l’eccezione relativa alla sopravvenuta carenza di legittimazione attiva di - OMISSIS -, in ragione dei due pignoramenti di cui si è detto, è priva di fondamento.
Come chiarito dalla giurisprudenza (Trib. Roma, 20.1.2021), il socio pignorato, pur perdendo, in favore del custode, il diritto all’esercizio delle facoltà connesse alle azioni pignorate (es. diritto di voto e di opzione), tuttavia rimane comunque titolare delle azioni stesse, cosicchè esso può – sulla base del principio della concorrente, con il custode, legittimazione attiva – validamente esperire le azioni connesse a siffatta titolarità, tra cui: quelle di impugnazione del bilancio, quelle aventi a oggetto il diritto di ispezione dei libri sociali e di esame del bilancio, le azioni cautelari di revoca dell’amministratore, ecc. Il socio inoltre rimane titolare del diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea, di esercitare l’azione sociale di responsabilità e di chiedere al Tribunale l’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento.
In altre parole, l’art. 2352 u.c. c.c. disciplina la “scissione” tra la titolarità della partecipazione sociale, con i connessi diritti, da un lato, e la legittimazione all’esercizio degli stessi, dall’altro.
1.3. Anche l’eccezione di parte convenuta avente a oggetto la decadenza di parte attrice ex art. 2377 c.c. dal diritto a impugnare, ai fini dell’ottenimento della declaratoria di annullamento, la delibera di approvazione del bilancio per cui è causa deve essere respinta.
Sul punto e come meglio si vedrà in seguito, le censure sollevate dall’attrice integrano, ove fondate, il vizio della nullità della delibera impugnata (e non dell’annullabilità), cosicchè il termine decadenziale di 90 giorni invocato dalla convenuta è inapplicabile al caso che in questa sede ci occupa.
2. Il quadro normativo di riferimento.
Ciò posto, il Collegio ritiene necessario, prima di procedere all’esame del merito delle censure sollevate da - OMISSIS -, perimetrare il quadro normativo di riferimento premettendo che, in base alla disciplina codicistica, il bilancio d’esercizio delle società di capitali è costituito da tre documenti contabili: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa (art. 2423, 1° comma, c.c.) e che la funzione del bilancio di esercizio è quella di dimostrare e di rendere noto agli interessati (soci, terzi e mercato in genere) il risultato economico del periodo considerato e la corrispondente situazione patrimoniale e finanziaria. Per tal via, si coniuga il profilo della rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria con quello della rappresentazione del risultato economico di quel dato periodo.
Al riguardo, l’art. 2423, comma 2, c.c. prevede espressamente che “il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”.
Dal contenuto del citato articolo si ricava, oltre alla finalità informativa di cui si è detto, anche la previsione di tre fondamentali clausole generali: quella di chiarezza, quella di verità e quella di correttezza, che devono orientare sia il redattore del bilancio, sia l’operatore del diritto nel successivo esame.
Con il principio della chiarezza, il legislatore ha inteso perseguire l’obiettivo di dare agli interessati (soci, terzi, mercato, ecc.) un’adeguata informazione sull’analitica composizione del patrimonio sociale e non solo sugli elementi positivi e negativi del reddito. Non si è quindi ritenuto sufficiente, in sede legislativa, l’indicazione del valore globale del patrimonio sociale o del risultato economico del periodo, ma si è ritenuto necessaria, ai fini di una adeguata conoscibilità, la descrizione analitica degli elementi atti a determinare il valore finale di bilancio.
In tale contesto assumono rilievo, come espressione del principio di chiarezza, le disposizioni codicistiche in materia di struttura dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.) e
del conto economico (art. 2425 c.c.) e quelle in materia di criteri di valutazione delle poste in bilancio (art. 2426 c.c.). Siffatte disposizioni, che costituiscono il contenuto minimo del documento-bilancio, devono essere osservate nella redazione dello stesso a pena di invalidità.
Con il principio della verità, che sostanzialmente ingloba i principi di continuità e di prudenza di cui si dirà infra e della correttezza, il legislatore impone che la rappresentazione del bilancio sia corrispondente alla realtà e ai valori delle singole poste, prevedendo a tal fine taluni criteri legali di valutazione.
In particolare, la locuzione normativa “rappresentazione veritiera e corretta” implica la rispondenza oggettiva della rappresentazione alle situazioni rappresentate e un atteggiamento soggettivo ispirato alla buona fede, lealtà, correttezza nella rappresentazione.
Ancora, il principio di veridicità impone l’iscrizione in bilancio di tutte le poste che devono essere oggetto di valutazione nonché la corrispondenza tra gli enunciati del bilancio e i giudizi degli amministratori formulati con accuratezza e sorretti da adeguate conoscenze tecniche.
Inoltre, con riferimento ai “valori certi” - a differenza dei “valori stimati” -, verità significa la rilevazione puntuale della realtà fisica e, pertanto, una dichiarazione di scienza dalla quale esula ogni giudizio di valore tecnico-discrezionale.
Oltre a questi tre fondamentali principi informatori della materia, il legislatore ha introdotto (art. 2423 bis c.c.) una serie di principi per la redazione del bilancio – per lo più elaborati dalla materia dell’economia aziendale -, che sono finalizzati a consentire quanto più possibile l’attuazione pratica delle tre clausole generali di cui si è detto.
I principi contabili recepiti dal legislatore sono, seguendo l’ordine indicato nell’art. 2423, comma 1 bis, c.c.: 1) il principio della prudenza, cui si ricollega quello della funzione economica del bene e della continuità (la valutazione delle voci di bilancio deve essere effettuata secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato); 2) principio di realizzazione (si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio); 3) e 4) principio di competenza (si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento, così come si
deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo); 5) principio di separazione della valutazione degli elementi patrimoniali (gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente) e 6) principio di costanza dei criteri di valutazione (i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro, salvi casi eccezionali come previsto dal successivo secondo comma).
Da ultimo è prevista la normativa di dettaglio (artt. 2424 e ss. c.c.), relativa alla struttura del bilancio e ai criteri di valutazione dei beni indicati nel bilancio.
E’ pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che tutte le disposizioni codicistiche sul bilancio abbiano natura imperativa e che ciò valga non solo per quelle disposizioni che prescrivono la chiarezza nella redazione del bilancio e impongono la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato economico (art. 2423, comma 2, c.c.), ma addirittura per quelle che impongono, in casi eccezionali, di derogare la normativa codicistica (cfr. art. 2423, comma 4, c.c.). Costituisce, poi, ius receptum che la deliberazione di assemblea di società di capitali con la quale venga approvato un bilancio redatto in modo non conforme ai sopra menzionati precetti normativi (o in violazione delle norme dettate dalle altre disposizioni in materia di bilancio costituenti espressione dei medesimi precetti) sia da ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto (art. 2379 c.c.), essendo tali disposizioni poste a tutela di interessi che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, del pari destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società che il bilancio deve fornire con chiarezza e precisione. Segnatamente, ove il bilancio venga redatto in violazione dell’art. 2423, comma 2, c.c. è, di per sé, illecito e costituisce quindi l’oggetto illecito della deliberazione assembleare che lo abbia approvato. Invero, il bilancio di una società di capitali deve considerarsi illecito tanto in ragione della divaricazione fra risultato effettivo dell’esercizio e quello di cui il bilancio dà contezza, quanto in tutti quei casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite con riguardo alle singole poste di cui è richiesta l’iscrizione (cfr. Cass. civ., SS.UU., 21 febbraio 2000, n. 27; Tribunale Milano, sez. VII, 30 giugno 2009).
Sempre in punto di diritto, appare opportuno rammentare che – come evidenziato da consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., 1° aprile 2015, n. 6616) – la parte che impugni la delibera di approvazione del bilancio di esercizio, lamentando che il “documento contabile” è stato redatto senza l’osservanza dei precetti fondamentali di cui all’art. 2423, comma 2, c.c., ha l’onere di indicare esattamente le poste iscritte in bilancio in violazione delle norme o dei principi legali vigenti al riguardo, nonché di enunciare specificamente in che cosa il lamentato difetto consista.
D’altra parte, il Collegio ritiene opportuno precisare che, a fronte della pluralità di censure mosse alla delibera di approvazione del bilancio d’esercizio, l’accoglimento di una di esse non consente al Tribunale l’utilizzo della tecnica dell’assorbimento in relazione alle altre e diverse censure. Il principio dell’effettività della tutela, in omaggio alla rilevanza pubblicistica degli interessi coinvolti in seno al giudizio di invalidità del bilancio, impone infatti al Tribunale l’esame di tutti i motivi di doglianza al fine di esplicitare quali voci risultino contrasti con le norme codicistiche di riferimento.
Sotto altro e diverso seppure contiguo profilo, giova ai fini che qui interessano seppure da ultimo evidenziare che, ai fini della proponibilità della domanda di invalidità della delibera di approvazione del bilancio, è necessario, ai sensi dell’art. 2434 bis, c.c. che non risulti approvato il bilancio successivo a quello oggetto della delibera impugnata. Tanto premesso, prima di procedere a esaminare le singole doglianze afferenti al bilancio per cui è causa, il Collegio rileva che la domanda attorea risulti adeguatamente formulata in quanto essa enuclea con esattezza le singole poste contabili oggetto di contestazione e quindi i relativi importi.
3. I mezzi di ricerca della prova.
Ciò posto, il Tribunale ritiene di poter utilizzare, ai fini della presente decisione, la relazione dell’Ispettore Dott. - OMISSIS -– resa nell’ambito del giudizio svoltosi, ex art. 2409 c.c., tra le medesime parti, dinanzi l’intestato Tribunale e iscritto a ruolo V.G.R.G. n. 1204/17 – regolarmente acquisita, su richiesta congiunta di - OMISSIS -
S.r.l. e di Delfino, che ne ha valutato la rilevanza e ammissibilità.
Le medesime conclusioni valgono in riferimento all’ulteriore acquisizione agli atti della
C.T.U. svoltasi nel giudizio iscritto a ruolo dinanzi all’intestato Tribunale con R.G. n. 1515/17, tra le medesime parti e relativo all’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio relativa all’esercizio chiuso al 30.6.2016.
In argomento, il Giudice di legittimità (Cass. civ., 9242/16, 9843/14, 15714/10, 28855/08) ha stabilito che “il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa”.
Del pari, il Tribunale ritiene che gli esiti della C.T.U. svolta nel presente giudizio, la cui relazione è a firma del Dott. - OMISSIS -, siano, nel merito, condivisibili in quanto le operazioni peritali, svolte nel contraddittorio, risultano suffragate da accertamenti tecnici adeguati e consoni alle problematiche prospettate dalle parti. Pertanto, le argomentazioni contenute nella relazione in parola appaiono di indubbio valore scientifico.
4. Le doglianze di parte attrice.
Fermo tutto quanto precede, occorre ora procedere all’esame delle singole eccezioni sollevate da parte attrice.
4.1. Illegittima iscrizione di inesistenti / inesigibili crediti per imposte anticipate per € 3.358.334,00.
La nozione di “credito per imposte anticipate” si compendia avendo riguardo alla differenza tra la nozione di reddito in chiave civilistica e quella di reddito in chiave fiscale, ossia alla differenza tra le imposte calcolate sull’utile civilistico e quelle calcolate sull’utile fiscale.
Del resto, il bilancio civilistico e quello fiscale perseguono finalità distinte: il primo mira a evitare di sovrastimare l’utile di esercizio onde evitare di falsare l’assetto economico dell’impresa rispetto ai creditori; il secondo mira a evitare che via siano sottostime degli imponibili.
Ciò posto, è legittima l’iscrizione in bilancio di tale credito allorquando componenti di costo e/o di ricavo, rilevanti nell’esercizio in chiusura, esplicano fiscalmente i loro effetti negli esercizi successivi.
La disciplina di tale voce contabile si rinviene nel nuovo documento OIC n. 25 (pubblicato ad agosto 2014) che ne subordina l’ammissibilità all’esistenza della ragionevole certezza del futuro recupero della perdita fiscale.
Tale ragionevole certezza risulta comprovata alla ricorrenza di due condizioni: i) sussistenza nell’arco di un periodo temporale ragionevole, di risultati fiscali positivi che siano in grado di assorbire le differenze temporanee deducibili; ii) presenza di differenze temporanee imponibili che possano essere utilizzate negli esercizi in cui si prevede l’annullamento della differenza temporanea deducibile relativa alla perdita fiscale.
Ciò che quindi viene in rilievo, ai fini che qui interessano, è la relazione tra l’entità della perdita e l’ammontare delle differenze temporanee imponibili.
Il §94 del principio contabile in esame stabilisce inoltre che le prospettate condizioni debbano essere riviste a ciascuna data di riferimento del bilancio, cosicché il relativo valore contabile della società dovrà essere ridotto se non sussiste più la ragionevole certezza del futuro recupero delle perdite.
Ricostruito il quadro economico di riferimento e passando alle valutazioni di carattere giuridico, deve essere ulteriormente notato come l’iscrizione in bilancio delle imposte anticipate, a fronte di perdite fiscali, incide sulla rappresentazione economica e patrimoniale dell’impresa determinando, sotto il profilo economico, un miglioramento del risultato d’esercizio (sub specie di maggiore utile o di minore perdita) e, sotto quello patrimoniale, un incremento delle attività correnti (tale voce lascia ipotizzare l’esistenza di futuri redditi imponibili).
Consegue che ove vengano meno le condizioni richieste dalla prassi contabile per procedere all’iscrizione dei crediti di tal fatta e l’impresa non provveda alla contestuale riduzione del valore contabile della stessa, il relativo bilancio si porrà in contrasto con i postulati di veridicità e correttezza di cui si è detto. Sarebbe infatti evidente l’alterazione in melius del risultato economico di esercizio, tramite la rappresentazione di un maggior utile di esercizio ovvero di una minore perdita, nonché sotto il diverso profilo della consistenza qualitativa e quantitativa del patrimonio netto.
Alla luce dei principi sin qui espressi, emerge in punto di fatto quanto segue.
Parte attrice ha eccepito che il bilancio chiuso in data 30.6.2015 riportasse illegittimamente, nell’attivo patrimoniale, alla voce “crediti per imposte anticipate entro l’esercizio”, la somma pari a € 3.358.334,00.
Parte convenuta ha invece ritenuto sussistenti le due richiamate condizioni per l’iscrizione in parola in ragione delle stime effettuate da Delfino, il 12 settembre 2014, in sede di approvazione del “business plan scouting”, giusta nota integrativa del bilancio in esame.
Ciò posto, le argomentazioni di Delfino risultano infondate.
Già l’ispezione a firma del Dott. - OMISSIS -, ritualmente acquisita agli atti del processo, aveva ritenuto insussistenti gli elementi indicati da parte convenuta a sostegno “della realizzazione di volumi di attività tali da poter riassumere le imposte anticipate”. In particolare, l’Ispettore (cfr. p. 38 della relazione) aveva evidenziato proprio l’inidoneità del documento contabile in esame a fungere da supporto per l’iscrizione delle imposte anticipate in quanto lo stesso, non aggiornato, “reca addirittura la previsione di un utile d’esercizio al 30 giugno 2015 di € 576.086,00 mentre, il bilancio che si stava approvando alla stessa data, evidenziava una perdita di € 4.691.811,00”. Anche gli esiti della C.T.U. a firma del Dott. - OMISSIS - (cfr. p. 19 relazione di C.T.U.) addivengono alle medesime conclusioni, con la precisazione per la quale la nota integrativa non contiene “alcuna indicazione, come invece espressamente richiesto dal Principio contabile richiamato, circa la previsione di risultati imponibili in grado di riassorbire le attività per imposte anticipate. Non vi è alcuna indicazione, ancora, sulla proiezione di tali risultati per un periodo di tempo ragionevole, di talché il lettore del bilancio non è in grado di apprezzare le valutazioni e le stime compiute dal redattore del bilancio”.
Le considerazioni che precedono consentono quindi di ritenere che l’iscrizione in bilancio da parte di Delfino di crediti pari a € 3.358.334,00 per imposte anticipate in relazione al bilancio d’esercizio chiuso al 30.6.2015, risultando in contrasto con la disciplina di cui al principio contabile OIC n. 25, violi il principio civilistico della veridicità e corretta della situazione economica e patrimoniale di cui all’art. 2423, comma 2, c.c.
4.2. Indebita capitalizzazione di costi per € 2.903.837,00.
Oggetto di contesa è l’iscrizione, tra le immobilizzazioni immateriali, dei costi pluriennali del settore giovanile per l’importo di € 2.903.837,00.
Al riguardo, si contrappongono due tesi.
Quella di parte attrice, che si duole della violazione del principio di prudenza di cui al principio OIC n. 24, e quella di parte convenuta che, al contrario, giustifica il proprio operato alla luce della raccomandazione contabile F.I.G.C. n. 2.
Gli esiti della richiamata Ispezione a firma del Dott. Mancinelli sono risultati positivi, atteso che esso ha ritenuto non irragionevole l’entità delle proporzioni dei costi capitalizzati.
In antitesi rispetto a tale tesi si è posta la relazione del C.T.U., Dott. - OMISSIS -. Tanto premesso, il principio OIC n. 24 subordina l’iscrizione degli oneri pluriennali nell’attivo dello stato patrimoniale alle seguenti condizioni: i) dimostrazione della loro utilità futura; ii) correlazione oggettiva con i relativi benefici futuri di cui godrà la società; iii) recuperabilità dei costi con ragionevole certezza, avendo riguardo al principio di prudenza (illustrato nel §1 della presente pronuncia); iv) dal piano economico della società risulta l’utilità pluriennale. Sotto tale ultimo aspetto (sub iv), è necessario, in altre parole, che il costo pluriennale iscritto nel bilancio sia collegato a uno specifico progetto, di modo che l’investimento possa essere recuperato negli esercizi futuri.
Descritta in linea generale la rilevanza della nozione “costo pluriennale”, la stessa si atteggia, nel caso di specie, assumendo sembianze sui generis, atteso che tali costi si precisano nella gestione del vivaio dei giovani atleti.
Soccorre sul punto la raccomandazione contabile F.I.G.C. n. 2 che, da un lato, assimila i costi del vivaio ai costi di ricerca e sviluppo, collegando la capitalizzazione degli stessi alla loro utilità pluriennale, e, dall’altro, ammette soltanto la capitalizzazione dei costi di struttura e di gestione del settore giovanile analiticamente individuati dalla predetta Raccomandazione.
Applicando tali principi al caso di specie, deve ritenersi che la nota integrativa del bilancio versata in atti da Delfino identifichi le singole voci di costo capitalizzate (i premi di formazione e addestramento, i costi sostenuti per il tesseramento dei giovani, il vitto, l’alloggio, le spese di trasporto in occasione di gare, i compensi ad allenatori e tecnici del vivaio, le assicurazioni per infortuni, le spese sanitarie e i rimborsi spese
riconosciuti ai giovani calciatori, ecc.) e, basandosi sull’analisi storica dei dati, la recuperabilità degli stessi.
D’altra parte, il carattere dilettantistico dell’attività svolta dagli appartenenti al settore giovanile – che non risulta regolata da alcun contratto – impone, in virtù dei principi contabili federali, che la capitalizzazione dei relativi costi avvenga in modo unitario per l’intero vivaio senza necessità di dover far riferimento ai costi sostenuti per ogni singolo giocatore.
Cosicché - nonostante tale nota non contenga l’indicazione dei criteri di quantificazione delle singole voci di costo e quindi non renda possibile né la valutazione delle modalità di calcolo dei costi capitalizzati, né l’individuazione del processo di attribuzione al vivaio dei costi diretti e di quelli indiretti dello stesso - le voci ivi enucleate si riferiscono a un progetto realizzabile e fattibile il cui costo risulta potenzialmente recuperabile.
Tirando le fila discorso, l’iscrizione da parte di Delfino nel bilancio per cui è causa in ordine alla capitalizzazione di costi per € 2.903.837,00 non risulta indebita.
4.3. Omessa rilevazione del debito verso il “Club Envigado”.
- OMISSIS - S.r.l. ha eccepito altresì che, nel bilancio di esercizio chiuso al 30.6.2015, Delfino avrebbe inserito la sopravvenienza passiva di € 1.480.000,00, per un debito nei confronti della società - OMISSIS -, senza che nel bilancio precedente vi fosse traccia di siffatto onere. Tale omissione avrebbe quindi impedito a Delfino di registrare per tempo la sopravvenienza passiva e quindi di stanziare un fondo rischi che avrebbe potuto limitare l’impatto dell’operazione sul bilancio per cui è causa.
Delfino ha replicato sul punto che l’allora Amministratore Delegato avrebbe omesso di notiziare tempestivamente l’assemblea che, solo a seguito della sottoscrizione dell’accordo con il creditore avvenuto in data 24.6.2016, avrebbe avuto contezza del debito de quo.
Tanto premesso, appare opportuno ricostruire la vicenda fattuale al fine di verificare la legittimità o meno dell’operazione contabile oggetto di censura.
Al riguardo, Delfino, in virtù del contratto denominato “accordo di trasferimento” del 16.7.2012, acquistava, verso il pagamento della somma di 2,1 milioni di dollari statunitensi, dal Club Envigado il 100% dei diritti sportivi (che quindi le consentivano il diritto di tesseramento del calciatore) e l’80% dei diritti economici su - OMISSIS - cosicchè il Club Envigado rimaneva titolare del restante 20% dei diritti economici su quest’ultimo (cfr. allegato 25 alla relazione di ispezione). Successivamente Delfino, dopo aver ceduto tale giocatore a “FC Porto Sad” per il complessivo importo di 9,5 milioni di euro (mediante il pagamento in due tranches: una prima, del 12.7.2013, pari ad € 5 milioni e una seconda, del 10.12.2014, pari ad € 4,5 milioni), veniva richiesta da Club Envigado del pagamento del 20% sulla somma incassata dalla resistente all’esito di siffatta cessione (cfr. allegato 26 alla relazione di ispezione).
Sul punto, sorgeva una controversia tra le due Società – in quanto Delfino sosteneva che il 20% che essa era tenuta a corrispondere in favore di Club Envigado andasse parametrato non al prezzo della cessione (2,1 milioni di dollari statunitensi) bensì alla plusvalenza ottenuta dalla Società cedente – che veniva risolta mediante due pronunce emesse dagli organi della giustizia sportiva, una di primo grado e una di secondo grado, entrambe sfavorevoli a Delfino.
Da quanto appena detto deriva che Delfino, già nel bilancio chiuso al 30 giugno 2014, avrebbe dovuto indicare la voce di debito per 1 milione di euro, quale somma da corrispondere a Club Envigado in virtù dei diritti economici del 20% da quest’ultima maturati sulla quota parte di prezzo (di 5 milioni di euro) della cessione (del 12.7.2013) del richiamato giocatore.
Del pari, la Società resistente, nel bilancio chiuso al 30 giugno 2015, avrebbe dovuto indicare l’ulteriore voce di debito di 900 mila euro, quale somma da corrispondere a Club Envigado in virtù dei diritti economici del 20% da quest’ultima maturati sul saldo del prezzo (di 4,5 milioni di euro) della cessione (del 10.12.2014) del richiamato giocatore.
Ciò posto, al fine di valutare giuridicamente la descritta vicenda fattuale, occorre muovere dal principio contabile n. 11 aggiornato alla versione del 30.5.2005 che, in omaggio al principio di competenza, così recita: “i costi devono essere correlati con i ricavi d’esercizio”. A ciò deve essere aggiunto come il principio contabile n. 19, nella versione aggiornata ad agosto 2014, preveda che “i debiti sorti per ragioni diverse dall’acquisizione di beni e servizi devono essere rilevati quando esiste l’obbligazione dell’impresa verso la controparte”.
Applicando tali principi al caso di specie, in adesione sia agli esiti dell’Ispezione, sia della C.T.U., il Collegio opina nel senso di ritenere che l’ambito temporale cui imputare il debito verso la società Envigado si sarebbe dovuto precisare al tempo della maturazione della plusvalenza in capo a Delfino, ossia alle cessioni avvenute in data 12.7.2013 e 10.10.2014. In tali momenti parte convenuta maturava il ricavo di esercizio in conseguenza delle predette cessioni e quindi, venendo contestualmente in essere l’obbligazione di Delfino nei confronti della controparte (Club Envigado), la relativa sopravvenienza passiva andava registrata in bilancio ed esplicitata nella nota integrativa. Né in argomento coglie nel segno la tesi di parte convenuta la controversia in essere tra quest’ultima ed Envigado che avrebbe legittimato Delfino a non iscrivere in bilancio alcuna passività.
Al contrario, anche un credito litigioso con un terzo, per il principio di prudenza, deve essere registrato nel bilancio in quanto esso può essere idoneo a compromettere la capacità patrimoniale dell’impresa. Sul punto, il C.T.U. (cfr. p. 43 della relazione) ha chiosato che solo un credito che la società ritenga nullo ovvero infondato può non essere annoverato nelle scritture contabili, ma non anche quello che invece risulta controverso nel quantum.
Del resto, la relazione del C.T.U. (cfr. p. 43) ha annoverato il difetto di prudenza nell’azione di Delfino nella misura in cui essa ha omesso l’iscrizione di qualsivoglia debito nel precedente bilancio. Rileva il Consulente che parte convenuta avrebbe invece potuto iscrivere un debito di tal fatta, seppure di importo inferiore.
I riflessi di tale omissione si traducono, sul piano giuridico, nella violazione da parte di Delfino degli artt. 2424 bis e 2423 bis, comma 1, n. 4 c.c. i quali sanciscono, rispettivamente, l’obbligo di prevedere fondi per rischi e per oneri in relazione ad accantonamenti – destinati a coprire perdite o debiti aventi natura indeterminata, esistenza certa o probabile e il cui ammontare e/o data di sopravvenienza siano indeterminati alla chiusura dell’esercizio – e l’obbligo di tener conto di tali rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio anche se conosciuti dopo la chiusura dello stesso.
A ciò deve essere aggiunto come l’omissione in parola violi anche il dettato di cui all’art. 2427, comma 4, c.c. che impone all’impresa di fornire, nella nota integrativa, informazioni sulla formazione e sull’utilizzazione dei fondi de quibus.
In altre parole, la condotta oggetto di censura si palesa in aperto dispregio dei principi per i quali il bilancio deve essere redatto in modo veritiero e corretto.
4.4. Previsione di un incongruo fondo svalutazione crediti per € 39.658,00.
- OMISSIS - S.p.A. ha eccepito che Delfino, a fronte di crediti verso clienti indicati in bilancio per € 14.597.839,00, ha appostato un “fondo svalutazione crediti” dell’ammontare di € 39.658,00 e come tale “del tutto incongruo”.
Delfino ha invece replicato asserendo che, rispetto a tale importo crediti verso clienti, la somma € 14.540.335,00 fosse “di più che certo incasso”.
Orbene, la censura mossa dall’attrice risulta fondata.
Sia l’ispezione giudiziale, sia la C.T.U. svolta in corso di causa hanno evidenziato come, in relazione al bilancio per cui è causa difetti la spiegazione dell’ipotetico mancato realizzo dei crediti in parola, la suddivisione in categorie di essi e l’indicazione della percentuale di svalutazione.
Alla luce di tutto quanto precede, il contegno omissivo tenuto da Delfino sin qui descritto, violando in ogni caso la clausola generale della chiarezza, impedisce di comprendere dalla lettura del bilancio qualsivoglia valutazione in ordine alla recuperabilità dei crediti di cui si è detto. Cosicchè, difetta la veritiera e corretta rappresentazione della situazione patrimoniale ed economica di Delfino nel bilancio chiuso al 30.6.2015.
4.5. Pluralità di operazioni in uscita di contante evidenziate con “giroconto emissioni omaggi”, effettuate in violazione della vigente normativa antiriciclaggio. In ordine a tale doglianza, il Tribunale condivide gli esiti della C.T.U. svolta in corso di causa per la quale “non sussistano elementi che consentono di formulare una valutazione in ordine alla emersione di equivoche operazioni per contanti in relazione al bilancio dell’esercizio 2014/2015”.
L’eventuale irregolarità rilevata non avrebbe infatti determinato alcun effetto sulla situazione economica e patrimoniale della Società in quanto, nel caso di specie, non ci si trova dinanzi all’insussistenza di un’entrata cassa, bensì di una particolare modalità di contabilizzazione dei biglietti emessi a pagamento, ma consegnati in omaggio ai clienti. Pertanto, siffatta irregolarità non spiega alcuna conseguenza negativa sulla rappresentazione veritiera e corretta della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della convenuta.
5. La domanda attorea avente a oggetto l’annullabilità della delibera di nomina dei membri del nuovo CdA.
Parte attrice ha altresì chiesto al Tribunale di annullare la delibera del 28.10.2015 con cui Delfino ha provveduto alla nomina dei nuovi componenti del Consiglio di amministrazione della società, perché espressione del c.d. abuso di maggioranza.
Ciò posto, la domanda in esame è infondata e, come tale, deve essere respinta.
Con la locuzione “abuso di maggioranza” s’intende l’applicazione dell’istituto dell’abuso del diritto alla materia delle deliberazioni societarie.
L’abuso di potere si configura, da un lato, nell’esercizio del diritto di voto da parte dei soci di maggioranza a danno degli altri soci, tramite l’adozione di una delibera assembleare assunta in modo fraudolento e intenzionale per provocare la lesione dei diritti spettanti ai soci di minoranza. Dall’altro, l’abuso di potere si estrinseca in una decisione assembleare in contrasto con l’interesse sociale – ossia in difformità rispetto allo scopo economico-pratico del contratto di società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale (Trib. Roma, 31 marzo 2017).
Tanto premesso, le condotte enucleate da parte attrice a sostegno di siffatto abuso consisterebbero in gravi irregolarità gestorie tali da “estromettere” di fatto Danilo Iannascoli, “amministratore espressione della volontà dei soci di minoranza”, nel diniego di accesso alla documentazione della società, nella redazione di un bilancio nullo in quanto non veritiero e nella costituzione di un nuovo CdA che non esprime i rappresentanti dei soci di minoranza.
Ciò posto, siffatte condotte, lungi dal poter essere sussunte nell’alveo dell’istituto di matrice giurisprudenziale in esame, possono semmai, ove fondate, legittimare i soci a esperire le relative azioni di revoca degli amministratori o di responsabilità per mala gestio.
In primo luogo, la circostanza per la quale il Presidente del CdA avrebbe “estromesso” Danilo Iannascoli, omettendo di fargli sottoscrivere, gli atti relativi a operazioni economiche rilevanti, è sintomo, ove fosse fondata, di una grave irregolarità, ma non di abuso della maggioranza. E ciò in quanto non emerge per tal via alcun conflitto tra l’interesse del socio e quello della società.
In secondo luogo, le medesime considerazioni valgono per il diniego di accesso asseritamente opposto da Delfino al socio e per la redazione del bilancio nullo.
In terzo luogo, non appartiene alla materia societaria il principio per il quale un consiglio di amministrazione debba essere composto anche da membri espressione dei soci di minoranza, cosicchè la decisione di Delfino non appare sotto tale profilo assoggettabile a censure.
6. Conclusioni.
La fondatezza delle doglianze di parte attrice ha evidenziato come la deliberazione assembleare in questa sede gravata abbia approvato un bilancio redatto in modo non conforme ai sopra menzionati precetti normativi. Con la conseguenza per la quale tale deliberazione assembleare deve ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto ai sensi dell’art. 2379 c.c. Del resto e come sopra detto, ove il bilancio venga redatto in violazione dell’art. 2423, comma 2, c.c., esso risulta, di per sé, illecito e costituisce quindi l’oggetto illecito della relativa deliberazione assembleare che lo abbia approvato.
Alla luce di quanto precede, il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, dichiara la nullità della deliberazione assembleare assunta in data 28.10.2015 dall’assemblea dei soci di Delfino Pescara 1936 S.p.A. nella parte in cui è stato approvato il bilancio d’esercizio chiuso al 30.6.2015.
Deve invece essere respinta la diversa domanda attorea, avente a oggetto l’annullabilità della delibera di nomina dei membri del nuovo CdA per presunto abuso di maggioranza.
7. Le spese di C.T.U. e di lite.
Sono poste a carico di parte convenuta le spese della C.T.U., già liquidate con separato provvedimento.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/14, così come dal modificato D.M. n. 37/18, seguono la soccombenza.
La soccombenza parziale di - OMISSIS -, dovuta alla reiezione della diversa domanda avente a oggetto l’annullabilità della delibera di nomina dei membri del nuovo CdA, impone la parziale compensazione tra le parti, e segnatamente nella misura del 50%, delle spese di lite del giudizio.
Ai fini della determinazione del valore della controversia, ritiene il Tribunale che esso sia indeterminabile e che si tratti di causa di particolare importanza, atteso l’elevato tecnicismo della materia e il numero delle questioni trattate.
Tuttavia, considerato che la presente controversia ha dato all’abbrivio ad altre tre controversie (tutte promosse dinanzi l’intestato Tribunale, tra le medesime parti e segnatamente: R.G. n. 1515/17, 2247/18 e 2164/19) similari nel contenuto, anche se non tecnicamente connesse perché riferite a bilanci differenti e a censure differenti, s’impone l’applicazione dei minimi tariffari.
P.Q.M.
Il Tribunale Ordinario di L’Aquila, Sezione specializzata in materia d’impresa, in composizione collegiale, all’esito della camera di consiglio, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al R.G. n. 2342/2018 e vertente tra le parti indicate in epigrafe, così provvede:
- dichiara la nullità della deliberazione assembleare assunta in data 28.10.2015 dall’assemblea dei soci di Delfino Pescara 1936 S.p.A. nella parte in cui è stato approvato il bilancio d’esercizio chiuso al 30.6.2015;
- rigetta la diversa domanda attorea avente a oggetto l’annullabilità della delibera di nomina dei membri del nuovo Consiglio di amministrazione assunta in data 28.10.2015;
- pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di C.T.U. liquidate come da separato provvedimento;
- compensa parzialmente tra le parti, nella misura del 50%, le spese di lite del presente giudizio;
- condanna parte convenuta alla rifusione del restante 50% delle spese di lite del presente giudizio in favore di parte attrice, che liquida in € 1.063,00 per esborsi materiali ed € 6.350,00 per compensi, oltre R.S.G. (15%), C.P.A. (4%) e I.V.A. (22%) e che distrae, ex art. 93, comma 1, c.p.c., in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari, Avv.ti Marco Sanvitale e Giovanni Di Bartolomeo.
L’Aquila, così deciso nella camera di consiglio del 2/12/2021
Il Presidente est. Dott. Christian Corbi