CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA, Ordinanza del 25/07/2022 n. 23175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Presidente GENOVESE FRANCESCO ANTONIO
Relatore PAZZI ALBERTO
– OMISSIS –
sul ricorso n. 12961/2020 R.G. proposto da:
A.C. Chievo Verona s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Corrado Tognetti giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
 contro
 - OMISSIS - s.r.l., in persona legale rappresentante e procuratore speciale Marco Arduini, e Pinna Edmondo Maria, elettivamente domiciliati in Roma, via A. Depretis n. 86, presso lo studio degli Avvocati Pietro Cavasola e Leonarda Siliato, che li rappresentano e difendono giusta procure in calce al controricorso;
controricorrenti –
 avverso la sentenza n. 5210/2019 della Corte d’appello di Venezia
pubblicata il 20/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/6/2022 dal cons. Alberto Pazzi.
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Verona, con sentenza in data 27 gennaio 2017, accertava la natura diffamatoria delle notizie pubblicate sul giornale - OMISSIS - del 9 maggio 2012, in un articolo a firma di - OMISSIS -, in ordine al coinvolgimento della squadra di calcio Chievo Verona in un’inchiesta relativa a indagini sul calcio scommesse e condannava, in solido, il medesimo - OMISSIS -  e la società - OMISSIS - s.r.l. al pagamento in favore della A.C. Chievo Verona s.r.l. e di - OMISSIS -, presidente e legale rappresentante della società sportiva, delle somme, rispettivamente, di € 50.000 e € 25.000.
2.   La   Corte   d’appello   di   Venezia,   in   parziale   accoglimento dell’impugnazione proposta da - OMISSIS - s.r.l. ed - OMISSIS -, riteneva – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che l’articolo diffamatorio apparso sul giornale sportivo non coinvolgesse, nemmeno indirettamente, la persona di - OMISSIS -, ma avesse portata offensiva nei confronti della sola società calcistica, rigettando, di conseguenza, la domanda di risarcimento del danno proposta dal - OMISSIS -  nei confronti del Pinna e della società editrice.
Riduceva, inoltre, la misura del risarcimento già riconosciuto in favore dell’A.C. Chievo Verona s.r.l. a € 6.000, tenuto conto che l’articolo pubblicato aveva precisato che la squadra rischiava di essere deferita solo a titolo di responsabilità presunta, cosicché l’entità della diffamazione rimaneva ridimensionata o attenuata.
3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 20 novembre 2019, hanno proposto ricorso - OMISSIS - e A.C. Chievo Verona s.r.l. prospettando due motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso - OMISSIS - s.r.l. ed - OMISSIS -.
Considerato che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi in materia di diffamazione a mezzo stampa nonché dell’art. 2043 cod. civ. con riguardo alla legittimazione attiva: la Corte d’appello – in tesi di parte ricorrente - ha erroneamente ritenuto che l’articolo diffamatorio pubblicato non coinvolgesse, nemmeno indirettamente, - OMISSIS -, nonostante il suo rapporto di immedesimazione con la società sportiva, di cui questi era il legale rappresentante da oltre vent’anni.
Non  è  necessario,  infatti,  che  il  danneggiato  a  causa  di  una diffamazione a mezzo stampa sia precisamente e diffusamente nominato, in quanto è sufficiente che la sua individuazione avvenga, in assenza di un esplicito e nominativo richiamo, attraverso gli elementi della fattispecie concreta in maniera tale che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso.
5. Il motivo è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l'obbligo di risarcire il danno non patrimoniale causato da una diffamazione commessa col mezzo della stampa sorge non solo quando la persona diffamata sia nominata nello scritto, ma anche quando - pur non essendo nominata - sia chiaramente ed univocamente identificabile (Cass. 16543/2012).
In assenza di un’esplicita indicazione nominativa,  quindi, assume rilevanza la possibilità di individuare il soggetto diffamato attraverso tutti gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva diverse da quella della cui illiceità si tratta, se la situazione di fatto sia tale da consentire al  pubblico  di riconoscere con ragionevole certezza la persona alla quale la notizia è riferita (Cass. 8476/2020, Cass. 17207/2015).
Il mezzo in esame predica la violazione di questo principio ad opera della Corte di merito laddove la stessa ha ritenuto che la portata offensiva dell’articolo diffamatorio involgesse la sola società di calcio espressamente menzionata al suo interno e non si estendesse alla persona del suo presidente, in quanto il rapporto di immedesimazione fra la società calcistica e il - OMISSIS -  era talmente stretto e notorio da far sì che la portata diffamatoria delle affermazioni rivolte alla compagine sportiva si estendesse anche al suo presidente, benché non espressamente nominato.
Una simile tesi si riduce, però, a un’interpretazione della portata diffamatoria dell’articolo di stampa in discorso diversa da quella offerta dalla Corte di merito, a dire della quale il - OMISSIS -, come soggetto distinto ed autonomo dalla società calcistica che presiedeva, non era rimasto investito dalla portata offensiva dell’articolo, dato che non erano stati menzionati suoi specifici comportamenti ed atti che in qualche modo potessero farlo ritenere implicato nell’inchiesta e di cui egli dovesse rispondere personalmente.
Ne  discende l’inammissibilità  del mezzo, posto  che in  materia  di risarcimento del danno a causa di diffamazione a mezzo stampa la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti e l'apprezzamento, in concreto, delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità, se sorretti – come nel caso di specie - da adeguata motivazione, esente da vizi logici e da errori di diritto (v. Cass. 5811/2019, Cass. 4543/2019, Cass. 6133/2018).
6. Il secondo motivo  di  ricorso  lamenta  la  violazione  e   falsa applicazione dei principi in materia di diffamazione a mezzo stampa nonché dell’art. 2043 cod. civ. con riguardo alla quantificazione del danno, poiché la Corte di merito ha quantificato il risarcimento dovuto non tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive della fattispecie in esame, senza indicare i parametri a cui ha fatto riferimento e le ragioni per le quali si è discostata in maniera così notevole dalla liquidazione compiuta dal primo giudice.
7. Il motivo è inammissibile.
La liquidazione del danno non patrimoniale causato da diffamazione a mezzo stampa va necessariamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali è insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di una somma di denaro compensativa di un pregiudizio di tipo non economico (Cass. 25739/2014).
La  valutazione,  necessariamente  equitativa,  operata  al  fine  di liquidare il danno non patrimoniale causato da diffamazione a mezzo stampa non è poi censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (Cass. 13153/2017).
Nel caso di specie la Corte di merito ha spiegato (a pag. 9 della sentenza impugnata) che mentre il titolo riportato in prima pagina accostava il Chievo al termine “deferimenti”, lasciando intendere che la squadra fosse stata deferita per illecito sportivo avanti all’autorità disciplinare, l’articolo chiariva che la società veronese rischiava solo una responsabilità presunta e di dover “rispondere dell’illecito in quel modo perché posto in essere da soggetti ad essa estranei ma a suo vantaggio”, precisazione che attenuava “l’effetto pregiudizievole della reputazione risultante dall’articolo, ma non del tutto, tenuto conto”, da un lato, “che sul giornale quello che emerge con maggiore evidenza sono i titoli riportati a lettere più grandi e in corsivo”, dall’altro che “tale precisazione non sarebbe stata percepita dal lettore superficiale che nel giornale si sofferma principalmente sui titoli senza leggere il contenuto di tutti gli articoli e nemmeno da chi ignora il significato nella giustizia sportiva della responsabilità presunta”.
Proprio  in  ragione  della  “precisazione  della  sola  responsabilità presunta rischiata dalla squadra”, che aveva “ridimensionato o attenuato l’entità della diffamazione” (pag. 10), la Corte distrettuale ha ritenuto di ridurre la misura del risarcimento alla minor somma di € 6.000.
Si tratta di una statuizione che giustifica – in maniera ampia, coerente e rispondente al caso concreto - le ragioni poste a suo fondamento e che non si discosta in maniera macroscopica dai dati di comune esperienza.
Il mezzo in esame non evidenzia, quindi, alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma finisce per esprimere un mero dissenso rispetto a un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.
8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 28 giugno 2022.
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