T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 30/12/2022 N. 17923

Pubblicato il 30/12/2022

N. 17923/2022 REG.PROV.COLL.

N. 06927/2021 REG.RIC.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 6927 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da - OMISSIS -, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Panzarola, Claudia Pezzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, via Michele Mercati 51;

contro

- Comitato Olimpico Nazionale Italiano - CONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pierluigi Matera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; - Federazione Italiana Tennis - FIT, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Luciani, Massimo Proto, Valentina Ciaccio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; - Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, Federazione Italiana Tennis - Comitato Regionale Toscana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

nei confronti

- OMISSIS -, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

A) per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, Sezione III, pubblicata in data 27 aprile 2021, prot. n. 557/2021, che ha respinto il ricorso n. 7/2021 promosso dal sig. - OMISSIS -, ex artt. 59 Codice di giustizia sportiva e 12 bis Statuto del CONI, in data 17 gennaio 2021 per l'annullamento e la riforma della decisione n. 7/2020 della Corte Federale di Appello presso la FIT, comunicata a mezzo PEC in data 18 dicembre 2020 e pubblicata in pari data, con la quale, ai sensi dell'art. 1.1.4, comma 5, del Regolamento Organico FIT, è stato rigettato il ricorso proposto dal ricorrente per l'annullamento dell'esclusione della sua candidatura dalla pubblicazione dei nominativi dei candidati alla carica di Consigliere del C.R. Toscana della FIT , avvenuta con comunicazione di “Rifiuto di Candidatura” prot. 735 del 9 dicembre 2020, cui ha fatto seguito l'esclusione della candidatura dalla pubblicazione dei nominativi dei candidati in data 14 dicembre 2020, per il superamento del limite massimo di tre mandati, di cui all'art. 54, comma 2, Statuto FIT e in virtù di quanto disposto dall'art. 1.1.4 del Regolamento Organico FIT, e la successiva elezione di nuovi consiglieri con delibera dell'Assemblea Regionale Elettiva Toscana FIT del 19 dicembre 2020;

- di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso;

B) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da - OMISSIS - il 23/9/2021:

- della decisione n. 63/2021 (prot. n. 01098/2021) del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, Sezione III, Presidente, pubblicata mediante deposito in Segreteria in data 5 agosto 2021 e comunicata via pec in pari data, che ha respinto il ricorso n. 7/2021 promosso dal sig. - OMISSIS - per l'annullamento e la riforma della decisione n. 7/2020 della Corte Federale di Appello presso la FIT con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dal ricorrente per l'annullamento dell'esclusione della sua candidatura dalla pubblicazione dei nominativi dei candidati alla carica di Consigliere del C.R. Toscana della FIT.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e della Federazione Italiana Tennis;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto l'art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

A) Con il ricorso introduttivo del giudizio, l’istante ha impugnato, per l’annullamento, la decisione n. 557/2021 del Collegio di Garanzia dello Sport del C.O.N.I., Sezione III, pubblicata in data 27 aprile 2021, che, nel confermare la comunicazione del 9 dicembre 2020 del Presidente del Comitato regionale della Toscana, lo ha escluso dalla possibilità di candidarsi per la carica di consigliere del Comitato Regionale della Federazione Italiana Tennis (FIT)-Toscana, in ragione del superamento del limite massimo di tre mandati già svolti, siccome previsto dall’art. 54, comma 2, Statuto FIT (il ricorrente aveva già svolto sette mandati consecutivi dal 1981 al 2008).

Al riguardo, il ricorrente ha dapprima rappresentato quanto segue:

- con avviso di convocazione del 30 novembre 2020, il Presidente del Comitato Regionale (CR) Toscana della FIT ha comunicato agli associati luogo, giorno e ora dell’assemblea elettiva regionale;

- in data 2 dicembre 2020, l’istante – quale associato alla FIT – ha presentato al Comitato Regionale Toscana la propria candidatura alla carica di consigliere regionale;

- con comunicazione di “Rifiuto di Candidatura” del 9 dicembre 2020, il Presidente del CR Toscana ha respinto la candidatura dell’istante per la carica di consigliere del Comitato Regionale della Federazione Italiana Tennis (FIT)-Toscana, in ragione del superamento del limite massimo di tre mandati, siccome previsto dall’art. 54, comma 2, Statuto FIT e dall’art. 1.1.4 del Regolamento Organico FIT (modificati in ragione dell’entrata in vigore del nuovo art. 16, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1999, a sua volta modificato dall’art. 2 della legge 11 gennaio 2018 n. 8, ciò in forza di quanto previsto dall’art. 6, commi 1 e 2, della citata legge n. 8 del 2018);

- il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi alla Corte Federale di Appello presso la FIT che, in data 18 dicembre 2020, con decisione n. 7/2020, ha respinto il ricorso;

- con successiva delibera del 19 dicembre 2020, l’Assemblea Regionale Elettiva Toscana FIT ha proclamato l’elezione dei nuovi consiglieri del Comitato Regionale Toscana per il quadriennio 2021-2024 (tale delibera è stata anch’essa impugnata dall’istante dinanzi al Tribunale Federale);

- con ricorso proposto in data 17 gennaio 2021, ex artt. 59 Codice di Giustizia Sportiva e 12 bis Statuto del CONI, l’istante ha quindi impugnato dinanzi al Collegio di Garanzia del CONI la decisione n. 7/2020 della Corte Federale di Appello presso la FIT, chiedendone l’annullamento e la riforma;

- in data 27 aprile 2021, il Collegio di Garanzia dello Sport ha respinto il ricorso avverso la decisione n. 7/2020 della Corte Federale di Appello presso la FIT (in data 5 agosto 2021, sono state pubblicate le motivazioni della decisione - n. 63/2021).

Ciò premesso, avverso tale decisione del Collegio di Garanzia del CONI, l’istante ha proposto i seguenti motivi:

1) erroneità e contraddittorietà della decisione impugnata in relazione al rigetto del ricorso sotto il profilo della abnormità, nullità e/o annullabilità e illegittimità del provvedimento per carenza assoluta di potere ex art. 21-septies l. 241/1990 e comunque per violazione dei principi comunitari in materia, di cui agli artt. 12 della Carta dei diritto fondamentali dell’UE (Carta di Nizza) e 11 Cedu e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, oltre che costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 18, 41, 42 e 48 Cost. Violazione dei predetti principi e violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del Codice della giustizia sportiva.

La decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI è illegittima laddove, nel confermare il provvedimento della Corte Federale di Appello, nega la tutela delle libertà e dei diritti del ricorrente, con ciò violando i principi comunitari (direttamente applicabili) e costituzionali aventi ad oggetto il diritto incomprimibile dell’istante di partecipare pienamente alla vita associativa e alle relative decisioni.

La Corte Federale di Appello e, di conseguenza, il Collegio di Garanzia hanno erroneamente ritenuto che non sarebbe possibile disapplicare la norma statutaria FIT, in quanto essa comporterebbe un sindacato sulle norme da parte del CONI; tale disapplicazione avrebbe invece dovuto essere operata dall’organo endo-federale, avendo esso natura giurisdizionale;

2) erroneità e contraddittorietà della decisione impugnata in relazione al rigetto della impugnazione sotto il profilo della abnormità, nullità e/o annullabilità e illegittimità del provvedimento per violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 18, 41, 42 e 48 Cost. Violazione dei predetti principi costituzionali, dell’art. 2 del Codice della giustizia sportiva e dell’art. 295 c.p.p. nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 39, commi 6 e 7, del codice della giustizia sportiva.

La decisione della Corte Federale di Appello, confermata dal Collegio di Garanzia dello Sport, è manifestamente illegittima laddove ha ritenuto di non poter sollevare la questione di legittimità costituzionale, per la natura sommaria del procedimento di cui all’art. 1.1.4, comma 6, ROF e per i limiti di cognizione dei giudici endo-federali declinati nei commi 6 e 7 dell’art. 39 del Codice di Giustizia Sportiva.

Le norme censurate violano, invero, i parametri costituzionali di cui all’art. 3 Cost., inteso tanto sotto il profilo dell’uguaglianza quanto sotto il profilo della ragionevolezza e non discriminazione nel trattamento di situazioni analoghe; violano altresì gli articoli 41 e 42 Cost. che tutelano (indirettamente) l’autonomia privata, funzionalizzandola al raggiungimento dell’utilità sociale; gli artt. 2 e 18 Cost. in ragione della autonomia di cui gode l’ordinamento sportivo rispetto a quello statale e, infine, gli artt. 2 e 48 Cost. sotto il profilo del diritto di elettorato passivo riconosciuto ai cittadini, avente carattere “inviolabile”.

La natura di organo giudicante terzo e imparziale del Collegio di Garanzia del CONI avrebbe dovuto convincere quest’ultimo a sollevare l’incidente di costituzionalità con riferimento ai profili sopra indicati;

3) erroneità e contraddittorietà della decisione impugnata in relazione al rigetto della impugnazione sotto il profilo della abnormità, nullità e/o annullabilità e illegittimità del provvedimento alla luce richiesta subordinata di lettura costituzionalmente orientata delle norme relative al numero massimo di mandati.

La decisione della Corte Federale di Appello, confermata dal Collegio di Garanzia del CONI, è altresì illegittima in quanto, ritenendo di non poter operare una lettura costituzionalmente orientata delle norme che hanno imposto la modifica dello Statuto FIT (e analogamente dello Statuto CONI) ha negato la tutela dei diritti del ricorrente.

La Corte Federale di Appello ha ritenuto invero di non poter disapplicare o, comunque, di sollevare la questione di legittimità costituzionale, anche con riguardo alla norma transitoria di cui all’art. 6, comma 4, della legge n. 8 del 2018 (che consente a coloro che svolgono le funzioni di consigliere alla data di entrata in vigore della legge n. 8/2018 di potersi candidare per un nuovo mandato), per le medesime ragioni esposte con riguardo alla disposizione principale.

Si sono costituiti in giudizio la FIT e il CONI, per resistere al ricorso.

B) In data 23.09.2021, in ragione della pubblicazione delle motivazioni della decisione n. 63/2021 da parte del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, il ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti:

1) violazione e falsa applicazione dei principi che sovrintendono alla disapplicazione di norme nazionali e atti interni contrastanti con le fonti aventi il rango di normativa eurounitaria sovraordinata direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 della Cedu e art. 12 della carta di Nizza (quali parti integranti del diritto eurounitario secondo la giurisprudenza della corte di giustizia). Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del codice di giustizia sportiva del Coni. Carenza assoluta di potere ex art. 21-septies l. n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dei principi generali e delle regole in tema di individuazione dei c.d. organismi di diritto pubblico, nonché dell’art. 15, comma 2, d. lgs. n. 242/1999 (il “decreto Melandri”), dell’art. 20, comma 1, statuto del Coni e dell’art. 1, comma 1, statuto FIT.

Le motivazioni con le quali il Collegio di Garanzia del CONI, nel confermare la decisione della Corte Federale d’Appello della FIT, ha negato la sussistenza dei presupposti per la disapplicazione, risultano tra loro contraddittorie in quanto da un lato si esclude in astratto la ricorrenza stessa dei presupposti per la disapplicazione e dall’altro si nega la disapplicazione stessa per la ritenuta conformità della previsione censurata ai principi euro-unitari (artt. 11 CEDU e 12 Carta di Nizza).

In ogni caso, il Collegio di Garanzia è tenuto ad applicare le norme dell’ordinamento sportivo, ciò ai sensi dell’art. 2 del codice di giustizia sportiva.

È, poi, erronea la qualificazione della FIT quale “organismo di diritto pubblico”, come sancito di recente nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5348/2021, sebbene riferita alla FIGC;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale) e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla Costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come pure degli artt. 39 e 2 del codice di giustizia sportiva del Coni. Violazione e falsa applicazione art. 295 c.p.c.

Il Collegio di Garanzia - nel negare che gli organi di giustizia sportiva (la Corte Federale d’Appello, prima, e il Collegio di Garanzia, poi) siano legittimati a sollevare questione di costituzionalità delle norme che sono chiamati ad applicare - ha violato le norme che fissano i presupposti per riconoscere in capo ad un determinato organo la legittimazione a sollevare questione di costituzionalità in via incidentale, come l’essere un organo terzo ed imparziale di ultima istanza;

3) in via subordinata al rigetto del precedente motivo di ricorso, riproposizione della questione di costituzionalità degli artt. 16, comma 2, d. lgs. n. 242/1999 – come modificato dall’art. 2, comma 1, l. n. 8/2018 – e 6, commi 1 e 2, l. n. 8/2018 (in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 42 e 48 cost., nonché́ 12 Carta di Nizza, 11 Cedu e 20 ss. TFUE).

La decisione impugnata merita di essere annullata in quanto il Collegio di Garanzia del CONI avrebbe dovuto sollevare questione di costituzionalità degli artt. 16, comma 2, d. lgs. n. 242/1999 – come modificato dall’art. 2, comma 1, L. n. 8/2018 – e 6, commi 1 e 2, L. n. 8/2018.

In via subordinata, il ricorrente chiede di sollevare questione di costituzionalità delle norme citate in quanto contrastanti con gli artt. 2, 3, 18, 41, 42 e 48 Cost., nonché 12 Carta di Nizza, 11 CEDU e 20 ss. TFUE;

4) error in iudicando in ordine al rifiuto di interpretazione costituzionalmente orientata (in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 42 e 48 Cost., nonché 12 Carta di Nizza, 11 Cedu e 20 ss. TFUE) delle norme transitorie (artt. 16, comma 2, d. lgs. n. 242/1999, come modificato dall’art. 2, comma 1, l. n. 8/2018, art. 6, comma 4, l. n. 8/2018, artt. 54, comma 2, e 62 bis statuto FIT).

Il Collegio di Garanzia del CONI ha rifiutato di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme transitorie associate all’introduzione del limite dei tre mandati; ed invero, una lettura “costituzionalmente orientata” delle disposizioni richiamate e, in particolare, delle disposizioni transitorie dello Statuto della FIT – art. 62 bis – e dello Statuto del CONI – art. 36 bis, comma 3 – deporrebbe nel senso che la regola che fa salva la candidatura di coloro che siano in carica al momento dell’entrata in vigore della stessa vada estesa anche a coloro che hanno svolto e concluso i tre mandati in un periodo antecedente.

Con memoria, la FIT, atteggiandosi alla stregua di un “amicus curiae” e dopo aver ribadito la correttezza delle decisioni assunte dalla Federazione alla luce delle norme vigenti dell’ordinamento sportivo, ha sottolineato l’esigenza di poter contare su un quadro normativo coerente con i parametri costituzionali, non opponendosi quindi all’eventuale decisione di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, d. lgs. n. 242/1999, come modificato dall’art. 2, comma 1, L. n. 8/2018 e 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48, 51 e 117, comma 1, Cost. (quest’ultimo con riferimento all’art. 11 CEDU) e art. 12 Carta di Nizza.

Allo stesso modo, il CONI, dopo aver ribadito la correttezza dell’operato del Collegio di Garanzia, ha anch’esso rappresentato di non opporsi all’eventuale decisione di sollevare la questione di legittimità costituzionale della normativa sopra indicata.

Con memoria, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento delle proprie censure.

Con memorie di replica, tutte le parti hanno ribadito le loro rispettive posizioni.

Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2022, la causa, dopo la discussione delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo (riproposto con il primo dei motivi aggiunti e, pertanto, da trattare congiuntamente ad esso), il ricorrente lamenta la mancata disapplicazione da parte del Collegio di Garanzia del CONI dell’art. 54, comma 2, dello Statuto FIT e, quindi, dell’art. 16, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1999, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018 (di cui il citato art. 54, comma 2, dello Statuto FIT costituisce diretta applicazione, in forza dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018, nella parte in cui non consente a coloro che hanno già svolto tre mandati di candidarsi al Consiglio regionale della FIT), per contrasto con le regole sovraordinate euro-unitarie ovvero l’art. 11 della CEDU e l’art. 12 della Carta di Nizza; l’istante lamenta, altresì, la qualificazione della FIT quale “organismo di diritto pubblico” che, secondo il Collegio di Garanzia, giustificherebbe il limite dei tre mandati introdotto dalla normativa citata.

1.1 Le censure sono infondate.

1.2 Il Collegio è consapevole che la giurisprudenza amministrativa, coerentemente all’orientamento espresso in materia, ha ribadito il principio in base al quale le norme euro-unitarie, essendo di rango superiore a quelle dell’ordinamento interno, vadano applicate non solo dal giudice nazionale adito ma anche dagli apparati amministrativi (tra i quali va annoverato anche il Collegio di Garanzia del CONI, come è stato di recente ribadito con sentenza del TAR Lazio, sez, I Ter, n. 13943/2022, richiamando sul punto, a sua volta, le sentenze della Corte Costituzionale nn. 49/2011 e 160/2019).

Quella stessa giurisprudenza ha tuttavia affermato - tra l’altro - che tale meccanismo si traduce in un potere-dovere da parte anche dei funzionari amministrativi di disapplicare le norme nazionali in contrasto con il diritto euro-unitario, soprattutto se tale conflitto è stabilito da una fonte univoca che rechi disposizioni “chiare, precise ed incondizionate”; in tal caso, la disapplicazione è un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per gli apparati amministrativi che, attraverso i suoi funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro – unitario (cfr, per tutte, CGUE, 22 giugno 1989, C-103/88 e 24 maggio 2012, C-97/11; Corte Costituzionale, sentenza 21 aprile 1989 n. 232; Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006 n. 3072; VI, 7874/2019; V, 5 marzo 2018, n. 1342 e, da ultimo, Cons. Stato, Ad Plenaria, n. 17 e 18/2021).

1.3 Il Collegio è, altresì, consapevole della discussione ancora in atto in relazione al valore giuridico della CEDU e della Carta di Nizza; quest’ultima, in particolare, con l’entrata in vigore del “Trattato di Lisbona” ha assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri.

Per quanto riguarda le norme CEDU, poi, a fronte di un orientamento consolidato che ha da sempre ritenuto che le stesse avessero il valore di norme interposte (nel senso cioè che sono subordinate alla Costituzione e sovraordinate rispetto alla legge ordinaria) tanto che, in caso di contrasto con una norma interna, il giudice era (è) obbligato a sollevare la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea nella parte in cui si afferma che l’Unione europea aderisce alla CEDU, si è discusso sugli effetti di tale modifica ovvero se ciò abbia comportato una “comunitarizzazione” della Convenzione europea.

Ed invero, secondo un recente orientamento, la predetta modifica avrebbe comportato un ingresso a pieno titolo della CEDU nel diritto comunitario e, pertanto, anche per le norme ivi contenute, varrebbe il principio del primato sul diritto interno e il dovere di disapplicazione della norma interna in contrasto con la norma CEDU.

1.4 Pur tuttavia, anche a voler ritenere la diretta applicabilità delle norme CEDU e della Carta di Nizza nell’ordinamento interno e, quindi, la possibilità di procedere alla disapplicazione in caso di contrasto tra norma interna e i principi euro-unitari ivi contenuti, ritiene il Collegio che non vi siano i presupposti per procedere in tal senso, con conseguente rigetto delle censure sollevate sul punto dal ricorrente con riferimento alla decisione del Collegio di Garanzia impugnata in questa sede.

Ed invero, con riferimento al principio del primato del diritto euro-unitario e agli effetti diretti nell’ordinamento interno, la Corte di Giustizia - come già anticipato - ha sempre enunciato, già con riferimento ai trattati istitutivi, il principio (poi esteso alle direttive c.d. self executing) secondo cui i trattati, fonti ed espressione di un “ordinamento giuridico di nuovo genere”, possono creare effetti per gli Stati e anche per gli individui ogni qualvolta le sue disposizioni siano “chiare, precise ed incondizionate”.

Ed invero, come per le norme delle direttive self executing (o dettagliate), anche le norme dei Trattati possono essere direttamente applicabili nell’ordinamento interno se impongono obblighi nei confronti dello Stato membro che siano chiari, precisi e incondizionati; solo sussistendo tali presupposti, le norme sono così idonee a conferire diritti ai singoli e sono quindi applicabili da qualsiasi autorità amministrativa e giurisdizionale per riconoscere quei diritti ai cittadini.

1.5 Nella fattispecie in esame, tali caratteristiche non sono rinvenibili in quanto le norme euro-unitarie invocate dal ricorrente (art. 11 CEDU e art. 12 Carta di Nizza) si limitano ad invocare il diritto di libertà di associazione (come previsto, peraltro, dall’art. 18 Cost.) che non può dirsi in palese contrasto con il limite dei tre mandati introdotto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1999 (poi, trasposto nell’art. 54, comma 2, dello Statuto FIT), nel senso cioè che le prime non recano una previsione specifica al riguardo che si ponga in patente contrasto con la normativa interna di recente introdotta, la quale, invero, non arriva certo a vietare l’esercizio di tale libertà.

Del resto, come si avrà modo di dire nel prosieguo, non può escludersi che un limite ai mandati nell’assunzione di incarichi federali possa essere astrattamente ammissibile (anche se in senso proporzionale e ragionevole), ma ciò che nel caso rileva è che non può farsi discendere in via diretta dalla normativa euro-unitaria invocata dal ricorrente il patente contrasto con il limite introdotto di recente nell’ordinamento interno dal legislatore del 2018.

Alla luce di quanto sopra esposto, non assume specifico rilievo l’impedimento alla disapplicazione dedotto dal Collegio di Garanzia nella decisione impugnata circa l’obbligo cogente per gli organi di giustizia federale (previsto dall’art. 2 del Codice di giustizia sportiva) di osservare le norme dell’ordinamento sportivo e, in particolare, quelle adottate dall’ente sovraordinato ovvero il CONI.

Né rileva, in questa sede, il fatto che il Collegio di Garanzia del CONI abbia qualificato la FIT quale “organismo di diritto pubblico” (profilo che sarà comunque esaminato nel prosieguo) in quanto, in disparte il fatto che tale concetto assume valore nell’ambito del settore dei contratti pubblici, ciò che conta nel caso di specie è che non sussistano le condizioni per poter utilizzare l’istituto della disapplicazione che, come detto, è subordinato a precisi limiti e requisiti.

Da ciò il rigetto del primo motivo del ricorso introduttivo e del primo motivo aggiunto.

2. Con il secondo motivo (ribadito nel secondo dei motivi aggiunti), l’istante lamenta poi l’illegittimità della decisione impugnata nella parte in cui il Collegio di Garanzia del CONI ha ritenuto di non poter sollevare la questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale della normativa più volte richiamata.

2.1 La prospettazione non può essere accolta, dovendosi condividere quanto argomentato dal Collegio di garanzia nella decisione impugnata n. 63/2021.

2.2 In quella sede, il Collegio di Garanzia del CONI ha avuto modo di affermare, in particolare, che “l’equilibrio tra la funzione giustiziale e la tutela giurisdizionale piena è comunque garantito dal fatto che, coerentemente, il sistema attribuisce agli organi giurisdizionali della Giustizia amministrativa di primo grado e d’appello, dinanzi al quale possono essere impugnate le decisioni degli organi di Giustizia sportiva, la legittimazione a sollevare in via incidentale le questioni di legittimità costituzionale….”.

Ora, ritiene il Collegio - in disparte per ora la natura amministrativa degli organi della giustizia sportiva - che, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la legittimazione di organi non aventi carattere prettamente giurisdizionale, il fattor comune che ha consentito tale riconoscimento sta proprio nella definitività o meno della decisione assunta dall’organismo interessato, anche se in posizione di effettiva terzietà tra le parti.

Non è un caso, invero, che non sia stata riconosciuta la legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale al Consiglio di Stato in sede di parere sul ricorso straordinario al Capo dello Stato, sul presupposto che il Ministro fosse (nel regime previgente) in grado di superare la decisione dell'organo consultivo, portando la questione al Consiglio dei Ministri (Corte Costituzionale, ordd. nn. 254, 357 e 392 del 2004); lo stesso è poi avvenuto con riferimento alle Autorità amministrative indipendenti (Corte Costituzionale n. 13/2019) in quanto, oltre alla loro natura prettamente amministrativa e non paragiurisdizionale (AGCM in quel caso), le relative decisioni non possono considerarsi definitive nella misura in cui sono assoggettate al sindacato del giudice amministrativo.

Si tratta di fattispecie sovrapponibili al caso di specie dove, alla natura amministrativa degli organi di giustizia sportiva (mai smentita – come detto – dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 49/2011 e 160/2019, come ricordato nella citata sentenza della Sezione n. 13943/2022), si aggiunge il fatto che le decisioni del Collegio di Garanzia che hanno un rilievo per l’ordinamento statale (e che, quindi, fuoriescono dall’ambito strettamente sportivo) sono comunque soggette in particolare al sindacato del giudice amministrativo, siccome previsto dall’art. 3 del decreto legge n. 220 del 2003, convertito in legge n. 280 del 2003.

A ciò si aggiunga che, quantomeno con riferimento agli organi di giustizia endo-federale, difetta il requisito della terzietà nella misura in cui si tratta di un “giudice”, peraltro nominato dallo stesso Consiglio Federale di appartenenza, che opera all’interno di un procedimento giustiziale nel quale è parte la Federazione stessa.

Ora, sebbene il Collegio di Garanzia sia un organismo istituito al di fuori del circuito delle Federazioni sportive, non va sottaciuto che esso giudica sulla legittimità delle decisioni assunte dagli organi endo-federali che, per le ragioni sopra esposte, non avrebbero potuto sollevare incidenti di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale; in ogni caso, assume valore dirimente la natura comunque amministrativa del Collegio di Garanzia e soprattutto il carattere non definitivo delle deliberazioni aventi un rilievo per l’ordinamento statale che, invero, sono assoggettate al sindacato degli organi giurisdizionali statali.

3. Concluso l’esame dei primi due motivi del ricorso introduttivo del giudizio e dei connessi motivi aggiunti, il Collegio, anche alla luce di quanto rappresentato da tutte le parti del presente giudizio, ritiene di dover procedere alla verifica dei presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, d. lgs. n. 242/1999, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge n. 8/2018, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018, ai fini della decisione sugli ulteriori motivi di ricorso.

Ed invero, sebbene il ricorrente abbia prospettato anche una violazione delle norme euro-unitarie e, in particolare, dell’art. 11 della CEDU e dell’art. 12 della Carta di Nizza, il Collegio - senza con ciò ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in tema di “doppia pregiudizialità” - ritiene tuttavia di doversi determinare nel senso di percorrere la strada dell’incidente interno di costituzionalità e non quello del rinvio pregiudiziale alla CGUE, sul presupposto che, come si avrà modo di chiarire nel prosieguo, i parametri normativi di principio violati non si esauriscano nella sola lesione della libertà di associazione (peraltro, protetta dallo stesso art. 18 della Cost, oltre che successivamente dalla CEDU e dalla Carta di Nizza) ma in una serie di norme costituzionali ben più ampia, come gli artt. 2, 3, 41, 42 e 48 Cost., con ciò aderendo alla tesi secondo cui, nella scelta tra i due canali della “doppia pregiudiziale”, occorre seguire il criterio della prevalenza del profilo, costituzionale o euro-unitario, concretamente coinvolto nella vicenda all’esame; ora, posto che, nella fattispecie in esame, prevale il profilo della possibile lesione di variegati principi costituzionali, il Collegio ritiene che vada preferita la strada dell’incidente di costituzionalità dinanzi alla Corte Costituzionale che potrà prendere in esame più profili di possibile violazione che non si esauriscono nella sola lesione della libertà di associazione.

A ciò si aggiunga che la libertà di associazione garantita dalle predette norme euro-unitarie (art. 11 CEDU e art. 12 Carta di Nizza) non differisce da quella prevista dalla norma costituzionale interna (art. 18 Cost.), dal che deriva un ulteriore profilo di preferenza per la scelta di adire la Corte Costituzionale in modo da sancire in via definitiva, attraverso l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale, la vigenza o meno della norma di che trattasi nell’ambito dell’ordinamento interno, differentemente da quanto potrebbe disporre la CGUE alla quale non è consentito espungere dall’ordinamento interno la norma in contrasto con il diritto euro-unitario ma solo sancirne la disapplicazione con riferimento al caso concreto.

4. Ciò premesso, ritiene il Collegio che la questione della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, decreto legislativo n. 242 del 1999, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018 sia rilevante e non manifestamente infondata.

A) In punto di rilevanza della questione.

Per valutare la rilevanza della questione ai fini della definizione del presente giudizio, va anzitutto ricostruito il contesto normativo di riferimento:

- l’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8 ha modificato l’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 che ora così recita: “Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le procedure per l'elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, promuovendo le pari opportunità tra donne e uomini. Il presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e non possono svolgere più di tre mandati. Qualora gli statuti prevedano la rappresentanza per delega, il CONI, al fine di garantire una più ampia partecipazione alle assemblee, stabilisce, con proprio provvedimento, i princìpi generali per l'esercizio del diritto di voto per delega in assemblea al fine, in particolare, di limitare le concentrazioni di deleghe di voto mediante una riduzione del numero delle deleghe medesime che possono essere rilasciate, in numero comunque non superiore a cinque. Qualora le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate non adeguino i propri statuti alle predette disposizioni, il CONI, previa diffida, nomina un commissario ad acta che vi provvede entro sessanta giorni dalla data della nomina. Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere un numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie in vigore. La disciplina di cui al presente comma si applica anche agli enti di promozione sportiva, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate”;

- altresì, l’art. 6, comma 1 e 2, della citata legge n. 8 del 2018 ha anche previsto i tempi di adeguamento degli statuti del CONI e delle varie Federazioni sportive, così prevedendo: “1. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) adegua lo statuto alle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge. Entro il medesimo termine, il CONI adotta il provvedimento di cui all'articolo 16, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 242 del 1999, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge.

2. Entro sei mesi dalla data di approvazione delle modifiche statutarie del CONI, le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate, nonché gli enti di promozione sportiva, adeguano i loro statuti alle disposizioni di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge”;

- ora, con riferimento alla modifica dello Statuto della FIT, il CONI, in carenza del suo adeguamento entro i termini previsti dal citato art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018, ha nominato, ai sensi del citato art. 16, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1998 (come modificato), un commissario ad acta il quale, con decreto del 20 giugno 2019, ha modificato l’art. 54, comma 2, dello Statuto della FIT nel modo che segue: “Il presidente federale, i presidenti regionali e provinciali, i componenti del consiglio federale e dei consigli regionali e provinciali della F.I.T. non possono svolgere più di tre mandati”.

Da tale ricostruzione, risulta evidente che la previsione contenuta ora nello Statuto della FIT costituisce una chiara e pedissequa applicazione della disposizione contenuta nella norma primaria (ovvero l’art. 16, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1999) che vieta al presidente e ai membri degli organi direttivi (federali, come nel caso di specie) di svolgere più di tre mandati nell’ambito della loro vita associativa.

Peraltro, il fatto che lo Statuto della FIT sia stato adeguato in maniera “coattiva” dal commissario ad acta nominato dal CONI avvalora ancora di più il fatto che, in assenza di quella previsione contenuta nella norma primaria, quella fonte normativa non sarebbe stata oggetto di alcuna modifica né tantomeno avrebbe previsto un tale limite assoluto nello svolgimento delle cariche associative.

È evidente che lo scrutinio di legittimità riguarda in via diretta la norma primaria contenuta nell’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, di cui l’art. 54, comma 2, dello Statuto FIT, in forza dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018, costituisce mera applicazione (come del resto anche l’art. 36 bis, comma 3, dello Statuto del CONI, con riferimento al CONI stesso).

Sempre in punto di rilevanza, ritiene altresì il Collegio di dover sgombrare il campo dalla possibilità, prospettata dal ricorrente, di operare una lettura costituzionalmente orientata del citato art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, “mutuando” la previsione transitoria contenuta nell’art. 6, comma 4, della legge n. 8 del 2018 secondo cui “I presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva che sono in carica alla data di entrata in vigore della presente legge e che hanno già raggiunto il limite di cui all'articolo 16, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge, possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato. Nel caso di cui al periodo precedente, il presidente uscente candidato è confermato qualora raggiunga una maggioranza non inferiore al 55 per cento dei votanti”.

Ora, una piana lettura della citata norma transitoria, in ossequio al principio “in claris non fit interpretatio”, non consente di operare un’estensione nel senso auspicato dal ricorrente anche a coloro che avevano concluso il mandato prima dell’entrata in vigore della legge n. 8 del 2018.

Peraltro, a ben vedere, la prospettazione del ricorrente non mira a ricercare una lettura costituzionalmente orientata del nuovo art. 16, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1999 nella parte in cui impone il limite dei tre mandati bensì una lettura estensiva della predetta norma transitoria contenuta nel citato art. 6, comma 4, della legge n. 8 del 2018 che, tuttavia, come detto, non è praticabile in ragione della chiarezza della fattispecie ivi regolata.

Né può invocarsi il divieto di retroattività delle norme di cui all’art. 11 delle preleggi in quanto il limite dei tre mandati opera solo per l’avvenire, pur con il temperamento della citata norma transitoria, ovvero per il rinnovo delle cariche associative successive all’entrata in vigore della legge e ciò è sufficiente per ritenere rispettato il predetto divieto.

Per concludere sul punto della rilevanza, l’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, essendo il presupposto della modifica statutaria (art. 54, comma 2, dello Statuto FIT), ha costituito il fondamento che ha portato all’esclusione del ricorrente dalle elezioni per il rinnovo dei consiglieri regionali della FIT, in relazione al quale non è possibile, ad avviso del Collegio, percorrere letture costituzionalmente orientate che consentano di evitare di sollevare l’incidente di costituzionalità dinanzi al giudice delle leggi.

B) In punto di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018 per violazione degli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 11 CEDU, e dell’art. 12 Carta di Nizza.

Al riguardo, va, preliminarmente, esaminata la natura giuridica della Federazione italiana tennis – FIT anche per individuare l’esatto parametro costituzionale di riferimento in base al quale verificare la compatibilità delle norme richiamate come, ad esempio, l’art. 97 Cost. (se trattasi di pubblica amministrazione) oppure l’art. 18 Cost. (se si è di fronte ad un ente di natura privatistica).

Come detto, il Collegio ritiene che la Federazione italiana tennis – FIT, almeno con riferimento alla fattispecie in esame, sia annoverabile tra le associazioni di diritto privato.

Ciò, invero, non solo si ricava dal dato testuale della norma di riferimento ovvero l’art. 15, comma 2, del d.lgs n. 242 del 1999 (poi, ribadito nell’art. 1, comma 1, dello Statuto FIT) che annovera, invero, le federazioni sportive nazionali tra le associazioni con personalità giuridica di diritto privato (la norma citata aggiunge, poi, che “Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione”); anche in un settore diverso da quello che si sta trattando in questa sede (ovvero il diritto di elettorato passivo degli associati della FIT), lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5348/2021, seppure con riferimento alla FIGC (ma ciò vale anche per le altre Federazioni), ha ritenuto che la predetta Federazione non fosse annoverabile tra gli organismi di diritto pubblico, con conseguente non assoggettabilità alla disciplina dettata in materia di contratti pubblici.

In quel caso, il giudice di appello, sviluppando i parametri interpretativi forniti dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza sulle cause riunite C-155/19 e C-156/19 del 3 febbraio 2021, ha escluso che possa riconoscersi un’influenza dominante da parte del CONI nella gestione delle Federazioni sportive né tantomeno la sussistenza “di vincoli idonei a comprimere l’autonomia di gestione interna”.

Ora, sebbene non possa dubitarsi che le Federazioni sportive e, quindi, la FIT svolgano comunque attività di rilievo pubblicistico (come la promozione dello sport di riferimento), ciò non vale ad attribuire alle stesse una soggettività pubblica con il conseguente assoggettamento ai relativi vincoli normativi.

In questo quadro, il CONI, nella gestione delle Federazioni, ha sì una funzione di regolazione e controllo ma limitata al settore delle competizioni sportive e, pertanto, non è tale da far assumere a queste ultime natura pubblicistica.

Del resto, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 160/2019, nel ribadire l’autonomia dell’ordinamento sportivo e la sua conformità al concetto pluralista dello Stato disegnato nella Costituzione, ha riconosciuto che il sistema dello “sport” trova protezione proprio negli artt. 2 e 18 Cost. che garantiscono lo sviluppo della personalità dell’individuo nell’ambito delle formazioni sociali e che assicurano il diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati dalla legge penale.

Ciò posto con riferimento alla natura giuridica (privata) della FIT, può ora passarsi ad esaminare i profili di possibile incostituzionalità dell’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018 nella parte in cui esclude agli associati della FIT la possibilità di candidarsi nell’ambito degli organi direttivi qualora abbiano già svolto tre mandati elettivi.

Si tratta, invero, di una previsione che rende l’interessato interdetto in via definitiva dalla possibilità di far parte degli organi direttivi della FIT, tanto da non poter prendere più parte attiva nell’attività gestionale e di indirizzo dell’associazione di che trattasi.

Ciò, ad avviso del Collegio, appare dapprima in contrasto con gli artt. 2, 3 e 18 Cost. nella misura in cui tale previsione risulta sproporzionata ed irragionevole rispetto agli obiettivi che il legislatore stesso si era prefissato di raggiungere, soprattutto se si tratta di incidere su un’associazione di diritto privato che contribuisce allo sviluppo della personalità dell’individuo nell’ambito di una formazione sociale come la Federazione sportiva.

È evidente che la ratio che ha ispirato la modifica legislativa dell’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242 operata dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8 sta nell’evitare “rendite di posizione” da parte di coloro che siedono negli organi direttivi delle Federazioni, in modo da favorire un ricambio all’interno degli organi di rappresentanza, ciò nell’intento di promuovere una maggiore partecipazione alla vita associativa che costituisce, come detto, un modello di sviluppo della personalità garantito dall’art. 2 Cost..

Pur tuttavia, il Collegio ritiene che tale intervento che sancisce la definitiva incandidabilità per coloro che hanno già svolto tre mandati non superi il test di proporzionalità che lo stesso giudice delle leggi impone di valutare nello scrutinio di una determinata previsione di legge e che prevede che il legislatore debba adottare la misura più idonea al conseguimento degli obiettivi prefissati ma, al contempo, debba scegliere sempre quella meno restrittiva dei diritti a confronto e meno sproporzionata rispetto al perseguimento di quegli obiettivi (cfr, Corte Cost. n. 1/2014 e 71/2015).

Ciò costituisce, invero, una ipotesi di possibile violazione dell’art. 3 Cost., a maggior ragione se rapportata ai richiamati artt. 2 e 18 della Cost. (e, quindi, anche all’art. 117, comma 1, Cost. con riferimento ad art. 11 CEDU, e all’art. 12 Carta di Nizza) in quanto una tale misura restrittiva e definitiva costituisce una rilevante compressione della libertà di associazione dell’individuo che, in maniera sproporzionata ed irragionevole, viene escluso definitivamente dalla vita attiva dell’associazione di riferimento nonché determina – come documentato da parte ricorrente – anche una difficoltà a reperire candidati per ricoprire le cariche associative, con conseguente rischio di influire sul funzionamento stesso dell’associazione.

Del resto, anche nell’ambito di entità pubblicistiche, si registrano norme che introducono limiti ai mandati elettivi ma, nella maggior parte dei casi, tale limite è introdotto con riferimento a mandati svolti consecutivamente, senza con ciò mai inibire in via definitiva l’elettorato passivo degli interessati.

Ad esempio, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 173/2019, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Consiglio nazionale forense (CNF) in riferimento agli artt. 3, 48 e 51 Cost. - dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017, nella parte in cui prevede che i consiglieri dei consigli circondariali forensi non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi in quanto la norma censurata introduceva peraltro un divieto analogo a quello previsto per altri ordinamenti professionali.

In quella sede, il giudice delle leggi ha avuto modo di affermare che il divieto del terzo mandato “consecutivo” (e, quindi, non l’inibizione in via definitiva dell’elettorato passivo) è posto al fine di favorire (nel senso anche che è sufficiente a favorire) il fisiologico ricambio all'interno dell'organo, di bloccare il rischio di cristallizzazione della rappresentanza e di tutelare le condizioni di eguaglianza stabilite per accedere alle cariche elettive.

In quel caso, poi, è stato ritenuto che tale limitazione ad un numero di mandati “consecutivi” fosse in linea con il principio del buon andamento dell'amministrazione, in particolare nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, in modo da tutelare - anche in considerazione delle numerose funzioni pubblicistiche di vigilanza e rappresentanza esterna assolte dagli ordini - l'autorevolezza di una professione oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore per la sua incidenza sull'amministrazione della giustizia e sul diritto di difesa.

Lo stesso vale, invero, con riferimento ad altre entità pubblicistiche come i mandati elettivi all’interno degli organi di autogoverno delle magistrature relativamente ai quali il legislatore, come noto, ha previsto limiti ai mandati consecutivi senza però prevedere ipotesi di incandidabilità assolute nel caso di svolgimento da parte degli interessati di un numero determinato di mandati (per il Consiglio Superiore della Magistratura, vgs art. 104, sesto comma, Cost.; per la Corte dei Conti e la Giustizia Amministrativa, vgs art. 10, comma 2-bis, della legge n. 117 del 1988).

Ciò deve valere, a maggior ragione, ad avviso del Collegio, con riferimento agli enti aventi natura privatistica nei quali, peraltro, in applicazione degli artt. 41 e 42 Cost., le restrizioni della libertà di iniziativa privata non devono mai sfociare nell'arbitrarietà e nell'incongruenza — e quindi nell'irragionevolezza — delle misure adottate per assicurare l'utilità sociale (cfr Corte Costituzionale, 23/11/2021, n.218).

Ora, appare evidente, ad avviso del Collegio, che, per il perseguimento degli obiettivi prefissati dal legislatore (ovvero evitare “rendite di posizione” da parte di coloro che siedono negli organi direttivi delle Federazioni, in modo da favorire un ricambio all’interno degli organi di rappresentanza), la misura introdotta con l’art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018 appare sproporzionata in quanto lo stesso obiettivo avrebbe potuto essere raggiunto introducendo misure non definitive o, comunque, meno limitative del diritto di elettorato passivo per l’assunzione delle cariche associative.

A ciò si aggiunga il possibile contrasto con gli artt. 2 e 48 Cost. nella misura in cui si limita il diritto di elettorato passivo, avente carattere inviolabile, peraltro nell’ambito di un ente di diritto privato in cui - come detto - si esplica la personalità.

Al riguardo, vale quanto già argomentato in precedenza con riferimento all’esigenza di introdurre misure proporzionate rispetto agli obiettivi prefissati, in un necessario giudizio di bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti che, nel caso di specie, non sembra essere stato svolto in maniera corretta dal legislatore del 2018.

C) Precisazione

A fronte di quanto sopra rappresentato, il Collegio è dell’avviso di dover rimettere nella sua interezza la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018.

In questo contesto non viene direttamente e in primo luogo ipotizzato un intervento additivo da parte del giudice delle leggi con riferimento all’elemento della “consecutività” dei mandati in quanto, trattandosi di un’entità con personalità giuridica di diritto privato, è la stessa Corte Costituzionale che dovrà valutare qual è il limite che al legislatore possa essere imposto per poter incidere sul diritto di elettorato passivo di un membro di un’associazione privata, nella misura in cui questa svolga comunque funzioni nell’ambito di un settore (come quello sportivo) di sicuro rilievo dal punto di vista pubblicistico.

D) Conclusioni

In conclusione, il Collegio, previo rigetto dei primi due motivi del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, ritiene rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del d.lgs 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018 (nella parte in cui esclude agli associati della FIT la possibilità di candidarsi nell’ambito degli organi direttivi a coloro che abbiano già svolto tre mandati) per violazione degli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 11 CEDU, e dell’art. 12 Carta di Nizza.

Ai sensi dell’articolo 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953 n. 87, deve essere pertanto disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimità costituzionale sollevata con la presente ordinanza.

Deve essere altresì disposta la sospensione del presente giudizio sino alla definizione del giudizio incidentale sulla questione di legittimità costituzionale.

Devono essere infine ordinati gli adempimenti di notificazione e di comunicazione della presente ordinanza, nei modi e nei termini indicati nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

- respinge i primi due motivi del ricorso introduttivo del giudizio e dei motivi aggiunti;

- dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018 (nella parte in cui esclude agli associati della FIT la possibilità di candidarsi nell’ambito degli organi direttivi a coloro che abbiano già svolto tre mandati) per violazione degli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 11 CEDU, e dell’art. 12 Carta di Nizza.

Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla definizione del giudizio incidentale sulla questione di legittimità costituzionale.

Dispone altresì l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria, alle parti del presente giudizio ed al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Manda altresì alla Segreteria di comunicare la presente ordinanza al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore

Raffaello Scarpato, Referendario

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