CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE SECONDA, SENTENZA del 07/11/2023 n. 30997

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE SECONDA, SENTENZA del 07/11/2023 n. 30997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA

Presidente: D'ASCOLA PASQUALE

Relatore: CRISCUOLO MAURO

– OMISSIS –

SENTENZA

sul ricorso 4610-2017 proposto da: - OMISSIS - , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell'avvocato CARLO SRUBEK TOMASSY, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCESCO - OMISSIS - ;

-ricorrente –

contro

- OMISSIS - , elettivamente domiciliato in ROMA, BORGO PIO 44, presso lo studio dell'avvocato STEFANO SACCHETTO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato RICCARDO GUSSO, giusta procura in calce al controricorso;

-ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 489/2016 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE, depositata il 26/07/2016;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. PAOLA FILIPPI, che ha chiesto dichiararsi inammissibili sia il ricorso principale che quello incidentale; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/06/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del ricorrente principale;

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1.- OMISSIS - proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Gorizia in favore dell’avv. - OMISSIS - per il pagamento del compenso maturato per l’assistenza legale prestata in favore dell’opponente, e per la conclusione di un contratto di prestazione sportiva tra il - OMISSIS -  e la società Vicenza Calcio. Oltre ad eccepire l’incompetenza per territorio del giudice adito, lamentava l’invalidità ed inefficacia del contratto di mandato professionale, stipulato sia con l’opposto che con il Vicenza Calcio, evidenziando il contrasto con l’ordinamento sportivo ed in particolare con il regolamento della FIGC, concludendo per la revoca del decreto opposto. Si costituiva il - OMISSIS -  che evidenziava di avere concluso con il - OMISSIS -  un contratto di prestazione di assistenza legale nell’ambito dei futuri contratti concernenti la sua attività di calciatore professionista, ed instava per il rigetto dell’opposizione, formulando in via subordinata domanda di arricchimento senza causa. Il Tribunale adito, con sentenza del 12 luglio 2015, accoglieva l’opposizione e revocava il decreto opposto, condannando il - OMISSIS - , oltre al rimborso delle spese di lite, anche al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 489 del 1 giugno 2016, ha parzialmente accolto l’appello del - OMISSIS - , quanto alla condanna per responsabilità processuale aggravata, confermando nel resto l’accoglimento dell’opposizione, ed ha confermato anche la regolazione delle spese della sentenza di primo grado, compensando quelle di appello per un terzo, e ponendo la residua quota a carico dell’appellante. Nell’esaminare i primi cinque motivi di appello, la Corte distrettuale rilevava che il - OMISSIS -  all’epoca dei fatti era un calciatore professionista e come tale assoggettato alle norme dell’ordinamento sportivo, tra le quali rientrano anche le previsioni del regolamento del 2011 della FIGC, in tema di agente sportivo. La tesi dell’opposto, secondo cui aveva assistito il - OMISSIS -  come avvocato, e quindi come soggetto estraneo all’ordinamento sportivo, non era condivisibile, in quanto non teneva conto del fatto che i calciatori per i contratti di prestazione sportiva devono necessariamente avvalersi dell’opera di un agente iscritto nel relativo albo ovvero delle prestazioni di un avvocato iscritto all’albo professionale. In tale ultima ipotesi resta però sottinteso che anche l’avvocato debba sottostare alle norme dell’ordinamento sportivo, e che quindi l’incarico doveva essere veicolato nelle forme prescritte dall’ordinamento sportivo, e precisamente negli appositi moduli predisposti dalla Commissione degli agenti dei calciatori, a pena di inefficacia dell’accordo. La violazione delle indicate regole non poteva che ripercuotersi sulla validità del contratto che, ove contravvenga alle stesse, deve reputarsi immeritevole di tutela. Passando quindi ad esaminare la domanda di arricchimento senza causa, la Corte d’Appello riteneva la censura inammissibile in quanto non era stato nemmeno dedotto quale fosse stato, in termini di durata, l’impegno profuso dall’appellante per l’assistenza prestata in favore del - OMISSIS - , e non essendo stato nemmeno chiarito quali spese fossero state affrontate. Ne derivava che non era dato apprezzare quale fosse stato l’impoverimento del - OMISSIS -  e la locupletazione del - OMISSIS - , il che impediva di poter accordare l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. Era invece accolto il settimo motivo di appello relativo alla condanna ex art. 96 c.p.c., in quanto doveva escludersi che le difese proposte in giudizio fossero connotate da mala fede o colpa grave, rientrando nel legittimo esercizio del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Infine, era confermata la statuizione di primo grado quanto alla condanna dell’appellane alle spese di lite, dovendosi escludere che ricorressero le condizioni per poter compensare le stesse. Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello propone ricorso - OMISSIS -  sulla base di sette motivi. - OMISSIS -  resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo. Il ricorrente principale ha depositato memorie in prossimità dell’udienza. 2.Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1360, 1703, 2230 e 2231 c.c., nonché dell’art 1 della Tariffa Stragiudiziale – Tabella D, del DM n. 127/2004. Si evidenzia che il ricorrente ha ricevuto incarico dal - OMISSIS -  nella esclusiva veste di avvocato, libero professionista, e che pertanto, proprio per effetto di tale qualità, non può reputarsi che la sua attività debba essere sottoposta alle regole tipiche dell’ordinamento sportivo. E’ quindi erronea la conclusione del giudice di appello in merito all’interpretazione della clausola di cui all’art. 5 del Regolamento FIGC, secondo cui anche l’avvocato che presti attività in favore di calciatori professionisti debba attenersi alle regole dell’ordinamento sportivo. Nel momento in cui si consente al calciatore professionista di potersi avvalere anche delle prestazioni di un avvocato in alternativa a quelle di un agente sportivo, non può imporsi all’avvocato il rispetto delle norme interne, dovendo invece unicamente sottostare alle norme statali dettate per l’attività forense. La conclusione de qua troverebbe poi il conforto anche di un parere della Commissione Agenti, che avrebbe confermato che l’attività dell’avvocato di assistenza di calciatori professionisti non è necessariamente conformata dalle norme della FIGC, dovendo anzi svolgersi secondo le forme reputate più idonee, ed un’analoga conclusione è stata assunta in una risposta ad un quesito da parte della Commissione Consultiva del CNF, che nel ribadire la libera esplicazione dell’attività de qua, ha ritenuto che fosse del pari libera la predisposizione dello strumento contrattuale più consono alle esigenze dell’assistito. Infine, non deve tralasciarsi che nel 2015 la FIFA ha disposto l’abolizione dell’albo degli agenti sportivi, il che ha confermato la libera esplicazione dell’attività da parte degli avvocati senza alcuna formalità. Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 100 e 112 c.p.c. e 1441 c.c. nella parte in cui la Corte d’Appello ha rilevato la nullità del mandato professionale per non essere stato conferito su moduli già predisposti dalla FIGC e depositato nei successivi venti giorni, in quanto, oltre a valorizzare degli obblighi che non sussistono per l’avvocato, si è pervenuti ad una dichiarazione di inefficacia ovvero di annullamento del contratto su iniziativa di un soggetto nel cui interesse non è posta la patologia negoziale. Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1367 e 1371 c.c. nonché dell’art. 112 c.p.c., in quanto, anche a voler per assurdo ipotizzare l’invalidità del contratto di mandato, sarebbe stato necessario verificare la possibilità di un’interpretazione in chiave conservativa dell’accordo, nel senso che una volta eseguita la prestazione, doveva essere riconosciuto un compenso al ricorrente per l’attività professionale comunque svolta. Ad analogo risultato si sarebbe dovuti pervenire facendo applicazione del principio di equo contemperamento degli interessi di cui all’art. 1371 c.c. Il quarto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1703, 1720, 2222, 2229, 2233 e 1322, co. 2, c.c. nella parte in cui si è addivenuti ad affermare che il contratto concluso sia immeritevole di tutela, ma senza adeguatamente considerare i principi affermati da Cass. n. 3545/2004, che sono relativi a contratti intercorsi tra società sportive. Inoltre, la verifica di meritevolezza opera solo per i contratti atipici, mentre nella specie si è in presenza di un contratto tipico.

2.1 I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati. La giurisprudenza di questa Corte ha già in passato affermato che le violazioni di norme dell'ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l'ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico; non può, infatti, ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell'interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell'ordinamento sportivo, e senza l'osservanza delle prescrizioni formali all'uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell'ordinamento sportivo nel quale la medesima deve esplicarsi (Cass. n. 3545 del 23/02/2004). Il principio è poi stato declinato proprio in relazione ad una vicenda che vedeva protagonista l’odierno ricorrente, e che aveva ad oggetto analoga attività procuratoria, essendosi ribadito che (Cass. n. 5216/2015) le violazioni di regole dell'ordinamento sportivo in tema di contratto, seppure non direttamente determinanti la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto, cioè sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, interesse da ritenere mancante allorché il contratto sia posto in essere in frode alle regole dell'ordinamento sportivo e senza l'osservanza delle prescrizioni formali all'uopo richieste (nella specie, è stata ritenuta la nullità di un contratto di assistenza sportiva intercorso tra un calciatore professionista ed un avvocato, in quanto non stipulato in forma scritta sugli appositi moduli previsti dal Regolamento degli agenti dei calciatori della FIGC). In motivazione è stato sottolineato che, ancorché il contratto di prestazione professionale (assistenza sportiva) possa essere stipulato tra il professionista sportivo ed un agente iscritto nel relativo albo, oppure tra lo sportivo ed un iscritto all'albo degli avvocati, tuttavia, anche se l'assistenza è svolta da un avvocato, il rapporto soggiace pur sempre al regolamento FIGC e l'incarico deve essere dunque, a pena di nullità, redatto sui moduli predisposti dalla Commissione (art. 10 Reg.). La soluzione è stata poi ribadita, sempre in una controversia che vedeva come parte l’avv. - OMISSIS - , da Cass. n. 18807/2015 che, nell’esaminare la specifica doglianza relativa alla mancata considerazione del ricorrente quale avvocato iscritto al libero foro, e ciò al fine di sostenere che non fosse tenuto all'osservanza del regolamento FIGC in materia, ha precisato che dalla qualità ricoperta non potesse trarsi alcun motivo di esenzione dall'osservanza della disciplina propria dell'ordinamento sportivo, anche quanto a modalità e connotati essenziali dei contratti stipulati con i calciatori, e ciò perché, indipendentemente dall'iscrizione all'albo degli agenti e dei procuratori sportivi, l’avvocato è tenuto ad osservare la normativa che regolava il rapporto tra calciatore professionista - agente sportivo - FIGC, ai fini del riconoscimento dell'attività prestata nell'ambito dell'ordinamento sportivo.

Ritiene la Corte di dover dare continuità alla propria giurisprudenza, non senza rilevare che la deroga prevista per gli avvocati è appunto quella relativa alla possibilità di svolgere attività in favore di atleti professionisti anche senza essere iscritti all’apposito albo, ma dovendo in ogni caso offrire una prestazione che sia funzionale all’attività professionale svolta dall’atleta e che deve quindi conformarsi ai requisiti che in via di autonomia ordinamentale si è dato l’ordinamento sportivo. Sostenere che sol perché la prestazione sia resa dall’avvocato sarebbe possibile eludere le norme che, secondo la valutazione propria dei vertici dell’ordinamento sportivo, sono essenziali per il miglior funzionamento e la tutela degli interessi di settore, equivarrebbe a vanificare la stessa scelta a monte fatta in tale direzione, essendo piuttosto l’attività dell’avvocato strumentale al miglior perseguimento di quegli scopi e di quelle finalità. La consolidata giurisprudenza di questa Corte rende quindi irrilevanti le diverse opinioni manifestate in pareri resi da organismi di categoria, come del pari si palesa priva di rilevanza nella fattispecie la successiva abolizione dell’albo degli agenti sportivi, dovendo invece la soluzione della controversia avvenire in base alle regole all’epoca vigenti. Ne deriva che il - OMISSIS -  - ancorché stipulante in qualità di avvocato libero professionista - era comunque tenuto a rispettare le norme federali su forma e contenuto del contratto intercorso con il calciatore professionista, pena l'invalidità di quel contratto ai sensi dell'articolo 10, primo coma, Reg. FIGC. La violazione delle regole dell’ordinamento sportivo, peraltro individuata in sentenza, non è nemmeno specificamente contestata dal ricorrente, il che comporta la nullità del contratto per la violazione dell’art. 1322 co. 2 c.c., conclusione questa che rende immediatamente evidente l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, e ciò in ragione del fatto che il rilievo della nullità, oltre che essere stato espressamente sollecitato dall’opponente, era doveroso ex art. 1421 c.c., senza che possa dedursi una pretesa riserva in capo a soggetti diversi dalle parti del contratto stesso.

2.2 Del pari priva di fondamento si palesa la pretesa di addivenire ad una diversa soluzione invocando le norme in tema di interpretazione oggettiva del contratto. Al riguardo questa Corte ha affermato che, solo quando il senso del contratto o di una sua clausola sia rimasto oscuro o ambiguo, nonostante l'utilizzo dei principali criteri ermeneutici (letterale, logico e sistematico), deve trovare applicazione il principio della conservazione degli effetti utili del contratto, previsto dall'art. 1367 c.c., così che qualora le espressioni contenute nel contratto siano ritenute inidonee a consentire una inequivoca interpretazione, si deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, tenendo conto anche degli effetti, con il limite comune agli altri criteri sussidiari. Tuttavia, la conservazione del contratto non può mai comportare una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto o della clausola (Cass. n. 19493/2018; Cass. n. 7972/2007). Nella specie (ed in disparte l’apparente novità della questione posta con il motivo, della quale non vi è traccia in sentenza né il ricorrente riferisce di avere posto in sede di merito), alcuna equivocità emerge dal tenore delle espressioni contenute in contratto, così che proprio in ragione della piana esegesi del mandato non poteva che desumersi, in ragione dei precedenti di questa Corte, la conclusione circa l’immeritevolezza dell’accordo.

2.3 Inoltre, nemmeno appare munita di fondamento la deduzione secondo cui il giudizio di meritevolezza andrebbe condotto solo per i contratti atipici, e non anche per quello oggetto di causa riconducibile alla figura tipica del mandato professionale. A tal fine valga il richiamo alla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 5657/2023) che, anche in relazione a contratti tipici, ha affermato che il giudizio di meritevolezza di cui all'art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, non già alla convenienza, chiarezza o aleatorietà del contratto o delle sue clausole (e ciò in riferimento ad un contratto di leasing traslativo, ormai avente fondamento di diritto positivo; conf. Cass. S.U. n. 22437/2018, con riferimento alle clausole claims made, anche queste ritenute avere una base di diritto positivo). A tal fine rileva il fatto che, come ricordato dalle Sezioni Unite nel precedente del 2023, il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma secondo, c.c., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa, ma è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia. La conclusione circa l’immeritevolezza dei contratti quali quelli conclusi dal ricorrente in violazione delle regole dell’ordinamento sportivo guarda proprio al risultato che lo stesso contratto non è in grado di assicurare, in ragione della sua conclusione, e si impone anche per i contratti tipici, ben potendo la causa in concreto deglistessi risultare in violazione del precetto di cui all’art. 1322 co. 2 c.c. 3.Il quinto motivo del ricorso principale lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2126 c.c., quanto al rigetto della domanda di arricchimento senza causa, ma si risolve in una generica ed in parte anche immotivata critica alla sentenza di appello che ha evidenziato come il ricorrente non avesse offerto elementi concreti in base ai quali apprezzare quale fosse stato l’impoverimento per effetto della conclusione del contratto immeritevole di tutela, essendo quindi pervenuta ad una valutazione di inammissibilità della censura nemmeno specificamente attinta dal motivo in esame. Né può ritenersi che tale prova possa essere supplita dal richiamo al corrispettivo che era stato fissato nel contratto reputato invalido, in quanto in tal modo si darebbe surrettiziamente efficacia proprio a quell’accordo che invece è stato reputato immeritevole di tutela. Inoltre, e proprio in ragione della valutazione di immeritevolezza del contratto concluso, stante la inutilizzabilità in sede sportiva dello stesso, risulta incensurabile e nemmeno specificamente attinta dal motivo, l’affermazione secondo cui il - OMISSIS -  non avrebbe tratto alcuna locupletazione dall’attività professionale in relazione alla quale vene richiesto il compenso, ed in subordine indennizzo exart. 2041 c.c.

4. Il sesto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., in quanto la sentenza non avrebbe spiegato le ragioni in base alle quali anche l’avvocato che assiste un calciatore debba rispettare le norme dell’ordinamento sportivo, trascurando una serie di documenti che erano stati prodotti al fine di supportare la tesi della validità del contratto. Il motivo è innanzi tutto inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., avendo la Corte d’Appello confermato la decisione di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado. E’ inoltre inammissibile in quanto omette di indicare il fatto decisivo di cui sarebbe stata omessa la disamina, limitandosi ad indicare una serie di elementi documentali per i quali ritiene che la motivazione sia stata insoddisfacente, e ciò con la proposizione di una censura che, in quanto volta a criticare l’apprezzamento delle emergenze probatorie, anche in relazione al mancato esame di alcune di esse, esula dal novero di quelle suscettibili di essere veicolate nel testo del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. (Cass. S.U. n. 8054/2014). 5. Il sett imo motivo di ricorso avanzato in via subordinata per l’ipotesi di rigetto dei primi sei motivi, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. Si deduce che la Corte d’Appello ha parzialmente compensato le spese del grado, avendo accolto il motivo di gravame che atteneva alla illegittima condanna ex art. 96 c.p.c. disposta in suo danno dal Tribunale. Tuttavia, pur a fronte dell’accoglimento di tale motivo, risulta confermata la condanna integrale del ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di primo grado. Ma a seguito del parziale accoglimento del gravame si deve reputare che la soccombenza reciproca operi anche per il primo grado e che pertanto sarebbe stato necessario disporre la compensazione delle spese anche per tale fase. Il motivo è inammissibile, Infatti, in disparte l’inammissibilità della censura che investe il mancato esercizio del potere di compensazione delle spese di lite, trattandosi di prerogativa rimessa all’insindacabile giudizio del giudice di merito (Cass. S.U. n. 14989/2005), occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, di cui all'art. 96 c.p.c., a fronte dell'integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un'ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 c.p.c. (Cass. n. 18036/2022; Cass. n. 9532/2017). Ne deriva che, non avendo parte appellata contestato la decisione di procedere alla parziale compensazione delle spese del giudizio di appello, non può però aver seguito la censura posta dal ricorrente principale quanto all’omessa compensazione parziale anche delle spese del giudizio di primo grado, essendosi in tal caso al di fuori delle ipotesi di reciproca soccombenza.

6. L’unico motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 96 ed 88 c.p.c. quanto alla riforma in appello della condanna del ricorrente principale al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. Si lamenta l’erronea valutazione della condotta processuale della controparte, che ha agito nella consapevolezza dell’insussistenza delle proprie ragioni di credito, attribuendo in manera ingiustificata alla condotta del - OMISSIS -  la mancata conclusione dell’affare con il Vicenza Calcio, ma omettendo di rilevare che nella fattispecie il - OMISSIS -  aveva agito in conflitto di interessi.

Il motivo è inammissibile, come appunto ribadito dal Pubblico Ministero nelle proprie conclusioni. I giudici di appello, con motivazione logica e coerente, hanno reputato che il - OMISSIS -  non avesse agito con mala fede o colpa grave, essendo peraltro legittimo anche riproporre delle tesi che altri giudici hanno invece reputato infondate. Ma, al riguardo va ricordato che secondo questa Corte l'accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. n. 7222/2022; Cass. n. 26545/2021; Cass. n. 13071/2003; Cass. n. 327/2010). 7. Ne consegue che il ricorso principale è rigettato mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.

8. In ragione dell’esito del presente giudizio, e temuto conto della prevalente soccombenza del ricorrente principale, si ritiene di poter compensare le spese per un terzo, ponendo la residua parte, come liquidata in dispositivo a carico del ricorrente principale.

9. Poiché il ricorso principale è rigettato e quello incidentale dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; Compensa per un terzo le spese del presente giudizio e condanna il ricorrente principale al rimborso in favore della controparte della residua parte che in tale ridotta misura liquida in complessivi € 2.150,00, di cui € 150,00 per esborsi, oltre spese generali, pari a 15 % sui compensi, ed accessori di legge se dovuti; Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto;

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda

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