T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 27/11/2023 N. 17711
T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA - SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 27/11/2023 N. 17711
Pubblicato il 27/11/2023
N. 17711/2023 REG.PROV.COLL.
N. 13511/2019 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13511 del 2019, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Di Ciommo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito 41;
contro
Federazione Italiana Giuoco -OMISSIS- - F.I.G.C., rappresentata e difesa dall'avvocato Giancarlo Viglione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere dei Mellini 17; Lega Nazionale Professionisti Serie B, rappresentata e difesa dall'avvocato Paola Pezzali, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comitato Olimpico Nazionale - C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
-OMISSIS-, non costituiti in giudizio;
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
per l'annullamento e/o la riforma, previa sospensione cautelare,
- della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite n. -OMISSIS- comunicata a mezzo pec il 07.09.2019 (nella parte in cui respinge il ricorso presentato dall’-OMISSIS--OMISSIS- avverso la decisione della Corte Federale d’Appello – Sezioni Unite della Federazione Italiana Giuoco -OMISSIS- di cui al C.U. n. -OMISSIS- depositata il 18.06.2019;
- nonché di ogni atto presupposto, connesso e/ consequenziale comunque lesivo per la società ricorrente, ancorché dalla medesima non conosciuto;
per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati n data 7 gennaio 2020:
per il risarcimento dei danni ex art. 30 c.p.a., derivante dall’illegittimità e/o invalidità e/o nullità:
- della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite n. -OMISSIS- comunicata a mezzo pec il 07.09.2019 nella parte in cui respinge il ricorso presentato dall’-OMISSIS--OMISSIS- avverso la decisione della Corte Federale d’Appello – Sezioni Unite della Federazione Italiana Giuoco -OMISSIS- di cui al C.U. n. -OMISSIS- depositata il 18.06.2019;
- nonché di ogni atto presupposto, connesso e/ consequenziale comunque lesivo per la società ricorrente, ancorché dalla medesima non conosciuto.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Lega Nazionale Professionisti Serie B, della Federazione Italiana Giuoco -OMISSIS- - F.I.G.C. e del C.O.N.I.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2023 il dott. Raffaello Scarpato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’odierno contenzioso trae origine da un’articolata controversia svoltasi dinanzi agli organi della giustizia sportiva, di cui si ripercorrono i tratti salienti:
Con atto del 29.4.19 il Procuratore Federale della FIGC deferiva dinanzi al Tribunale Federale Nazionale i Sig.ri -OMISSIS-, nonché la -OMISSIS--OMISSIS-, per gravi irregolarità gestionali;
All’esito del relativo procedimento il Tribunale Federale, con decisione del 13.5.19, irrogava ai Sig.ri -OMISSIS- la sanzione, rispettivamente, di 2 e 5 anni di inibizione, ed alla Società la retrocessione all’ultimo posto del Campionato di Serie B della stagione 2018/19; in relazione alla posizione dello -OMISSIS-, il tribunale federale dichiarava inammissibile il deferimento per violazione dei termini a difesa;
La decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte federale d’appello, che con il C.U. -OMISSIS- del 18.6.19, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava la sanzione nei confronti della Società nella misura di 20 punti di penalizzazione ed €. -OMISSIS- di ammenda, e nei confronti dei Sig.ri -OMISSIS- la riduceva rispettivamente a 1 e 3 anni di inibizione; inoltre, in parziale accoglimento del ricorso in appello proposto dal Procuratore Federale, riformava la decisione impugnata, rilevando l’insussistenza della inammissibilità del deferimento dichiarata nei confronti del sig. -OMISSIS- -OMISSIS- e restituiva gli atti al Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, per la prosecuzione del giudizio nei confronti di questi; all’esito del rinnovato giudizio Il Tribunale federale, con C.U. n. -OMISSIS-, irrogava nei confronti del Sig. -OMISSIS- la sanzione di anni 5 di inibizione e preclusione ex art. 19, comma 3, Codice di Giustizia Sportiva FIGC in quanto “vero ideatore degli artifizi contestati, posti in essere con il compiacente ausilio degli altri soggetto coinvolti nell’intera vicenda”;
La -OMISSIS- -OMISSIS- impugnava il CU -OMISSIS- dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport che, con decisione n. -OMISSIS- del 6.9.2019, respingeva il ricorso.
Con l’odierno atto di gravame, esauriti i gradi della giustizia sportiva, il -OMISSIS--OMISSIS--OMISSIS- S.p.A. impugna la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite n. -OMISSIS- deducendo:
“Eccesso di potere – sviamento di potere – disparità di trattamento – ingiustizia manifesta. Contraddittorietà, erroneità ed illogicità della sentenza resa dal Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI nella parte in cui ritiene corretta la decisione della Corte Federale d’Appello della FIGC sulla base di quanto statuito da una pronuncia del Tribunale Nazionale Federale all’esito di un procedimento al quale la -OMISSIS--OMISSIS- è rimasta estranea. Violazione dell’art. 111 Cost. nonché art. 2, comma 2 CGS CONI e art. 34 comma 4 CGS FIGC. Violazione di legge, in particolare dell’art. 2049 c.c. nonché dell’art. 4, comma 1 CGS FIGC, per aver sanzionato a titolo di responsabilità oggettiva la società -OMISSIS--OMISSIS- sulla base dei presunti illeciti disciplinari posti in essere da un soggetto nei confronti del quale il procedimento disciplinare è stato dichiarato inammissibile, e in contradditorio con il quale, i fatti costitutivi della responsabilità non sono stati accertati;
Eccesso di potere – violazione e/o falsa applicazione del principio di ragionevolezza – illogicità e/o contraddittorietà dei provvedimenti per manifesta disparità di trattamento. Violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.;
Erroneità ed abnormità della sanzione comminata alla US-OMISSIS- S.p.A. rispetto alle conclusioni a cui è giunta la Corte Federale d’Appello della FIGC – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, commi 3 e 4, e dell’art. 18 comma 1 CGS FIGC. Contraddittorietà della decisione impugnata;
Eccesso di potere – violazione e/o falsa applicazione del principio di ragionevolezza – illogicità e/o contraddittorietà dei provvedimenti per manifesta disparità di trattamento. Erronea valutazione dei fatti di causa. In particolare, con riferimento ai capi 2, 3, 4 e 6 del deferimento (iscrizioni effettuate nello stato patrimoniale dei bilanci 2015-2016-2017 "crediti per imposte anticipate; iscrizione in bilancio di crediti tributari pari ad €. -OMISSIS- nella voce di bilancio al 30 giugno 2016; operazione di cessione del marchio alla società -OMISSIS-).
Contraddittorietà, illogicità ed erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata l’eccezione avanzata dal -OMISSIS- circa l’inammissibilità del deferimento. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 CGS FIGC e dell’art. 32 – ter co. 5 CGS FIGC.”
Con il primo ordine di motivi, la parte ricorrente deduce la violazione dei principi di certezza del diritto e di difesa, sostenendo che la società è stata sanzionata per comportamenti addebitabili al solo Presidente -OMISSIS- -OMISSIS-, la cui posizione era stata definita con una declaratoria di inammissibilità, avendo il Tribunale federale rilevato la violazione del diritto di difesa dell’incolpato (CU n. 63/2019).
Peraltro, i medesimi comportamenti erano stati accertati e sanzionati in altro e diverso procedimento dinanzi al Tribunale federale – rispetto al quale la società -OMISSIS--OMISSIS- era rimasta estranea - conclusosi con C.U. n.-OMISSIS-, successivamente sottoposto a revisione a seguito di reclamo da parte del sig. -OMISSIS-, definito con -OMISSIS-della Corte federale d’appello.
Pertanto, secondo le prospettazioni della parte ricorrente, tutte le contestazioni mosse alla -OMISSIS--OMISSIS- S.p.A., a titolo di responsabilità diretta o di responsabilità oggettiva, per fatti imputabili al Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, non avrebbero potuto comportare sanzioni a carico della società.
Con il secondo ordine di motivi, il -OMISSIS-ricorrente lamenta la violazione dei canoni della proporzionalità e della parità di trattamento rispetto ad altri casi riguardanti diverse società (-OMISSIS-), nei quali, a fronte di condotte altrettanto gravi, la sanzione comminata dalla Giustizia Sportiva era risultata meno severa.
Con il terzo gruppo di motivi parte ricorrente deduce la contraddittorietà della sanzione irrogata rispetto a quanto emerso all’esito del giudizio innanzi alla Corte federale d’appello, nonché rispetto alle precedenti determinazioni assunte dalla medesima Corte negli altri casi analoghi sopra indicati.
Con il quarto ordine di censure, il -OMISSIS-censura l’erronea valutazione dei fatti di causa, con particolare riferimento ai capi 2, 3, 4 e 6 del deferimento, deducendo che i principi contabili in contestazione, peraltro non applicabili al caso specifico, rispondono a canoni di mera prudenza, con la conseguenza che dalla loro eventuale violazione non può discendere l’applicazione delle sanzioni che puniscono le false comunicazioni sociali.
Infine, con il quinto ed ultimo gruppo di motivi, parte ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 32, comma 5, del Codice della Giustizia Sportiva (C.G.S.), in ordine all’inammissibilità del deferimento per illegittima riapertura delle indagini, non essendo stato provato con assoluta certezza quali documenti fossero stati acquisiti in data 31.01.2019 e non rivestendo comunque gli atti acquisiti a quella data i caratteri della novità e della non preventiva conoscibilità richiesti dalla normativa di riferimento.
Sulla base di tali motivi, il -OMISSIS-dell’-OMISSIS--OMISSIS- S.p.A. chiede a questo Tribunale di annullare e/o riformare la gravata decisione del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI e, conseguentemente, di annullare o riformare in melius ogni sanzione inflitta dai competenti Organi della giustizia sportiva.
Si è costituito il CONI, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (e di ogni altro giudice statale) sulla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati, ai sensi dei primi tre articoli del D.L. n. 220/2003, convertito in L. n. 280/2003.
Nel merito il CONI ha dedotto che le contestazioni e i fatti accertati dagli Organi di Giustizia federale erano particolarmente gravi, essendo consistiti nel “compimento di una sistematica attività volta ad eludere i principi di sana gestione finanziaria e volta a rappresentare in maniera non fedele alla realtà lo stato di salute della Società deferita”, tanto da consentire mediante alterazioni di bilancio l’iscrizione al campionato di calcio 2017/2018.
In particolare, il Comitato olimpico ha evidenziato che a seguito della rimessione degli atti al Tribunale Federale disposta dalla Corte di appello relativamente alla posizione del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, i giudici sportivi di prime cure, con C.U.n. -OMISSIS-, avevano irrogato nei confronti del medesimo la sanzione di anni 5 di inibizione e preclusione ex art. 19, comma 3, del C.G.S., in quanto “vero ideatore degli artifizi contestati, posti in essere con il compiacente ausilio degli altri soggetti coinvolti nell’intera vicenda”.
Peraltro, secondo le prospettazioni del medesimo Comitato, pure a prescindere dalla posizione del Presidente della società, le 7 contestazioni formulate dalla Procura federale avevano riguardato anche le condotte del Presidente del Collegio Sindacale e del Sig. -OMISSIS-, oltre ad essere state contestate anche alla Società ricorrente a titolo di responsabilità oggettiva e diretta.
Ciò posto, richiamati i principi dettati dal D.Lgs. n. 231/01 in materia di responsabilità amministrativa degli enti, il CONI ha concluso per una responsabilità diretta della società, autonoma rispetto alla responsabilità dell’autore materiale dell’illecito, dovendo l’ente essere chiamato a risponderne autonomamente, previa verifica incidentale delle condotte illecite realizzate.
Quanto alla dedotta disparità di trattamento rispetto a precedenti che avevano interessato altri sodalizi sportivi, il Comitato ha escluso analogie rispetto alla questione oggetto del presente giudizio ed ha ribadito quanto statuito dal Collegio di Garanzia dello Sport in relazione alle ulteriori censure formulate dal -OMISSIS-ricorrente.
Si è costituita la Lega Nazionale Professionisti Serie B, eccependo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in ragione della natura di sanzione disciplinare del provvedimento impugnato, che rientra pienamente nella riserva di legge a favore dell’ordinamento sportivo prevista dell'art. 2, comma 1, lett. b), e 2, d.l. n. 220 del 2003, come convertito dalla L. n. 280/2003, non risultando coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico della Repubblica e non essendo stata formulata richiesta di risarcimento danni da parte del -OMISSIS-ricorrente.
Nel merito, la Lega ha dedotto che la decisione inerente il Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, richiamata dal Collegio di Garanzia dello Sport nel provvedimento oggetto del presente giudizio, riguardava lo stesso procedimento disciplinare a cui aveva preso parte l’-OMISSIS--OMISSIS-, concernendo gli stessi fatti contestati alla società e rivestendo il predetto soggetto, ai tempi dei fatti contestati, il ruolo prima di Presidente del CDA e successivamente di componente del CDA.
Sulle rimanenti censure, la Lega resistente si è riportata alle statuizioni del Collegio di Garanzia dello Sport contenute nella decisione impugnata ed a quelle relative alle decisioni assunte nei precedenti gradi del giudizio sportivo.
Si è costituita la F.I.G.C., ribadendo la medesima eccezione di difetto di giurisdizione già sollevata dalle altre parti resistenti e contestando, punto per punto, le singole censure poste a fondamento del ricorso.
All’udienza in camera di consiglio del 17.12.2029 part ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, il -OMISSIS-ha formulato istanza risarcitoria, ai sensi dell’art. art. 30 c.p.a., in relazione alla decisione del Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite n. -OMISSIS- impugnata con il ricorso introduttivo, sulla base dei medesimi profili di censura già posti a fondamento della domanda di risarcimento in forma specifica articolata nel ricorso principale.
Ciò posto, il -OMISSIS-ricorrente ha quantificato il danno patrimoniale nella misura di € -OMISSIS-, importo pari alla sanzione pecuniaria inflitta, oltre alle spese ed ai costi relativi alla difesa, mentre in relazione al danno non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto ad un giusto processo ha invocato il potere equitativo del giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c..
Detta istanza risarcitoria per equivalente pecuniario è stata articolata in via subordinata rispetto a quella già spiegata in forma specifica con memoria depositata agli del giudizio in data 13.12.2019, richiamata e ribadita nel corpo del ricorso per motivi aggiunti.
Inoltre, in via pregiudiziale, il -OMISSIS-ha chiesto al Tribunale di proporre la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, lettera b) e 2 del D.L. n. 220/2003 (come convertito con legge n. 280/2003) in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
All’udienza del 13 giugno 2023 il ricorso è stato introitato per la decisione.
Il ricorso introduttivo è inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione, mentre il ricorso per motivi aggiunti è infondato.
La cognizione di questo Tribunale non può concernere la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati, ma solo le connesse richieste risarcitorie, avanzata in sede di ricorso per motivi aggiunti.
Deve innanzitutto essere richiamato e ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, in tema di sanzioni disciplinari sportive, vi è difetto assoluto di giurisdizione sulle controversie riguardanti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni, riservate, a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, agli organi di giustizia sportiva che le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l'onere di adire ai sensi del D.L. n. 220 del 2003, convertito in L. n. 280 del 2003, anche ove si invochi la tutela in forma specifica della rimozione della sanzione disciplinare, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a., in ordine alla tutela risarcitoria per equivalente, non operando in tal caso alcuna riserva a favore della giustizia sportiva e potendo il giudice amministrativo conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale (cfr., tra molte, Cassazione civile sez. un., 28/12/2020, n. 29654).
Al riguardo, non può che richiamarsi anche quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 160/2019, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2, (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito con modificazioni con la L. 17 ottobre 2003, n. 280, legittimando la limitazione della tutela giurisdizionale ai soli aspetti risarcitori conseguenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive.
Sul punto, il Giudice delle Leggi ha precisato che, pur essendo esclusa la diretta giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti attraverso i quali sono irrogate le sanzioni disciplinari sportive, rimane ferma la possibilità, per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o interessi legittimi, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. Questa forma di tutela per equivalente, per quanto diversa rispetto a quella di annullamento in via generale assegnata al giudice amministrativo, risulta in ogni caso idonea a corrispondere al vincolo costituzionale di necessaria protezione giurisdizionale dell'interesse legittimo. La scelta legislativa che la esprime è frutto infatti del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. — bilanciamento che lo ha indotto ad escludere la possibilità dell'intervento giurisdizionale maggiormente incidente su tale autonomia, mantenendo invece ferma la tutela per equivalente. Deve poi escludersi il carattere costituzionalmente necessitato della tutela demolitoria degli interessi legittimi, in quanto l'art. 113 Cost., correttamente interpretato, attribuisce al legislatore ordinario un certo spazio di valutazione nel regolare modi ed efficacia della tutela giurisdizionale contro l'atto amministrativo.
Di conseguenza, il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l'esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari — che è a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 22/08/2018, n.5019).
Nel caso oggetto del presente giudizio, con il ricorso introduttivo, il -OMISSIS-ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare o riformare la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite n. -OMISSIS- e, conseguentemente, di annullare la sanzione inflitta alla -OMISSIS--OMISSIS- della penalizzazione di 20 punti nella classifica del Campionato di -OMISSIS- di Serie B 2018/19 e dell’ammenda di €. -OMISSIS-.
Su tale domanda questo Tribunale, come ogni altro giudice statale, è sprovvisto di giurisdizione.
Parte ricorrente ha dedotto che la domanda introduttiva concerne, innanzitutto, l’illegittimità/nullità dei provvedimenti impugnati per contrarietà ai principi del giusto processo e, in particolare, agli artt. 24 e 111 Cost., ovvero questioni che prescindono dal merito delle contestazioni disciplinari e delle relative sanzioni comminate.
Pertanto, il ricorso non risulterebbe diretto a sindacare le scelte discrezionali operate dagli organi sportivi nelle questioni rilevanti sul piano disciplinare e in merito all’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive, ma il diritto soggettivo ad essere sottoposto ad un giusto processo secondo quanto costituzionalmente previsto e garantito, in particolare dal combinato disposto degli articoli 24 e 111 Cost.
In sostanza, secondo la tesi sostenuta dal ricorrente, oggetto della domanda sarebbe la regolarità del processo sportivo che ha portato all’emanazione dei provvedimenti impugnati, la cui nullità si estenderebbe ai provvedimenti stessi, a prescindere dal fatto che essi siano stati adottati nell’ambito di un giudizio disciplinare piuttosto che amministrativo.
Fatte queste premesse, il -OMISSIS-dell’-OMISSIS--OMISSIS- -OMISSIS-, dopo aver osservato che tale specifica questione non ha formato oggetto delle pronunce della Corte Costituzionale nn.-OMISSIS-, ha segnalato al Tribunale l’opportunità di investire la Corte Costituzionale della questione.
La tesi non può essere condivisa.
La giurisdizione si determina con riferimento all’oggetto della controversia, che nel caso in esame è la sanzione disciplinare sportiva della penalizzazione di 20 punti nella classifica del Campionato di -OMISSIS- di Serie B 2018/19 e dell’ammenda di €. -OMISSIS-, della quale parte ricorrente ha chiesto l’annullamento o la riforma.
Tale intervento del giudice statale è precluso dall’art. 2 del D.L. n. 220/2003, convertito con legge n. 280/2003, che riserva le questioni attinenti ai “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
Tali conclusioni rimangono ferme anche laddove la domanda di annullamento o riforma sia introdotta sub specie di risarcimento in forma specifica mediante rimozione della sanzione disciplinare (si confronti sul punto, tra le molte, la già citata Cassazione civile sez. un., 28/12/2020, n.29654).
L’oggetto del giudizio non può subire modifiche o alterazioni in ragione delle censure mosse dal ricorrente avverso il procedimento giustiziale che si è celebrato dinanzi agli organi della giustizia sportiva.
La violazione de principi del giusto processo, che parte ricorrente ritiene essersi consumata nell’ambito dei vari gradi della giustizia sportiva, non può infatti valere ad attribuire al giudice amministrativo un potere di annullamento che gli è espressamente precluso dal Legislatore, ma può condurre, laddove ne ricorrano i presupposti, ad una condanna al risarcimento del danno.
Tanto si comprende, innanzitutto, ponendo mente alla natura giuridica degli organi di giustizia incardinati presso le Federazioni sportive, che debbono essere considerati organi giustiziali rispetto alle decisioni aventi rilevanza interna per l'ordinamento sportivo, mentre debbono considerarsi partecipi della medesima natura pubblicistica delle Federazioni cui appartengono ogni qualvolta le loro decisioni rivestano rilevanza giuridica esterna per l'ordinamento statale.
Com’è già stato ripetutamente statuito da questo Tribunale (TAR Lazio, sez. I-ter, sent. n. 9850/2021) “Le decisioni degli organi di giustizia federale, dunque, devono considerarsi alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta, seppur in materia disciplinare riservata, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a, d.l. n. 220 cit., all'ordinamento sportivo, vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale, che come tali, non possono sfuggire alla tutela giurisdizionale statale, pena la lesione del fondamentale diritto di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 Cost. (TAR Lazio, Roma, sez. I-ter, sent. nr. 1163/2017). Pertanto, allorquando la decisione in materia disciplinare giunga a ledere posizione giuridicamente rilevanti per l'ordinamento statale, torna ad espandersi la giurisdizione residuale del giudice amministrativo in materia, innanzi al quale può essere fatta valere, appunto, la pretesa risarcitoria secondo i dettami delle sentenze della Corte Costituzionale n. 49/2011 e n. 160/2019.”.
Alla luce di queste premesse, si comprende che anche le censure relative alla regolarità del processo sportivo ed alla violazione dei principi del “giusto processo”, pur potendo dare luogo, ove accertate, ad una condanna risarcitoria, non mutano l’oggetto del potere sanzionatorio esercitato dagli organi dell’ordinamento sportivo e precludono qualsiasi potere caducatorio del giudice statale.
Questo assetto è stato ritenuto conforme a Costituzione dalle più volte citate sentenze-OMISSIS-, con le quali la Consulta ha escluso la lesione degli articoli 24 e 113 Cost., dal momento che la normativa contestata, nell’interpretazione offerta dal diritto vivente e fatta propria dalla Corte, ha tenuto ferma la possibilità, per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o interessi legittimi da atti di irrogazione di sanzioni disciplinari, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno e che questa forma di tutela per equivalente, per quanto diversa rispetto a quella di annullamento in via generale assegnata al giudice amministrativo, risulta in ogni caso idonea, nella fattispecie, a corrispondere al vincolo costituzionale di necessaria protezione giurisdizionale dell’interesse legittimo. La scelta legislativa che la esprime, continua la Corte, “è frutto infatti del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. – «bilanciamento che lo ha indotto [...] ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente» su tale autonomia, mantenendo invece ferma la tutela per equivalente.”
E dunque, il Giudice delle Leggi ha già affrontato e risolto i profili di apparente contraddittorietà tra il principio di pienezza della tutela giurisdizionale e la riserva di giurisdizione in ambito sportivo, affermando che “la tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, se non può evidentemente comportare un sacrificio completo della garanzia della protezione giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, può tuttavia giustificare scelte legislative che, senza escludere tale protezione, la conformino in modo da evitare intromissioni con essa “non armoniche”, come il legislatore ha valutato che fosse, nel caso in esame, la tutela costitutiva.” ed ancora: “In base a tale ricostruzione il giudice amministrativo può comunque conoscere delle questioni disciplinari che riguardano diritti soggettivi o interessi legittimi, poiché l’esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude il giudizio di annullamento, non intacca tuttavia la facoltà di chi ritenga di essere stato leso nelle sue posizioni soggettive, ivi comprese quelle di interesse legittimo, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. A tali fini non opera infatti la riserva a favore della giustizia sportiva, davanti alla quale del resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere.
Questa scelta interpretativa, costituzionalmente orientata, si fonda su una valutazione di non irragionevolezza del bilanciamento effettuato dal legislatore, che ha escluso «la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo» (punto 4.5. del Considerato in diritto) e limitato l’intervento stesso alla sola tutela per equivalente di situazioni soggettive coinvolte in questioni nelle quali l’autonomia e la stabilità dei rapporti costituisce di regola dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, per il rilievo che i profili tecnici e disciplinari hanno nell’ambito del mondo sportivo. Ambito nel quale, invero, le regole proprie delle varie discipline e delle relative competizioni si sono formate autonomamente secondo gli sviluppi propri dei diversi settori e si connotano normalmente per un forte grado di specifica tecnicità che va per quanto possibile preservato.” (C.Cost. sent. n. 160/2019).
L’impianto argomentativo della decisione ben si adatta anche alla questione dell’asserita violazione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost., posta dalla parte ricorrente, atteso che detta violazione, laddove perpetrata dagli organi della giustizia sportiva e successivamente accertata dal giudice amministrativo, non muterebbe l’oggetto del giudizio, che concerne profili disciplinari i quali, per tale ragione, devono essere preservati, per quanto possibile, dall’intervento caducatorio del giudice statale, rimanendo ferma lo possibilità di ottenere il risarcimento dei danni corrispondenti.
Per tali ragioni, non appare opportuno investire nuovamente la Corte Costituzionale della questione.
Passando allo scrutinio del ricorso per motivi aggiunti, lo stesso è infondato e va respinto.
Va premesso che il risarcimento dei danni invocato dalla parte ricorrente presuppone l’accertamento della responsabilità degli organi della giustizia sportiva secondo il paradigma della responsabilità aquiliana della P.A., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito e con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall' art. 2697, comma 1, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento.
Ai fini della configurabilità della responsabilità della P.A., la giurisprudenza è costante nell'affermare che "non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal giudice comunitario, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; il giudice può negarla, invece, quando l'indagine conduca al riconoscimento dell'errore scusabile con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art. 2043 cod. civ.) della Pubblica amministrazione per danno, devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità" (Cons. St., sez. IV, 1° agosto 2016, n. 3464; sez. V, 18 gennaio 2016, n. 125).
La riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta tuttavia, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'Amministrazione - indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso, spettando alla P.A. provare l'assenza di colpa, attraverso la dimostrazione, in ipotesi, della sussistenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 maggio 2016, n. 5967).
Quanto al regime della prova, la giurisprudenza ha chiarito che il rinvio al sistema delle presunzioni semplici, di cui agli artt. 2727 e 2729, c.c., induce a ritenere che l'illegittimità del provvedimento annullato costituisce soltanto uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell'Amministrazione; e in virtù di tale configurazione, qualora si annulli un provvedimento illegittimo, grava su di essa l'onere di provare l'assenza di colpa, mediante la deduzione di circostanze integranti gli estremi dell'errore scusabile (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1356).
Più di recente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha parametrato in maniera ancor più precisa i confini della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione, ascrivendola, ancora una volta, al paradigma della responsabilità extracontrattuale, con tutto ciò che ne consegue in termini di regime giuridico ed onere della prova (Consiglio di Stato, Ad. Plen. nr. 7/2021).
Il Supremo Consesso ha rimarcato la centralità dell’elemento dell’ingiustizia del danno, requisito da dimostrare in giudizio con onere a carico della parte che si assume danneggiata.
L’ingiustizia del danno si correla infatti alla dimensione sostanzialistica dell’interesse leso, per cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può ottenere il risarcimento per equivalente monetario.
In relazione al nesso di causalità materiale, che correla il fatto colposo o doloso con il danno evento, è sufficiente rinviare ai più recenti ed incontestati arresti della Suprema Corte in materia, che ha chiarito, una volta di più, come in tema di responsabilità extracontrattuale la causalità materiale trovi le sue norme di riferimento negli art. 40 e 41 c.p., seguendone il relativo regime giuridico (cfr., per tutte, Cass. nr. 28986/2019).
Quanto agli altri elementi costitutivi della responsabilità da fatto illecito e, in particolare, quanto al danno-conseguenza, non vengono in rilievo profili di carattere pubblicistico, ma si pone la questione di individuare e quantificare i danni derivanti dalla lesione dell’interesse del privato, e dunque di imputare all’evento dannoso causalmente correlato al fatto illecito, sul piano della causalità materiale, i pregiudizi patrimoniali da reintegrare per equivalente monetario, conseguenze dirette e immediate dell’evento sul piano della causalità giuridica, regolata dall’art. 1223 c.c. (cfr., ancora, Cass. nr. 28986/2019) che impone, sotto un profilo probatorio, un giudizio di verosimiglianza, in cui occorre stabilire se il guadagno futuro e solo prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui.
Alla luce di tali generali, ma necessarie, premesse, venendo al caso di specie, deve innanzitutto rilevarsi che difetta, nella fattispecie, l’elemento dell’ingiustizia del danno, non risultando fondate le censure poste a fondamento del ricorso per motivi aggiunti.
Tanto esime il Collegio dall’esame sulla sussistenza degli ulteriori elementi fondantivi della responsabilità a carico delle parti resistenti.
Con il primo gruppo di motivi, il -OMISSIS-ricorrente ha lamentato la violazione dei principi di certezza del diritto e di difesa, in quanto l’-OMISSIS- -OMISSIS- era stata sanzionata sulla base di quanto statuito in un differente procedimento a carico del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, definito dal TFN con C.U. n.-OMISSIS-, al quale la società non aveva partecipato.
Con il suddetto C.U. n. -OMISSIS-, il Tribunale Federale aveva irrogato nei confronti del sig. -OMISSIS- -OMISSIS- la sanzione di anni 5 di inibizione e la preclusione ex art. 19, comma 3, CGS FIGC in quanto «vero ideatore degli artifizi contestati, posti in essere con il compiacente ausilio degli altri soggetti coinvolti nell’intera vicenda».
Peraltro, il -OMISSIS-ricorrente ha dedotto che il Collegio di Garanzia, attribuendo particolare valenza giuridica – a posteriori - alla predetta pronuncia del TFN C.U. n.-OMISSIS-, non aveva considerato che la decisione avrebbe potuto essere soggetta a revisione, come in effetti avvenuto, a seguito dell’impugnazione promossa dal sig. -OMISSIS-, culminata nella decisione della CFA (C.U. n. 30/CFA del 25.10.2019), con la quale la sanzione originariamente inflitta era stata ridotta.
Ciò posto, parte ricorrente ha dedotto che tutte le contestazioni mosse alla US-OMISSIS- S.p.A., a titolo di responsabilità diretta (dalla n. 1 alle n. 6) o di responsabilità oggettiva (contestazione n. 7), per fatti imputabili al Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, dovevano ritenersi automaticamente caducate dalla declaratoria di inammissibilità del deferimento del Sig. -OMISSIS- per violazione dei suoi diritti di difesa disposta dal TFN.
Quest’ultima aveva avuto l’effetto di rendere i fatti (all’epoca ancora non accertati in capo allo -OMISSIS-) non contestabili alla società, né a titolo di responsabilità diretta né a titolo di responsabilità oggettiva.
Sotto altro profilo, il -OMISSIS-ricorrente ha contestato le decisioni impugnate rilevando l’impossibilità di configurare - sulla base dell’attuale quadro normativo - una responsabilità oggettiva in capo alla società deferita, in assenza di accertamento della responsabilità del soggetto che avrebbe posto in essere le condotte contestate, non risultando peraltro applicabile il regime della c.d responsabilità amministrativa degli enti, da quale potrebbe discenderebbe, in via automatica, la responsabilità diretta della società sportiva.
A fondamento di tali asserzioni, la parte ricorrente ha precisato che nell’ordinamento sportivo, in assenza di disposizioni specifiche, dovrebbe operare la clausola generale prevista dall’art. 2 comma 6 del Codice della Giustizia Sportiva, che afferma “per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile”.
Infine, il -OMISSIS-ricorrente ha concluso che, pur a voler ritenere applicabile il regime giuridico della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001, ne difetterebbero nella fattispecie i presupposti, in quanto gli eventuali benefici conseguenziali alla condotta dello -OMISSIS- non avevano generato alcun vantaggio in favore della società deferita, proprio perché realizzate “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.
Le deduzioni della parte ricorrente non possono essere condivise.
Va premesso che l’art. 4, comma 1, del C.G.S. prevede che “Le società rispondono direttamente dell'operato di chi le rappresenta, anche per singole questioni, ai sensi delle norme federali”, mentre, il successivo comma 2 precisa che “Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell'operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1 bis, comma 5”.
La norma in commento configura una forma di responsabilità diretta delle società per i fatti materialmente commessi da chi le rappresenta ed una responsabilità oggettiva per i fatti commessi da soggetti portatori di particolari qualifiche.
Pur essendo necessario che il comportamento sia materialmente commesso da un agente persona fisica, l’ordinamento sportivo postula una responsabilità della società, autonoma e distinta da quella del soggetto agente, che dunque può prescindere anche dall’accertamento della responsabilità personale dell’autore del fatto, anche laddove questi non sia materialmente punibile.
Ne consegue che l’eventuale esistenza di profili di carattere procedurale che conducono ad una declaratoria di improcedibilità nei confronti dell’agente, ovvero anche di profili sostanziali e personali di non punibilità dello stesso, non hanno alcun effetto caducatorio automatico sulla responsabilità della società, che continua a rispondere in via diretta per i fatti materiali commessi dal soggetto agente.
Si tratta, sotto questo profilo, di un sistema di responsabilità sovrapponibile, e dunque compatibile, con quello configurato dal decreto legislativo n. 231/2001, in cui la responsabilità dell’ente è autonoma e si giustappone a quella penale dell’agente.
Nel sistema del D.Lgs. n. 231/2001, che si applica a tutte le società ed enti anche privi di personalità giuridica, si possono distinguere un criterio oggettivo ed un criterio soggettivo di imputazione della responsabilità.
In base al primo, è richiesto che l’autore del fatto rivesta una determinata posizione all’interno dell’organizzazione e che il reato sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, e cioè che sia preordinato a realizzare gli scopi sociali (ex ante) o che abbia concretamente recato vantaggio all’ente (ex post).
Quanto all’elemento soggettivo, è centrale la cd. colpa di organizzazione dell’ente, desunta dalla mancata o inidonea adozione di modelli di organizzazione e gestione.
Orbene, proprio in merito al peculiare sistema di responsabilità disciplinato dal D.Lgs. n. 231/2001, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di statuire, con la sentenza n. -OMISSIS-, che il D. Lgs. n. 231/2001“configura la responsabilità degli enti come autonoma, anche se alla base di essa si colloca il rapporto di carattere organico sussistente con la persona fisica autore del reato, che porta quest’ultima a tenere una condotta illecita nell’interesse o a vantaggio dell’ente (art. 5): si tratta, peraltro, di un collegamento tra individuo e persona giuridica che in alcuni casi sfuma del tutto (art. 8)”.
In base a tale ultimo articolo, la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, ovvero quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
Con la sentenza n. -OMISSIS-, la Suprema Cassazione ha poi precisato che “l’appartenenza dell’autore individuale all’ente è imprescindibile punto di partenza della complessiva vicenda criminosa, nel senso che è proprio la condotta della persona fisica, posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente, a determinare l’estensione a questo della responsabilità per il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio” e che “è necessario che venga commesso un reato da parte di un soggetto riconducibile alla società; non è invece necessario che tale reato sia accertato con individuazione e condanna del responsabile” (Cass. Pen., sent. nr. 35818/2015).
Più recentemente, con sentenza n.52470/2018, la Corte di Cassazione ha statuito che “In tema di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, in caso di prescrizione del reato presupposto commesso dall'amministratore, il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito è stato commesso, senza prescindere però da una verifica quantomeno incidentale della sussistenza del fatto reato” .
In conclusione, dal sopra indicato quadro normativo e giurisprudenziale è possibile desumere che, al fine di configurare la responsabilità dell’ente, è necessario accertare l'esistenza di un reato, nonché individuare la categoria alla quale appartiene l'autore (soggetto cd. "apicale" o soggetto sottoposto alla direzione o vigilanza del primo) ed escludere che abbia agito nel proprio esclusivo interesse o vantaggio.
Nel caso oggetto dell’odierno giudizio, la responsabilità dell’-OMISSIS--OMISSIS- -OMISSIS- risulta adeguatamente provata tanto sulla base delle norme dell’ordinamento sportivo, quanto secondo i criteri di imputazione previsti dal D.Lgs. nr. 231/2001.
Risulta infatti rispettata la previsione del citato art. 4 del C.G.S., in quanto, pur a voler prescindere dalla posizione del presidente -OMISSIS-, le contestazioni mosse dalla Procura federale riguardavano anche fatti addebitabili ad -OMISSIS-), a -OMISSIS- -OMISSIS-) ed anche alla Società ricorrente a titolo di responsabilità oggettiva (per quanto attiene alla posizione del -OMISSIS-) o diretta (con riferimento alla posizione del -OMISSIS-).
Le contestazioni formulate nei confronti dei predetti soggetti sono state ritenute fondate e ciò ha consentito l’estensione del giudizio di responsabilità alla società, rispettivamente a titolo di responsabilità oggettiva, per quanto riguarda i fatti posti in essere dal -OMISSIS-, e diretta per quanto concerne i fatti posti in essere dal -OMISSIS-.
Tanto appare sufficiente a consentire l’applicazione delle sanzioni a carico della società pur prescindendo dalla posizione dello -OMISSIS-, mediante il meccanismo della responsabilità oggettiva o diretta derivante dai comportamenti commessi dagli altri soggetti apicali sopra indicati.
A ciò deve poi aggiungersi che, sebbene la sanzione relativa ai comportamenti contestati allo -OMISSIS- sia stata formalmente comminata all’esito della regressione del procedimento dinanzi al Tribunale federale, detta sanzione (ed il relativo procedimento) hanno riguardato gli stessi fatti contestati alla società, in ragione della qualifica di Presidente rivestita dallo -OMISSIS-.
L’accertamento dei medesimi fatti in un giudizio diverso - al quale peraltro la società avrebbe potuto partecipare spiegando intervento - è stato determinato da dinamiche spiccatamente “processuali”, non avendo la Corte federale d’appello condiviso le statuizioni del Tribunale federale in tema di inammissibilità del deferimento dello -OMISSIS- e dovendo la medesima Corte porre rimedio alla mancata restituzione degli atti ai sensi dell’art. 37, comma 4 C.G.S, dal Tribunale Federale alla Procura federale, all’esito della rilevata – ma non fondata – causa di inammissibilità del deferimento.
A tale giudizio (definito dal TFN con C.U. N. -OMISSIS-) ha dunque fatto legittimamente riferimento il Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, ponendo l’esito di quel procedimento – intervenuto nelle more della decisione del Collegio di Garanzia – a fondamento della comprovata responsabilità del presidente -OMISSIS-, il quale, proprio con il suddetto C.U. n. -OMISSIS- è stato sanzionato con 5 anni di inibizione e preclusione ex art. 19, comma 3, CGS FIGC in quanto «vero ideatore degli artifizi contestati, posti in essere con il compiacente ausilio degli altri soggetti coinvolti nell’intera vicenda».
E non è ultroneo evidenziare che il riferimento operato dal Collegio di Garanzia alla ridetta decisione C.U. N. -OMISSIS- non può essere letto in maniera disgiunta dal ricorso proposto dalla -OMISSIS--OMISSIS- S.p.A., che con il quinto motivo andava a censurare proprio l’assenza di un accertamento di responsabilità in capo allo -OMISSIS-: appare, pertanto, legittimo il riferimento operato dal Collegio di Garanzia al CU N. -OMISSIS-, effettuato proprio in risposta alla lamentata mancanza di un accertamento della responsabilità del Presidente della società.
Passando all’esame dei profili di compatibilità della decisione con i criteri di imputazione previsti dal D.Lgs. n. 231/2001 – che risulta applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio per quanto esposto in precedenza - ritiene il Collegio che in ragione della posizione apicale dei soggetti incolpati (presidente, presidente del collegio sindacale, presidente del consiglio di amministrazione), l’ emersione, nel corso della complessiva vicenda procedimentale (che comprende anche il procedimento conclusosi con il Comunicato Ufficiale del TFN N. -OMISSIS- e quello di revisione), di comprovati elementi di responsabilità, renda applicabile la previsione dell’art. 5 comma 1 lettera a) del D.Lgs. n. 231/2001, trattandosi di soggetti in possesso di rilevanti poteri decisionali.
Sul punto, va rammentato che l'illecito dell'ente, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell'interesse o a vantaggio dell'ente, risulta comunque caratterizzato da autonoma configurazione giuridica, poiché fondato su presupposti di tipicità normativa differenti, basati su un deficit organizzativo "colpevole" che ha reso possibile la realizzazione di tale reato.
Non può peraltro sostenersi, come ritenuto dal ricorrente, che i benefici conseguenziali alla condotta del soggetto agente (-OMISSIS- -OMISSIS-) non abbiano generato alcun vantaggio in favore della società deferita, perché realizzati “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire, com’è stato rimarcato anche dalla Corte federale d’appello nella decisione impugnata, che la responsabilità dell’ente sussiste anche qualora l'autore del reato presupposto abbia agito per un interesse prevalentemente proprio (Cassazione, sez. VI penale, 25 settembre 2018, n. 54640) e che “il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito” (Cassazione, sezioni unite, 24 aprile 2014, n. 38343; Cassazione, sez. II penale, 27 settembre 2016, n.52316).
Ora, nel caso di specie, le condotte contestate allo -OMISSIS-, al -OMISSIS-ed al -OMISSIS- risultano aver recato un vantaggio alla società, in termini di rappresentazione di un patrimonio netto societario superiore a quello reale, anche al fine di superare i controlli preliminari all’ammissione ai campionati di calcio, con la sola esclusione delle condotte di cui ai numeri 5B e 5C del capo di incolpazione.
Pertanto, non rileva quanto sostenuto dal -OMISSIS-ricorrente in merito al fatto che la proprietà della -OMISSIS--OMISSIS- era costituita per il 99,9% dal sig. -OMISSIS- -OMISSIS- e per 0,1% dalla società -OMISSIS-, con la conseguenza che gli eventuali “benefici” conseguenziali alla condotta non avevano generato alcun vantaggio in favore della società deferita proprio perché realizzati “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.
In realtà, le condotte contestate e provate erano finalizzate, per la maggior parte, a rappresentare una situazione gestionale e/o economico-finanziaria della società -OMISSIS--OMISSIS- che consentisse di superare i relativi controlli da parte dei competenti organi federali, assicurando alla medesima società (e non certo al suo Presidente) la partecipazione ai campionati di cui trattasi.
Infine, non può essere condiviso quanto sostenuto dalla parte ricorrente in merito al fatto che la decisione del Collegio di Garanzia impugnata nel presente giudizio non abbia tenuto in considerazione la circostanza che la decisione pronunciata dal TFN con il C.U. n. -OMISSIS- avrebbe potuto essere soggetta a revisione in caso di reclamo.
Sul punto è sufficiente evidenziare che la ridetta decisione del TFN era esecutiva al momento della pubblicazione del dispositivo della pronuncia del Collegio di Garanzia ed inoltre, anche a seguito del procedimento di revisione, è rimasta confermata la responsabilità dello -OMISSIS-, avendo la CFA della FIGC solo parzialmente riformato la sanzione emessa a carico dello stesso, riducendola ad anni 4 di inibizione.
Venendo ai rimanenti motivi di ricorso, sono infondati il secondo ed il terzo gruppo di motivi, con i quali parte ricorrente ha lamentato la violazione dei canoni della proporzionalità e della parità di trattamento rispetto ad altri casi riguardanti diverse società (-OMISSIS-), ovvero la contraddittorietà della sanzione irrogata rispetto a quanto emerso all’esito del giudizio innanzi alla Corte federale d’appello, nonché rispetto alle precedenti determinazioni assunte dalla medesima Corte negli altri casi analoghi sopra indicati.
Al riguardo, nelle decisioni impugnate è stato chiarito come le situazioni poste a confronto non fossero realmente paragonabili, non potendosi ritenere gli addebiti mossi all’-OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- s.p.a. meno gravi rispetto a quelli commessi dal -OMISSIS- in materia di plusvalenze.
Sul punto, va precisato che l’apprezzamento della gravità delle violazioni contestate appartiene ad un ambito latamente discrezionale, che concerne un giudizio di valore riservato agli organi disciplinari preposti e che, nel caso di specie, un confronto risulta inibito in radice dalla diversità delle fattispecie poste a confronto.
Il -OMISSIS-ricorrente non può, pertanto, pretendere di sostituire la propria personale valutazione sulla gravità dei fatti contestati e sull’entità delle relative sanzioni, che risultano comminate dagli organi federali all’esito di procedimenti diversi, originati dalla contestazione di comportamenti non assimilabili in una medesima scala di disvalore sportivo.
Anche le censure relative alla sproporzione complessiva della sanzione irrogata non possono essere condivise, avendo la Corte federale d’appello operato una riduzione della misura sanzionatoria, mediante la conversione della sanzione dalla retrocessione in quella della penalizzazione in classifica, valorizzare il comportamento tenuto dal nuovo assetto proprietario della società.
Nel farlo, tuttavia, la CFA ha ribadito la gravità delle violazioni accertate, “indice di una gestione economico-finanziaria e patrimoniale della società lontana dalle regole di prudenza contabili, nonché dai principi di lealtà e probità sanciti dal nostro ordinamento settoriale”.
Pertanto, emerge dagli di causa che, pur a fronte di comportamenti gravi e reiterati, la Corte federale d’appello ha cionondimeno adoperato un canone di proporzionalità ed adeguatezza nella determinazione della sanzione, valorizzando comportamenti positivi sopravvenuti, posti in essere dal nuovo assetto proprietario, riducendo la sanzione originariamente comminata dal Tribunale federale.
Con il quarto gruppo di motivi, il-OMISSIS- ricorrente ha lamentato l’erronea valutazione dei fatti di causa, con particolare riferimento ai capi 2, 3, 4 e 6 del deferimento, deducendo che i principi contabili in contestazione, peraltro non applicabili al caso specifico, rispondono a canoni di mera prudenza, con la conseguenza che dalla loro eventuale violazione non possa discendere l’applicazione delle sanzioni che puniscono le false comunicazioni sociali.
Le censure formulate dalla parte ricorrente non sono fondate, dovendosi al riguardo rilevare che, come precisato dagli organi della giustizia sportiva, le risultanze del procedimento disciplinare sportivo, di quello penale in sede cautelare e di quello prefallimentare risultavano effettivamente indicative di una comprovata violazione dei canoni della prudenza contabile da parte della società, la quale aveva peraltro fornito informazioni volte a dissimulare una situazione patrimoniale ed economico-finanziaria diversa da quella effettiva, con ulteriore violazione dei principi di cui all’art. 1 bis, comma 1, C.G.S., anche in relazione all’art. 84 delle NOIF.
Quanto alla violazione dei canoni di prudenza contabile, parte ricorrente ha tentato di sminuirne la gravità, ritenendoli “semplice inosservanza di un principio di prudenza, in quanto tale non in grado di determinare una sanzione così penalizzante”, precisando peraltro come nessun credito inesistente fosse stato iscritto in bilancio.
Sul punto, nel ribadire quanto già rilevato in merito ai lati poteri di valutazione discrezionale circa la oggettiva gravità delle violazioni contestate, che deve essere riconosciuto in capo agli organi disciplinari delle federazioni sportive, deve pure rilevarsi che la violazione dei canoni di prudenza non è stata specificamente contestata dalla parte ricorrente, che anzi l’ha ammessa, pur tentando di ridurne la gravità.
Quanto alle ulteriori contestazioni, relative ai capi 3a, 3b, 4a e 4b del deferimento, è sufficiente richiamare la sentenza della Corte di Cassazione datata 27.05.2019, alla quale ha fatto riferimento anche il -OMISSIS-ricorrente, con la quale è stata riconosciuto il carattere di artificio contabile dell’operazione in contestazione, “compiuta strumentalmente per mettere i conti in ordine, dissimulando la reale situazione economico patrimoniale della società.”
Infine, con il quinto ed ultimo gruppo di motivi, la ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 32, comma 5, del C.G.S., in ordine all’inammissibilità del deferimento per illegittima riapertura delle indagini, non essendo stato provato con assoluta certezza quali documenti fossero stati acquisiti in data 31.01.2019 e non rivestendo comunque gli atti acquisiti a quella data i caratteri della novità e della non preventiva conoscibilità richiesti dalla normativa di riferimento.
In sostanza, il -OMISSIS-ricorrente contesta che la riapertura delle indagini sia stata determinata dalla trasmissione degli atti di indagine da parte della Procura della Repubblica di -OMISSIS- in data 31 gennaio 2019, in quanto detti atti erano già stati trasmessi dalla Procura precedentemente all'archiviazione del primo procedimento disciplinare, con nota datata 21 novembre 2018 nella quale, peraltro, si faceva riferimento ad una precedente nota del 31 luglio 2018.
Sul punto, si legge nel C.U. N. -OMISSIS- che «la prima nota di trasmissione alla Procura Federale risultante dagli atti, è quella datata 21.11.2018, a mezzo della quale sono state trasmesse solamente le ordinanze pronunciate (con appello del Pubblico Ministero) dal Tribunale di -OMISSIS- – sezione per il Riesame, senza i correlati atti di indagine».
Pertanto, secondo la prospettazione della Corte federale d’appello, a quella data erano stati trasmessi solo alcuni atti relativi al procedimento penale in corso, mentre solo in data 31.01.2019 la Procura della Repubblica di -OMISSIS- aveva trasmesso alla Procura federale gli atti penali, sulla scorta dei quali, in data 11.02.2019, la Procura Federale aveva disposto la riapertura del procedimento.
Parte ricorrente ha tentato di confutare tale ricostruzione, sostenendo che l’acquisizione degli atti trasmessi dalla Procura della Repubblica di -OMISSIS- in data 21.11.18 non riguardasse solo le ordinanze di riesame, ma anche ulteriore documentazione, con conseguente illegittimità della richiesta di proroga delle indagini.
La tesi non è fondata.
Parte ricorrente non ha fornito alcun elemento di concreto e pratico riscontro a supporto delle proprie asserzioni, asserendo che la Procura federale fosse in possesso di documentazione sufficiente a dare corso alla riapertura delle indagini in un momento precedente a quello indicato dalla Procura medesima e dalla Corte federale d’appello sulla base delle date indicate sulle comunicazioni inviate dalla Procura della Repubblica, ma non ha fornito sufficienti evidenze a supporto delle proprie censure.
Queste ultime si risolvono, pertanto, in mere ipotesi, insufficienti ad inficiare la legittimità del procedimento sanzionatorio e, a valle, del provvedimento impugnato.
Per tali ragioni, non risultano fondate le censure volte a dimostrare l’illegittimità del provvedimento impugnato, deve essere respinta la richiesta risarcitoria formulata dal -OMISSIS-ricorrente, difettando l’elemento della antigiuridicità della condotta.
Le spese del presente giudizio possono essere compensate, in ragione della complessità e della parziale novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso introduttivo e respinge il ricorso per motivi aggiunti.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e tutti i soggetti nominativamente indicati nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 13 giugno 2023 e 26 settembre 2023, con l'intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Raffaello Scarpato, Referendario, Estensore
Giovanni Mercone, Referendario