T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 29/10/2024 N. 19014
T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA - SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 29/10/2024 N. 19014
Pubblicato il 29/10/2024
N. 19014/2024 REG.PROV.COLL.
N. 11082/2017 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11082 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Azzolini, Guido Mascioli, con domicilio eletto presso lo studio Guglielmo Calcerano in Roma, via Antonio degli Effetti 18;
contro
Federazione Italiana Tennis, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia, Giorgio Leccisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
Risarcimento danno materiale, da lucro cessante e danno biologico e/o esistenziale a seguito delle illegittime determinazioni, delle negligenze e mancanze rinvenibili nell'attività della Federazione Italiana Tennis.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Tennis;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2024 il dott. Giovanni Mercone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’odierno contenzioso trae origine da un’articolata controversia svoltasi dinanzi agli organi della giustizia sportiva (precisamente quella avente n. -OMISSIS- Reg. Ind. Procura Federale F.I.T.), di cui si ripercorrono i tratti salienti:
- con atto del 4.3.2016 la Procura della Federazione Italiana Tennis (F.I.T.) deferiva-OMISSIS- dinanzi al Tribunale Federale, poiché nelle memorie difensive prodotte nel procedimento disciplinare iscritto al n. -OMISSIS-Reg. Ind. Procura Federale F.I.T., rivolgeva, secondo l’organo di accusa, delle espressioni offensive e denigratorie nei confronti del Sostituto Procuratore Federale, avv. -OMISSIS-, tanto che, in particolare, veniva contestato al ricorrente quanto segue: “la violazione degli artt. 1 co. 2 e 7 del Regolamento di Giustizia per aver leso gravemente la dignità, il decoro e il prestigio dell’Avv. -OMISSIS-, Sostituto Procuratore Federale, quale Organo federale, e della FIT stessa, scrivendo, nella memoria del 5.12.2015, depositata nell’ambito del procedimento N. -OMISSIS-, avanti alla Corte d’Appello FIT, che la predetta si fregiava indebitamente del titolo di Avvocato, che esercitava abusivamente la professione di avvocato, alludendo anche al fatto che potrebbe non aver conseguito una laurea in giurisprudenza, nominandola diverse volte “asserita Avvocato” e “signora -OMISSIS-”, pur sapendo, come egli stesso da atto di aver appreso, grazie alle proprie indagini, che la predetta era stata iscritta all’Ordine degli Avvocati di -OMISSIS- per un determinato periodo di tempo”;
- il Tribunale Federale, con decisione n. -OMISSIS-, disponeva la sospensione del -OMISSIS- da ogni attività federale per mesi 6 e lo condannava al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 3.000,00; in effetti, superate alcune questioni preliminari, il Tribunale Federale aveva ritenuto che il reiterato utilizzo di alcune espressioni, pur se astrattamente ed etimologicamente non offensive, aveva travalicato i limiti del diritto di difesa, come confermato dal fatto che era stato adombrato anche un esercizio arbitrario della professione in capo all’avv. -OMISSIS- (aspetto sì denigratorio ed offensivo), il tutto senza alcuna funzionalità difensiva, dato che sarebbe stato sufficiente eccepirne la carenza dei requisiti di eleggibilità;
- il ricorrente proponeva reclamo alla Corte Federale d’Appello, che, con decisione n. -OMISSIS-, in parziale riforma della decisione di primo grado del Tribunale Federale, fissava in due mesi la sanzione inibitiva inflitta e confermava nel resto la decisione appellata, anche in merito alla sanzione pecuniaria irrogata;
- con decisione n. -OMISSIS-, il Collegio di Garanzia annullava la decisione della Corte di Appello Federale, rilevando che le espressioni usate non esorbitavano dai limiti del diritto di difesa e non denotavano la precipua volontà di screditare l’operato del Sostituto Procuratore (cfr. p. 14 e 15 della decisione).
2. Con l’odierno atto di gravame, esauriti i gradi della giustizia sportiva, il ricorrente agisce contro la Federazione Italiana Tennis (d’ora innanzi F.I.T.) per ottenere il risarcimento dei danni subiti, questo per più ragioni:
- “Eccesso e sviamento di potere per violazione dei principi di correttezza, buon andamento e trasparenza. Violazione di legge”; in sintesi, il ricorrente ha evidenziato che le frasi incriminate sono state ritenute dal Collegio di Garanzia in linea col diritto di difesa e, peraltro, alcune di quelle oggetto di contestazione (precisamente “sedicente avvocato”) non comparivano nella memoria del 5.12.2015, oltre ad essere imputabili, in ogni caso, solo al difensore; senza considerare che per l’integrazione del fatto addebitato sarebbe stato necessario che le frasi venissero dette “pubblicamente” e non in un atto la cui cognizione è limitata alle parti del procedimento; infine, ha lamentato un difetto di imparzialità degli organi della giustizia sportiva;
- “Eccesso di potere e sviamento per violazione dei principi di correttezza, buon andamento e trasparenza”; in sintesi, il ricorrente, in ambito federale, si è solo limitato ad evidenziare che, alla luce delle regole federali, il Sostituto Procuratore che lo accusava non aveva i requisiti per l’accesso alla carica; inoltre, per più ragioni, lo svolgimento del processo in sede federale aveva registrato la violazione dei principi processual civilistici e, soprattutto, delle stesse norme dell’ordinamento federale.
Per tali motivi, è stato chiesto il risarcimento dei danni subiti.
3. Si è costituita la F.I.T., eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito e la inammissibilità della domanda proposta.
Nel merito, ha chiesto il rigetto del gravame.
4. All’esito dell’udienza pubblica del 13.2.2024, il Collegio disponeva, con ordinanza n. -OMISSIS-, che venisse acquisita una copia della memoria del 5.12.2015, che aveva dato luogo al procedimento disciplinare.
5. All’udienza pubblica del 15.10.2024, preso anche atto delle ulteriori memorie depositate dalle parti, il ricorso è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
6. In via preliminare deve essere analizzata l’eccezione proposta da parte resistente, che ha sostenuto come nella specie vi sia un difetto di giurisdizione, lamentandosi il ricorrente non solo della sanzione ricevuta ma, più in generale, di un comportamento negligente ai suoi danni tenuto dagli organi della giustizia sportiva.
Doglianze queste ultime assorbite, tuttavia, dalla decisione del Collegio di Garanzia dello sport che ha annullato la sanzione irrogata.
Al riguardo, deve innanzitutto essere richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, in tema di sanzioni disciplinari sportive, vi è un difetto di giurisdizione sulle controversie riguardanti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni, riservate, a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, agli organi di giustizia sportiva, che le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l’onere di adire ai sensi del D.L. n. 220/2003, convertito in L. n. 280/2003, anche ove si invochi la tutela in forma specifica della rimozione della sanzione disciplinare, ferma restando, tuttavia, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, co. 1, lett. z), c.p.a., in ordine alla tutela risarcitoria per equivalente, non operando per essa alcuna riserva a favore della giustizia sportiva e potendo il giudice amministrativo conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale (cfr., tra molte, Cassazione civile sez. un., 28/12/2020, n. 29654 e quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 160/2019, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, art. 2, comma 1, lett. b e comma 2, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito con modificazioni con la L. 17 ottobre 2003, n. 280).
Di conseguenza, il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte, in via incidentale e indiretta, per pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l’esplicita esclusione della giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari - che è a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo - consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 22.8.2018, n. 5019).
Inoltre, com’è già stato ripetutamente statuito da questo Tribunale (TAR Lazio, sez. I ter, sent. n. 9850/2021) “Le decisioni degli organi di giustizia federale devono considerarsi alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta, seppur in materia disciplinare riservata ex art. 2 d.l. n. 220 cit. all'ordinamento sportivo, vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale, che come tali, non possono sfuggire alla tutela giurisdizionale statale, pena la lesione del fondamentale diritto di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 Cost.”.
In conclusione, quando la decisione in materia disciplinare giunga a ledere posizioni giuridicamente rilevanti per l’ordinamento statale (come nel caso di specie), torna ad espandersi la giurisdizione residuale del giudice amministrativo in materia, innanzi al quale può essere fatta valere, appunto, la pretesa risarcitoria secondo i dettami delle sentenze della Corte Costituzionale n. 49/2011 e n. 160/2019.”.
Alla luce di queste premesse, l’eccezione sollevata dalla F.I.T. non può essere condivisa ed accolta, poiché la domanda proposta ha ad oggetto soltanto il risarcimento del danno e non incide su tale conclusione la circostanza che il ricorrente censuri anche l’operato degli organi federali, le cui decisioni, per quanto detto in precedenza, devono essere considerate alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta, seppur in materia disciplinare riservata ex art. 2 D.L. n. 220/2003 all’ordinamento sportivo, vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale.
7. Passando allo scrutinio del ricorso nel merito, lo stesso è infondato e va respinto.
7.1 Va premesso che il risarcimento dei danni invocato dal ricorrente presuppone l’accertamento della responsabilità degli organi della giustizia sportiva secondo il paradigma della responsabilità aquiliana della P.A., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito e con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, comma 1, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento.
Ai fini della configurabilità della responsabilità della P.A., la giurisprudenza è costante nell’affermare che “non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal giudice comunitario, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato; il giudice può negarla, invece, ove l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art. 2043 cod. civ.) della Pubblica amministrazione per danno, devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità” (Cons. St., sez. IV, n. 3464/2016 e più di recente TAR Lazio-Roma, sez. I ter, n. 17711/2023).
7.2 Tanto premesso in punto di diritto, a difettare, nell’ipotesi in questione, si ritiene essere proprio l’elemento soggettivo in capo ai vari organi della giustizia federale (precisamente in capo, prima, alla Procura Federale, e poi al Tribunale Federale e alla Corte di Appello Federale), poiché dalla lettura di tutti gli atti non emerge che vi è stata una violazione grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato.
Più nello specifico, non si ritiene che sia stata fatta un’applicazione irragionevole di quanto previsto dall’art. 7 del Regolamento di Giustizia della FIT (“Il tesserato che pubblicamente, con parole, scritti o azioni, lede la dignità, il decoro, il prestigio della federazione e degli organi federali è punito con una sazione pecuniaria e con sanzione inibitiva da tre mesi ad un anno”), poiché la condotta del -OMISSIS-, almeno astrattamente, poteva essere sussunta nell’alveo della norma anzidetta per più ordini di considerazioni.
Innanzitutto, onde delimitare il campo di indagine, deve evidenziarsi che nel procedimento avente n. -OMISSIS- Reg. Ind. Procura Federale F.I.T. oggetto del contendere non era l’eventuale mancanza dei requisiti di eleggibilità in capo all’avv. -OMISSIS- (che, peraltro, si è compreso essere stata iscritta presso l’ordine degli avvocati di -OMISSIS- dal 4.11.2002 al 29.5.2006, dunque per un tempo inferiore a quanto richiesto dall’art. 26 lett. e e 41 co. 1 del codice della Giustizia sportiva del CONI) ma esclusivamente il contenuto di uno degli scritti difensivi.
In secondo luogo, deve sottolinearsi che l’utilizzo delle diverse espressioni oggetto del procedimento disciplinare non può essere messo in contestazione, poiché dalla lettura della memoria del 5.12.2015 (chiesta dal Collegio ad integrazione del materiale probatorio già presente in atti) emergono le seguenti frasi: “il mio assistito … riceveva un avviso di conclusioni indagini a firma dell’asserita avvocato -OMISSIS-”, “venivo contattato dalla asserita avvocato -OMISSIS-”, “a fronte di tale decisione la procura Federale, a forma dei sostituti procuratori avv.-OMISSIS-e asserita avv. -OMISSIS-, ha proposto appello”, “durante lo svolgimento delle indagini abbiamo cominciato a nutrire dei dubbi sulla sussistenza dei requisiti dell’asserita avvocato -OMISSIS- a svolgere l’incarico di Sostituto Procuratore Federale”, “la sig. -OMISSIS- ..”, “se laureata in giurisprudenza”, “si è fregiata di tale titolo di fronte ai giudici del Tribunale Federale e, oggi, della Corte di appello Federale, in palese violazione degli art. 348 e 495 c.p.”, ecc.). Anche il termine “sedicente avvocato” compare nella memoria in esame, questo diversamente da quanto sostenuto nel ricorso e da quanto indicato dal Collegio di garanzia del CONI, precisamente nell’allegato n. 7 dell’atto in oggetto, riferito ad una e-mail inviata all’avv. -OMISSIS- del foro degli avvocati di Roma, che aveva comunicato al ricorrente di non essere lei il legale interessatosi della questione disciplinare.
Ancora, sempre dalla lettura della memoria del 5.12.2015, risulta, per un verso, che la stessa ebbe più destinatari (cioè, Corte Federale di appello, Commissione Federale di Garanzia, Consiglio nazionale Forense, Ordine degli avvocati della provincia di -OMISSIS- e Procura Federale della F.I.T., Procura Generale dello Sport e Tribunale Federale), e, per altro verso, che venne firmata anche dal ricorrente. Quindi, il documento non è rimasto confinato nell’alveo della vicenda processuale (da qui in astratto la possibilità di ritenere che il tesserato avesse reso “pubbliche” le espressioni ritenute offensive come richiesto dall’art. 7 cit.; tanto è vero che la Procura Federale a p. 5 del provvedimento di deferimento valorizzava proprio il fatto che fosse stata contattata anche una omonima del Sostituto Procuratore Federale, cioè una persona estranea al procedimento disciplinare) ed è riferibile anche al -OMISSIS- e non solo al suo difensore.
Infine, ma non da ultimo, oltre all’uso sistematico e sovrabbondante delle espressioni incriminate, c’è da sottolineare: da un lato, che nello scritto, malgrado si fosse appreso dal Consiglio dell’Ordine di -OMISSIS- che l’avv. -OMISSIS- era stata ivi iscritta, sebbene non per quanto tempo, si metteva addirittura in dubbio che ella fosse laureata, tanto da paventarsi la possibile commissione dei reati di cui agli artt. 348 (rubricato “Esercizio abusivo di una professione”) e 495 c.p. (rubricato “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”); dall’altro lato, che effettivamente ciò non era strettamente funzionale alla difesa del ricorrente nel procedimento disciplinare, dato che sarebbe bastato contestare esclusivamente l’assenza del requisito di iscrizione quinquennale all’Ordine degli avvocati. Al riguardo, poiché attinente alla vicenda, può citarsi la giurisprudenza del giudice penale formatasi sull’art. 598 c.p. (“Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie e amministrative”). Nello specifico, la S.C., più volte, ha ribadito che vi deve essere “uno stretto legame tra l’ingiuria e l’oggetto della causa” (cfr. Cass. pen., sez. VI, 3.6.2016, n. 33262; in effetti, solo questo giustifica il sacrificio dell’altrui onore) e, soprattutto, l’esimente “non opera nel caso in cui le espressioni offensive integrino il delitto di calunnia” (cfr. Cass. pen., sez. V, 22.7.2019, n. 32823 ed altre).
7.3 In conclusione, la condotta tenuta dal -OMISSIS- astrattamente poteva essere sussunta nell’alveo dell’art. 7 cit. (a prescindere poi dalla valutazione concreta effettuata dai vari organi della giustizia sportiva), con la conseguenza che non si ritiene emerga alcuna colpa addebitabile alla parte resistente (in termini come già detto di “violazione grave”). Pertanto, la domanda risarcitoria deve essere respinta già in forza dell’essenza di uno degli elementi necessari dell’illecito civile, senza dover analizzare le singole voci di danno.
8. Le spese del presente giudizio possono essere compensate, in ragione della complessità e della parziale novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e le altre persone fisiche menzionate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Michelangelo Francavilla, Presidente
Giovanni Mercone, Referendario, Estensore
Silvia Simone, Referendario