Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0121/CFA del 30 Giugno 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione della Corte sportiva d’appello territoriale presso il C.R. Molise - C.U. n. 114 del 12.02.2025 e numero 0125/CFA/2024-2025 proposto dalla Procura federale interregionale in data 09.06.2025 per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il C.R. Molise – C.U. n. 174 del 05.06.2025

Impugnazione – istanza:  Presidente federale/A.R. - Procura federale interregionale/G.L.

Massima: Accolto il reclamo della procura federale avverso la decisione del TFT e per l’effetto confermata la cessazione della sanzione inflitta al capitano della squadra all’esito dell’esatta individuazione dell’autore della condotta nei confronti dell’arbitro e per l’effetto riformata la decisione nella parte in cui aveva comminato a quest’ultimo la squalifica di anni 1 e mesi 4 con irrogazione della squalifica di anni 2 per aver al termine della gara colpito l’arbitro con uno schiaffo al dorso e da un pugno alla schiena che gli procurava un trauma vertebro-midollare con prognosi di cinque giorni s.c. Inflitta anche l’ammenda di € 1.500,00 alla società

Massima: Oggetto di controversia è invece la riconducibilità della condotta, dal punto di vista sanzionatorio, a quanto previsto dal 2° co. dell’art. 35 CGS, come ha ritenuto la decisione di primo grado, oppure al 4° co. dello stesso articolo, come la Procura prospetta con l’attuale motivo di reclamo. Questa Corte ha già chiarito che il Legislatore federale, attraverso i commi 2 e 4, ha elaborato due distinte previsioni quando sia violato il precetto di cui all’art. 35, 1° co., CGS FIGC: « a) se la condotta è solo “idonea” a produrre una lesione personale, è applicata la minor sanzione di cui al comma 2; in tal caso - come ha osservato la dottrina - si prescinde dalla causazione di danni fisici agli ufficiali di gara poiché tale (eventuale) conseguenza rileva solo ai fini della determinazione delle sanzioni. Tale comportamento può ascriversi, quindi, tra i c.d. “illeciti di mera condotta”, nei quali il fatto punibile si esaurisce nel compimento dell’azione senza che rilevi l’eventuale conseguenza dell’azione medesima, conseguenza che, pertanto, non è elemento costitutivo della fattispecie punita; b) se al contrario è rinvenibile un quid pluris - ovvero una “lesione personale” attestata con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica - opera un’aggravante di natura “oggettiva” ai fini della determinazione della sanzione» (così CFA, SS.UU., 11/CFA-2023-2024). Sia la Procura con il motivo di reclamo, sia la difesa replicando allo stesso, si sono concentrate soprattutto sulla definizione di “lesione personale” accolta dalla giurisprudenza di questa Corte, al fine di stabilire se nel caso di specie ricorra o meno una tale lesione e, pertanto, se sia applicabile il 4° co. dell’art. 35 CGS. A tale scopo hanno indicato precedenti che, al di là della prospettazione delle parti, sono tra loro coerenti nella definizione di lesione personale. È significativo che la decisione n. 123/CFA-2023-2024, invocata dalla difesa, richiami espressamente la decisione n. 11/CFA-20232024, fermo che la prima si concentra anche sugli elementi necessari per poter riscontrare, sulla base del referto ospedaliero e senza intervenire su valutazioni riconducibili alla discrezionalità tecnica, l’avvenuta diagnosi di una malattia. Nel caso qui in esame, tuttavia, manca il presupposto necessario per poter discorrere dell’applicabilità del 4° co. dell’art. 35, vale a dire l’attestazione della lesione personale, comunque intesa, con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica. I due precedenti invocati dalle parti contrapposte hanno tra loro in comune anche la chiarezza sulla necessità che la causazione di una lesione personale per effetto della condotta violenta di cui all’art. 35, 1° co, CGS risulti «attestata con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica». In mancanza di tale attestazione non si può applicare, indipendentemente dalla lettura accolta della locuzione “lesione personale”, la sanzione aggravata prevista dal 4° co. dell’art. 35. Lo confermano proprio i casi affrontati da entrambi i precedenti invocati dalle parti, in cui esisteva un’attestazione compiuta con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica in ordine alla sussistenza di una lesione personale. Nel caso affrontato da questa Corte nella decisione n. 11/CFA-2023-2024 sussisteva, come la stessa Procura ricorda nell’atto di reclamo, e come emerge dalla decisione nella descrizione del fatto, l’attestazione di un trauma contusivo da percosse con prognosi di 4 giorni risultante dal referto medico (nella parte in fatto della decisione si legge: «(…) si avvicinava con aria minacciosa al Direttore di gara e lo colpiva sul petto con la mano semichiusa. A causa del dolore persistente al petto, dopo essersi recato nello spogliatoio, l’arbitro sospendeva definitivamente l’arbitro sospendeva definitivamente l’incontro non trovandosi nelle condizioni psico-fisiche necessarie per proseguire la gara, poiché decideva di recarsi al Pronto soccorso di Isernia, dove gli diagnosticavano un trauma contusivo da percosse con prognosi di 4 giorni»). Nel caso n. 123/CFA-2023-2024, invocato dalla difesa, risulta presente un referto ospedaliero che attesta una precisa diagnosi (nella specie lieve trauma lombosacrale), prevedendo una prognosi di tre giorni clinici e prescrivendo riposo e antidolorifici [nella decisione si legge, sia nella parte in fatto che in diritto: «(…) Dopo questo episodio, la gara veniva sospesa definitivamente dall’arbitro (che non si trovava più nelle condizioni per continuare a dirigerla). Il direttore di gara si recava presso il Pronto soccorso degli Ospedali Riuniti Val Di Chiana di Montepulciano, ove veniva refertato lieve trauma lombosacrale, con una prognosi di tre giorni clinici, prescrivendo riposo ed antidolorifici»]. Un referto rispetto al quale la Corte, nel ribadire i limiti del sindacato sui giudizi tecnico-discrezionali quali quelli che si esprimono in referti medici, ha escluso la sussistenza di alcun travisamento dei fatti o evidente irragionevolezza. Un’affermazione che, al contempo, ha il significato di ribadire la necessità che esista, ai fini del 4° co. dell’art. 35 CGS, un’attestazione compiuta con referto medico, dalla quale emergano una diagnosi, una prognosi e una prescrizione. Inoltre, la stessa decisione n. 123/CFA-2023-2024, come sottolineato dalla difesa, ha affermato che «è notorio che la prognosi e la prescrizione derivino dal riconoscimento e classificazione di una malattia (diagnosi); non si può indicare una cura, lo sviluppo futuro delle condizioni e le aspettative di guarigione (prognosi) e la denominazione ed il dosaggio delle medicine (prescrizione), senza un giudizio clinico che riconosca una condizione presente nel paziente (diagnosi)». Sulla base del riscontro di tali elementi, in quel precedente questa Corte qualificò la condotta tenuta dal calciatore «come condotta violenta che ha provocato lesione personale all’arbitro, attestata da referto medico rilasciato da struttura pubblica», infliggendo la sanzione prevista dall’art. 35, 4° co., CGS. Nel caso qui in esame, al contrario, manca l’attestazione di una lesione personale comunque intesa. Il referto rilasciato dall’Ospedale “Veneziale” di Isernia non contiene in alcuna parte tale attestazione, indipendentemente dal concetto accolto di lesione personale. Nella parte del referto relativo alla diagnosi di dimissione si legge soltanto: «Diagnosi di Dimissione: ALTRE E NON SPECIFICATE COMPLICAZIONI DI CURE MEDICHE, NON CLASSIFICATE ALTROVE - trauma da riferita aggressione senza lesioni»; la prognosi indicata è: «Guaribile in gg 5 sc», senza la prescrizione di alcuna terapia. Il referto ha, pertanto, natura anamnestica, di ricognizione, anche sulla base degli esami di routine (sia di laboratorio che radiologici) compiuti per accertare se sussistesse o meno una lesione conseguente alla aggressione denunciata dall’arbitro, sig. Lorenzo Brunetti, al momento dell’accesso al pronto soccorso. La stessa prognosi di 5 giorni («Guaribile in 5 giorni s.c.») è correlabile «al trauma da riferita aggressione senza lesioni» e al «riferito trauma fianco sx da aggressione durante partita di calcio», indicato nel referto nella parte relativa al “diario clinico”, dove peraltro si evidenzia che gli esiti degli esami sono nella norma: «esami ematici + rx + ecografia nella norma». Quanto appena affermato si fonda sulla mera lettura del referto medico rilasciato dall’Ospedale “Veneziale” di Isernia, senza che le conclusioni appena raggiunte implichino alcun tipo di sindacato sui giudizi tecnico-discrezionali medici in esso espressi. Si tratta, peraltro, di un referto medico che non può essere posto in discussione, non c’è alcun travisamento di fatti o evidente irragionevolezza, anzi la diagnosi è chiara e coerente con i referti degli esami di laboratorio e radiologici effettuati; così come è chiara la prognosi e l’assenza di una prescrizione specifica. La mancanza di un’attestazione con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica esclude di per sé che, nel caso di specie, sia applicabile il 4° co. dell’art. 35 e pertanto conduce a confermare l’inquadramento della condotta tenuta dal sig. …, dal punto di vista sanzionatorio, nell’ambito del 2° co. dell’art. 35 (in combinato con il 1° co. che descrive la fattispecie della condotta violenta nei confronti dell’ufficiale di gara), come già ritenuto, ma per ragioni in parte diverse, dal TFT. La decisione del TFT si è concentrata sulla mancanza di una lesione come attestato dallo stesso referto ospedaliero. La prospettiva del TFT è stata, per così dire, rivolta in senso negativo a valorizzare l’assenza di una lesione come attestato dal referto ospedaliero; invece la prospettiva dell’art. 35, 4° co., CGS appare, secondo questa Corte, per così dire rivolta in senso positivo – se si ha riguardo alla verificazione dell’evento – a richiedere che la condotta violenta di cui all’art. 35, 1° co., CGS abbia provocato una «lesione personale, attestata con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica». Questa attestazione “positiva” di una qualsivoglia lesione, nel caso di specie, manca, il che esclude la necessità di accertare se l’attestazione compiuta nel referto ospedaliero riguardi una lesione personale nel senso inteso dall’ordinamento federale o l’attestazione di un qualcosa di differente. Il punto è che la norma richiede il dato “positivo” della conseguente lesione personale attestata con referto medico rilasciato da una struttura sanitaria pubblica. La mancanza di tale attestazione esclude di per sé l’integrazione della fattispecie del 4° dell’art. 35 e fa rifluire la condotta violenta tenuta dal sig. … nell’ambito del 2° co. dell’articolo, indipendentemente dal concetto di lesione personale accolto dall’art. 35, 4° co., che non viene proprio in gioco quando manca, come nel caso in esame, l’attestazione nel referto medico di una qualsivoglia lesione. Soltanto in presenza di un’attestazione “positiva” nel referto medico si sarebbe potuto discutere sulla ricorrenza o meno nel caso concreto di una lesione personale nel senso indicato dall’art. 35, 4° co., CGS. Nel caso in esame non si tratta, dunque, di stabilire se sussista una lesione personale, quale che ne sia la definizione assunta nell’ambito della giustizia sportiva, perché manca il presupposto necessario richiesto dallo stesso art. 35, 4° co., per poterne affermare l’applicazione, vale a dire che la lesione personale conseguita, comunque intesa, risulti «attestata con referto medico rilasciato da struttura sanitaria pubblica». Nel caso di specie tale attestazione non è, per le ragioni indicate, presente. Preme però ribadire, come affermato da tante pronunce di questa Corte, che «L’ordinamento federale non può in alcun modo tollerare fenomeni di violenza a danno degli ufficiali di gara e tali comportamenti devono essere valutati con la massima severità. La figura del direttore di gara è qualcosa in più di colui che è chiamato a dirigere e valutare tecnicamente una competizione: si tratta infatti più propriamente di una figura istituzionale che in campo rappresenta il regolamento di gioco e che si prende la responsabilità di salvaguardare lo spirito sportivo» (ex multis: CFA, SS.UU., n. 76/2023-2024, n. 75/2023-2024, n. 73/2023-2024). Proprio a tutela di ciò ed a seguito di sempre più numerosi casi di aggressione nei confronti degli arbitri, il legislatore sportivo, con il Codice del 2019, è intervenuto, prevedendo un articolo specifico - art. 35 CGS (Condotte violente nei confronti degli ufficiali di gara) - ed inoltre ha, nel tempo, inasprito le sanzioni. Resta ferma, in tale contesto, la differenziazione, come nel caso qui esaminato, tra la sanzione minima edittale prevista dal 2° e dal 4° comma dell’art. 35 CGS.

Massima: La giovane età del tesserato, così come la indicata «assenza di qualsivoglia esperienza sportiva», non possono assurgere, di fronte ad una condotta violenta nei confronti dell’ufficiale di gara, a motivo per il riconoscimento delle attenuanti generiche. A sostegno di tale esclusione basta ricordare, con particolare riferimento alla giovane età, ma con riflessioni estensibili anche alla invocata assenza di esperienza sportiva, la giurisprudenza sia del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, sia di questa Corte. Il primo ha affermato che la giovane età dei calciatori coinvolti in episodi disciplinarmente rilevanti non è suscettibile di essere apprezzata quale attenuante atipica (cfr. Collegio di garanzia dello sport CONI, Sez. IV, n. 35/2019); ed ancora, che «In tema di riconoscimento delle circostanze attenuanti, non è applicabile un’attenuazione della sanzione in ragione della giovane età dell’atleta, laddove la condotta lesiva assuma carattere di particolare aggressività e violenza, in quanto una eventuale riduzione della sanzione sarebbe in contrasto con lo spirito della corretta educazione sportiva» (Collegio di Garanzia dello Sport CONI, Sez. II, n. 47/2022). Anche questa Corte ha più volte affermato che «la giovane età non può essere assunta come attenuante ma come sintomo della necessità di una profonda riflessione sullo spirito e sui valori che debbono permeare, sempre e comunque, l’attività sportiva (CFA, Sez. II, n. 105/2010-2011) e rappresenta, con la sua implicita negazione dei canoni di lealtà e correttezza, un disvalore aggiunto (CFA, Sez. I, n. 123/2012-2013). La pena concretamente inflitta ai giovani calciatori – che deve peraltro rispondere sempre a criteri di ragionevolezza e proporzionalità – svolge una funzione “educatrice”, in quanto essi si affacciano al mondo professionistico e nei loro confronti deve essere inculcato fin dall’inizio il senso del rispetto delle regole sportive di comportamento, secondo principi di lealtà, rispetto e correttezza (CFA, Sez. I, n. 59/2023-2024, CFA, Sez. I, n. 15/2024-2025). Peraltro diversamente opinando verrebbe meno non solo la funzione rieducativa della sanzione, ma anche quella di prevenzione speciale e generale, particolarmente rilevante nell’ambito sportivo per i valori di probità, lealtà ed onestà cui esso è improntato e che la pratica sportiva in linea generale deve aiutare a perseguire e conseguire» (così CFA, Sez. I, n. 0057/CFA/2024-2025). Ed inoltre ha affermato che «(…)se è certamente vero che la giovane età dei colpevoli deve spingere a sottolineare, per quanto possibile, il ruolo educativo della sanzione, detto elemento da solo - e in assenza di qualunque altra motivazione che possa attenuare la gravità dei fatti - non può portare ad un risultato che determini un effetto sostanzialmente contrario al rispetto delle regole o, peggio, ad una sensazione di sostanziale impunità del colpevole» (CFA, SS.UU., n. 77/CFA-2022-2023; CFA, Sez. IV, n. 35/2022-2023)».

Massima: Non si può riconoscere come circostanza attenuante, nel caso in esame, neppure l’assenza di lesioni attestate a danno del direttore di gara, così come la «lieve entità delle conseguenze (…)», perché la mancanza dell’attestazione di lesioni nel referto medico ospedaliero è già motivo per escludere l’applicazione della più grave sanzione di cui al 4° co. dell’art. 32 e per integrare la fattispecie di cui al 2° co. dell’art. 32 CGS, senza poter divenire anche un motivo per il riconoscimento delle attenuanti generiche, soprattutto quando il Collegio ritiene che gli stessi elementi siano già da prendere in considerazione per irrogare la squalifica nella misura minima (cfr. CFA, SS.UU., n. 15/CFA-2023-2024 e n. 35/CFA/2021-2022, sulla non invocabilità come attenuanti generiche di elementi che sono stati già adeguatamente presi in considerazione per l’irrogazione della squalifica in misura minima). In questo contesto, si può anche escludere l’efficacia attenuante delle invocate «intenzioni non lesive» del sig. Gregorio Lombardi, che sono invece negate ipso facto dalla tipologia di condotta violenta accertata.

Massima: Non può assurgere, nel caso in esame, a circostanza attenuante neppure l’assenza di precedenti gravi sanzioni in capo al deferito. Secondo il prudente apprezzamento di questa Corte, alla luce della condotta violenta accertata e delle differenti dichiarazioni rese dal sig. … sede di audizione da parte della Procura federale – riconoscimento soltanto parziale della propria responsabilità; attribuzione di una condotta violenta all’arbitro; affermazione di essere intervenuto a soccorso di un compagno di squadra … – non è possibile valorizzare l’assenza di precedenti gravi sanzioni, perché ciò avrebbe l’effetto di sminuire la gravità della condotta accertata nel presente procedimento, in contrasto con le finalità della sanzione, anche in ragione della giovane età, chiarite poco sopra al punto 13.2.1.1. Peraltro, è auspicabile, proprio in ragione della giovane età del calciatore, che egli prosegua il suo percorso futuro in assenza completa di sanzioni.

Massima: Inoltre, non può assurgere a circostanza attenuante generica l’ammissione di responsabilità innanzi al Collaboratore della Procura federale, per le ragioni già indicate nell’escludere la circostanza attenuante specifica di cui all’art. 13, 1° co., lett. e … Bisogna ricordare, ancora una volta, che il sig. … non ha provveduto immediatamente ad affermare la propria responsabilità, determinando per un lasso di tempo la squalifica del capitano della squadra. Inoltre, ha provveduto ad un riconoscimento parziale della propria responsabilità – escludendo, ad esempio, di aver inferto un pugno – e non ha esitato a sostenere nella sua audizione che l’arbitro abbia tenuto una condotta violenta nei confronti di un altro calciatore.

Massima: Quanto fin qui affermato esclude, secondo il prudente apprezzamento di questa Corte, la sussistenza di circostanze generiche idonee a giustificare una diminuzione della sanzione. Le circostanze attenuanti generiche, come ricorda l'art. 13, 2° co., CGS, possono essere prese in considerazione dagli organi di giustizia sportiva soltanto «con adeguata motivazione» (cfr. CFA, SS.UU., n. 90/CFA-2022-2023, n. 35/CFA/2021-2022, n. 89/2019-2020). Pertanto, sotto questo profilo deve essere riformata la decisione di primo grado e quindi, nel determinare la sanzione da infliggere al sig. Gregorio Lombardi ai sensi dell’art. 35, 2° co., CGS, questa Corte non riconoscerà la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche che nella decisione di primo grado avevano giustificato la ricordata riduzione della sanzione inflitta nella misura di 1/3.

Massima: Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, fondato sul combinato disposto dell’art. 12, 1° co., e 44, 5° co., CGS, la misura della sanzione deve tener conto della natura e della gravità dei fatti commessi (art. 12) e deve avere carattere di effettività ed afflittività (art. 44) (CFA, Sez. I, n. 22/2022-2023). Tali principi devono essere sempre coordinati e temperati con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza. In applicazione di tali complessivi principi, questa Corte afferma costantemente che «in un’ottica di contemperamento dei diversi interessi contrapposti, la sanzione, deve poter svolgere la funzione propria di prevenzione speciale e generale in ordine alla reiterazione della condotta illecita, deve necessariamente essere proporzionale al disvalore sociale della condotta, rispetto alla quale deve avere un adeguato effetto dissuasivo e da ultimo deve essere suscettibile anche di una valutazione di natura equitativa» (CFA, Sez. I, n. 0057/CFA/2024-2025, n. 120/2023/2024; CFA, SS.UU, n. 672022/2023). In applicazione di tali principi, una volta inquadrata la condotta del sig. … nell’ambito dell’art. 35, 1° e 2° co., CGS ed esclusa la sussistenza nel caso di specie sia delle circostanze attenuanti specifiche che di quelle generiche, in riforma della decisione assunta dal TFT questa Corte irroga al sig. …. la sanzione della squalifica per anni 2 (due), con conseguente cessazione dell’esecuzione della sanzione inflitta nei confronti del sig. … a decorrere dal 26 maggio 2025, data di pronuncia del dispositivo da parte del ….

Massima: Al fine di quantificare l’ammenda da infliggere alla A.S.D. Real Prata, il giudice di prima istanza ha valorizzato i seguenti elementi poco sopra ricordati: la condotta posta in essere dallo stesso Presidente sig. Domenico Lauro; la circostanza che si tratta di una società dilettantistica militante nel campionato di seconda categoria … Questa Corte conviene sul secondo elemento valorizzato dalla decisione di prima istanza, da solo sufficiente a mitigare l’ammontare dell’ammenda rispetto a quella richiesta della Procura federale interregionale, mentre la condotta del sig. … è stata sanzionata dal GST con la inibizione fino a tutto il 30/09/2025 e sotto tale profilo la decisione del GST non è stata impugnata dinanzi alla CSAT nè risultano essere state richieste o irrogate connesse sanzioni alla A.S.D. Real Prata ai sensi dell’art. 6 CGS. Inoltre, la richiesta della Procura di rideterminare l’ammontare dell’ammenda è stata collegata alla richiesta di aumento a 4 anni della sanzione della squalifica nei confronti del sig. Gregorio Lombardi, al punto di discorrere di un aumento proporzionale dell’ammenda da infliggere alla A.S.D. Real Prata.Questa Corte ritiene, in applicazione dei principi già ricordati in tema di determinazione delle sanzioni ….), ragionevole e proporzionato quantificare l’ammenda inflitta alla A.S.D. Real Prata nella somma di € 1.500,00, sia in ragione della entità della sanzione inflitta al tesserato sig. …. (2 anni di squalifica senza riconoscimento di attenuanti specifiche o generiche), sia in ragione del carattere dilettantistico dell’Associazione. Inoltre, una volta negata l’operatività delle circostanze attenuanti anche generiche a favore del sig. …., che in virtù dell’art. 13, 3° co., primo periodo avrebbero giovato, se riconosciute, anche alla A.S.D. Real Prata responsabile ai sensi dell’art. 6, 2° co., CGS., è ragionevole e proporzionato aumentare anche l’ammenda nei confronti della A.S.D. nella misura di un terzo rispetto a quella inflitta dal TFT in primo grado. In applicazione dell’art. 35, 7° co., CGS questa Corte specifica che le sanzioni inflitte vanno considerate ai fini della applicazione delle misure amministrative a carico delle società professionistiche, dilettantistiche e di settore giovanile, deliberate dal Consiglio federale per prevenire e contrastare episodi di condotta violenta nei confronti degli ufficiali di gara.

Massima: Questa Corte evidenzia che se è vero che la formulazione dell’art. 5, 2° co., CGS impiega un’espressione che appare a maglie larghe - “comunque individuato” si legge nell’art. 5, 2° co. («La sanzione eventualmente inflitta cessa di avere esecuzione nel momento in cui è comunque individuato l'autore dell’atto») - l’individuazione del soggetto responsabile dell’atto non può considerarsi avvenuta sulla base della semplice indicazione del soggetto quale autore dell’atto da parte di potenziali testimoni, senza un’attività di indagine della Procura federale competente. Né basta a tal fine l’atto di deferimento della Procura federale che indica, nell’esercizio dell’azione disciplinare ad essa riservato, il soggetto incolpato (ma non ancora individuato) come autore dell’atto (mentre l’art. 5, 2° co., CGS richiede l’individuazione: «La sanzione eventualmente inflitta cessa di avere esecuzione nel momento in cui è comunque individuato l’autore dell’atto»). Del resto, alla Procura federale spetta l’esercizio dell’azione disciplinare, mentre agli organi di giustizia sportiva con funzione decidente spetta l’accertamento della responsabilità. Né allo stesso fine sarebbe bastata la dichiarazione parziale di responsabilità resa dal signor … in sede di audizione dinanzi alla Procura federale interregionale; né la proposta, non perfezionata, di applicazione della sanzione ex art. 126

CGS. Il tempo di cessazione dell’esecuzione della sanzione deve essere ragionevolmente individuato nel momento in cui vi sia stato un accertamento di responsabilità dell’effettivo autore della condotta violenta da parte un organo di giustizia sportiva. Nel caso di specie tale accertamento è stato compiuto dal TFT con la decisione del 26 maggio 2025. Pertanto, correttamente il TFT ha disposto anche la cessazione, dalla stessa data, dell’esecuzione della sanzione nei confronti del capitano della squadra …. Altrettanto correttamente la CSAT non ha disposto la cessazione dell’esecuzione della sanzione nei confronti del capitano della squadra nel definire il giudizio ad essa sottoposto. A sostegno di tale lettura muove anche la considerazione che se dal momento in cui è stato individuato, attraverso l’accertamento di un organo giustizia sportiva, l’autore effettivo della condotta violenta non cessasse immediatamente l’esecuzione nei confronti del capitano della squadra, avremmo per il medesimo fatto due soggetti sanzionati, considerato che le sanzioni irrogate dagli organi di giustizia sportiva sono immediatamente esecutive (cfr. art. 19, 2° co., CGS). Inoltre, il carattere oggettivo della responsabilità del capitano della squadra, che rappresenta ormai un’ipotesi residuale rispetto al principio di colpevolezza di cui all’art. 5, 1° co., FIGC, onera di interpretazioni favorevoli alla cessazione della sanzione non appena sia stato compiuto un accertamento nel senso sopra chiarito.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 0237/TFN - SD del 26 Giugno 2025  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza:  - S.G. e ASD Azzurra Premariacco - Reg. Prot. 229/TFN-SD

Massima: A seguito di patteggiamento ex art. 127 CGS, mesi 4 di squalifica all’allenatore per la violazione del disposto di cui agli artt. 4, comma 1, e 39 comma 2 del Codice di Giustizia Sportiva, e art. 37 commi 1 e 2 del Regolamento del Settore Tecnico per avere lo stesso, al termine della gara posto in essere una condotta gravemente antisportiva consistita nell’aver attinto in viso con uno sputo il calciatore della compagine avversaria. Ammenda di € 400,00 alla società a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva,

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0117/CFA del 24 Giugno 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione  del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Lazio della F.I.G.C. – L.N.D. pubblicato sul C.U. n. 414 del 16.5.2025

Impugnazione – istanza: PFI-Sig. V.N. -U.S.D. Castelnuovese Calcio ed A.S.D. Trigoria-Sig. E.A.

Massima: Accolto il reclamo della procura federale avverso la decisione di proscioglimento del TFT per il principio del ne bis in idem e per l’effetto inflitta all’allenatore la squalifica per 5 giornate per la violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., per avere costui partecipato, al termine della gara Castelnuovo Calcio Trigoria del 10 novembre 2024 valevole per il campionato di prima categoria, allo scontro verbale fisico accesosi tra i tesserati delle due squadre in prossimità dei locali adibiti a spogliatoio dell’arbitro e dei calciatori, assumendo dapprima un comportamento intimidatorio nei confronti di un calciatore tesserato per la squadra avversaria e, successivamente, colpendo lo stesso con una manata al volto; nonché per avere tentato, senza riuscirci, di colpire un altro calciatore tesserato per la società avversaria. Alla società inflitta l’ammenda di € 300,00. Questa Corte federale ritiene di non condividere il percorso argomentativo sotteso alla decisione del Tribunale federale territoriale del Lazio che ha portato al proscioglimento del tecnico … e delle società Castelnuovese e Trigoria, in applicazione del principio generale di diritto del ne bis in idem. Sotto questo specifico profilo, correttamente il reclamante ha infatti rilevato che gli atti ed i comportamenti oggetto delle incolpazioni formulate con l’atto di deferimento sono in realtà del tutto differenti rispetto alle fattispecie per le quali il Giudice sportivo aveva irrogato le sanzioni all’esito dell’esame degli atti di gara. In particolare, il Giudice sportivo aveva inflitto al tecnico … la squalifica per otto gare, per avere costui afferrato ad un braccio l’arbitro (senza provocargli dolore) per impedirgli di entrare nello spogliatoio e profferendo la seguente frase: “Fino a quando non mi dai una spiegazione valida, non rientri”, mentre il deferimento della Procura federale ha riguardato la sua partecipazione allo scontro verbale e fisico accesosi tra i tesserati delle due squadre, nel corso del quale aveva assunto dapprima un comportamento intimidatorio e poi violento nei confronti di due calciatori della squadra avversaria. Così come nei confronti delle società Castelnuovese e Trigoria erano state irrogate dal Giudice sportivo le sanzioni rispettivamente di 200,00 e 400,00 per avere i propri tesserati partecipato alla colluttazione davanti agli spogliatoi (e la sola Trigoria anche perché un proprio sostenitore aveva scagliato una pietra verso l’Arbitro, senza colpirlo), mentre la Procura federale ha deferito la Castelnuovese perché i propri sostenitori avevano lanciato bottiglie e sedie di plastica in campo a fine gara, e la Trigoria perché un proprio sostenitore era entrato negli spogliatoi ed aveva colpito con uno schiaffo un calciatore della squadra avversaria. Le condotte che hanno formato oggetto di giudizio da parte del Giudice sportivo sono, insomma, del tutto differenti rispetto a quelle evidenziate con l’atto di deferimento e portate all’attenzione del Tribunale federale territoriale, avendo come unico punto in comune la circostanza che tali condotte sono state poste in essere dai medesimi soggetti in occasione della gara del 10.11.2024. Ora, è ben noto che il principio del ne bis in idem miri ad evitare, da un lato la duplicazione di uno stesso processo, dall’altro la possibilità che si verifichi un conflitto tra giudicati per un medesimo fatto ascritto nei confronti della stessa persona. Tale principio rappresenta un’articolazione specifica del diritto di difesa e dei principi del giusto processo che - a norma dell’art. 44, comma 1, CGS - valgono anche per il processo sportivo. A tal riguardo, si è già da tempo pronunciata l’Alta Corte di Giustizia Sportiva n. 118/12: “ Detto principio [del ne bis in idem] è stato, in tempi recenti, considerato come principio generale dell’ordinamento giuridico ed orientamento di sistema dettato ad evitare sia “duplicazione dello stesso processo” (Cass. S.U. pen., n. 34655/2005), sia decisioni e provvedimenti per lo stesso fatto contro la stessa persona, e quindi possibilità di conflitti e di pronunce tra loro contrastanti. In virtù di tali esigenze e finalità il principio è man mano risorto nel diritto contemporaneo, confermandosi ed arricchendosi, dapprima in modo deciso nel diritto processuale, anche per effetto delle proclamazioni costituzionali delle garanzie della persona umana e della tutela dei diritti ed in modo più significativo in quello processuale penale. Il principio progressivamente si è esteso ad ogni tipologia di processo e procedimento nelle forme e con le garanzie giustiziali.”. Nell’ambito della giustizia sportiva, insomma, assume rilevanza, per applicare o meno il ne bis in idem,  non tanto che il giudizio verta solo sullo stesso rapporto o sulla medesima causa petendi, ma che la regiudicanda sia enucleabile e sia rimasta da decidere, perché non poteva o non doveva essere ricompresa nel thema decidendum del primo giudizio, in modo da essere giuridicamente (conformemente a previsione normativa) e logicamente compatibile e non sovrapponibile con la precedente procedura e decisione (Alta corte di giustizia sportiva, 11 maggio 2012, n. 9; adesivamente CFA, Sez. II, n. 76/2019-2020). Nel caso in esame, l’arbitro dell’incontro aveva espressamente riferito di non essere riuscito a fornire una descrizione chiara ed esaustiva dell’accaduto, proprio per la contingente situazione di pericolosità venutasi a creare, che lo aveva indotto a fare rientro nei propri spogliatoi fino all’arrivo delle Forze dell’ordine, per cui più che correttamente l’attività di indagine della Procura federale ha consentito di pervenire ad una completa ed esaustiva ricostruzione dei fatti verificatisi, compresi quelli non rilevati dall’arbitro e, conseguentemente, non presi in considerazione del Giudice sportivo. Tanto basterebbe per ritenere fondata l’impugnazione, con riferimento al proscioglimento dell’allenatore … e delle due società. Va tuttavia doverosamente evidenziato che, nel richiamare il principio del ne bis in idem e pervenire al proscioglimento del tecnico … e delle due società, il Tribunale federale territoriale non si è limitato a rilevare una mera sovrapposizione tra i fatti che formavano oggetto del deferimento e quelli per i quali costoro erano stati già sanzionati dal Giudice sportivo (“[…] la questione non è quella della identità o divergenza tra le motivazioni riportate nella delibera del Giudice sportivo e le contestazioni poste alla base del deferimento”), ma ha sostenuto che l’espletamento di una attività inquirente su fatti già rilevati nel referto vanificherebbe il principio della giustizia sportiva che attribuisce a tale documento il valore di prova privilegiata. L’attività inquirente, pertanto, si sarebbe dovuta limitare ad accertare solo quanto non rilevato dall’arbitro e, conseguentemente, non riportato nel referto.

E poiché nel caso in esame il Direttore di gara aveva riportato con puntualità nel proprio referto la condotta complessivamente tenuta dall’allenatore …, tanto nei suoi confronti, quanto nella partecipazione alla colluttazione con i tesserati della squadra avversaria, non avrebbe nessuna rilevanza che, in motivazione, il Giudice sportivo abbia poi omesso di riferire in merito ad una parte di tale condotta - quella cioè relativa alla partecipazione alla “zuffa” con gli avversari - giacché la sua decisione avrebbe comunque riguardato tutto ciò che era stato riportato nel referto; e discorso analogo varrebbe anche per le condotte dei sostenitori delle due società, puntualmente riportate dal Direttore di gara nel suo referto. Qualsiasi diverso ragionamento finirebbe per violare il principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile. La duplicazione del giudizio su fatti in relazione ai quali, seppure in parte implicitamente e senza farne riferimento nella parte motiva del provvedimento, il Giudice sportivo si sarebbe già pronunciato, a detta del Tribunale federale territoriale determinerebbe, anche sotto questo ulteriore profilo, la violazione del principio del ne bis in idem.

Massima: Accolto il reclamo della procura federale avverso la decisione del TFT che aveva inflitto la al calciatore la squalifica per 3 giornate di gara  e per l’effetto inflitta la squalifica per 8 giornate per la violazione degli artt. 4, comma 1, e 38 del C.G.S., per avere lo stesso, al termine della gara, preso parte allo scontro verbale e fisico tra i tesserati delle due squadre e per aver colpito con calci l’allenatore della squadra ospite. Alla società inflitta l’ammenda di € 300,00…Con riferimento, poi, al valore delle risultanze istruttorie ai fini del giudizio sportivo è appena il caso di rimarcare ancora una volta che, in tema di responsabilità disciplinare, “[…] lo standard probatorio richiesto non si spinge fino alla certezza assoluta della commissione dell'illecito - certezza, che peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione - né al superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale” (cfr. Collegio di garanzia dello sport, Sez. Un., n. 6/2016). È invece sufficiente un “confortevole convincimento” della violazione, a sua volta sostenuto da un “grado di prova […] che superi la semplice valutazione della probabilità [pur potendo restare] comunque inferiore all'esclusione di ogni ragionevole dubbio (Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, Sezioni unite, Decisione n. 93/2017; Sez. I, Decisione n. 23/2021; Sezioni unite, Decisione n. 71/2021)” (da ultimo  si veda Corte federale d’appello, SS.UU., n. 14/2023-2024 e Corte federale d’appello, SS.UU., n. 15/2023-2024). E’ stato già detto e va ribadito in questa sede, che il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare, insomma, si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (come invece è previsto nel processo penale), nel senso che è necessario e sufficiente acquisire - sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti - una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (cfr. C.F.A. SS.UU., n. 2/2023-24). E come precisato dalla giurisprudenza penale, gli indizi devono corrispondere a dati di fatto certi - e pertanto non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza - e devono essere gravi, cioè in grado di esprimere una elevata probabilità di derivazione dal fatto noto a quello ignoto, precisi e cioè non equivoci, e concordanti, cioè convergenti verso l’unico risultato. Nel caso in esame, il compendio probatorio lascia ragionevolmente ritenere che la condotta sia stata caratterizzata da particolare gravità, ove si consideri: a) che è stata perpetrata nel contesto di una rissa; b) nei confronti di un soggetto ormai riverso a terra e quindi inerme; c) con esiti evidenti agli arti inferiori. Se così è, davvero non si comprende quale fattispecie, se non quella in esame, possa essere qualificata come condotta violenta di particolare gravità.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0115/CFA del 17 Giugno 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione della Corte sportiva d’appello territoriale presso il Comitato regionale Emilia Romagna, di cui al Com. Uff. n. 138 del 19.03.2025

Impugnazione – istanza:   Presidente federale/Sig. D.C.

Massima: Accolto il reclamo del presidente federale avverso la decisione della CSAT che aveva comminato al calciatore la squalifica per dieci gare effettive, “Per aver rivolto frasi offensive per motivi di discriminazione basati sul sesso e colore nei confronti di un giocatore avversario (sanzione così determinata ai sensi dell’art.28 C.G.S.)”.. “gay di merda”..la Corte ritiene necessario delineare il contesto normativo nel quale si iscrive la vicenda in scrutinio. La Convenzione europea per i diritti dell’uomo sancisce il diritto al rispetto della vita privata delle persone (art. 8) e ne garantisce il godimento mediante il divieto di discriminazione per motivi di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (art. 14).  La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce all’art. 1 che “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata” e pone all’art. 21 il divieto di “ qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. Il divieto di ogni forma di discriminazione per motivi di sesso o di razza costituisce un principio fondamentale anche per la Costituzione repubblicana (art. 3). Il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale è stato espressamente ascritto dalla Suprema Corte di legittimità al novero dei diritti inviolabili della persona di cui all’art. 2 Cost., quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità (Cass. 16417/2007), mentre sul versante della tutela penale si è ritenuta necessaria una effettiva e realmente afflittiva tutela repressiva con riguardo al reato di ingiuria per motivi inerenti all’orientamento sessuale (Cass. pen. 24513/2006). In tale contesto viene in risalto anche l’art. 33, il cui ultimo comma, aggiunto con la legge costituzionale 26 settembre 2023 n. 1, ha sancito il principio secondo cui “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività ̀ sportiva in tutte le sue forme”. La norma riflette i contenuti di dispositivi qualificati a livello sovranazionale, ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini (Cass. Civ. sez. III, 25/07/2024, n.20790). Essa autorizza una lettura ermeneutica dell’attività sportiva non solo come valore in sé, ma soprattutto come veicolo di valori, quale strumento di inclusione sociale e di promozione del pieno sviluppo della persona umana, specie con riguardo al suo benessere psico-fisico. Nella stessa prospettiva si pongono le disposizioni di cui all’art. 16 del d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39 che impegna le Federazioni sportive nazionali all’obbligo di redigere le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. L’ordinamento federale si è pienamente conformato ai suindicati valori, palesando chiaramente la volontà di contrastare e punire severamente tutti i comportamenti discriminatori. Lo Statuto della FIGC erige a principio fondamentale l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza (art. 2, comma 5). L’art. 28 del Codice di giustizia sportiva FIGC, rubricato “Comportamenti discriminatori”, ai commi 1 e 2 dispone che: “1. Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori. Il calciatore che commette una violazione di cui al comma 1 è punito con la squalifica per almeno dieci giornate di gara o, nei casi più gravi, con una squalifica a tempo determinato e con la sanzione prevista dall’art. 9, comma 1, lettera g) nonché, per il settore professionistico, con l’ammenda da euro 10.000,00 ad euro 20.000,00”. La norma palesa l’esigenza, avvertita anche nell’ambito dell’ordinamento sportivo, di conferire adeguata tutela alla dignità ed alla libertà di tutti e di ciascuno a prescindere dalla religione, dall’appartenenza etnica e territoriale, dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale. La particolare severità della sanzione, fissata dal secondo comma nella durata minima di dieci giorni di squalifica, è funzionale a garantire il contrasto effettivo ed efficace a ogni forma di discriminazione per motivi razziali o inerenti all’orientamento sessuale. La fattispecie del comportamento discriminatorio è integrata da trattamenti denigratori che sottendono l’inferiorità di un gruppo o di una persona, in base ai caratteri razziali o all’orientamento sessuale e comprende qualsiasi comportamento finalizzato a conseguire un effetto discriminatorio basato su etnia, colore, caratteristiche fisiche, genere, status social-economico, religione, convinzioni personali, disabilità, sesso o età. Ne costituisce manifestazione il disprezzo, alimentato da pregiudizi o da un malinteso senso di “normalità”, che si manifesta mediante espressioni ingiuriose che alludano alla razza o all’orientamento sessuale. Chiamata ad interpretare il suindicato contesto normativo, questa Corte ha avuto modo di affermare che “Le disposizioni di cui all’art. 2 dello Statuto della FIGC e quella di cui all’art. 28 CGS sono volte a reprimere comportamenti che determinino una compromissione della personalità dell’uomo come singolo e come soggetto di comunità e ledano il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica. Ne consegue – in coerenza con quanto specificamente previsto nell’ordinamento sportivo internazionale – che il discrimine tra la mera espressione offensiva o ingiuriosa, sanzionabile ai sensi dell’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva, e la condotta discriminatoria, sanzionabile invece ai sensi dell’aticolo 28, comma 1, del Codice stesso, risiede nel fatto che la fattispecie della discriminazione è integrata allorché l’espressione offensiva o ingiuriosa mira specificamente a ledere il decoro, la dignità o l’onore della persona o del gruppo cui è indirizzata in ragione della loro diversità per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine anche etnica, di condizione personale o sociale.” (CFA, SS.UU., n. 105/2020-2021; sez. 1, n. 96/2024-2025). Da ciò discende che la qualificazione di una condotta come discriminatoria ai sensi dell’art. 28 C.G.S. presuppone la presenza di un’offesa o di una denigrazione che sia inequivocabilmente riconducibile a un pregiudizio basato su fattori protetti, quali quelli legati al sesso o alla razza. Tanto si osserva per evidenziare che, nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità della condotta, riconducendola ad aspetti soltanto antisportivi, non è revocabile in dubbio che il Cerrone si sia reso autore di un intollerabile comportamento di omofobia. Questa si esprime in violenze verbali o derisioni che ledono la dignità umana, il principio di eguaglianza e comprimono la libertà e gli affetti delle persone. Come autorevolmente affermato, si tratta di manifestazioni che feriscono “l'intera nostra società, che risulta indebolita nei suoi valori fondamentali di convivenza”. Il che palesa l’erroneità della decisione reclamata, dovendosi escludere la possibilità di sminuire la portata discriminatoria insita nell’insulto omofobo espresso in forma graffiante, che esprime il chiaro intento di derisione e di scherno con la consapevolezza dell’attitudine lesiva delle parole adoperate, inequivocabilmente riferite alla sfera sessuale. Nel contesto delineato, emergono in tutta la loro portata la valenza discriminatoria ascrivibile al termine “gay di merda” che costituisce una violazione inaccettabile della libertà personale, e la sprezzante denigrazione fondata sulle tendenze sessuali che evidentemente si è inteso esprimere; una frase che sottende l’immaginaria superiorità del suo autore e denota al contempo la massima repulsione verso le persone omossessuali con accostamenti pesantemente negativi, conditi con espressioni di arrogante disprezzo e ingiustificata asprezza. Né può convenirsi con quanto sostenuto dalla Corte territoriale, secondo cui l’espressione di cui trattasi assumerebbe valenza discriminatoria solo se indirizzata ad una persona di cui sia noto l’orientamento omosessuale; al contrario, essa costituisce oggettivamente riflesso di un’avversione irrazionale basata su rozzi pregiudizi che prescindono dalla dimensione putativa circa le reali attitudini sessuali della persona fatta oggetto dell’insulto omofobo. In tale quadro, il reclamo in esame sollecita la Corte al dovere di sanzionare, in misura effettiva, proporzionata e dissuasiva, condotte d’odio particolarmente lesive di diritti fondamentali, miranti a colpire velenosamente la sfera personale dell’avversario, indipendentemente dalla natura etero o omosessuale di questi. Quanto sopra annotato concorre ad iscrivere il comportamento discriminatorio di omofobia nell’ambito di condotte lesive della dignità umana, che costituisce un valore appartenente alla sfera dei diritti inviolabili. Ciò connota la condotta agita di particolare gravità, che non può essere derubricata a illecito antisportivo e nemmeno attenuata da asserite provocazioni del calciatore avversario. Come sopra evidenziato non è dubbio che il …ha apostrofato il suo avversario con l’epiteto omofobo “gay di merda”, dal palese intento denigratorio. Tanto è sufficiente a giudicare integrato il comportamento discriminatorio riconducibile alla fattispecie di illecito disciplinare di cui all’art. 28, comma 1, C.G.S. e a rendere applicabile la sanzione inflitta dal Giudice sportivo della squalifica nella misura minima edittale di dieci giorni di gara, ai sensi del secondo comma della stessa norma, anche a prescindere dall’ulteriore insulto a sfondo razziale in ragione del colore della pelle. In conclusione, tenuto conto della natura e della gravità dei fatti, per la violazione di cui all’art. 28, 1° co., C.G.S. (Comportamenti discriminatori), alla luce della sanzione prevista dal comma 2 dello stesso articolo per il calciatore che commetta una violazione di cui al comma 1, si ritiene giusta e proporzionata la sanzione minima edittale della squalifica per 10 (dieci) giornate di gara.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 0217/TFN - SD del 5 Giugno 2025  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza: V.M.J.K. e Calcio Padova Spa - Reg. Prot. 207/TFN-SD

Massima: A seguito di patteggiamento ex art. 127 CGS applicata l’ammenda di € 2.000,00 al calciatore professionista per la violazione dell’art. 4 comma 1 del C.G.S., sia in via autonoma che in relazione all’art. 23 del C.G.S., per aver costui in data 25.04.2025, durante i festeggiamenti seguiti alla vittoria da parte del Calcio Padova S.p.A. del Campionato di Serie C girone A della corrente stagione sportiva con conseguente promozione dello stesso in serie B, impugnato un megafono e intonato a gran voce, verso i tifosi festanti, un coro dal contenuto ingiurioso e offensivo verso la persona di altro tesserato, il calciatore del L.R. Vicenza S.p.A. sig. …. (in passato tesserato per il Calcio Padova S.p.A.) e quale segnatamente: <R. UOMO DI MERDA>(dal minuto 00.00.01 al minuto 00.00.22 della registrazione audio/video in atti) Ammenda di € 1.000,00 alla società a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. art. 6 comma 1 e dell'art. 23 comma 5 del C.G.S.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 0207/TFN - SD del 19 Maggio 2025  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza:  -  R.B. e SSD a RL Aquila Montevarchi 1902- Reg. Prot. 190/TFN-SD

Massima: Mesi 1 di squalifica all’allenatore con qualifica UEFA B responsabile tecnico del settore giovanile e primo allenatore della categoria scuola primi Calci per A) la violazione dell’art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, sia in via autonoma che in relazione a quanto previsto e disposto dall’art. 37, commi 1 e 2, del Regolamento del Settore Tecnico, per avere lo stesso, al termine della gara Aquila Montevarchi - Ostia Mare del 14 dicembre 2024 di campionato Nazionale Juniores Under 19, nonostante non fosse inserito nella distinta di gara, posto in essere un’abusiva intrusione nello spogliatoio degli arbitri; B) la violazione dell’art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, sia in via autonoma che in relazione a quanto previsto e disposto dall’art. 37, commi 1 e 2, del Regolamento del Settore Tecnico, per avere lo stesso, al termine della gara Aquila Montevarchi - Ostia Mare del 14 dicembre 2024 di campionato Nazionale Juniores Under 19, proferito espressioni irriguardose e intimidatorie nei confronti degli arbitri, invitandoli ad omettere del tutto di scrivere e segnalare le condotte aggressive poste in essere dai calciatori e tesserati del Montevarchi ed aver urlato nello spogliatoio degli arbitri le seguenti frasi: “Ora non ci buttate fuori tutti, alla fine sono ragazzi possono sbagliare”. “Non fate ora i fenomeni a scrivere le cose”…. Quanto alla sanzione da irrogare, da ultimo, si ricorda che, “onde poter svolgere la funzione propria di prevenzione sociale e generale in ordine alla reiterazione della condotta illecita”, la stessa deve rispondere ai canoni di afflittività, proporzionalità e ragionevolezza richiesti dall’art. 44, comma 5, CGS ampiamente e diffusamente esplicitati da CFA - S.U. n. 110-2022/2023 e che per tale ragione deve essere “necessariamente proporzionale al disvalore sociale della condotta, rispetto alla quale deve avere un adeguato effetto dissuasivo.” In applicazione dell’anzidetto principio, sanzione congrua da comminare al sig. …, all’epoca dei fatti allenatore con qualifica UEFA B, responsabile tecnico del settore giovanile e primo allenatore della categoria scuola primi Calci tesserato per la società Aquila Montevarchi 1902 S.S.D. A R.L., è quella di mesi 1 (uno) di squalifica. Prosciolta la società per il principio del ne bis in idem essendo stata già sanzionata con la decisione n.101/CSA-2024-2025 a titolo di responsabilità oggettiva per entrambi i fatti di cui ai due capi d’incolpazione, inizialmente ascritti ad un soggetto non identificato, ma che in sede di reclamo la società indicava nell’allenatore odierno deferito… Ed invero, come affermato dalle S.U. della CFA con la decisione n. 30/2024-2025,  “ Qualora la responsabilità oggettiva della società sportiva, ai sensi dell’art. 6 CGS, sia già stata affermata e quest’ultima sia già stata sanzionata dalla Corte sportiva d’appello in relazione ai medesimi fatti e anche con riguardo alla specifica condotta di un tesserato, per la quale vi sia stato, poi, un supplemento di indagine, nel caso in cui quest’ultimo sia poi autonomamente assoggettato a sanzione, non può irrogarsi un’ulteriore sanzione alla società sportiva, ostandovi il principio del ne bis in idem. Tale principio, difatti, rappresenta una articolazione specifica del diritto di difesa e dei principi del giusto processo che - a norma dell’art. 44, comma 1, CGS - valgono anche per il processo sportivo (CFA, Sez. I, n. 134/2023-2024).”

Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0103/CFA del 9 Maggio 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Umbria di cui al Com. Uff. n. 178 del 27 marzo 2025

Impugnazione – istanza: PFI/POL. D. AMC98

Massima: Accolto il reclamo della Procura Federale e per l’effetto riformata la decisione del Tribunale con conseguente irrogazione della sanzione dell’ammenda di € 600,00 alla società a titolo di responsabilità oggettiva per la violazione ascritta al proprio calciatore di cui all’art. 4, comma 1, e dell’art. 38 del Codice di Giustizia Sportiva, per avere, nel corso della gara con la società Clitunno - disputata il 20.10.2024 e valevole per il girone B del campionato di Promozione del Comitato Regione Umbria -, colpito con un pugno al volto il calciatore avversario provocandogli una frattura nasale con lesione dell’orbita oculare e costringendolo al trasporto in ambulanza presso il Policlinico di Terni, con necessità di sottoposizione ad intervento chirurgico…In linea di principio, l’esercizio dei poteri disciplinari, per quanto concerne la specie e la misura delle sanzioni, è regolato dall’art. 12 CGS. Sul piano applicativo, la giurisprudenza federale è costante nell’affermare che la sanzione deve svolgere la funzione propria di prevenzione speciale e generale in ordine alla reiterazione della condotta illecita, deve necessariamente essere proporzionale al disvalore sociale della condotta, rispetto alla quale deve avere un adeguato effetto dissuasivo, e deve essere suscettibile anche di una valutazione di natura equitativa (da ultimo: Corte federale d’appello, Sez. I, n. 57, n. 61 e n. 90/2024-2025). Queste regole sono di semplice applicazione nell’ipotesi di responsabilità diretta dell’incolpato. Sono invece meno agevolmente praticabili là dove, come nel caso di specie, venga in questione la speciale responsabilità prevista dall’art. 6, comma 2, CGS: responsabilità indiretta, presunta, oggettiva o di posizione, a seconda delle ricostruzioni della disciplina, ma comunque responsabilità per fatto altrui, fondata sul cd. principio di precauzione. Questo - si è detto - impone alle società calcistiche di adottare le misure idonee, prima che a sanzionare, a evitare la possibilità della commissione di fatti reputati illeciti dall’ordinamento sportivo e, in tale prospettiva, le onera di scegliere con accortezza i propri tesserati, al fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi (per tutte: Corte federale d’appello, Sez. I, n. 90/2019-2020; Corte federale d’appello, Sez. I, n. 77/2021-2022). Peraltro, secondo una copiosa giurisprudenza, il giudice federale non deve automaticamente trasporre nei confronti della società indirettamente responsabile il giudizio di disvalore formulato nei confronti del singolo; e questo soprattutto in fattispecie dove va escluso ogni coinvolgimento nella materiale causalità dell’accaduto, non essendo in alcun modo materialmente riferibile alla stessa società il fatto rimproverato, e in cui anzi la società di appartenenza, oltre a non conseguire alcun vantaggio, è risultata in definitiva danneggiata, sotto molteplici profili, dalla condotta posta in essere dal proprio tesserato (Corte d’appello federale n. 12/2002-2003; Corte d’appello federale, n. 7/2004-2005; Corte d’appello federale n. 10/2004-2005; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 264/2008-2009; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 140/2009-2010; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 43/2011-2012; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 56/2011-2012; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 61/2011-2012; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 64/2011-2012; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 25/2012-2013; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 33/20122013; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 68/2012-2013; Corte federale d’appello, Sez. I, n. 90/2019-2020; Corte federale d’appello, Sez. I, n. 114/2019-2020; Corte federale d’appello, Sez. I, n. 77/2021-2022). Sembra, in definitiva, che in casi del genere si accentui la natura equitativa del giudizio sportivo (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 80/2022-2023). Questo indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, non appare riferibile alla vicenda controversa. Al riguardo, la Procura federale è nel giusto quando sottolinea la gravità dell’illecito commesso dal signor …: una condotta violenta, estranea all’azione di gioco, che ha costretto la vittima a un ricovero in ospedale e a un intervento chirurgico per una frattura nasale con lesione dell'orbita oculare. Il disvalore del fatto e il suo radicale contrasto con i più elementari principi di correttezza e lealtà sportiva appaiono evidenti e non vengono meno per la circostanza che l’aggressione sia sfuggita all’arbitro dell’incontro e quindi alla competenza del giudice sportivo, che verosimilmente - secondo la decisione impugnata - non avrebbe sanzionato la società. La circostanza è puramente casuale ed estrinseca e non può trasformarsi in una attenuante non prevista dall’art. 7 CGS. Quelli ricordati sono principi il cui rispetto, evidentemente, la società non è riuscita a trasmettere al proprio atleta, dal quale neppure ha mai preso le distanze, cosicché nella fattispecie si configura anche un sia pur indiretto profilo di rimproverabilità soggettiva dell’addebito. Trova dunque piena operatività quel principio di precauzione, declinato nell’accezione sopra riferita, nel quale si scorge la ragione giustificativa della responsabilità delle società calcistiche per i fatti illeciti dei propri tesserati. Nessun rilievo, dunque, è di ostacolo alla piena applicazione dell’art. 12 CGS, là dove indica il criterio cardine per la scelta della tipologia e della misura della sanzione “[n]ella natura e [n]ella gravità dei fatti commessi".

Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0101/CFA del 5 Maggio 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato Provinciale Autonomo di Bolzano n. 54 del 21 marzo 2025

Impugnazione – istanza: PFI-Sig. C.F.- A.S.D. Olimpia Merano-sig. N.J.-U.S.D. Laghetti Raiffeisen

Massima: Accolto il reclamo della Procura Federale e per l’effetto riformata la decisione di proscioglimento con conseguente irrogazione della sanzione di 15 giornate di squalifica a carico del calciatore per la violazione della violazione degli artt. 4, comma 1, e 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, in occasione della stessa gara, rivolto le seguenti espressioni al sig. … calciatore tesserato per la società A.S.D. Olimpia Merano: “sei scarso”, “sei un coglione”, “capisci l’italiano quando ti parlo”, “testa di cazzo”, “hai il permesso di soggiorno. Inflitta anche l’ammenda di € 1.000,00 alla società… Come è noto, tra i principi fondamentali previsti dall’art. 2 dello Statuto della FIGC, al quinto comma, è declinato quello di non discriminazione, secondo cui «La FIGC promuove l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza». Trattasi di disposizione avente finalità di ordine programmatico, che trova una compiuta realizzazione nell’art. 28 del Codice di giustizia sportiva, il quale così dispone: «Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori». In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo evidenziato come la disposizione sia volta a reprimere comportamenti che determinino una compromissione della personalità dell’uomo come singolo e come soggetto di comunità e ledano il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica. (cfr. CFA, SS.UU., n. 105/2020-2021). Ne consegue – in coerenza, del resto, con quanto specificamente previsto nell’ordinamento sportivo internazionale – che il discrimine tra la mera espressione offensiva o ingiuriosa, sanzionabile ai sensi dell’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva, e la condotta discriminatoria, sanzionabile invece ai sensi dell’articolo 28, comma 1, del Codice stesso, risiede nel fatto che la fattispecie della discriminazione è integrata allorchè l’espressione offensiva o ingiuriosa mira specificamente a ledere il decoro, la dignità o l’onore della persona o del gruppo cui è indirizzata in ragione della loro diversità per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine anche etnica, di condizione personale o sociale. Tanto precisato, riesce veramente arduo comprendere, a giudizio di questa Corte, come il Tribunale territoriale possa non aver colto già in prima battuta il carattere inconfondibilmente discriminatorio e razzistico delle espressioni pronunciate dal sig. …, con evidente riferimento alla nazionalità di origine del …, alla messa in dubbio della capacità di questi di comprendere l’idioma del Paese in cui vive e pratica attività sportiva nonché della regolarità della sua permanenza in Italia…Il Tribunale si è limitato a ritenere, in modo del tutto apodittico:” Le parole proferite sono, senza dubbio, del contenuto offensivo e ingiurioso. Secondo il Tribunale, le parole proferite, seppur offensive e dispregiative, non possono considerarsi espressioni discriminatorie per motivi di nazionalità, di origine etnica e di condizione personale o sociale della persona offesa.”. In tal modo, tra l’altro, il Tribunale ha derogato vistosamente al principio secondo cui la decisione del giudice sportivo deve essere motivata ai sensi dell’art. 44, comma 3, del Codice di giustizia sportiva, dell’art. 2, comma 4, del CGS CONI e, in via generale dell’art. 111 della Costituzione. L’indispensabilità della motivazione è stata ribadita dalle Sezioni Unite del Collegio di garanzia dello sport (Sezioni Unite, n. 17/2019) che hanno evidenziato che tale obbligo – sancito dalla Costituzione all’art. 111 e riconosciuto altresì a livello sovranazionale, dovendosi ritenere ricompreso nei principi enunciati dall’art. 6 CEDU – deriva dalla funzione che la motivazione tipicamente svolge nel processo, quale strumento di controllo della decisione nelle fasi di impugnazione a garanzia del diritto di difesa delle parti, nonché́ quale strumento che consente al giudice dell’impugnazione di sindacare compiutamente il provvedimento giurisdizionale oggetto di gravame. L’obbligo di motivazione ha quindi funzione di garanzia e di trasparenza della giustizia sportiva dinanzi ai cittadini, siano essi tesserati, affiliati ovvero istituzioni; in tal senso la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è espressione della coerenza dell’ordinamento della giustizia sportiva con i principi generali dello Stato di diritto (ex multis: CFA, SS.UU., n. 16/2024-2025). Da quanto esposto consegue chiaramente, a giudizio di questa Corte, da un lato che il sig. … va sanzionato per la grave violazione dell’art. 28 del Codice di giustizia sportiva da lui volontariamente posta in essere; dall’altro che la sanzione minima edittale (dieci giornate di squalifica) prevista dal citato articolo e in concreto richiesta dalla Procura non appare adeguatamente afflittiva, in relazione appunto alla inciviltà inescusabile del comportamento di stampo razzistico tenuto dal deferito. Come ormai del tutto acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, l’art. 12 del Codice di giustizia sportiva affida agli organi di giustizia sportiva il potere discrezionale di stabilire la specie e la misura delle sanzioni disciplinari, tenendo conto della natura e della gravità dei fatti commessi e valutate le circostanze aggravanti e attenuanti nonché la eventuale recidiva. Ne deriva che il giudice sportivo può modulare l’afflittività delle sanzioni in base alla gravità dei fatti per adeguare la misura sanzionatoria al disvalore della condotta, rispetto alla quale la pena deve avere un adeguato effetto dissuasivo. Nell’esercizio di tale potere il giudicante, nel determinare la sanzione da comminare per la violazione accertata, non è vincolato alle richieste formulate dalla Procura federale e può infliggere anche sanzioni disciplinari più gravi, per specie e misura, di quella prospettata dalla Procura, purché beninteso la pena concretamente applicata sia rispettosa dei limiti fissati dalle norme federali. (cfr. per tutte CFA, SS.UU. n.92/2024-2025). In applicazione di tali criteri, la Corte reputa equo sanzionare il signor … con la squalifica per 15 giornate, da scontare nel campionato di competenza. Per quanto riguarda poi la sanzione (ammenda di euro 300) irrogata alla USD Laghetti Raiffeisen per acclarata responsabilità oggettiva la Procura ne evidenzia in generale il carattere non afflittivo….Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte “In particolare, l’impiego della congiunzione ‘e’ fra la locuzione ‘ ammissione di responsabilità’ e ‘collaborazione’ implica che i due requisiti richiesti per la riduzione della sanzione debbano essere presenti congiuntamente, quindi che all’ammissione delle proprie responsabilità debba aggiungersi una collaborazione, concetto diverso da quello di confessione, che implica quantomeno un aiuto agli organi inquirenti nell’accertamento delle responsabilità e quindi un contributo diverso ed ulteriore dalla semplice ammissione di responsabilità volto all’accertamento - cioè alla precisazione ed alla individuazione delle responsabilità - di violazioni già note.” (cfr.  CFA, Sez. I, n. 15/2022-2023).Ugualmente fondato è il reclamo là dove si sostiene che la riduzione della sanzione può operare su proposta della Procura federale, così significando che soltanto l’Organo inquirente è in condizione di valutare la bontà ed efficacia della collaborazione prestata. La norma, quindi, non può trovare applicazione nel caso in esame, dovendosi escludere che la Procura federale abbia proposto alcuna riduzione della sanzione. Da quanto esposto consegue che alla USD Laghetti Raiffeisen va irrogata una ammenda pari a euro 1000, come richiesto dalla Procura.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 0177/TFN - SD del 1 Aprile 2025  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza:  -  SV Terenten - Reg. Prot. 254/TFN-SD

Massima: A seguito della revoca dell’accordo ex art. 127 CGS per il mancato pagamento dell’ammenda di € 300,00 nel termine di 30 giorni dalla sua pubblicazione la società è sanzionata a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva con l’ammenda di € 600,00 per la violazione ascritta al proprio tesserato di cui all’art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, per avere, dopo la dichiarazione di impraticabilità del campo causata dalla presenza di ghiaccio sul terreno di gioco, in occasione della gara di Campionato U15 Provinciale, girone B, Terenten – Colle Casies del 18/11/2023, intimidito il Direttore di gara, sig. …, delegittimandone l’operato, richiedendo, altresì, il supporto del sig. …, Consigliere del Consiglio Direttivo del Comitato Provinciale Autonomo di Bolzano LND, e, insieme ai presenti, l’accerchiava per obbligarla a disputare comunque la partita, fino al punto da costringerla, nonostante i ripetuti inviti a stargli lontano, a rifugiarsi nello spogliatoio e a chiudersi in bagno, dove, poi, sentendosi braccata e intimorita dalla mancanza di vie di fuga, chiamava il numero di emergenza 112”.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 0169/TFN - SD del 25 Marzo 2025  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza:  – ASD Cassino Calcio 1924 - Reg. Prot. 170/TFN-SD

Massima: A seguito del mancato adempimento dell’accordo ex art. 127 CGS la società è sanzionata a titolo di responsabilità diretta, ex artt. 6, comma 1, e 23, comma 5, del C.G.S., con l’ammenda di € 1.000,00 per la violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., sia in via autonoma che in relazione all’art. 23 del C.G.S., ascritta al proprio presidente onorario per aver lo stesso nel corso di una intervista post gara (fruibile in streaming attraverso la pagina Facebook ufficiale della Società) concessa al termine dell’incontro CASSINO CALCIO 1924 vs SASSARI CALCIO LATTE DOLCE - disputato in data 18/02/2024, valevole per la 23^ giornata del campionato di SERIE D Girone G della stagione sportiva in corso e terminato con il risultato di 0 -1 - espresso giudizi lesivi del prestigio e della reputazione propri, sia, degli ufficiali di gara che ebbero a dirigere l’incontro de quo (Arbitro …, Ass.ti …) sia, per l’effetto e più in generale, dell’istituzione arbitrale nel suo complesso intesa..“un arbitraggio così io non l’ho mai visto un arbitraggio così scarso però non penso sono scarsi perché se stanno veramente a questi livelli allora ci dobbiamo preoccupare. Io penso che c’è stata soprattutto una malafede di questa terna perché veramente erano irritanti. (…) gli avversari non sono mai stati ammoniti questo è vergognoso però non penso che sia così scarso questo è malafede, malafede. Ci faremo sentire in Lega però non serve a niente perché comandano loro (...omissis)” …Tali espressioni esaminate sono state ritenute inopportune e travalicanti il legittimo esercizio del diritto di critica e dunque hanno arrecato offesa al prestigio e alla onorabilità propri, sia, degli ufficiali di gara che ebbero a dirigere l’incontro de quo sia, per l’effetto alla AIA e alla FIGC che garantiscono a livello nazionale l’osservanza dei valori di rettitudine, probità e correttezza. Non solo, si è necessariamente tenuto conto anche della modalità di diffusione estesa ed immediata delle parole utilizzate dal sig. …., mediante audio/video fruibili in diretta streaming attraverso il social media Facebook ad una pletora di utenti e rispetto le quali il diretto interessato non ha provveduto a pubblicare rettifiche o smentite.

Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0099/CFA del 14 Aprile 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale – Sezione disciplinare n. 0156/TFNSD-2024-2025 del 03.03.2025

Impugnazione – istanza: Sig. G.R./PF

Massima: Confermata la decisione del Tribunale che ha sanzionato con mesi 6 di squalifica l’allenatore per la violazione  dell’art. 4, comma 1, CGS in tema di lealtà, correttezza e probità nei rapporti comunque riferibili all’attività sportiva; dell’art. 37 CGS per l’utilizzo plurimo di espressioni blasfeme; dell’art. 39, comma 2, CGS, per la commissione di condotte gravemente antisportive; dell’art. 37, commi 1 e 2, Regolamento del Settore tecnico per non avere dato esempio di disciplina e correttezza sportiva ai calciatori dallo stesso allenati. Nello specifico, al Sig. R… veniva contestato, in data 10 marzo 2024 ed in occasione della gara … valevole per il campionato provinciale Under 17, di aver posto in essere una condotta gravemente antisportiva consistita nell’aver tirato una gomitata alla parte alta del costato al sig. N.D., all'epoca dei fatti calciatore tesserato per la …., a seguito della sua sostituzione al 15' del secondo tempo ed alla sua conseguente uscita dal terreno di gioco, provocandogli dolore, nonché per avere in data 3 dicembre 2023, in occasione della gara …, invitato i propri giocatori a "spaccare le gambe agli avversari", rivolgendo frasi aggressive ad un giovane calciatore avversario, nonché per avere, in occasione della gara …, proferito delle bestemmie ad alta voce a causa dell’errata esposizione del cartello delle sostituzioni effettuata dal dirigente accompagnatore e, in occasione di altre gare, proferito delle bestemmie rivolgendosi agli occupanti della propria panchina, e per avere, in occasione degli allenamenti, preso in giro ed insultato i calciatori che allenava anche imputando loro di anteporre gli impegni scolastici agli impegni calcistici…. Appare superfluo, in questa sede, rammentare come la blasfemia – che è punita nell’ordinamento generale non in quanto manifestazione di un pensiero ma quale manifestazione pubblica di volgarità (Cass. pen., Sez. Un. 15.7.1992, n. 7979) - costituisce un illecito particolarmente riprovevole nell’ordinamento sportivo poiché è indice di mancanza di rispetto per le regole di pura e semplice educazione civile e, pertanto, a fortiori, per le regole sportive (CFA, SS.UU., n. 75/2021-2022)….In definitiva, i comportamenti tenuti dall’allenatore, sia che vengano esaminati in una prospettiva atomistica, sia che vengano esaminati in una prospettiva olistica, si pongono, in modo indubbio, in vistoso contrasto con l’art. 37, comma 2, del Regolamento del settore tecnico - secondo cui, come detto, i tecnici devono essere esempio di disciplina e correttezza sportiva - e come particolarmente diseducativi nei confronti dei giovani calciatore, nei cui confronti l’attività sportiva – com’è evidente - ha un importante ruolo formativo ed educativo (CFA, Sez. IV, n. 66/2019-2020). Al riguardo ritiene doveroso il Collegio di ribadire quanto già ritenuto con decisione CFA, SS.UU., n. 92/2024-2025: l’art. 33 della Costituzione, all’ultimo comma aggiunto con la legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1, ha sancito il principio secondo cui “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività̀ sportiva in tutte le sue forme”. La norma riflette i contenuti di dispositivi qualificati a livello sovranazionale, specialmente con riferimento ai minori, ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini. E’ stato al riguardo anche sottolineato che il valore “educativo” dello sport giustifica la collocazione della nuova disposizione in seno all’art. 33 Cost. Si è voluto, in sostanza, affermare lo stretto collegamento tra scuola, università e sport. Infatti, è indubbio che lo sport contribuisce alla diffusione dei valori della solidarietà, della lealtà, del rispetto della persona e delle regole. Tale novella costituzionale, pertanto, autorizza una lettura ermeneutica dell’attività sportiva non solo come valore in sé, ma soprattutto come veicolo di valori, quale strumento di inclusione sociale e di promozione del pieno sviluppo della persona umana, specie con riguardo al suo benessere psico-fisico. Nella stessa prospettiva si pongono le disposizioni di cui all’art. 16 del d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39, aventi la finalità di promuovere, nel mondo dello sport, la parità di genere tra uomo e donna, la tutela dei minori e il contrasto effettivo ed efficace a ogni forma di violenza di genere e di discriminazione, attraverso l’adozione di misure di prevenzione e presidi di controllo c.d. di “safeguarding”. In particolare, si prevede che le Federazioni sportive nazionali debbano redigere le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. Inoltre, si dispone che le associazioni e le società sportive dilettantistiche e le società sportive professionistiche debbano predisporre e adottare modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva nonché codici di condotta conformi alle linee guida. In esecuzione di tale dispositivo, la F.I.G.C., con C.U. n. 87/A del 31 agosto 2023, ha adottato le pertinenti linee guida, al fine di assicurare l’effettività dei diritti dei tesserati e le relative tutele, con particolare riguardo alla tutela dei minori. In tale quadro normativo “tutti i tesserati hanno il diritto di svolgere l’attività sportiva in un ambiente consono e degno, nonché rispettoso dei diritti della personalità e della salute e che chiunque partecipi con qualsiasi funzione o titolo all’attività sportiva è tenuto a rispettare tali diritti dei tesserati” (si veda anche CFA, SS. UU, n. 57/2024-2025). Alla luce delle esposte considerazioni, pertanto, la sanzione comminata in primo grado appare conforme all’art. 12 del Codice di giustizia sportiva che impone di modulare l’afflittività della sanzione in base alla gravità dei fatti (CFA, SS.UU., n. 22/2023-2024) affinché essa svolga la funzione propria di prevenzione speciale e generale in ordine alla reiterazione della condotta illecita.

Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezione Seconda - Decisione n. 3 del 15/01/2025

Decisione impugnata: Decisione della Corte Federale di Appello FIGC, Sezioni Unite, n. 0044/CFA- 2023-2024 del 9 ottobre 2023, comunicata, quanto al dispositivo, il 3 ottobre 2023 (Registro procedimenti n. 0036/CFA/2022-2023), con cui è stato respinto il reclamo promosso dal suddetto ricorrente e, per l’effetto, confermata la decisione del Tribunale Federale Nazionale FIGC, Sezione Disciplinare, n. 0051/TFNSD-2023-2024 del 15 settembre 2023, che aveva irrogato, a carico del sig. [omissis], la sanzione della squalifica per due mesi, a decorrere dall’inizio del campionato di competenza.

Impugnazione Istanza: OMISSIS / Federazione Italiana Giuoco Calcio / Procura Federale della FIGC / Procura Generale dello Sport presso il CONI

Massima: Rigettato il ricorso avverso la squalifica per mesi 2 inflitta dalla CFA a decorrere dall’inizio del campionato di competenza, per «violazione dell’art. 4, comma 1, del Codice di giustizia sportiva in relazione all’art. 38 del CGS per avere lo stesso, in occasione della gara Campodarsego – Cjarlins Muzane, valevole per il Campionato di Serie D, Girone C, disputatasi in data 19 marzo 2023, tenuto un comportamento ripetutamente violento nei confronti del Sig. [omissis], calciatore della squadra avversaria, dapprima colpendolo volontariamente al viso con il gomito sinistro al 29’ del primo tempo, successivamente, colpendolo ancora una volta volontariamente al viso con il gomito del braccio destro al 43’ del secondo tempo, causando allo stesso un trauma cranio-facciale con frattura ossa nasalicon prognosi di giorni 30»…. Non coglie, infatti, nel segno la deduzione di parte secondo cui il Tribunale … [e] la Corte non hanno operato alcuna preliminare valutazione circa l’attendibilità e la provenienza dei video posti … alla base delle decisioni adottate, essendo peraltro del tutto infondato, altresì, il richiamo ad una presunta confessione da parte del reclamante, che non emerge dagli atti di causa”. Giacché, all’opposto, l’affermazione di responsabilità del sig. [omissis], per come operata dal Tribunale e confermata dalla Corte, emerge (non già esclusivamente dalla contestata prova televisiva, bensì) anche – non tanto dalla opinabile “confessione” del sig. [omissis], che effettivamente è stata assai renitente e perciò ben poco conferente, quanto piuttosto – dalle testimonianze assunte nell’istruttoria svolta dalla Procura Federale e puntualmente richiamate nella decisione di primo grado: e in particolare dalla deposizione arbitrale, che ha apertamente dato conto di non aver visto le due gomitate in faccia e di cosa avrebbe fatto se le avesse viste; nonché dall’integrazione di essa con le ulteriori testimonianze assunte, non esclusa quella della vittima (che in sede disciplinare sportiva, così come anche in sede penale, non è avvinta dall’inammissibilità che inficia la testimonianza della parte nel processo civile). Si legge, in effetti, nella motivazione della squalifica inflitta in prime cure (e poi confermata in appello) che è pacifico dagli atti di causa, in quanto confermato dai vari testimoni sentiti … che il Sig. [omissis] ”; e che, del resto, lo stesso direttore della gara …, sentito dalla Procura, … ha espressamente affermato: “se avessi visto il gesto” … (l’arbitro ha detto che in tal caso lo avrebbe espulso, con distinto riferimento a ciascuno degli episodi contestati). Sicché, nel caso di specie, non potrebbe certamente dubitarsi che la piena garanzia tecnica e documentale” delle immagini, che è richiesta dall’art. 61.5 CGS, sia stata adeguatamente verificata – diversamente da quanto si vorrebbe assumere con il motivo di ricorso in trattazione, per quanto esso possa essere considerato ammissibile – mediante il riscontro (e l’incrocio) di tali immagini con le ulteriori risultanze istruttorie costituite dalle varie deposizioni testimoniali assunte dalla Procura Federale nel corso dell’ampia indagine svolta.

Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0082/CFA del 22 Gennaio 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale regionale presso il C.R. Toscana, di cui al Com. Uff. n. 42 del 12.12.2024

Impugnazione – istanza: PFI/A.S.D. Barberino Tavarnelle-Sig. N.M.

Massima: Accolto il reclamo della Procura Federale e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata che aveva dichiarato improcedibile il deferimento, irrogata la squalifica di 10 giornate di gara al calciatore per la violazione degli artt. 4, comma 1, e dell’art. 28, comma 1, CGS per aver al termine dell’incontro apostrofato un calciatore della squadra avversaria con un insulto di stampo apertamente razzistico e l’ammenda di 1.000,00 alla società a titolo di responsabilità oggettiva…In proposito, si rileva in diritto che, come precisato dalla Corte di Cassazione, la dichiarazione di un solo teste ben può̀ essere posta a base di una sentenza di condanna se scrupolosamente vagliata sotto ogni profilo. E tanto vale finanche nell'ipotesi in cui l'accusa provenga da chi è portatore di un chiaro interesse contrastante con lo stesso accusato, precisando la Suprema Corte: "In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa, la cui deposizione, pur se non può̀ essere equiparata a quella del testimone estraneo, può̀ tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità̀ oggettiva e soggettiva (cfr. CFA, Sez. I, n. 52/20222023). Nel caso all’esame le dichiarazioni rese dal giocatore sono appunto credibili in primo luogo perché la frase razzistica da lui attribuita all’avversario n. 10 coincide perfettamente con quella udita dall’arbitro. Inoltre l’insulto si inserisce in modo purtroppo logico nella dinamica concitata dell’alterco come rappresentata dall’arbitro, dal F.M. e dagli altri testimoni, laddove invece la differente versione proposta dal … (il quale afferma di aver soltanto detto: “E’ stato il ragazzo nero”) appare del tutto incongrua rispetto al contesto e alla sequenza cronologica degli eventi. Infine, come risulta dalla deposizione dello stesso F.M. nonché da altre testimonianze raccolte dalla Procura, a seguito dell’intervento dei Carabinieri della locale stazione il sig. … – posto a confronto informale con F.M. – si è scusato per quanto detto in precedenza, ponendo così in essere un comportamento concludente in senso confessorio. Non si comprende infatti perché l’incolpato dovesse di sua spontanea volontà scusarsi pubblicamente e in presenza dei Carabinieri ove avesse veramente proferito una frase del tutto generica e innocua quale quella sopra riportata. Tanto chiarito in fatto, si rammenta in diritto che il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare sportivo si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio o alla certezza assoluta della commissione dell’illecito. Come è stato infatti chiarito “Le affinità tra il giudizio disciplinare sportivo e quello penale non possono spingersi fino a costruire un meccanismo probatorio così rigoroso, nel primo caso, da dover concludere, nel dubbio, in favore del reo, ovverosia del soggetto nei cui confronti è richiesta l’applicazione di misure di carattere disciplinare. La diversa connotazione dell’ordinamento sportivo consente margini più ampi alla valutazione dei mezzi di prova e al libero convincimento del giudice, nei limiti, per quest’ultimo, della coerenza e ragionevolezza argomentative e dell’adeguata aderenza ai fatti. Se ne desume che possono essere fatti valere, nel processo sportivo, elementi specifici a fini probatori, assimilabili alla logica – fatta propria dal processo civile e da quello amministrativo – del “più probabile che non”, rispetto a cui il giudizio può essere integrato da dati di comune esperienza» (cfr. per tutte CFA, Sez. Unite, n. 14/2023-2024). Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il reclamo va quindi accolto con riforma della decisione impugnata e irrogazione al sig. Niccolò Marini della sanzione minima prevista dall’art. 28, comma 2, CGS a carico dei calciatori che si rendono effettivamente colpevoli di comportamenti razzistici o discriminatori.

Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0075/CFA del 27 Dicembre 2024 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Veneto, pubblicata con il Comunicato Ufficiale n. 49 del 20 novembre 2024

Impugnazione – istanza: P.G.S. Concordia-Sig.ra C.L. -PFI

Massima: Accolto il reclamo della Procura Federale avverso la decisione del TFT che aveva prosciolto la calciatrice dalla violazione dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere la stessa, negli ultimi minuti del terzo tempo regolamentare della gara proferito all’indirizzo della calciatrice avversaria la seguente testuale espressione: “stai zitta negra di merda” perché “le dichiarazioni della persona offesa, non completamente sovrapponibili a quelle dell’unica presunta teste diretta, sig.ra …., non permettono di affermare con ragionevole certezza la responsabilità della calciatrice sig.ra …, che si è sempre dichiarata estranea ai fatti, considerato inoltre che tutte le altre prove richiamate dalla Procura federale sono al più relative a dichiarazioni de relato, compresa quella del Direttore di gara” e per l’effetto inflitta alla calciatrice la squalifica di 10 giornate effettive di gara ed alla società, l’ammenda di € 1.000,00 a titolo di responsabilità oggettiva…Il Collegio, ai fini del decidere – in via preliminare - ritiene opportuno richiamare i criteri ai quali intende attenersi per dichiarare la responsabilità del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva, e in particolare enunciare lo standard probatorio elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte federale d’appello secondo cui – com’è noto - il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare a un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (come invece è previsto nel processo penale), nel senso che è necessario e sufficiente acquisire - sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti - una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (tra le più recenti CFA, SS.UU. n. 2/2023-2024; Sez. I, n. 24/2022-203; Sez. IV, n. 18/2022-2023; CFA, Sez. I, n. 87/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 81/2021-2022; CFA, sez. I, n. 76/2021- 2022; CFA, Sez. III, n. 68/2021-2022; CFA, SS.UU., n. 35/2021-2022; dettagliatamente, CFA, SS. UU., n. 105/2020-2021 e CFA, Sez. I, n. 87/2023-2024). Applicando questi criteri di giudizio, il Collegio ritiene che il complesso di elementi fattuali e logici che integrano il quadro probatorio acquisito in atti, deponga contro il giudizio assolutorio della calciatrice … così come motivato dal giudice di prime cure. Innanzitutto, le dichiarazioni della calciatrice destinataria dell’episodio oggetto di accertamento, come sostiene la Procura, danno conto con chiarezza e dovizia di particolari dell’espressione a sfondo razziale pronunciata al suo indirizzo, nonché dell’autrice del gesto e delle circostanze di tempo e di luogo in cui l’evento si è verificato. Inoltre, la ricostruzione dell’episodio ha trovato puntuale riscontro nelle dichiarazioni della calciatrice ….., all’epoca dei fatti tesserata per la società A.S.D. Pro Venezia che, in sede di propria audizione da parte della Procura federale dell’11.7.2024, ha confermato “di aver udito personalmente la frase proferita dalla calciatrice avversaria sig.ra …. all’indirizzo della propria compagna di squadra, in quanto si trovava nelle immediate vicinanze della stessa e, al termine della partita, di aver riferito quanto accaduto all’arbitro””. Le dichiarazioni rese dalle due calciatrici, pertanto, sono univoche e perfettamente sovrapponibili sia in ordine all’individuazione temporale del momento nel quale si è verificato l’episodio oggetto di accertamento (“verso la fine della gara”), precisamente negli ultimi minuti del secondo tempo regolamentare della gara Pro Venezia – Concordia del 26.5.2024, sia circa l’identità di colei che ha pronunciato l’espressione disciplinarmente rilevante, identificata nella calciatrice n. 17 schierata nelle fila della squadra ospite. Non solo, ma ci sono ulteriori testimonianze de relato che sono state acquisite in atti dalla Procura e che, quantunque non riportino precisamente il tenore dell’ingiuria, appaiono attendibili, soprattutto perché provengono anche dai dirigenti della squadra della calciatrice offesa che, proprio per aver reagito in maniera aggressiva e verbalmente violenta, sono stati sanzionati dagli organi sportivi. I disordini che si sono verificati a fine partita sono infatti presumibilmente ricollegabili al pessimo episodio di gara denunciato dalla calciatrice offesa e non è logicamente pensabile che quest’ultima potesse artatamente simulare, nel contesto di un battibecco intervenuto per un banale episodio di gioco, di essere vittima di una grave offesa a sfondo razziale e di aver reagito prontamente, unicamente per un fine emulativo preordinato.  Anche la circostanza che l’arbitro non abbia registrato l’episodio segnalatole da una calciatrice, appare ininfluente, sia perché se l’arbitro fosse stato presente avrebbe certamente rilevato e sanzionato la calciatrice responsabile della grave offesa a sfondo razziale, sia perché è intuibile che questo genere di comportamenti per quanto istintivi non si realizzano in circostanza facilmente rilevabili. In ogni caso - com’è noto - secondo la giurisprudenza di questa Corte federale d’appello (ex multis, da ultimo, CFA, Sez. I, n. 61/2024-2025) il rapporto del direttore di gara, pur facendo “piena prova” di quanto si attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale. E d’altra parte la decisione assolutoria emessa in prime cure non ha esaminato la vicenda sportiva sotto tutti i profili, sia di carattere accusatorio che di carattere defensoriale qui trattati, ma piuttosto nella forma essenziale e anodina rappresentata da un unico argomento logico fattuale, vale a dire quello della non completa sovrapponibilità delle due principali dichiarazioni accusatorie e da un mero e generico cenno alla dubbia valenza delle dichiarazioni rese de relato. Sotto tale profilo occorre sottolineare nuovamente (CFA, SS.UU., n. 16/2024-2025) che la decisione del giudice sportivo deve essere motivata ai sensi dell’art. 44, comma 3, del Codice di giustizia sportiva, dell’art. 2, comma 4, del CGS CONI e, in via generale dell’art. 111 della Costituzione. L’indispensabilità della motivazione è stata ribadita dalle Sezioni Unite del Collegio di garanzia dello sport (Sezioni Unite, n. 17/2019) che hanno evidenziato che tale obbligo – sancito dalla Costituzione all’art. 111 e riconosciuto altresì a livello sovranazionale, dovendosi ritenere ricompreso nei principi enunciati dall’art. 6 CEDU – deriva dalla funzione che la motivazione tipicamente svolge nel processo, quale strumento di controllo della decisione nelle fasi di impugnazione a garanzia del diritto di difesa delle parti, nonché́ quale strumento che consente al giudice dell’impugnazione di sindacare compiutamente il provvedimento giurisdizionale oggetto di gravame. L’obbligo di motivazione ha quindi funzione di garanzia e di trasparenza della giustizia sportiva dinanzi ai cittadini, siano essi tesserati, affiliati ovvero istituzioni; in tal senso la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è espressione della coerenza dell’ordinamento della giustizia sportiva con i principi generali dello Stato di diritto. E la decisione gravata deroga vistosamente a tali principi, compendiandosi in due brevi periodi di motivazione radicalmente inidonei a svolgere le funzioni sopra dette. Il Collegio ritiene in conclusione, che in forza di tutti gli elementi sopra evidenziati, il quadro accusatorio nei confronti della calciatrice … sia concreto, attendibile e univoco per stabilire che nella specie sussistono tutti i presupposti per riformare la decisione appellata e per l’applicazione alla suddetta calciatrice delle conseguenti sanzioni.

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