CORTE DI APPELLO DI ROMA– SENTENZA N. 2598/2023 DEL 21/07/2023

 

 

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

II SEZIONE LAVORO

 

 

La Corte, composta dai signori magistrati:

  • d.ssa Donatella Casablanca                              presidente

- d.ssa Olga Pirone                                           consigliere rel.

  • d.ssa Maria Vittoria Valente                            consigliere All’udienza del 20.6.2023 ha pronunciato la presente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 853/2021 R.G. vertente tra


Parte_1


(avv.ti prof. R. De Luca Tamajo;


Controparte_1


;      CP_2            CP_3     )


 


 

 

e                 Parte_2


 

(avv.ti S.Agostini; P.Rodella; F.Aiello)


appellante

 

 

appellato


avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del tribunale di Roma  n. 1411 del 2021, pubblicata in data 11.3.2021.

Conclusioni: come in atti.


FATTO E DIRITTO

- 1 -

Con atto di ricorso depositato in Cancelleria in data 30.3.2021 la società


 

 

 

CP_4


 

 

proponeva


tempestivo appello avverso la sentenza in oggetto con la quale il tribunale di Roma, all’esito dell’attività


istruttoria espletata, aveva accolto il ricorso proposto da


Parte_2


che in qualità di direttore


sportivo dell’odierna appellante aveva impugnato il licenziamento intimatogli dalla società per giusta causa in data 3.7.2020, ritenendolo ingiusto e lesivo dei suoi diritti.

A sostegno dell’appello la società censurava la sentenza di primo grado evidenziando in dettaglio:

  1. violazione e falsa applicazione dell’art.2119 cc. in relazione alla peculiarità del vincolo fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale; 2) contraddittorietà della sentenza per insufficiente ed erronea motivazione; 3) erronea valutazione del comportamento tenuto dal direttore sportivo, dovuta a una parcellizzazione delle condotte ascritte con la lettera di contestazione disciplinare e insufficiente esame di quella principale in ordine all’invio del whatsapp dell’11.6.2020.

Instauratosi il contraddittorio con memoria depositata il 18.2.2022    si costituiva


Parte_2


che resisteva all’appello contestando che la sentenza era corretta e condivisibile sotto ogni profilo, con la precisazione che in tal caso si versava in ipotesi di recesso anticipato per giusta causa di recesso di cui evidentemente non ricorrevano i presupposti, da tenere distinti da quelli della cd. giustificatezza e che necessitavano della verifica della sussistenza di ragioni giustificatrici particolarmente gravi considerato che il grado di apicalità delle mansioni a lui demandate quale direttore sportivo, era sicuramente inferiore


a quelle di chi era tenuto a occuparsi della fase amministrativa della squadra e dello stesso presidente. Concludeva in conformità.

Matura per la decisione allo stato degli atti, la causa veniva discussa e decisa all’udienza del

20.6.2023 mediante lettura del dispositivo.

 

- 2 -

L’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del gravame per difetto di specificità dei motivi di appello ex artt. 342 e 434 c.p.c. (applicabili per gli appelli proposti a far data dall11.9.2012) non può essere accolta.

L’appellante, infatti, non si è limitata a richiamare il contenuto degli scritti difensivi di primo grado ma ha individuato con sufficiente chiarezza, nei limiti del devoluto, le parti della sentenza gravata e non condivise, le modifiche da apportare alla stessa, le circostanze che hanno asseritamente viziato la decisione e la decisività di esse in tal senso. Al riguardo ha infatti richiamato i motivi ritenuti di per sé soli giustificativi del recesso, facendo altresì riferimento all’attività istruttoria e ai fatti complessivamente svolti e contestati al lavoratore. Giova al riguardo ricordare che, con le modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni nella legge n. 134/2012, il legislatore non ha trasformato il gravame in un atto corrispondente a un modello formale, ma ha indicato e imposto specifici requisiti, la cui sussistenza prescinde da una peculiare tecnica di redazione e deve essere verificata in concreto (in argomento si vedano, tra le altre, Cass. n. 2143/2015 e n. 13535/2018).

- * -

Nel merito si osserva.

Al fine di verificare la fondatezza o meno dell’appello in questa sede proposto, occorre previamente individuare il perimetro della contestazione disciplinare mossa all’allora ricorrente che faceva riferimento a nove condotte addebitate all’appellato: a) l’asserito “disinteresse” nel periodo 2 marzo – 6 maggio 2020,

durante il noto periodo di “lockdown” per la pandemia di Covid-19; b) il contenuto di un’intervista rilasciata a Org il 5 giugno 2020 e andata in onda il 9 giugno; c) il testo offensivo di un messaggio inviato


al Presidente


Per_1


l’11 giugno 2020; d) un’indagine (archiviata) della Procura Federale di settembre


2019; e) le dichiarazioni rese dal sig.


Pt_2


nel dopo partita di


CP_4 – Cagliari del 6 ottobre 2019; f) le


dichiarazioni rilasciate nel pre-partita di


CP_4


  • Parma del 10 novembre 2019; g) le dichiarazioni nel

corso della presentazione dei nuovi acquisti dell’11 febbraio 2020; h) una dichiarazione al Corriere della Sera in data 15 giugno 2020; i) la dichiarazione rilasciata a settembre 2019 riferita a non meglio precisate "problematiche muscolari croniche di due importanti asset del club".

Tra queste, la società ha attribuito valore rilevante al contestato disinteresse manifestato durante il

periodo di lockdown; allintervista del 5.6.2020 su sky e soprattutto al messaggio di offese inviato al


Presidente


Per_1


, ritenendo lo stesso di per sé sufficiente a concretizzare la giusta causa di licenziamento


che ha portato al recesso anticipato della società dal contratto triennale sottoscritto con il


Pt_2


avente


scadenza naturale il 30.6.2022 e che ha rappresentato il culmine di un complessivo comportamento tenuto dallo stesso, gravemente omissivo e inadempiente del direttore sportivo, tale da comportare l’interruzione del vincolo fiduciario che doveva intercorrere con la società.

La sentenza del tribunale di Roma oggi gravata, richiamando pedissequamente le testimonianze

escusse, ha sul punto statuito in sintesi:

    1. fermo restando che l’onere probatorio della sussistenza di una giusta causa per l’anticipato recesso incombeva sulla società, avuto riguardo all’istruttoria, quanto al presunto “disinteresse”

del


Pt_2


nel periodo del lockdown, esso risultava smentito dalle testimonianze di solidarietà


ricevute dai procuratori dei calciatori, quali ad es. il Presidente del Pescara, da quelli di alcuni


calciatori, quali


Persona_2                   Persona_3


;        Persona_4


da quelli di alcuni


dipendenti come lautista e il team manager dell’under 21


Parte_3


Tutti questi messaggi


in atti, a giudizio del giudice di primae curae, dimostravano invece che c’era ancora attaccamento


da parte della squadra e per la squadra, dimostrato anche in un’intervista rilasciata dal


Pt_2


durante un servizio televisivo dato su


Org_2


il 5.6.2020, in cui lo stesso ha riferito di un


gruppo che si era perso durante il lockdown e che egli aveva dovuto rimettere in sesto;


    1. quanto al messaggio inviato al Presidente

Per_1


nel giugno del 2020 secondo quanto stabilito


dal tribunale, lo stesso doveva considerarsi una reazione alle voci di una non conferma del DS che  si  rincorrevano  da  mesi  sui  media  e  dipendevano  soprattutto  dalla  portata  lesiva


dell’intervista  rilasciata  dallo  stesso


Per_1


nel  medesimo  giorno  di  giugno,  quando  in


un’intervista pubblicata sul sito ufficiale della


CP_4


il presidente non solo non smentiva le


notizie che si rincorrevano da mesi circa la non conferma del DS ma dava un forte segnale mediatico complimentandosi con l’allenatore e ringraziando nominalmente i vertici della società senza tuttavia menzionare l’odierno appellato;

    1. che altresì gli altri comportamenti stigmatizzati nella lettera di contestazione disciplinare quali

la dichiarazione resa dopo la partita tra


CP_4 e Cagliari del 6.10.2019 secondo la quale il calcio


non è un gioco per signorine; quella del febbraio 2020 quando in un’intervista il DS ha invece dichiarato che le potenzialità della squadra erano limitate; quella del 15.6.2020 al Corriere della Sera in cui egli avrebbe manifestato un certo malcontento, restavano tutti fatti addebbitati e indimostrati alla luce delle espressioni di solidarietà (per le dichiarazioni ritenute offensive per


il  calcio  femminile  sarebbe  intervenuta  la  stessa


Persona_5


quale  opinionista  e


responsabile tecnica della nazionale di calcio femminile) e delle testimonianze richiamate nel loro complesso, sia quelle portate dall’allora ricorrente, sia quelle della resistente, a questi meno favorevole.


Il tribunale, ha così pedissequamente richiamato la testimonianza di


Testimone_1


che ha affermato


che il DS sarebbe intervenuto cercando di convincerlo a una riduzione dello stipendio nel periodo del


lockdown; quella del teste


Tes_2


che sull’intervista del 5.6.2020 avrebbe chiarito che la stessa era stata


mandata in onda senza la preventiva presa visione e il preventivo accordo sulle domande, come da prassi


che il


Pt_2


non aveva seguito e che nel corso del lockdown mentre gli altri responsabili si erano recati


al lavoro in ogni caso, questi era rimasto nella sua casa in Puglia senza essere presente il 4.5.2020 alla ripresa degli allenamenti. Che a questi mancava il giusto approccio del lavoro quotidiano in allenamento”; quella


del teste


Tes_3


, osservatore sportivo della


CP_4


che ha riferito di un suo interessamento nell’acquisto


di alcuni giocatori tra cui il


Per_6 , proprio nel periodo del Lockdown e che durante quel periodo egli


aveva sempre ricevuto direttive dal


Pt_2


nonché aveva rinunciato a una mensilità di retribuzione


durante lo stesso periodo, proprio su indicazione del


Pt_2


quella del teste


Tes_4


dirigente della


Roma che così come il


Tes_2


, ha confermato l’assenza complessiva del DS durante il periodo


Org_3


, sia come presenza fisica perché fuori


CP_4


sia durante alcune call in cui non era presente, che


egli non era intervenuto fattivamente sugli stipendi, così come da solo.


Per_7


che gli aveva riferito di averlo fatto


Ritiene il tribunale, a tale riguardo, che l’insieme delle testimonianze e della copiosa documentazione


presenta numerosi aspetti problematici, riassumibili nella intervista-verità resa il 2.10.2020 dal


Pt_2


che è stata richiamata per intero, dalla quale si evincerebbe che si era trattato di un uomo lasciato solo, che aveva avuto l’intenzione di riportare rigore nella squadra, e che sebbene i suoi rapporti sono stati costellati da espressioni anche irriguardose, si era trattato di dichiarazioni d’impeto dovute alla sua “peculiarità caratteriale che (come palesato in atti) gli ha impedito di recitare a memoria un copione prestabilito dalla società. Ma ciò non può ritenersi fonte di un vero e proprio inadempimento contrattuale, restando confinato nella sfera soggettiva dellautore, il quale, sentendosi talora ingiustificatamente ferito,


e non accolto con la dovuta considerazione che riteneva di meritare, ha reagito attraverso esternazioni interprivate e pubbliche, non proprio ortodosse, ma prive di ogni coefficiente di illeceità preordinata o di illegittimità sopravvenuta”; che pertanto le circostanze a lui addebitate e contestate non risultavano provate quanto alla sussistenza della giusta causa di recesso.

 

 

A fronte delle censure sopra richiamate, la difesa dell’appellato muove le mosse proprio dal ruolo


del dirigente


Pt_2


da circoscrivere alla fase di coordinamento nel senso anzidetto, ritenendo che


sarebbero fuori luogo le responsabilità attribuite dalla società al predetto con riguardo al presunto disinteresse dimostrato verso le questioni “finanziarie” delle riduzioni stipendiali durante il lockdown


(punto a) della contestazione disciplinare), così come non sarebbe stato dimostrato dall’


CP_4


che


ne era onerata, la sussistenza della giusta causa del licenziamento trattandosi di recesso del tutto sproporzionato rispetto alla presunta infrazione.

 


L’assunto non convince questa Corte.

Occorre innanzitutto muovere le mosse dal ruolo e dalla qualifica ricoperta dal DS


 

Pt_2


 

per


verificare se il giudice di primae curae ha fatto buon governo dei principi vigenti in materia di licenziamento dirigenziale, nell’ambito del quale va inquadrato tale recesso, ovvero abbia commesso le violazioni censurate con l’appello proposto dalla società.


L’appellato era un lavoratore con responsabilità apicali in seno all’


CP_4


tipiche del direttore


sportivo di una società di calcio, i cui compiti sono individuabili innanzitutto dal Regolamento per l’Elenco Speciale dei Direttori Sportivi (doc. 28 dell’appellato) predisposto dalla Org_4 che prevede che l’attività del direttore sportivo consiste nello svolgimento «delle attività concernenti l’assetto organizzativo e/o amministrativo della società, con particolare riferimento alla gestione dei rapporti fra società e calciatori o tecnici e la conduzione di trattative con altre Società Sportive aventi ad oggetto trasferimento di calciatori, la stipulazione delle cessioni


dei contratti e il tesseramento dei tecnici, secondo le norme dettate dall’ordinamento della


Org_4   .


Nel contatto individuale del 5 luglio 2019 sottoscritto dal lavoratore (doc. 1) all’art. 2 è definito


l’oggetto della prestazione di

dell'Elenco Speciale dei Direttori


Parte_2 Org_5 presso la


«Le mansioni da svolgere sono quelle previste dal Regolamento

Organizzazione_6                      ».


Quindi il sig.


Pt_2


si era obbligato a svolgere, quale Direttore Sportivo, attività riguardanti il


tesseramento di calciatori e tecnici, come ad esempio la conduzione di trattative per la contrattualizzazione o il trasferimento o la cessione di calciatori innanzitutto, e in tale veste rappresentava una punto di riferimento essenziale per la squadra tenuto conto che le vittorie calcistiche sono strettamente connesse alla qualità e alla “salute” non solo fisica dei suoi giocatori. Egli doveva necessariamente rappresentare un punto di raccordo tra i calciatori, l’allenatore e gli alti vertici della società, dipendendo da lui la “vita” professionale del calciatore, dalla fiducia che egli ripone nel calciatore che decide di trattenere ovvero dalla ovvia sfiducia che invece poteva sorgere nei confronti di chi si decideva di cedere, trasferire o non valorizzare calcisticamente. Senza trascurare poi la circostanza che per un calciatore la serenità tratta da un rapporto longevo e solido dà una reale spinta anche alla motivazione di gioco e all’attaccamento ai colori della squadra da difendere e portare alle vette del campionato.

L’esame delle doglianze va in particolare circoscritto alle prime tre condotte contestate quali il disinteresse nel periodo marzo-maggio 2020; il contenuto di un’intervista rilasciata a Org il 5.6.2020 e


andata in onda il 9.6.2020 e il testo del messaggio al


Per_1


dell’11.6.2020, in quanto è con riferimento


a tali episodi ritenuti particolarmente rilevanti, e in particolare con riguardo al messaggio inviato al presidente della società, che quest’ultima ha circostanziato la giusta causa del recesso ritenuto illegittimo dal tribunale.


Tenuto conto del devoluto del grado vanno quindi richiamati, ancora una volta e sinteticamente i principi che governano la giusta causa e la giustificatezza del licenziamento del dirigente, regolatori del sistema in generale, applicabili all’odierno rapporto seppure in considerazione delle peculiarità del contratto di lavoro sportivo.

Come noto, la disciplina del lavoro sportivo, presenta aspetti del tutto peculiari che hanno infatti

reso necessario il recente intervento di  riforma con il D.lgs. n.36/2021, che ha comportato una regolamentazione complessiva di tutti i rapporti sportivi, dalle collaborazioni sportive o amministrative, al rapporto di lavoro subordinato dell’uno o dell’altro tipo, a significare che le peculiarità del settore e dell’insieme degli interessi non solo di tipo sportivo che ruotano attorno a tale mondo, non possono fare venire meno il riconoscimento dei principi giuslavoristici e dell’insieme delle tutele previste dal legislatore per ogni altro lavoro.

In quest’ottica, il dirigente sportivo, peraltro di calcio, per il quale è nota laltissima attenzione e l’interesse che desta nel nostro paese questo settore, non si sottrae alle regole previste per ogni altro dirigente, seppure non può non tenersi a mente che è proprio tale specificità a guidarci per la verifica della sussistenza, nel caso che ci occupa, della giusta causa di licenziamento.

Fatte tali premesse, va in generale ricordato che ricorre la difficoltà a fornire unesatta qualificazione

giuridica del dirigente, che deriva, in primo luogo, dalla peculiarità delle mansioni che lo stesso svolge e, in secondo luogo, dalla scarsezza delle fonti normative che non aiutano a delinearne i criteri costitutivi; mancando un chiaro ed espresso riferimento legislativo (se si esclude quanto sommariamente stabilito dall’art. 2095 cod. civ.) gli unici strumenti che intervengono a fare chiarezza sono i contratti collettivi – con riferimento, per le “comuni” categorie ai due contratti principali, ove risultano la maggior parte dei


dirigenti assunti, ovvero


Organizzazione_7


  • e la giurisprudenza, che ha lentamente limato la figura

del dirigente sino ad inserirla all’interno di uno specifico contesto aziendale.

Partendo dai contratti collettivi si può facilmente notare che, tanto con riferimento al c.c.n.l. Industria che a quello per il settore Commercio, gli stessi richiamano espressamente la nozione ex art. 2094 cod. civ. riferita al prestatore di lavoro subordinato specificando che il dirigente – oltre alla già citata subordinazione – debba essere necessariamente in possesso di un “… elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale seppure sempre in diretta correlazione con l’imprenditore con il quale rimane chiaramente vincolato.

La giurisprudenza è riuscita poi a meglio definire la figura del dirigente, ponendo maggiore

attenzione alle funzioni da questo svolte e cercando di offrirne una classificazione (da cui discende una diversa tutela, anche risarcitoria, contro il licenziamento).

In questo senso, infatti, una larga parte della giurisprudenza ha insistito molto nel ruolo del dirigente quale alter ego dell’imprenditore, ovvero come colui il quale è addetto all’intera organizzazione aziendale o a un settore dell’azienda stessa; questo filone giurisprudenziale ha quindi inteso delimitare l’attribuzione della qualifica di dirigente solo a coloro i quali abbiano un ruolo c.d. “apicale” nell’organigramma aziendale, ovvero siano dotati di ampissimi poteri e di autonomia gestionale da ritenerli dei veri e propri sostituti dell’imprenditore, e ha creato la figura del c.d. “dirigente apicale” ovvero del preposto al vertice di un determinato settore aziendale, nettamente distinto dal c.d. “pseudo-dirigente” o dirigente convenzionale.

Dal dirigente apicale la giurisprudenza distingue il c.d. “pseudo-dirigente” o anche dirigente per

convenzione, ovvero l’impiegato con funzioni direttive che viene preposto a un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto, e che svolge la sua attività sotto il controllo dellimprenditore come un ordinario dipendente e con poteri di iniziativa notevolmente ridotti; l’importanza di questa distinzione risiede nella tutela lavoristica che viene riconosciuta contro i licenziamenti. Infatti, se il dirigente apicale, il top manager, vede interamente applicarsi la possibilità di licenziamento ad nutum, il dirigente per convenzione


o pseudo-dirigente, risultando un ordinario dipendente con funzioni direttive, ha piena facoltà di avvalersi della tutela reale contro i licenziamenti.

Tuttavia, già il filone giurisprudenziale meno recente ha chiarito che :La qualifica di dirigente non

spetta al solo prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell’organizzazione o, comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l’andamento aziendale, essendo invece sufficiente che il dipendente, per l’indubbia qualificazione professionale, nonché per l’ampia responsabilità in tale ambito demandata, operi con un corrispondente grado di autonomia e responsabilità, dovendosi, a tal fine, far riferimento, in considerazione della complessità della struttura dell’azienda, alla molteplicità delle dinamiche interne nonché alle diversità delle forme di estrinsecazione della funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) ed alla contrattazione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione alla specifica esperienza nell’ambito del singolo settore produttivoCfr. Cass. civ., 24.6.2009, n. 14835, così non limitando le responsabilità a colui che è alter ego dell’imprenditore, ma a tutti coloro che ricoprono un ruolo di vertice nellazienda.

 

 

Nonostante ciò, la giurisprudenza più recente – anche recependo le esigenze di un mondo del lavoro in rapido mutamento, soprattutto nell’ambito dell’area manageriale – ha sensibilmente cambiato orientamento e ha superato la precedente visione del dirigente quale alter ego dell’imprenditore pocanzi richiamata.

La nuova impostazione, infatti, tende a considerare le mansioni che effettivamente vengono svolte da parte del prestatore (a prescindere dal fatto che lo stesso ricopra un ruolo di vertice oppure no) insistendo maggiormente sulle capacità professionali del soggetto, sulla responsabilità e sul grado di autonomia del proprio operato.

La figura manageriale viene delineata tenendo conto dell’articolazione interna dellazienda, della

diversificazione dei ruoli, e della (spesso riscontrata) promiscuità delle mansioni assegnate ai dipendenti; l’esigenza di un organigramma più agile, ma comunque connotato da diversi livelli di responsabilità e autonomia, comporta indubbiamente l’abbandono della precedente visione monolitica del dirigente alter ego o sostituto dell’imprenditore: al top manager, quindi, si affiancano una serie di figure intermedie, dotate comunque di alta professionalità e di un discreto livello di autonomia gestionale e responsabilità.

 

 

Per quanto concerne la disciplina del licenziamento del dirigente in generale, essa è stata oggetto di diverse pronunce da parte della Corte di Cassazione poiché uno dei problemi principali affrontati ha riguardato i limiti che dividono la giusta causa dalla giustificatezza del licenziamento e – conseguentemente – il diritto del dirigente licenziato a ottenere l’indennità del preavviso oppure, e in aggiunta, lindennità supplementare.

E’ opportuno ricordare, seppur brevemente, quali siano i requisiti essenziali della giusta causa di recesso così come stabiliti dal codice civile.

L’art. 2119 cod. civ. stabilisce infatti che, per aversi un legittimo licenziamento per giusta causa, devono sussistere delle condizioni talmente gravi che ledono irrevocabilmente e irrimediabilmente il vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro con il prestatore; si parla, a tal proposito, di una lesione talmente grave da non permettere “… la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro”. E tali condizioni valgono sia per un normale dipendente che per un Dirigente, apicale o meno che sia.

E’ chiaro che si tratta di uno strumento estremo che entra in gioco ogni qualvolta la condotta del

lavoratore sia antitetica allattività aziendale: la giusta causa è, anche ontologicamente, la condizione netta di chiusura di un rapporto di lavoro, che il datore adotta per tutelare l’attività produttiva e, quindi, anche i livelli occupazionali.

Chiaramente, la giusta causa di recesso può consistere tanto in un unico comportamento doloso

del lavoratore, quanto in una pluralità di comportamenti che da soli non sarebbero sufficienti a giustificare


il licenziamento. Solo l’analisi del caso concreto permette di capire quindi se il licenziamento possa considerarsi legittimo oppure no, poiché la condotta del dirigente va valutata all’interno di uno specifico contesto aziendale al fine di evitare decisioni del tutto estranee dalla peculiarità del caso e basate solo ed esclusivamente sulle posizioni manualistiche.

Ragionamento a parte deve essere fatto con riguardo alla c.d. “giustificatezzadel recesso del

rapporto di lavoro con il dirigente, sulla quale la giurisprudenza ha molto insistito (ex plurimis Cass. 6.10.1998, n. 9896; Cass. 19.8.2005; n. 17039; Cass. 20.11.2006, n. 24591; Cass. 20.12.2006, n. 27197;

Cass. 5.10.2007, n. 20895; Cass. 27.5.2008; n. 13812; Cass. 11.6.2008, n. 15496; Cass. 11.6.2008, n. 15469;

Cass. 24.6.2009, n. 14835; Cass. 15.7.2009, n. 16498; Cass. 15.12.2009, n. 26232).

A giudizio della Cassazione, il recesso intimato al dirigente deve essere supportato non da una giusta causa o un giustificato motivo, ma dalla giustificatezza che – comunque – è da intendersi come una forma peculiare di giusta causa applicata al lavoro dirigenziale; a ben vedere infatti, la giustificatezza non è altro che il venir meno di tutti i presupposti per la prosecuzione di un incarico dirigenziale affidato da parte dell’imprenditore, e ciò in ragione di un qualsiasi motivo “… purchè apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legale di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente”.

Chiaramente non viene esclusa la possibilità di recedere dal rapporto per motivo oggettivo come

nel caso in cui, ad esempio, a seguito di ristrutturazione aziendale le funzioni del dirigente vengano assorbite o del tutto soppresse; in realtà, per quello che interessa in questa sede, il vero nocciolo della questione risiede nella distinzione tra la giusta causa o giustificato motivo (da un lato) e la giustificatezza (dall’altro): la giustificatezza, infatti, non si presume quale extrema ratio di risoluzione anticipata del rapporto – come invece avviene normalmente per giusta causa e giustificato motivo – ma rappresenta un ordinario strumento di gestione del rapporto di lavoro con un soggetto (il dirigente per lappunto) il cui ruolo all’interno dell’azienda è di estremo di rilievo.

L’onere della prova della giusta causa o della giustificatezza è pacificamente posto a carico del

datore di lavoro che ne invoca la sussistenza.

In ogni caso, proprio in ragione delle peculiari caratteristiche del rapporto di lavoro dirigenziale, l’attribuzione di una specifica fiducia allo stesso – spesso vero e proprio alter ego del datore di lavoro – ne rende anche più semplice la dissoluzione, poiché un comportamento errato (anche solo nei modi) può molto facilmente determinare una danno all’azienda.

Questo non vuol dire, ovviamente, che il rapporto di lavoro dirigenziale sia privo di tutela, ma l’intera vicenda ruota attorno al riconoscimento della sussistenza o meno di una giusta causa di recesso: in questa stessa direzione si muove per es. il recente approdo della Cassazione 17 marzo 2014, n. 6110 che offre numerosi spunti per individuare quali sono i confini della giusta causa del licenziamento del dirigente.

L’area di libera recedibilità all’interno della quale viene fatto rientrare il rapporto di lavoro del dirigente è, come visto, diretta conseguenza della particolarità delle mansioni che lo stesso svolge e che, inequivocabilmente, lo portano ad assumere delle responsabilità maggiori a quelle di un normale dipendente; il rapporto fiduciario che lega l’imprenditore al dirigente è chiaramente molto forte poiché a quest’ultimo viene affidato un ruolo di gestione connotato da una sensibile autonomia operativa, da cui ne discende una maggiore elasticità nel recesso del rapporto.

Non è un caso che per il dirigente si parli, pertanto, di recesso ad nutum ovvero “con un gesto” richiamando quellesigenza di efficienza che viene pretesa dall’imprenditore nella gestione di determinati settori dell’azienda, così va ancora una volta rimarcata l’essenziale distinzione, posta dal legislatore, tra il normale lavoro subordinato e il lavoro dirigenziale, a conferma dell’importanza del rapporto fiduciario che intercorre tra le parti e dal quale discende l’assenza della ordinaria tutela legale contro i licenziamenti.


Sotto il profilo soggettivo è utile rilevare che non a tutti i dirigenti si applica questa speciale disciplina del recesso ad nutum. Infatti, tenuto conto di una formale gerarchia interna tra i dirigenti – valutata in relazione all’effettivo ruolo svolto, e al grado di responsabilità e autonomia assunto – rimangono esclusi i c.d. dirigenti per convenzione o “pseudo-dirigenti” i quali, nei fatti, sono comuni lavoratori subordinati preposti a funzioni direttive molto limitate ai quali finiscono per applicarsi tutte le garanzie legali contro il licenziamento, compresa quella ex art. 7, l. 20.5.1970, n. 300, di cui alla sentenza in esame.

A questo punto, la conclusione del ragionamento sin qui fatto può essere sintetizzata alla stregua

di quanto previsto dall’arresto della Cassazione in data 17 marzo 2014, n. 6110, prima citato, della quale si indica la massima: Ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, può rilevare qualsiasi motivo, purché esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, a fronte del quale non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del licenziamento, in quanto riferito a circostanze idonee a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra lampiezza dei poteri attribuiti al dirigente”.

Ad avviso della Cassazione, infatti, il comportamento del dirigente non può ritenersi legittimo né, tantomeno, fondato su argomenti giuridicamente sostenibili in quanto – anche in ragione dello specifico ruolo ricoperto all’interno della compagine aziendale di cui deve tenersi necessariamente conto – la condotta ha assunto le caratteristiche e le modalità tipiche di una insubordinazione grave, non tollerabile da chi ricopre un ruolo direttivo.

Con tale pronuncia la Cassazione aderisce all’orientamento prevalente in materia e condiviso da questa Corte, secondo cui il licenziamento del dirigente è sempre valido se non viene dimostrata l’arbitrarietà dello stesso, se non anche la natura discriminatoria (cfr. sul punto cfr. Cass. 27.8.2003, n. 12562, nonché Cass. 19.8.2005, n. 17039 e anche Cass. 10.4.2012, n. 5671).

 

 

Orbene, tenuto conto dei superiori principi deve ritenersi che il giudice di primae curae ne ha fatto


malgoverno laddove ha ritenuto il comportamento del


Pt_2


non idoneo a ledere il particolare vincolo


fiduciario che l


CP_4


aveva riposto nei suoi confronti.


Il messaggio a


Persona_8


, di cui a breve ci occuperemo in dettaglio, rappresenta l’apice del


comportamento generalizzato del dirigente che è stato lontano dalla squadra in un momento delicato (per tutti) e in cui i giocatori avrebbero avuto maggiormente bisogno di una guida. La sua lontananza durante il lockdown, quando tutti i calciatori erano rimasti in zona anche per trovare una linea comune e probabilmente trarre forza e fiducia gli uni negli altri, come necessario nel lavoro di squadra, ha creato i


malumori registrati dalla testimonianze del


Tes_2


, ma anche dagli organi di stampa allegati in atti che


riflettono l’immagine di un DS già in quel periodo anche idealmente lontano al gruppo. Egli è non solo rimasto lontano dalla squadra, ma, ha partecipato soltanto marginalmente alle riunioni dei e con i vertici


(come risulta dimostrato dalle dichiarazioni del


Per_7


non smentite). Tutto ciò risulta provato in atti


dall’esame delle testimonianze richiamate e dalle stesse difese del dipendente, che cerca di minimizzare

tale aspetto ma che non le smentisce né le nega.

Ancora, le dichiarazioni rese nel corso dell’intervista sull’emittente Org il 5.6.2020 in cui egli nel

complesso dell’intervista parla di un gruppo spento e poco concentrato, dichiarazioni che in sede difensiva cerca poi di minimizzare affermando che quanto detto era stato concordato anche con la società, non tolgono nulla alle sue responsabilità e al ruolo innegabile di “motivatore” che deve avere il direttore sportivo di una squadra di calcio a supporto e in sinergia con il lavoro svolto dalle altre figure dirigenziali, dall’allenatore, ognuno per la sua parte, ma tutti legati dalla linea comune di raggiungere le vette del successo sportivo della squadra.


Infine le affermazioni rivolte al


Per_1


: buonasera presidente, mi dispiace constatare  che lei è un piccolo


uomo.. ho sperato tanto di poterla rappresentare qui a CP_4 per poterle far fare bella figura e non farle rubare i soldi che hanno fatto in tanti. Evidentemente non mi sono fatto capire ed apprezzare abbastanza..resta che ora le conviene mandarmi via perché dopo quello che ha voluto fare in maniera vile non potrò esserle di aiuto” dimostrano l’alta conflittualità che si era venuta a creare idonea a minare il vincolo fiduciario tra le parti.

Il lavoratore, si è giustificato contestualizzando le dichiarazioni, evidenziando che le stesse non erano altro che la conseguenza della mancata menzione della sua persona tra quelle che il presidente aveva ringraziato nell’intervista rilasciata. Tuttavia ciò non giustifica tale manifestazione di impeto e di disprezzo considerato che la stessa si colloca in un ambito più ampio, per i motivi anzidetti, che provavano che questi non aveva più di fatto la rappresentatività della squadra e il “polso” della situazione. Ancora va esaminato  quanto  da  quest’ultimo  affermato  negli  atti  difensivi  secondo  cui  la  portata  non


particolarmente grave delle sue dichiarazioni sarebbe stata colta dallo stesso


Per_1


il quale in risposta a


quel messaggio avrebbe così scritto via whatsapp: “ I gather all the good things I say about you in the big interview tomorrow I should take out?”: egli interpreta tale risposta quale volontà del presidente di sminuirle e di rispondergli rassicurandolo in un certo senso. Tuttavia, a parere di chi scrive ciò è invece la risposta critica e piccata del dirigente superiore che invece letteralmente gli risponde “quindi suppongo che tutte le cose belle che dico di te, domani nella mega intervista le devo togliere?”. Ovvero, visto che mi offendi non mi spendo più per te in una (evidentemente successiva) intervista che avrebbe rilasciato e in cui il presidente avrebbe (secondo la linea difensiva dell’appellato) invece gratificato la sua persona (che era quello che il DS


Pt_2


si aspettava e per il quale invece non avendolo ottenuto prima si era sentito offeso) con una


menzione tutta per lui. Sgomberando il campo dalle supposizioni infatti, ciò che risulta evidente è proprio il deterioramento del rapporto fiduciario ad opera del DS che ha posto in essere continui comportamenti, più o meno gravi, riassunti negli episodi descritti stigmatizzabili proprio perché posti in essere da colui che avrebbe dovuto rispettare la linea aziendale rappresentata con l’obiettivo unitario di consentire ai suoi calciatori di realizzare il risultato che tutte le squadre di calcio si aspettano di ottenere : vincite delle partite, del campionato, delle coppe e quant’altro.


Non va trascurato, ancora che l’


CP_4


è una società quotata in borsa e che le circostanze di


tempo e di luogo richiamate dall’appellato per contestualizzare/giustificare i suoi comportamenti non sono idonee a cancellare la sussistenza del grave vulnus posto in essere alla rappresentatività del ruolo apicale assegnatogli, idonei a concretizzare l’inadempimento rispetto al contratto sottoscritto. Al pari di ogni altro dirigente, egli non avrebbe dovuto agire d’impeto, che se può essere giustificato sui campi di calcio non è invece giustificabile nei rapporti interpersonali con gli altri dirigenti, e avrebbe dovuto tenere a mente le ripercussioni che il suo comportamento avrebbe avuto anche all’esterno, agli occhi dei media nonché della stessa tifoseria che come risulta documentato dagli articoli di giornale e dal report dei media in atti, non riconosceva più un tecnico “fedele” alla squadra. Come è noto, sotto certi aspetti (seppure, per chi guarda con occhi “neutri”, ciò appare ingiustificato o eccessivo) anche la percezione del tifoso assume un ruolo decisivo nell’andamento della squadra, quasi una cartina di tornasole della sua salute che è certamente collegata dall’andamento delle partite e dalla resa dei giocatori che sono influenzati anche dalla fiducia che viene riposta nei loro confronti e della motivazione che tale fiducia muove in loro. Il tutto in tale caso era decisamente ed evidentemente compromesso a causa, soprattutto, delle suddette mancanze e intemperanze del DS, che dimostrano altresì (e sono state infatti così percepite anche dai media come dimostrato dai numerosi articoli di giornali sportivi in atti) non solo la sua mancanza di attaccamento ai “suoi giocatori”, ma anche ai colori della squadra stessa, che almeno all’esterno, nel rispetto del dovere di buona fede e diligenza quali cause integrative generali del contratto sottoscritto, dovevano essere difesi proprio da chi era stato chiamato per quei compiti tecnici sopra richiamati, all’apice dei quali è posto il direttore sportivo.


Ciò detto, non può che ritenersi sussistente la giusta causa del recesso adottato dalla società e pienamente dimostrato dai fatti di causa, che ha preso atto del venir meno del ruolo stesso del dirigente, del mancato rispetto delle sue responsabilità e dei poteri che gli erano stati attribuiti. Poteri e responsabilità che se da un lato hanno reso il rapporto di lavoro estremamente flessibile e suscettibile di essere interrotto molto più facilmente di come potrebbe avvenire per un ordinario dipendente, al verificarsi del riscontrato inadempimento hanno determinato la scelta datoriale di optare per la condizione più dura e radicale, quale è quella della verifica della sussistenza della giusta causa di recesso.

Ne consegue laccoglimento del ricorso e, assorbita ogni altra richiesta (anche quanto al difetto

probatorio e di liquidazione del danno all’immagine), la sentenza gravata va riformata e vanno respinte le originarie domande del dirigente licenziato.

- * -

In applicazione del principio stabilito dall’art. 91 c.p.c. e non potendosi nella specie ravvisare alcuna delle circostanze eccezionali di cui al riformato art. 92, comma 2, c.p.c., nonché in considerazione dellesito complessivo della lite – si vedano sul punto, tra le altre, Cass. sent. n. 9064/2018, Id. n. 18637/2017 (sulla modifica delle spese di primo grado anche d’ufficio da parte della Corte), Id. n. 29888/2017 (quanto alla liquidazione da parte del giudice del rinvio delle spese dell’intero giudizio) – parte appellata va infine condannata al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte nel doppio grado del giudizio che, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, 2) dell’importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dellaffare (nella specie pari a valore indeterminabile), 3) delle condizioni soggettive della parte, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della giustizia n. 55 del 10.3.2014 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 77 del 2.4.2014, in vigore dal successivo 3.4.2014 e da applicarsi a tutte le liquidazioni successive a tale momento: art. 28 del d.m.), come pure della semplicità delle questioni preliminari di diritto poste a fondamento della decisione – il che giustifica, nella non vincolatività delle citate tariffe, una diminuzione dei compensi maggiore rispetto a quella massima prevista nello scaglione di riferimento – si liquidano in complessivi euro 36.207,00 quanto al giudizio di primo grado e in complessivi euro 28.732,00; quanto al giudizio di secondo grado, oltre al rimborso forfetario delle spese generali al 15%, IVA e CPA, nonché oltre al rimborso del contributo unificato ove versato dallappellante, come previsto per legge.

 

 

 

P.Q.M.

La Corte, visto l’art. 437 c.p.c., così provvede:

    • In accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza appellata, respinge l’originario ricorso

di         Parte_2          ;

 

    • Condanna lappellato alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio che liquida, quanto al primo grado in euro 36.207,00 e quanto al presente giudizio in euro 28.732,00;

Roma, li 20.6.2023

Il consigliere estensore

Olga Pirone

La presidente

Donatella Casablanca

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