TRIBUNALE DI ROMA – SENTENZA N. 5598/2020 DEL 31/03/2020
TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA SEZIONE XVI CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Enrica Ciocca ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 70375/2016 assunta in decisione il 12/11/2019 promossa
da:
Parte_1
(C.F.
C.F._1
, nato a Cuccaro Vetere (SA) e res.te in
Vallo della Lucania (SA) alla via Raffaele Passarelli n. 144 rappresentato to e difeso, giusta procura
alle liti depositata unitamente all’atto di opposizione in via telematica, dall’avv. Omissis , dall’avv. Omissis e dall’avv. p. Omissis ed elettivamente domicliato presso lo studio dei suoi procuratori in Vallo della Lucania (SA) alla via M. De Laurentiis n. 3
contro
OPPONENTE
Controparte_1
(C.F.
P.IVA_1
), CON
CP_2 IN
Roma, via Gregorio Allegri n. 14, in persona del legale rappresentante, assistita e difesa dall’avv.
Omissis e dall’avv. Omissis ed elettivamente domiciliato in Roma via G. Montanelli n. 11 giusta procura in calce al ricorso per decreto ingiuntivo.
OPPOSTO
OGGETTO: Pagamento sanzione disciplinare associazione sportiva (OPP D.I.17879/2016)
CONCLUSIONI DELLE PARTI
CONCLUSIONI PARTE OPPONENTE: non compare all’udienza di precisazione delle conclusioni.
In Citazione: “Voglia l’Ill.mo Tribunale Adito adito, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, emettere i seguenti provvedimenti di giustizia:
In via pregiudiziale
- DICHIARARE il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito in favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
Nel merito
- Accogliere l’opposizione spiegata con il presente atto e, per l’effetto,
- Revocare e Dichiarare nullo e inefficace il D.I. 17879/2016, N. 50021/2016 R.G.,. emesso dal Tribunale di Roma in data 25.07.2016 e notificato in data 02.08.2016;
- Rigettare, comunque, la domanda proposta dalla FIGC perché inammissibile, improcedibile ed infondata in fatto e diritto per i motivi indicati;
- Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari, per dichiarato anticipo, ai sensi dell’art. 93 c.p.c.”
CONCLUSIONI PARTE OPPOSTA: conclude come da comparsa di costituzione e risposta.
“Voglia il Tribunale adito, contrariis reiectis, previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, in via principale: 1) rigettare l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 17879/2016 (r.g. 50023/2016) e, per l’effetto, confermare il decreto ingiuntivo opposto e/o comunque
condannare il sig.
Parte_2
al pagamento dell’importo di euro 5.000,00 oltre interessi dal
dovuto sino al saldo o della maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia; 2) condannate il
sig.
Parte_3
al risarcimento dei danni per lite temeraria nella somma di euro 2.000,00 o in
quella diversa somma ritenuta di giustizia e comunque al pagamento in favore della
CP_1
di una
somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c.. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio”.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELL DECISIONE
1.- Con ricorso monitorio depositato il 5/7/2016 la
Controparte_1
adiva
l’intestato Tribunale chiedendo il pagamento della somma di Euro 5.165,62 da parte di
Pt_1
[...]
[...]
dirigente tesserato, a titolo di ammenda comminata dalla con provvedimento non impugnato oltre interessi.
Organizzazione_1
Con decreto n.17879/2016 depositato il 21/7/2016 il Tribunale di Roma ingiungeva al
Pt_1 di
pagare in favore della
CP_1
la somma di Euro 5.165,62 oltre spese, decreto notificato il 2/8/2016.
Con atto di citazione notificato il 10/10/2016
Parte_1
proponeva opposizione a detto
decreto, eccependo il difetto di giurisdizione in favore del Giudice amministrativo ed il difetto di
legittimazione passiva dell’opponente, che non ricopriva il ruolo di Presidente della società
Org_2
[...]
come ritenuto dalla parte opposta a fondamento della sanzione comminata.
Concludeva, dunque, nei termini indicati in epigrafe.
Con comparsa depositata il 25/5/2017 si costituiva in giudizio la
CP_1
che contestava le eccezioni
dell’opponente, ritenendo sussistente la giurisdizione del Giudice ordinario adito e la legittimazione del
Pt_1
atteso che il Giudice non poteva entrare nel merito della decisione disciplinare sportiva e
richiamava l’orientamento costante in materia del Tribunale di Roma.
Concludeva, dunque, per il rigetto dell’opposizione, con condanna dell’opponente al pagamento delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..
Concessa la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto e all’udienza del 12/11/2019 – dinanzi al nuovo Giudice istruttore nominato a far data dal 23/4/2018 – le parti precisavano le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione con termini di legge ex art. 190 c.p.c.
2.- Alla luce dei documenti prodotti e delle censure sollevate dall’opponente, non fondate,
l’opposizione va respinta.
Per costante giurisprudenza, l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge. Ai fini dell’accertamento della pretesa creditoria dell’opposta, deve aversi riguardo all’intero materiale probatorio offerto dalla parte opposta anche nella presente sede di opposizione, non potendosi il giudicante arrestare la propria analisi alle sole prove allegate al ricorso monitorio.
Tanto premesso, in tema di prova dell’adempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (cfr., ex plurimis, Cass. sez. un. n. 13533 del 30/10/2001).
La Federazione opposta, attrice sostanziale, ha agito in via monitoria, nei confronti dell’odierno opponente, asseritamente dirigente tesserato, per il pagamento di 5.000,00 euro a titolo di ammenda, allegando,:
-
- Di essere una “associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato avente
lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi”, come risulta dall’estratto dello statuto dell’ente prodotto in sede monitoria;
-
- che i dirigenti erano tesserati della
CP_1
in base a quanto stabilito dall’art. 36 delle
Norme Organizzative Interne della Federazione (
Org_3
prodotte ed in quanto tali
avevano l’obbligo di osservare lo “statuto e ogni altra norma federale” (art. 30, comma 1 dello Statuto);
-
- che l’ingiunto, dirigente tesserato e come tale soggetto all’ordinamento sportivo, a seguito
del deferimento del Procuratore Federale era stato giudicato dalla
[...]
Organizzazione_1 ;
-
- che al predetto era stata comminata la sanzione dell’inibizione per mesi uno nonchè l’ammenda di 5000,00 euro, come risultante dal Comunicato Ufficiale n° 82/CDN del 11/04/2013, prodotto quale doc. 4 in sede monitoria;
-
- che il
Pt_1
non aveva proposto ricorso alla Corte di Giustizia Federale avverso la
predetta decisione che, pertanto, era passata in giudicato in quanto non impugnata, né aveva corrisposto quanto dovuto, nonostante i ripetuti solleciti effettuati;
-
- che pertanto, sussistendo prova scritta del credito esatto in via monitoria, aveva appunto richiesto ed ottenuto l’emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento della predetta somma, oltre accessori.
I documenti prodotti in giudizio sono idonei e sufficienti a documentare la ragione del credito ed
il suo ammontare.
Da parte sua l’opponente ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore del giudice amministrativo nonché, in ordine al merito, la propria carenza di legittimazione passiva,
in mancanza del requisito presupposto di Presidente della società
Organizzazione_2 .
L’eccezione di difetto di giurisdizione non risulta fondata e va respinta e al si riguardo si richiama l’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel Tribunale ed in particolare nella Sezione in
epigrafe, che si fa proprio (sent. 11736/2015 est.
Per_1
sent. 21243/2015 est Scerrato ex
pluribus) e si riassume. Va, parimenti, respinta l’eccezione di carenza di legittimazione passiva,
risultando il
Pt_1
attinto da una sanzione inflitta dal competente organo sportivo non
impugnata e, dunque, oramai definitiva. Valgano in merito le seguenti considerazioni.
E’ pacifico che la CP_1 è un’associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato
federata al
CP_3
(art. 1 Statuto) e i calciatori e i dirigenti delle squadre di calcio, in quanto
tesserati, sono tenuti all’osservanza delle norme statutarie della CP_1 .
In particolare, l’art. 30 dello Statuto della FIGC stabilisce che tutti i soggetti indicati hanno l’obbligo di osservare lo Statuto. Poi prevede, al secondo comma, che i predetti soggetti accettano
Org_
la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dalla , dalla
Org_5 , dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la CP_1 , per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto
dallo statuto del
CP_3
sono devolute su istanza della parte interessata, unicamente alla
cognizione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport
presso il
CP_3
Lo Statuto della Federazione opposta contiene, dunque, una clausola, in base alla quale, tra l’altro, le controversie di carattere disciplinare sono devolute alla cognizione degli organi giustizia sportiva, interni alla Federazione.
Al fine di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato, nel 2003 è stato emanato il D.L. 220/2003, convertito con modificazioni nella L. 280/2003. In particolare, l’art. 2 detta disposizioni in ordine all’autonomia dell’ordinamento sportivo, stabilendo che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.
Orbene, l’esame della questione sulla giurisdizione dell’adito giudice ordinario rende necessaria una preliminare ricostruzione del quadro normativo relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giurisdizionale dello Stato e, nel suo ambito, tra Giudice ordinario ed amministrativo nonchè della relativa evoluzione giurisprudenziale.
Con la sentenza 5775/2004 le Sezioni Unite della Cassazione, richiamando i precedenti
giurisprudenziali in materia, hanno compiutamente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo all’argomento in esame.
In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che la legge 16 febbraio 1942 n° 426, istitutiva
del
CP_3 configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano
della natura pubblica di questo. La successiva legge 23 marzo 1981, n° 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), all’art. 14 aveva ribadito questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzioni di natura pubblicistica, riconducibile
all’esercizio in senso lato delle funzioni proprie del
CP_3 e funzioni di natura privatistica per le
specifiche attività da esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni (cfr. Cass. SU 14530/2002).
L’art. 6 della legge del 1981, come novellato dall’art. 1 del D.L 20 settembre 1996, n° 485, convertito nella legge 18 novembre 1996 n° 586, riconoscendo alle federazioni sportive il potere di stabilire un premio di addestramento e formazione tecnica in favore delle società sportive presso le quali l’atleta si fosse formato, ha confermato la natura privatistica dell’attività svolta dalle medesime federazioni in questo settore.
La legge n° 91 del 1981 è stata sostituita con il decreto legislativo 23 luglio 1999, n° 242, contenente disposizioni sul riordino del Coni. In particolare, l’art. 15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività
sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del
CP_3 (primo comma), così
consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e
mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma).
È sopravvenuto il decreto legge 19 agosto 2003 n° 220, contenente disposizioni urgenti in
materia di giustizia sportiva, convertito nella legge 17 ottobre 2003, n° 280. Il decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale dell’ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l’ordinamento dello Stato sono regolati in base al principio di autonomia, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1, primo comma). La ‘giustizia sportiva’ si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, mentre quella ‘statale’ è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.
Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico-sportive, con conseguente riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è stabilito che all’ordinamento sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:
a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di
quell’ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma).
In queste materie vige il sistema del c.d. vincolo sportivo; le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati, infatti, hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del CP_3 e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n° 242 del 1999, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma).
I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.
Il primo comma dell’art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta “ogni altra controversia
avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.
Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia dell’ordinamento
sportivo, continua ad essere imperniato sull’onere di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma) e sulla salvezza incondizionata delle clausole
compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del
CP_3
delle Federazioni sportive e di
quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del
CP_3
art. 3, ultima parte).
Come osservato dalle Sezioni Unite, nella pronuncia suindicata, dalla lettura delle enunciate disposizioni è possibile ricavare che, secondo il decreto legge n° 202 del 2003, la tutela fa riferimento alle seguenti quattro situazioni.
Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l’osservanza di norme regolamentari,
organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l’art. 15 del decreto legislativo n° 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell’autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell’ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un’area di non rilevanza (o d’indifferenza) per l’ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l’ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all’assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato.
Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch’esse interne all’ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni vi è la stessa condizione di non rilevanza per l’ordinamento statale, prima indicata.
Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all’interno del sistema dell’ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale.
La terza situazione comprende l’attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in
armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del
CP_3
del CIO, come dispone la prima parte del già
citato art. 15. Nel testo del decreto legge n° 220 del 2003, anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e
di singoli tesserati e l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l’ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l’indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l’oggetto delle quali è costituito dall’attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Esaurito, anche in questo caso, l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
Alla luce di quanto sopra riportato, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il problema relativo ai
rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale non ponga una questione di giurisdizione, costituendo invece questione di merito, che deve essere giudicata dal giudice del merito, al pari di quella dell’esistenza in concreto di essa (cfr. Cass. SU 5256/1987). Il principio è stato sviluppato con riferimento alle federazioni sportive ed è stato dichiarato che la censura diretta ad escludere
ogni forma di tutela giurisdizionale, nei confronti di provvedimenti della questione di merito (cfr. Cass. SU 9550/1997).
CP_1 , costituisce
Ad analoga conclusione è giunta la Cassazione nella successiva pronuncia n° 18919 del
28/9/2005, nella quale ha affermato che il vincolo di giustizia sportiva previsto dallo Statuto della CP_1 integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata sul consenso delle parti che accettano la soggezione agli organi interni di giustizia.
In particolare, poi, la suindicata pronuncia stabilisce un altro importante principio, ritenendo che il c.d. vincolo di giustizia sportiva (già contenuto negli statuti delle federazioni sportive prima dell’entrata in vigore del DL 220/2003, convertito dalla Legge 280/2003), dal 2003 in poi trovi la sua legittimazione anche in una fonte legislativa. Tuttavia, tale legittimazione ex lege non ne ha modificato la natura, che va pur sempre ricondotta alla figura dell’arbitrato irrituale, sostanzialmente consistente in un mandato conferito congiuntamente dalle parti compromittenti agli arbitri affinché questi, in virtù di un potere negoziale, definiscano la controversia (cfr. Cass. 11270/2012).
Tale orientamento, peraltro, risulta confermato da altre pronunce delle Sezioni Unite che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la questione relativa alle materie rientranti nella competenza degli organi della giustizia sportiva non è questione di giurisdizione, in quanto tali organi non svolgono una funzione
giurisdizionale, ma intervengono in virtù di una clausola compromissoria e svolgono un’attività negoziale sostitutiva di quella degli stipulanti (cfr. Cass. SU ordinanza 6423/2008).
Tanto premesso, si osserva che nel caso in esame la controversia trae origine da comportamenti
posti in essere dall’odierno opponente, rilevanti sul piano disciplinare sportivo: l’attore è stato
sanzionato nella qualità di “Presidente della soc.
Controparte_4
”, risultando la sua
posizione in sede alla società riscontrata dalla visura camerale e dal contenuto del Comunicato Ufficiale n. 40/TFN sezione disciplinare 2015/2016, che lo ha sanzionato quale “presidente
onorario, con ampi poteri gestionali ed economici della società
Controparte_4
dal
29/6/2009 al 14/3/2011, institore dal 6.5.2008 al 29.4.2010 nonché amministratore di fatto fino al 1.11.2011”.
In virtù dell’art. 2, 1° comma, del DL 220/2003, convertito nella Legge 280/2003, per l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive vige il sistema del c.d. vincolo sportivo, ciò in virtù della cd. clausola del vincolo di giustizia, prevista dall’art. 30 dello Statuto della CP_1 .
Tale clausola, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, ha natura di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, in base alla quale il potere di irrogare ed applicare le sanzioni disciplinari è attribuito, in forza di un atto negoziale di natura privatistica, dalle stesse parti a degli arbitri irrituali, che nel caso di specie sono costituiti dagli organi della giustizia sportiva.
In base a quanto previsto dalla clausola del vincolo di giustizia e dal citato art. 2, comma 1 del DL 220/2003 convertito nella Legge 280/2003- rientrano nella competenza degli organi di giustizia sportiva solo le questioni attinenti all’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive e cioè le questioni attinenti alla fase relativa all’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare ed alla comminatoria della relativa sanzione, sempre disciplinata dall’ordinamento sportivo.
Nel caso di specie è stato allegato nel ricorso monitorio che le sanzioni ( e, in particolare, per quello che rileva nel presente giudizio, l’ammenda di 5.000,00 euro) erano divenute esecutive per mancata impugnazione, mentre al riguardo l’attore nulla ha contestato (art. 115 c.p.c.) né in ordine alla presentazione di eventuale gravame alla Corte di Giustizia Federale né, in ipotesi, in ordine alla mancata notificazione della sanzione, così da non essere ancora decorsi i termini per l’eventuale impugnazione; quindi deve ritenersi processualmente emerso che si sia verificato, in
relazione all’ordinamento sportivo, il ‘passaggio in giudicato’ delle sanzioni disciplinari e che pertanto le stesse siano divenute irrevocabili.
Pertanto la sanzione pecuniaria di 5.000,00 euro deve ritenersi ormai definitiva, in quanto -
circostanza neanche allegata e comunque da escludere alla luce del tenore delle difese dell’attore- la stessa non è stata tempestivamente impugnata davanti agli organi di giustizia sportiva; quindi ormai la controversia non attiene più all’irrogazione ed all’applicazione della sanzione disciplinare (pecuniaria), ma alla fase della sua esecuzione.
Alla luce delle superiori osservazioni in fatto e in diritto è conseguenziale, limitando in discorso alla sanzione pecuniaria oggetto del ricorso monitorio, che si è in presenza di un credito di natura pecuniaria della Federazione opposta, relativo appunto alla sanzione pecuniaria irrogata -come detto- in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva; infatti, gli organi della giustizia sportiva possono irrogare sia sanzioni che esplicano i loro effetti esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo (ad esempio, l’inibizione), sia sanzioni che esulano dall’ordinamento sportivo ed incidono su posizioni giuridiche soggettive generalmente tutelate dall’ordinamento statale (ad esempio, appunto la sanzione pecuniaria dell’ammenda).
Orbene, mentre nel primo caso l’esecuzione della sanzione può trovare esplicazione e coattiva esecuzione (in caso di mancata spontanea osservanza e di permanenza del vincolo associativo) all’interno del medesimo ordinamento sportivo, nell’ambito del quale produce ed esaurisce tutti i suoi effetti, altrettanto non può sostenersi per le sanzioni del secondo tipo; infatti l’ordinamento sportivo non possiede gli strumenti per ottenere l’esecuzione coattiva di un credito di natura pecuniaria: strumenti che sono invero riservati all’autorità giurisdizionale ordinaria.
Del resto, non a caso, il citato art. 2 , comma 1 del D.L. 220/2003, convertito nella L. 280/2003, limita la cognizione degli organi della giustizia sportiva alle sole questioni relative all’irrogazione ed applicazione della sanzione, non estendendola invece all’esecuzione della stessa.
Tale impostazione non appare contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n° 49 del
2011, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 1 del D.L. 220/2003, convertito nella L. 280/2003. In particolare, la questione era stata sollevata dal giudice amministrativo, dubitando della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui riservava al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, anche quando i relativi effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su interessi legittimi e diritti soggettivi, tutelati dall’ordinamento statale. Il caso concreto sottoposto alla Corte
Costituzionale era diverso da quello oggetto del presente giudizio, in quanto si controverteva in ordine al risarcimento del danno derivante dall’illegittima irrogazione della sanzione disciplinare dell’inibizione allo svolgimento di attività federale.
Ciò nonostante, la Corte ha sancito importanti principi, dando una interpretazione
costituzionalmente orientata della norma, da tener presente anche nel caso in esame. In particolare, nel ribadire l’autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale (autonomia peraltro favorita dal legislatore), la Corte ha evidenziato che le sanzioni disciplinari irrogate dalla Federazione possono esaurire i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento sportivo oppure manifestare effetti anche nell’ambito dell’ordinamento statale. Orbene, con riferimento al primo gruppo di ipotesi, la Corte ha affermato che queste sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale e di conseguente assenza di tutela da parte di quest’ultimo ordinamento. Tuttavia la Corte ha, altresì, affermato che ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del
-
- L.
220/2003 consegue che, qualora il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CP_3 abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, non possa escludersi la possibilità di agire in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali statali.
- L.
Nel caso di specie la fase dell’irrogazione ed applicazione della sanzione è già stata espletata dinanzi
agli organi di giustizia sportiva, con decisione, come detto in precedenza, divenuta definitiva., ma si controverte in ordine alle conseguenze che la (sola) sanzione pecuniaria esplica su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale ed afferenti a rapporti patrimoniali.
Ne consegue che l’opponente è legittimato, in quanto soggetto sottoposto a sanzione definitiva, non onorata spontaneamente e per la cui esecuzione occorre provvedimento del Giudice ordinario.
Nè può ritenersi che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in virtù di quanto statuito dall’art. 3 della L. 280/2003.
In particolare, la citata disposizione devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.
Orbene, con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giova ricordare che la Corte Costituzionale (sentenza n° 204/2004), nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. art. 33, commi 1 e 2, del D.Lgs 80/1998, come sostituito dall’art. 7, lettera a), della L. 205/2000, ha affermato il seguente principio: “l'art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di
materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe "anche" diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”.
Ne consegue che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle ipotesi di giurisdizione esclusiva porta a ritenere che questa sia sussistente solo ogniqualvolta si sia in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano. Per converso, non potrà ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, neanche quella in via esclusiva, qualora sia del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità.
Orbene, nel caso in esame, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve escludersi che nell’attività di irrogazione di sanzioni disciplinari la FIGC eserciti un potere autoritativo di natura pubblicistica.
Al riguardo è ben vero che le Federazioni sportive, pur avendo personalità di diritto privato, esercitano
anche funzioni pubblicistiche -il DLgs. 242 del 1999, contenente norme di riordino del
CP_3 all’art. 15
prevede che le Federazioni possano adottare atti amministrativi in armonia con le deliberazioni del
CP_3
ad es. in tema di ammissione ed affiliazione delle società sportive alle Federazioni nazionali- e
che le questioni concernenti l’attività che le Federazioni svolgono in armonia con le deliberazioni del CP_3 rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualora sia espressione di un potere provvedimentale ed autoritativo, ma nel caso che qui ci occupa, come già sopra evidenziato, il potere di decidere in materia disciplinare, attribuito agli organi della giustizia sportiva, trova la fonte nella autonomia negoziale delle parti: gli organi della giustizia sportiva, invero, decidono in virtù di una clausola negoziale, avente natura di clausola di arbitrato irrituale ed osservando le regole del diritto privato.
Del resto, sia le norme violate che la decisione da eseguire trovano la loro fonte in atti di natura negoziale, che sono espressione dell’autonomia privata e non di poteri pubblicistici. A maggior ragione, poi, deve escludersi l’esercizio di poteri pubblicistici nell’attività di recupero del credito derivante dall’irrogazione di una sanzione pecuniaria.
Non essendovi esercizio di poteri pubblicistici, deve escludersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, neanche in via esclusiva.
Per quanto esposto va ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, che verifica la fase esecutiva dell’applicazione della sanzione, risultando invece escluso il sindacato sul contenuto del potere disciplinare, esercitato dagli organi della giustizia sportiva, ma solo l’accertamento della persistenza del credito vantato dalla FIGC e dell’insussistenza di fatti modificativi od estintivi della pretesa creditoria. Pertanto, esclusa ogni possibile valutazione di merito da parte del Giudice ordinario, trattandosi di aspetti in relazione ai quali sussiste la competenza degli organi della giustizia sportiva, è in questa sede sufficiente prendere atto che vi è stato l’esercizio del potere sanzionatorio da parte degli organi sportivi e che la sanzione pecuniaria in questione è stata irrogata in via definita, non essendo stati esperiti i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento sportivo.
L’opposizione va, dunque, respinta e l’opponente condannato alla rifusione delle spese di lite, secondo un valore tra minimo e medio per scaglione di valore, in base al valore del decreto ingiuntivo, per le fasi svolte di studio, introduttiva e decisionale.
Va, infine respinta la domanda di risarcimento danni ex art. 96/1 c.p.c. in mancanza di prova della sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi legittimanti una tale condanna (Cass. 18169/2004: “La liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata, "ex" art. 96 cod. proc. civ., ancorché possa effettuarsi anche d'ufficio, postula pur sempre la prova gravante sulla parte che chiede il risarcimento sia dell'"an" che del "quantum debeatur", o almeno la concreta desumibilità di detti elementi dagli atti di causa”), né la tipologia di controversia e la sua complessità consentono di esercitare il potere sanzionatorio discrezionale ex art. 96, 3° comma, c.p.c..
P.Q.M.
Il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel
giudizio NRG.70375 /2016 tra
Parte_1
e la
Controparte_1
, ogni diversa
istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede:
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- rigetta l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 17879/2016;
- rigetta la domanda dell’opposta ex art. 96, 1° e 3° comma, c.p.c.;
- condanna l’opponente al pagamento, in favore dell’opposta, delle spese di lite, che liquida complessivamente in 2.000,00 euro per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, CPA ed Iva come per legge.
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Roma, 18 marzo 2020
Il Giudice
dott. Enrica Ciocca