CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE TERZA, ORDINANZA del 11/10/2025 n. 27208
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Presidente: CIRILLO FRANCESCO MARIA
Relatore: IANNELLO EMILIO
– OMISSIS –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24343/2023 R.G. proposto da OMISSIS e OMISSIS, in proprio e nella qualità di procuratore speciale di OMISSIS, rappresentati e difesi dall’Avv. Mario Occhipinti e dall’Avv. Giuseppe Dell’Erba, domiciliati digitalmente ex lege;
– ricorrente –
contro
F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, rappresentata e difesa dall’Avv. Giancarlo Gentile, domiciliata digitalmente ex lege;
– controricorrente –
e contro
Lega Italiana Calcio Professionistico, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Bonanni, domiciliata digitalmente ex lege;
– controricorrente –
e nei confronti di OMISSIS;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, n. 6124/2023, depositata in data 27 settembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° ottobre 2025 dal Consigliere Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. OMISSIS, in proprio e quale legale rappresentante della U.S. Pergocrema 1932 S.r.l. in fallimento, e Sergio OMISSIS, in proprio e quale procuratore speciale sia della U.S. Pergocrema che di OMISSIS, giusta procura speciale del 21/01/2015 autenticata dal Notaio Avv. OMISSIS di Roma, Rep. n. 2505, convennero in giudizio, nel 2015, davanti al Tribunale di Roma, OMISSIS, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) e la Lega Italiana Calcio Professionistico chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti dalla società sportiva Pergocrema oltre che dallo stesso OMISSIS e dal OMISSIS in proprio, in conseguenza della mancata erogazione da parte della Lega Pro dei contributi mutualistici ex lege Melandri e dei contributi per valorizzazione giocatori ex art. 101 cd. N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne della F.I.G.C); ciò – in thesi - per fatto ascrivibile al suo presidente dell’epoca, OMISSIS, che ne aveva illegittimamente disposto il blocco senza che ne sussistessero i presupposti, allo scopo di favorire la nascita di una nuova società calcistica a scapito della Pergocrema, e che per tal motivo era stato condannato dalla giustizia sportiva e sottoposto a procedimento penale con l’accusa di abuso d’ufficio (poi archiviato per mancanza della qualità di pubblico ufficiale).
Dedussero che la tempestiva erogazione di tali contributi avrebbe impedito alla società di soddisfare i principali creditori e, quindi, di evitare il fallimento, dichiarato nel 2012, e con esso anche le conseguenze pregiudizievoli, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, sofferte sia dalla società che dal OMISSIS in proprio per avere egli perso, per il procedimento disciplinare che da tale fallimento era seguito a suo carico, la possibilità di assolvere l’incarico di consulenza professionale di durata triennale che gli era stato conferito dalla A.C. Chievoverona S.r.l. nel mese di Giugno 2012.
2. Instaurato il contraddittorio, con sentenza n. 12204 del 2020 il Tribunale negò la legittimazione degli attori rispetto alle domande avanzate quali successori della società sportiva, avendo escluso, in base ai principi enunciati da Cass. Sez. U. n. 6070 del 2013 e da Cass. Sez. 1 n. 13921 del 2019, che un tale fenomeno successorio si fosse nella specie determinato, per non avere i soci attori fornito in alcun modo la prova di aver avvertito il curatore del fallimento della pendenza del giudizio relativo al credito vantato, così da consentirgli di effettuare le proprie valutazioni prima della chiusura della procedura concorsuale.
Rigettò, inoltre, le domande risarcitorie avanzate iure proprio, avendo ritenuto difettare la prova del nesso causale tra la mancata erogazione dei contributi mutualistici e il dissesto della società.
3. Con sentenza n. 6124/2023, resa pubblica il 27 settembre 2023, la Corte d’appello di Roma ha confermato tale decisione, rigettando il gravame in via principale interposto dal OMISSIS e dal OMISSIS, in proprio e nelle qualità predette, con il quale gli stessi si dolevano sia della negata loro legittimazione a far valere i crediti riferibili alla Pergocrema, sia del rigetto delle domande risarcitorie iure proprio avanzate.
3.1. Sotto il primo profilo la Corte ha rilevato che:
─ non era in contestazione che il curatore del fallimento della Pergocrema non fosse stato avvertito, né dalla società, né dai soci ed ex amministratori, della esistenza della pretesa creditoria relativa ai contributi sopra menzionati;
─ tanto meno risultava che egli fosse stato avvertito del giudizio introdotto prima della chiusura della procedura avvenuta con decreto del Tribunale di Cremona il 13/12/2016 e della conseguente cancellazione della società in data 22/5/2019 dal registro delle imprese.
Quindi, richiamati il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 6070 del 2013 ed una serie di successive pronunce della S.C., ha concluso, conformemente al primo giudice, nel senso che «il comportamento omissivo tenuto dalla società e dai soci prima e durante la procedura concorsuale, a prescindere dalla contestata e non provata inadempienza del Curatore, costituisse la prova della preventiva rinuncia ai crediti, a maggior ragione dovendosi tenere conto della necessità di evitare possibili danni anche nei confronti della massa dei creditori del fallimento»; ha osservato, peraltro, che «in realtà … il comportamento non improntato a buona fede degli attori, era finalizzato proprio a garantirsi una successiva e personale riscossione giudiziale dei crediti da parte del OMISSIS quale successore della società proprio a discapito degli altri creditori del fallimento, il cui Curatore è stato del tutto tenuto ignaro della esistenza dei crediti e del giudizio pendente introdotto dagli originari attori (società ed ex amministratori)».
3.2. Sotto il secondo profilo ha rilevato che correttamente il Tribunale aveva attribuito decisivo rilievo al fatto che il fallimento era stato dichiarato in conseguenza dello stato di dissesto della società e non certamente solo per il credito vantato dai creditori istanti e che, al contrario, la tesi degli appellanti, secondo cui si sarebbe potuto evitare il fallimento in caso di erogazione tempestiva delle somme dovute a titolo di contributi vari, «resta un mero assunto difensivo … non suffragato da alcuna ulteriore prova, e ciò, senza tenere in debito conto dei possibili profili anche di natura penale che ne sarebbero potuti derivare dal pagamento di crediti peraltro chirografari a danno di altri creditori in violazione della par condicio creditorum».
4. Avverso tale sentenza Ernesto OMISSIS e OMISSIS, quest’ultimo in proprio e nella qualità di procuratore speciale di OMISSIS, propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resistono la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) e la Lega Italiana Calcio Professionistico depositando controricorsi.
Cecilia OMISSIS, che in appello era subentrata al padre OMISSIS deceduto nelle more del giudizio, rimane intimata.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti costituite.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
OMISSIS e la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., «violazione dell’art. 132, n. 4 cod. proc. civ. (violazione del cd. minimo costituzionale di motivazione) nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto provata la rinuncia al credito (restitutorio e risarcitorio del Pergocrema nei confronti dei resistenti per oltre euro 5.000.000,00) da parte del socio superstite Sig. OMISSIS esclusivamente in considerazione del “comportamento omissivo tenuto dalla società e dai soci prima e durante la procedura concorsuale” per aver agito in giudizio all’insaputa del Curatore fallimentare e al fine di “garantirsi una successiva e personale riscossione giudiziale dei crediti da parte del OMISSIS quale successore della società proprio a discapito degli altri creditori del fallimento”» (così in rubrica).
Lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto che il socio superstite Ernesto OMISSIS avesse rinunciato al credito della società Pergocrema basandosi su un comportamento omissivo, senza di ciò fornire una motivazione logica e coerente.
Sostengono che:
─ la rinuncia al credito non può essere dedotta da comportamenti omissivi, soprattutto considerando che il ricorrente aveva agito in giudizio per recuperare il credito;
─ la Corte di merito ha contraddittoriamente affermato che il Curatore non fosse a conoscenza del credito e, allo stesso tempo, che avesse rinunciato ad esso: non si può evidentemente manifestare una volontà inequivoca di rinuncia ad una posizione giuridica di vantaggio che s’ignora di poter esercitare; dalla sentenza impugnata non si comprende se, secondo la Corte, ad avere rinunciato al credito sia stato il ricorrente oppure la Curatela;
─ le denunce penali e le azioni intraprese dai ricorrenti dimostravano chiaramente la volontà di recuperare il credito, non di rinunciarvi; sotto tale profilo il dedotto vizio motivazionale emergerebbe anche dal fatto che erano state prodotte in atti, oltre alle denunce penali contro OMISSIS, anche la denuncia penale sporta nei confronti del Curatore e un’istanza di revoca del Curatore per inerzia nell’avvio dell’azione giudiziaria contro gli odierni resistenti per medesimi fatti per i quali oggi è causa (v. ricorso, pagg. 19-21 e ivi note 15 e 16).
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., «violazione dell’art. 2697 e 2495 cod. civ. nella parte in cui la sentenza impugnata ha erroneamente posto a carico dei ricorrenti l’onere di “dimostrare che la chiusura della procedura fallimentare per insufficienza dell’attivo, a fronte dei crediti di cui al presente giudizio (mere pretese invero), non sarebbe stata il frutto di una rinuncia degli organi della procedura stessa e ancor prima della società, bensì di altra diversa motivazione”».
Lamentano che la Corte di merito abbia erroneamente posto a carico di essi attori/appellanti l’onere di dimostrare che la chiusura della procedura fallimentare non fosse frutto di una rinuncia al credito da parte del curatore.
Si sostiene di contro che, in base ai più recenti approdi giurisprudenziali, regola generale è che i crediti residui o sopravvenuti si trasmettono ai soci, mentre la rinuncia costituisce un’eccezione che deve essere provata da chi la invoca. La Corte, quindi, avrebbe invertito l’onere della prova, richiedendo ai ricorrenti di dimostrare l’assenza di rinuncia, in contrasto con i principi giurisprudenziali.
3. Il terzo motivo ─ rubricato «motivo di ricorso ex art. 360, n.ro 4 c.p.c.: violazione dell’art. 132, n.ro 4 cpc. (violazione del cd. minimo costituzionale di motivazione); violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.» ─ investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l’insussistenza di un nesso causale tra il mancato versamento dei contributi suindicati e il fallimento della società e i conseguenti danni subiti iure proprio dal OMISSIS.
Sono svolte al suo interno tre distinte censure.
3.1. Con la prima si deduce vizio di motivazione apparente per non avere la Corte dato conferente risposta ai motivi d’appello con i quali si era evidenziato che la pretesa risarcitoria non richiedeva di accertare se lo stato d’insolvenza (e quindi il fallimento) della società Pergocrema fosse stato causato dal blocco dei pagamenti ad opera della Lega Pro bensì semplicemente se con il tempestivo pagamento di tali contributi i creditori istanti per il fallimento sarebbero stati tacitati e il fallimento non sarebbe stato dichiarato nemmeno d’ufficio (e il ricorrente non sarebbe stato inibito d’ufficio dall’ordinamento sportivo).
3.2. Con la seconda si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello ignorato prove decisive, come la certificazione del credito di euro 115.000,00 rilasciata dal Presidente OMISSIS, che dimostrava la sufficienza delle somme per tacitare i creditori istanti.
3.3. Con la terza si denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. per non avere la Corte territoriale apprezzato adeguatamente la certificazione del 5 marzo 2012, firmata dal Presidente OMISSIS, la quale costituiva confessione stragiudiziale sull’esistenza del credito verso Pergocrema.
4. Il primo motivo è infondato, quando non inammissibile.
4.1. Diversamente da quanto dedotto in ricorso, la ratio decidendi posta a fondamento della decisione ─ al di là del richiamo (alle pagg. 9 e 10) a precedenti giurisprudenziali che, come si dirà, riguardando la diversa ipotesi della cancellazione volontaria della società dal registro delle imprese o comunque conseguente a ipotesi diverse da quella di cui all’art. 118, comma 1, n. 4, l. fall., non risultavano strettamente pertinenti ─ risulta chiara e univoca alla luce specialmente della conclusione riassuntiva della parte della motivazione dedicata a tale tema di lite (leggibile a pag. 11 della sentenza, secondo e terzo capoverso, e sopra testualmente riportata nei «Fatti di causa», par. 3.1., ultimo cpv.).
In sostanza essa è ricalcata sul principio affermato da Cass., Sez. 1, 22/05/2019, n. 13921, secondo cui «anche in conseguenza della obbligatoria cancellazione dal registro delle imprese, ai sensi dell'art. 118 l.f., n. 4, a seguito di chiusura del fallimento per insufficienza dell'attivo, si determina l'estinzione della società ed un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori (ed i conseguenti crediti) facenti capo all'ente, ma che non siano stati realizzati dal curatore fallimentare, si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa, salvo che il mancato espletamento del recupero giudiziale consenta di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento liquidatorio. Ove il credito litigioso pendente non sia stato portato, o dai soci o dagli amministratori o dai liquidatori, a conoscenza del curatore del fallimento, il quale non lo abbia perciò incluso tra le voci dell'attivo da realizzare, si deve legittimamente ritenere che esso ab origine sia stato tacitamente rinunciato dalla società e quindi non possa formare oggetto di recupero giudiziale in forza della legittimazione successoria dei soci a seguito della estinzione della società fallita».
L’accento, in applicazione di tale principio e in particolare della sua seconda parte, è chiaramente posto non sulla condotta del curatore, ma su quello dei soci e amministratori della società; la rinuncia al credito è riferita a questi, prima che al curatore, ed è desunta dalla sua mancata comunicazione allo stesso, quale unico organo legittimato a farlo valere nell’interesse della massa.
Nessuna intrinseca contraddittorietà può dunque vedersi nel percorso motivazionale, in particolare là dove (a pag. 9) si distingue tra rinuncia al credito da parte del curatore e mero disinteresse dello stesso (che legittima il fallito a gestire in sua vece il rapporto) essendo evidente dal contesto della motivazione che ciò che si vuol dire è che, in mancanza di alcuna informazione fornita al curatore, non è possibile interpretare l’inerzia del curatore come mero disinteresse ed è piuttosto la mancata comunicazione delle pretese creditorie da parte del socio o del procuratore della società fallita a doversi riguardare come indicativa della rinuncia da parte degli stessi a far valere il credito.
Diverso è il piano della sindacabilità della correttezza in iure di tale ragionamento, tema oggetto del secondo motivo e che certo non interferisce su quello attinto dal motivo in esame ma anzi postula la piena comprensione della motivazione addotta.
4.2. La censura poi diviene inammissibile nella parte in cui pretende di ricavare il dedotto vizio di motivazione mancante dal fatto che erano state prodotte in atti, oltre alle denunce penali contro OMISSIS, anche la denuncia penale sporta nei confronti del Curatore e un’istanza di revoca del Curatore per inerzia nell’avvio dell’azione giudiziaria contro gli odierni resistenti per medesimi fatti per i quali oggi è causa (v. ricorso, pagg. 19-21 e ivi note 15 e 16).
Va rammentato in proposito che, secondo costante insegnamento, è denunciabile in cassazione, quale error in procedendo per violazione del dovere di motivare i provvedimenti giurisdizionale ex art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., solo «l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 – 8054).
4.3. Anche a voler intendere che, con tale riferimento, si intenda in realtà prospettare il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.) ─ vizio in realtà non espressamente dedotto ─ se ne dovrebbe comunque rilevare l’inammissibilità per la preclusione che, rispetto a siffatta prospettazione censoria, deriva — ai sensi dell’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ. [nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dall’art. 3, comma 27, lett. a), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149], ripetitivo, peraltro, di quanto già previsto dall’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. [come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134] — dall’avere la Corte d'appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme) (v. Cass. 28/02/2023, n. 5947; 15/03/2022, n. 8320; 06/08/2019, n. 20994; n. 22/12/2016, n. 26774).
5. Il secondo motivo è infondato.
5.1. La tesi censoria è, in sostanza, che la Corte d’appello non avrebbe potuto trarre la conclusione della rinuncia dei crediti dall’inerzia del curatore, né dalla mera mancata informazione dei soci circa la loro esistenza.
Tanto si sostiene alla luce della più recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul tema degli effetti dell’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese rispetto alle «mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi» non iscritti nel bilancio di liquidazione, evoluzione che ha sostanzialmente condotto a rimodulare il principio enunciato dalle Sezioni Unite nel 2013 (sentenza n. 6070 del 2013) secondo cui doveva presumersene la rinuncia, nel senso ora precisato dal nuovo intervento delle Sezioni Unite (sentenza 16/07/2025, n. 19750, evocata in memoria), secondo cui «la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione non giustifica di per sé la presunzione dell'avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore convenuto in giudizio dall'ex-socio, o nei confronti del quale quest'ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l'onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l'estinzione del credito».
5.2. Un tale argomento di critica è, però, da respingere proprio in ragione del fatto che qui non sono in gioco il comportamento del curatore e il significato attribuibile alla sua inerzia, quanto piuttosto il comportamento dei soci che, in pendenza del fallimento, omettono di informare il curatore della pretesa creditoria.
Come detto, è a tale comportamento (non a quello della mera successiva inerzia del curatore, del tutto neutro proprio a causa della mancata conoscenza di quelle pretese) che la Corte d’appello, sulla scorta del citato arresto di Cass. n. 13921 del 2019, attribuisce il valore di comportamento idoneo a far presumere la rinuncia alla pretesa creditoria, ostativo alla predicabilità di un fenomeno successorio.
La giustificazione razionale di una siffatta regola di giudizio trova il suo implicito punto di partenza nell’effetto di spossessamento del fallito determinato dalla sentenza che dichiara il fallimento, la quale «priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento» (art. 42 l. fall.) determinando al contempo la perdita della capacità processuale del fallito (art. 43 l. fall.: «nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore»).
Dalla esegesi di tali norme la giurisprudenza di questa Corte ha tratto il principio, costantemente affermato, secondo cui «la perdita della capacità processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d'ufficio» (v. ex multis, Cass. Sez. L n. 13991 del 06/06/2017; Sez. 5 n. 5571 del 09/03/2011); principio questo che si riflette nella speculare affermazione secondo cui «il fallito è privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, ad eccezione delle ipotesi in cui egli agisca per la tutela di diritti strettamente personali o l'amministrazione fallimentare sia rimasta inerte con riferimento ai suddetti rapporti patrimoniali, manifestando indifferenza nei confronti del processo» (Cass., Sez. 2, n. 31313 del 04/12/2018; v. anche Cass., Sez. 3, n. 32634 del 23/11/2023, secondo cui «nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito la legittimazione processuale spetta al curatore, competendo al fallito una legittimazione di tipo suppletivo soltanto nel caso di totale disinteresse degli organi fallimentari, non anche quando detti organi si siano attivati o abbiano ritenuto non conveniente intraprendere o proseguire la controversia; pertanto, il fallito, ferma la possibilità di svolgere attività processuale nella forma dell'intervento ex art. 43, comma 2, l. fall. (circoscritto alle questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico e nei limiti dell'intervento adesivo dipendente), non ha diritto di impugnare la sentenza in maniera autonoma rispetto al curatore, non essendo in tal caso ravvisabile un disinteresse degli organi fallimentari, bensì una valutazione di opportunità circa la proposizione del gravame»).
Perché, dunque, sorga la legittimazione processuale del fallito è necessario poter presumere il disinteresse del curatore, ma questo a sua volta presuppone che egli abbia consapevolezza dell’esistenza della pretesa creditoria; in mancanza di questa non è predicabile alcun disinteresse del curatore, né di conseguenza può riconoscersi al fallito la capacità processuale, il cui difetto anzi, in tal caso, è assoluto e rilevabile anche d’ufficio.
Nella specie non si pone però un problema di difetto di capacità processuale.
Questo, in base ai principi sopra esposti, avrebbe potuto riguardare l’azione proposta nel 2015 in quanto riferita ex latere actoris (anche) alla U.S. Pergocrema S.r.l. che, però, è soggetto giuridico ormai estinto per effetto della cancellazione conseguente alla chiusura del fallimento per mancanza di attivo (art. 118, primo comma, n. 4, l. fall.) e non più presente nel giudizio odierno.
Si pone piuttosto un problema di configurabilità di un fenomeno successorio, ex art. 2495 cod. civ., a favore dell’ex socio unico della società ormai estinta, con riferimento a quel credito che, proprio in difetto del presupposto del disinteresse del curatore, la società aveva inammissibilmente inteso far valere in giudizio ex se, in difetto della relativa legittimazione processuale.
Se si pone mente a tale dato di partenza, il principio affermato da Cass. n. 13921 del 2019, e di cui i giudici a quibus hanno fatto nella specie corretta applicazione, ne appare coerente sviluppo logico.
Se, infatti, pendente il fallimento, la pretesa creditoria della società fallita richiede per potere essere fatta valere in giudizio: a) che ne sia informato il curatore; b) la successiva determinazione di questo: b1) di farla egli stesso valere nell’interesse della massa o, in alternativa, b2) di non farla valere, legittimando in tal modo l’iniziativa suppletiva del fallito; se, dicevamo, tutto ciò è vero, appare allora del tutto ragionevole attribuire alla mancata informazione del curatore dell’esistenza della pretesa creditoria il significato univoco di rinunciare a farla valere anche successivamente alla chiusura del fallimento per mancanza di attivo. Ad opinare diversamente si perverrebbe alla conseguenza, evidentemente contraria alla ratio che ispira l’intero sistema dell’esecuzione concorsuale, di incentivare condotte tese a nascondere pretese creditorie, anche dotate di apprezzabile valore di realizzo, per sottrarle alla massa dei creditori.
Si tratta dunque di ipotesi assai diversa e di un principio che non affonda le radici nella sentenza del 2013 e non ne costituisce affatto un corollario [come del resto è espressamente avvertito nella ordinanza del 2019: vdns. pagg. 7-8 e poi pag. 11, ove si sottolinea che «Invero, solo in tale ipotesi - quella cioè in cui l’esistenza di un credito o di una pretesa azionabile sia stata portata a conoscenza del curatore, n.d.r. - si poteva legittimamente ritenere (richiamando i principi delle Sezioni Unite nel 2013) che il credito - incerto ed illiquido, comunque non incluso, com'è pacifico, dal curatore del fallimento nel progetto di ripartizione finale, chiusosi per insufficienza dell'attivo - fosse stato consapevolmente rinunciato dal curatore della società fallita, non avendo costui coltivato la res litigiosa, e, una volta cancellata la società, si fosse trasferito ai soci quali successori ex lege della società»].
Ne deriva anche l’irrilevanza dei successivi sviluppi di quel principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2013 che hanno da ultimo portato, come detto, alla successiva rilettura dello stesso ora proposta da Cass. Sez. U. n. 19750 del 2025, la quale non a caso non fa affatto menzione del caso della cancellazione della società ex art. 118, n. 4, l. fall. susseguente alla chiusura del fallimento per mancanza di attivo.
Al contrario tali sviluppi ne risultano rispettati dal momento che, in virtù del ragionamento esposto, a ritenersi indicativo della rinuncia a far valere il credito non è un comportamento neutro o di mera inerzia, bensì piuttosto un comportamento omissivo (la mancata comunicazione al curatore della pretesa) nel descritto contesto plausibilmente interpretabile come volto a sottrarre la pretesa alla esecuzione concorsuale e, quindi, per coerenza di sistema, anche a rinunciare alla sua successiva soddisfazione a favore dello stesso fallito o del suo successore.
6. Il terzo motivo è inammissibile con riferimento a tutte le censure che al suo interno sono svolte.
6.1. La prima lo è perché si pretende, con essa, di dedurre un vizio di motivazione mancante facendo riferimento ad elementi esterni alla motivazione stessa.
È appena il caso di rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, «la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830)
In ogni caso anche sul punto la motivazione c’è ed è perfettamente comprensibile.
Non è la Corte d’appello a non intendere correttamente il motivo d’appello ma sono piuttosto i ricorrenti a non cogliere la ratio decidendi sul punto spesa dalla Corte, la quale è espressa in termini pienamente conferenti con la critica che era stata mossa, di cui viene negata la fondatezza sul rilievo che «la tesi per la quale si sarebbe potuto evitare il fallimento in caso di erogazione tempestiva delle somme dovute a titolo di contributi vari, resta un mero assunto difensivo degli appellanti non suffragato da alcuna ulteriore prova. E ciò, senza tenere in debito conto dei possibili profili anche di natura penale che ne sarebbero potuti derivare dal pagamento di crediti peraltro chirografari a danno di altri creditori in violazione della par condicio creditorum».
6.2. La seconda e la terza censura sono parimenti inammissibili.
Entrambe le censure, anzitutto, risultano eccentriche rispetto alla ratio decidendi, che non risiede affatto nella negazione della sussistenza di prova circa la fondatezza del credito relativo ai contributi indicati, ma a monte (quale ragione più liquida) nell’escludere che il versamento di quei contributi avrebbe potuto evitare il fallimento.
La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è comunque dedotta al di fuori dei paradigmi al riguardo dettati dalla giurisprudenza di questa Corte [v. ex aliis, Cass. Sez. U. n. 20867 del 30/09/2020: «In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.»; «In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione»].
7. Agli argomenti esposti in memoria dal ricorrente OMISSIS si è data risposta nello scrutinio dei motivi.
8. Per le considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese, liquidate come da dispositivo, in favore delle controricorrenti.
9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei predetti ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida:
a) in favore della F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
b) in favore della Lega Italiana Calcio Professionistico, in euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1° ottobre 2025.
Il Presidente
Francesco Maria Cirillo
